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Benedetti Arrigo - 26 giugno 1976
Con il digiuno Pannella imbraccia l'ultima arma della non-violenza
di Arrigo Benedetti

SOMMARIO: L'articolo appare nel momento culminante del digiuno di Marco Pannella per il riconoscimento per legge del diritto di aborto. Nel sommario si riferisce sui precedenti dell'iniziativa e sulle vicende collaterali, ad esempio sul processo per vilipendio delle forze armate allora in corso (il vero e proprio articolo di Benedetti ha inizio sotto il titolo "Una voce contro l'ipocrisia"). Benedetti ricorda che tra gli obiettivi del digiuno, e della campagna in corso per otto referendum, c'è la richiesta per la liberalizzazione della legge sull'aborto, richiesta cui Benedetti è favorevole. Tratteggia quindi una breve biografia del giovane radicale conosciuto negli ambienti del "Mondo" di Pannunzio, e ricorda come egli abbia continuato a vedere Pannella anche dopo la rottura di quel gruppo e la sua dispersione. "Seguitavo a stimarlo perché è uno di quegli italiani seri nell'intimo...e perché crede in un'altra Italia...", continua Benedetti, che si chiede poi cosa possano pensare di Pannella i vecchi amici

liberali del "Mondo", i quali pure erano stati presi per "pazzi, pagliacci" quando durante il fascismo avevano auspicato e desiderato la sconfitta del paese pur diliberarsi dell'oppressione.

(CORRIERE DELLA SERA, 26 giugno 1976)

(Il suo sciopero della fame si protrae da 54 giorni - Chiede la legalizzazione dell'aborto e spazio in televisione alla LID - E' stato convolto in numerosi processi per disobbedienza civile)

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Roma, 25 giugno

Lo sciopero della fame di Marco Pannella continua da cinquantaquattro giorni. Vuole che l'aborto sia riconosciuto dalla legge, vuole che la Lega italiana per il divorzio abbia spazio nei dibattiti in Tv. Dice che il digiuno è l'ultima arma della non violenza.

Nella sua qualità di direttore responsabile del periodico "Notizie Radicali", Marco Pannella è rimasto coinvolto in numerosi processi, il più importante dei quali è "saltato" circa venti giorni fa: gli atti, per volere della corte d'assise che ha accolto le tesi del difensore del giornalista (l'avvocato Franco De Cataldo), sono tornati al pubblico ministero per un riesame della vicenda. Come si ricorderà, Pannella era finito sul banco degli imputati per tutta una serie di reati che andavano dal vilipendio delle forze armate e del governo fino all'istigazione a delinquere. Quest'ultima accusa era stata mossa al giornalista perché, come direttore responsabile, aveva consentito la pubblicazione su "Notizie Radicali" di un comunicato dal titolo "Decisa campagna per l'astensione" (si riferiva alle elezioni del 7 maggio 1972). Durante il dibattimento in corte d'assise, Marco Pannella sostenne che quel comunicato era l'espressione di una deliberazione presa dall'intero direttivo del partito radicale. A conforto di

questa tesi giunsero alla corte numerosi telegrammi appunto di dirigenti del partito che si autoaccusavano del medesimo reato contestato al giornalista. Di qui la decisione della corte di restituire gli atti al pubblico ministero affinché l'ufficio valutasse l'opportunità di mettere sotto processo l'intero partito radicale.

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Una voce contro l'ipocrisia

"Pannella digiuna, Pannella protesta, ma che vuole Pannella? Se lo domandano tutti. Voleva, lui factotum della Lid, il divorzio; ebbene, avendolo avuto, perché non se ne sta quieto? Ora, dicono, chiede l'aborto. Tra gli otto referendum abrogativi di leggi che spesso limitano i diritti civili degli italiani, s'insiste su quello che dovrebbe liberalizzare una pratica della quale si parla sottovoce, con sfumature equivoche. Nessuno nega che diecine di migliaia di italiane ogni anno si dissanguino, muoiano; l'ammettono i magistrati: si parla di uteri sforacchiati, di mammane che operano le ragazze povere in ambienti sordidi, di cliniche di lusso per chi può spendere. Però Pannella resta lo stesso il mostro che ha inventato una realtà da cui siamo atterriti, e non quella che ne denuncia l'esistenza.

Non è Gandhi

Eppure basterebbe ascoltare le donne a mezzo servizio, le operaie delle fabbriche. Con la macchina da pagare a rate, il televisore, un altro figlio non possono permetterselo, anche se sono sposate. Molte ammettono che nel loro bilancio familiare c'è la voce anomale: aborto. Il secondogenito non sarà il benvenuto ma lo fanno nascere; il terzo non lo vogliono assolutamente. Non hanno scelto loro di essere cittadine d'un Paese lungo e stretto, sovrappopolato e povero di risorse, o di credere in una società che ha ora come ideale non il benessere, ma gli oggetti tutte la sere messi in mostra dai caroselli, e senza i quali non sembra possibile essere felici, degni di rispetto. L'aborto uccide, nessuno può rispondere che non è vero, e siccome i partiti non intendono affrontare un tema spinoso, solo un folle di passione civile, un frate laico, lui Pannella accetta d'addossarsi l'orrore che la parola suscita, in Italia.

Pannella digiuna ma non ha niente di Gandhi. Non è un mistico o lo è di necessità. Abruzzese nato nel 1930 in una di quelle famiglie di campagna che riescono ogni tanto a fare un prete (Pannella ha uno zio monsignore), lo conobbi quando aveva poco più di vent'anni, in Campo Marzio, a Roma, nella redazione del "Mondo" di Mario Pannunzio.

Alto, tutto spalle, esile, gli occhi vellutati, la voce calda, i capelli lisci e lunghi ricadenti sulla fronte, non si sapeva spiegare. Radicale anche lui, certo, com'erano definiti i liberali di sinistra e i superstiti del partito d'azione: però aveva un suo assillo segreto.

"Che ha Pannella? E che vuole?" si cominciò a dirlo subito. Gli anziani diffidano spesso dei giovani da cui si vedono ricercati.

I miei amici l'osservavano incuriositi. Il suo attivismo, il suo essere sempre pronto a correre dove fosse rischio e passione, la smania d'eccitare le sinistre a impegni "liberali", attraeva e impensieriva. Vuoi fare carriera? Un posto alla Rai-Tv? Hai sbagliato uscio, Marco: batti altrove.

tutti, l'ammettessero o no, lo considerarono subito una promessa. Senti come parla dicevano incantati dal timbro baritonale appena aveva la parola nei convegni. Non sottilizzava, aveva qualcosa dentro, cercava d'esprimerlo, suscitava energie.

"Che trombone - esclamavamo però - non avrebbe tutte le doti per un partito di massa?".

Ernesto Rossi l'osservava incuriosito. Ernesto, da quando uscì da Regina Coeli, dove lo sorprese il 25 luglio (stava passeggiando nudo, non aveva sonno: Che sono queste grida, si disse, i fascisti non avranno vinto qualche battaglia?), guardava tutto con scrupolo. Accade a chi, entrato in carcere giovane, n'esce dopo più d'un decennio adulto, e stupisce vedendo che i ragazzi sono diventati uomini e che il mondo durante la sua assenza non s'è fermato.

"Che vuoi Pannella? - sembrava volergli chiedere. - Vattene, sei giovane, sii felice, al mondo non c'è solo la politica, ci sono le ragazze, la campagna dove è bello passeggiare, che felicità dormire in un prato".

Devo spiegare perché seguitai a vedere Pannella anche dopo che noi anziani uscimmo dal partitino, dove ci sentivamo a disagio. Gente delusa dalla "Storia d'Italia" di Benedetto Croce, turbata e corroborata da "La Storia come pensiero e come azione" ci eravamo abituati a guardare la vita, più che attraverso l'implacabile Balzac, con la lente di Flaubert, Proust, magari Tocqueville corretta dalla lettura di Francesco De Sanctis e di Antonio Labriola. Non ci accorgevamo che, Pannella, più giovane di noi, non aveva vissuto tempi in cui si cercava nella lettura un compenso alle frustrazioni quotidiane.

Gruppo diviso

Ma io ho il gusto per gli eccentrici, proprio se non si capisce subito che vogliano. Così quando un caso increscioso divise il nostro gruppo (e non fu un contrasto generazionale, anzi all'interno d'una generazione sola, l'anziana) seguitai a parlare a Pannella pur non concordando dopo la battagli dei sei giorni col suo filarabismo; e neanche mi piaceva il puntiglio di trovare non so che di verità sulla costa di quel mare disgraziato che è il Mediterraneo. Pannella seguitavo a stimarlo perché è uno di quegli italiani seri nell'intimo che non hanno paura d'essere presi per buffoni. E perché crede in un'altra Italia che esiste, appena celata dal velo degli opportunismi. Quando qualcuno mormora: "Tanto siamo in Italia" m'indigno, e sono sicuro che anche a lui succede.

Pannella non ha mai riposo, si sente dire, esagera, viaggia, convoca i corrispondenti stranieri, sta fermo solo per digiunare e far parlare di sé, finirà in cima a una colonna. Dopo tanti anni, un curioso equivoco sussiste, Pannella è un libertario che difende la Costituzione, e invece lo scambiano per sovversivo. Unico particolare trascurato, attrae i giovani come facevano Ernesto Rossi, Mario Pannunzio e altri vent'anni fa, e non li eccita alla contestazione del sistema ma al piacere della libertà. Pannella farebbe carte false per destare gli italiani da un lungo torpore. O forse solo per costringerli in molti casi a capire che dentro di loro certi mutamenti sono già accaduti.

"Per arrivarci - pensa - la logica non basta".

"Che ne direbbero Mario, Niccolò, Franco, che dirà un certo mio amico andatosene in campagna, e che crede ancora nell'efficacia della lettura?". Sono sicuro che Marco, nel languore del digiuno, abbia udito la voce affettuosa di vecchi amici ormai morti, e di altri che vede di rado e a cui magari ogni tanto pensa.

"Che ne direbbero...". Dev'essere un tormento: certi sospetti, da cui ci si sente ingiustamente sfiorati in gioventù, fanno sentire il morso per tutta la vita.

"Voglio quello che avete voluto voi" mormora certo Pannella nel languido dormiveglia, solo nella stanzuccia dove digiuna, affollata di ricordi simili a fantasmi.

"Niente per me; una voce mi dice che occorre qualcosa in più. Forse sbaglio ma servono i digiuni, le marce, i manifesti con centinaia di firme. I giovani mi seguono, le donne pure, gli obiettori di coscienza, spesso scambiati per vigliacchi si consolano. Meglio delle bombe, no? C'è qualcuno che alla parola preferisce il tritolo?".

"Non ridevano di voi - potrebbe aggiungere - quando tu, Mario Vitaliano, una notte di giugno, si era nel '40, gridaste in via Veneto esasperati: Vogliamo vedere i polacchi a Berlino? Che credete dicessero gli anziani d'allora, veri mastri? S'infastidirono, vi definirono pazzi, pagliacci, con l'affetto con cui ora voi amici apparsi nella solitudine in cui affondo, dopo i raduni in cui rimbomba la mia voce tuonante, mi dite: smettila, Marco, con le buffonate".

"Hai ragione - gli rispondo da lontano - quella notte del '40, per fortuna la polizia credé fossimo ubriachi di gioia: avevamo finalmente la guerra, s'era sparsa la voce che a poche ore dalla dichiarazione avevamo già conquistato la Savoia, Nizza, la Corsica, Malta, e che presto avremmo preso anche la Tunisia. Però all'improvviso ci fu l'ululato, il primo, e non rabbrividimmo al rombo degli aerei - una ricognizione - solo noi ragazzi folli".

 
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