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Signorino Mario - 30 giugno 1976
LA MALFIA DI SICILIA
di Mario Signorino

SOMMARIO: Prova Radicale racconta gli episodi più significativi e i metodi normalmente in uso tra i repubblicani in Sicilia, facendo ampio ricorso alla documentazione raccolta dal giornalista de L'Ora Orazio Barrese e alle sentenze dei probiviri del PRI. Si passa così dall'accorata difesa di La Malfa al boss democristiano Ciancimino, alle assunzioni clientelari operate dall'assessore regionale alla pubblica istruzione, il repubblicano Diego Giacalone, alla benevola protezione accordata dall'onorevole Gunnella al noto mafioso Giuseppe Di Cristina, tornato dal confino nel febbraio 1968 e subito assunto alla Sochimisi. Vengono altresì evidenziate le gravissime irregolarità riscontrate dai probiviri nazionali del partito sui metodi di lotta politica in Sicilia, concludendo che il tesseramento irregolare è assai frequente in quella regione; le sentenze dei probiviri di espulsione dal partito di Gunnella e del boss mafioso Salvatore Natoli vengono però annullate dalla Direzione nazionale.

(PROVA RADICALE, giugno 1976)

"Io rappresento la faccia pulita del partito". Gunnella, viceré di La Malfa in Sicilia, è sicuro. Espulso dai probiviri del Pri il 19 febbraio '75, è rimasto al suo posto per volontà di La Malfa; ma dice il vero. Solo che usa un aggettivo di troppo: "E' fuor di dubbio - hanno scritto i probiviri nella sentenza a suo carico - che il partito, in questi ultima anni in Sicilia sia stato al centro di scandali e polemiche che ne hanno gravemente compromesso il buon nome". Antimafia, magistrati, giornalisti hanno dovuto occuparsi, infatti, a più riprese di questa turbolenta costellazione di clientele. Il giornalista dell'"Ora" Orazio Barrese gli ha dedicato interi capitoli del suo libro "I complici. Gli anni dell'antimafia", pubblicato da Feltrinelli. Faremo ricorso ampiamente alla documentazione da lui raccolta, oltre che alle sentenze dei probiviri del Pri, per raccontare gli episodi più significativi e i metodi normalmente in uso tra i repubblicani in Sicilia, i lamalfiosi.

Ciancimino amore mio

Quando scoppia lo scandalo Ciancimino, è tutto il partito a far quadrato attorno al boss democristiano accusato d'intrallazzi mafiosi. "Bisogna attendere la sentenza del magistrato", dichiara Gunnella. E l'avvocato Mazzei, segretario regionale del Pri, affermerà poi davanti all'antimafia: "Noi abbiamo fatto degli accordi con gli altri partiti, che hanno indicato la persona del signor Ciancimino per ricoprire la carica di sindaco. Noi abbiamo rispettato queti accordi politici". Vuole dire che se la Dc proponeva Liggio, i repubblicani non avrebbero battuto ciglio?

Il 1· dicembre La Malfa rompe il silenzio: l'Assemblea regionale siciliana sta per approvare una mozione del Pci che chiede la sospensione di Ciancimino da sindaco. Se ciò avverrà - telegrafa La Malfa - "investirò ogni situazione che esprima fenomeni degeneratori e necessità moralizzatrici, non esclusa situazione grave come quella palermitana". L'impressione è grande, il "caso Ciancimino" diventa "il caso La Malfa".

La sera, all'antimafia, l'on. Vincenzo Gatto definisce il telegramma "mafioso nella forma e nella sostanza". Ma la "Voce Repubblicana" insiste: "E' tanto palese il livello di deterioramento della classe politica e amministrativa nazionale, che se il Pri volesse aprire una discussione sui nomi non potrebbe forse partecipare a nessun accorso politico e amministrativo". Le sera del 2 dicembre, all'ARS, il capogruppo comunista De Pasquale afferma: "E' un atteggiamento ricattatorio..., nel complesso uno dei più classici atteggiamenti mafiosi che si possono adottare. Il leader repubblicano afferma che esistono situazioni a sua conoscenza che abbisognano di un intervento moralizzatore. Dal punto di vista politico egli non sarebbe che un cialtrone se non dicesse all'opinione pubblica quali sono questi elementi degenerativi. Invece invita l'Assemblea a coprire Ciancimino in cambio di coperture per altre situazioni. Ebbene, chi ragiona così non è certo degno di rappresentare il nostro paese".

Ma per il momento il ricatto di La Malfa riesce: per non far votare la mozione, il 3 dicembre il governo regionale si dimette. Quattro giorni dopo, tuttavia, anche Ciancimino è costretto a dimettersi. Qualcuno afferma che La Malfa ha voluto attaccare indirettamente l'antimafia, che indaga sui boss repubblicani in Sicilia.

Referenze: stupri, furti lesioni

L'antimafia si occupa a lungo dell'attività dell'on. Diego Giacalone, repubblicano, di Trapani. Nel periodo in cui è stato assessore regionale alla pubblica istruzione c'è stato "un ampio investimento clientelare ed elettorale"; vale a dire, assunzione in massa di docenti per chiamata diretta "anche dopo la formulazione delle graduatorie e nonostante queste fossero stracaricate di aspiranti".

Tra i chiamati, scrive Barrese, "v'è chi è stato condannato per violenza carnale, chi per ratto di minorenne e violazione di domicilio, chi per truffa, chi per lesioni personali, chi per insolvenza fraudolenta, chi per appropriazione indebita aggravata. Un campionario di reati infamanti". A un certo punto questi educatori vogliono partecipare al concorso per passare di ruolo: ma a causa dei loro trascorsi vengono esclusi dalla Corte dei conti. Niente paura: Giacalone presenta delle controdeduzioni in loro difesa, assieme al democristiano Sammarco, anche lui ex assessore alla P.I.; i due forniscono "ottime referenze" in base a "informazioni riservate" dei direttori delle scuole. La Corte dei conti si rimangia la decisione.

L'antimafia accerta anche un'altissima concentrazione di doposcuola e scuole professionali nella provincia di Trapani, collegio di Giacalone, mentre in altre mancano del tutto. Che volete, fa il segretario regionale del Pri Mazzei quando viene interrogato dall'antimafia: "E' evidente che l'on. Giacalone era più sensibile alle segnalazioni che gli pervenivano dalla sua provincia, o gli era più facile raggiungerle, avvertirle, avrebbe conoscenza".

Per La Malfa queste indagini sono uno sgarro. Diventa rabbioso quando l'antimafia apre il dossier Di Cristina, che coinvolge il pupillo Gunnella.

Mafia, abbracci e lunghi baci

Giuseppe Di Cristina, noto mafioso nativo di Riesi, tornato dal confino nel febbraio '68, viene assunto alla Sochimisi, con lettera del 22 febbraio firmata dall'amministratore delegato on. Gunnella. Pochi giorni dopo viene presentata un'interrogazione al'Assemblea regionale; ma lo scandalo scoppia un anno dopo, ed è grosso. Il 16 maggio '69 l'antimafia dispone il sequestro della pratica d'assunzione; della vicenda si occupa anche De Mauro un anno prima di sparire. Interrogato dall'antimafia il 17 novembre '70, il segretario regionale del Pri Mazzei cade dalle nuvole: "Non credo, dice, che questo Di Cristina fosse mafioso così noto, se pure lo è". Poi, messo alle strette, spiega che è stato assunto da Gunnella su segnalazione del senatore democristiano Graziano Verzotto e del segretario provinciale della Dc Nisena Cigna.

Ma il 24 febbraio '71 Di Cristina che ha continuato nel suo incarico di copertura alla Sochimisi, viene arrestato come mandante dell'assassinio di Candido Ciuni. Poche ore dopo Gunnella che era stato costretto a dimettersi da segretario provinciale del Pri, dichiara: "Prima che detto signore si presentasse alla Sochimisi (...) non era a me assolutamente noto né come persona né come nome. Fra l'altro non aveva il marchio giallo o la campanella ai piedi...". "E' una spiegazione - commenta Orazio Barrese - che, come si dice in Siclia, fa fottere dalle risate": in una regione ad altissimo tasso di disoccupazione e emigrazione, basta allora che uno sconosciuto si presenti in un'azienda per essere ricevuto subito dall'amministratore delegato, essere assunto e fare una rapida carriera...

L'antimafia torna sulla vicenda il 4 marzo '71: lo stesso giorno Di Cristina è licenziato dalla Sochimisi per "ingiustificata assenza", che sarebbe la galera. I giornali intanto si spolpano Gunnella. Vien fuori che alla Sochimisi lavorano altri mafiosi: Calogero Giambarresi e Gaetano Lo Grasso (in galera per due mesi nel '68, ottiene un permesso per "gravi ragioni di famiglia"). Si dice che Gunnella si circonda di "loschi figuri sino al punto di farli eleggere consiglieri comunali di Palermo". Ferdinando Lo Cicero, ad esempio, già segretario particolare di Gunnella, ottiene anche un voto di solidarietà della direzione provinciale del Pri quando viene condannato per sfruttamento della prostituzione. Oppure l'avvocato Di Pasquale, anch'egli divenuto consigliere comunale "per alti meriti repubblicani", condannato per patrocinio infedele su denuncia della vedova Ciuni: assunto come difensore della vedova, si era dimenticato di predisporre gli atti per la costituzione di parte civile; i dirigenti del Pri non pren

dono alcun provvedimento.

Incalzato dalle denunce, già indebolito dal caso Ciancimino, Gunnella rischia di affogare. Ma La Malfa non abbandona i suoi nella tempesta e il 13 maggio '71 appare sull'"Unità" una sua lettera di protesta contro il giornalista Diego Novelli, che ha definito Di Cristina uomo di fiducia di Gunnella. "E' una grave offesa - scrive La Malfa - non solo per l'uomo, ma per l'intero partito"; Di Cristina "non ha mai avuto alcun rapporto con il deputato repubblicano". E se questi ha commesso "errori di valutazione per quel che concerne alcuni uomini ammessi nel partito" l'ha fatto solo "nell'ansia di rafforzare ed estendere le basi del partito". Il giornale comunista, sempre sensibile al fascino di La Malfa, ritira l'accusa. Ma Novelli non è d'accordo, e non potendo ribattere sul giornale del suo partito scrive direttamente a La Malfa: "Ho detto che Di Cristina era l'uomo di fiducia di Gunnella in quanto è a tutti noto che fu un suo grande elettore". Infatti i voti del Pri a Riesi passano dai 20 del '67 ai 400 (di cu

i 300 secchi per Gunnella) del '68. Subito dopo viene costituita a Riesi la sezione del Pri: nel verbale di fondazione (marzo '69) si leggono le firme di Di Cristina e Lo Grasso; Gunnella le farà togliere dopo lo scandalo.

Ma sia lui che La Malfa hanno detto le bugie: i probiviri del Pri infatti accerteranno dopo che Gunnella conosce bene Di Cristina. Nella sentenza d'espulsione, dopo aver dimostrato l'impossibilità che al momento dell'assunzione non conoscesse i trascorsi del mafioso, tirano fuori la prova di un incontro tra i due durante la campagna elettorale del '68, al Motel Agip di Gela: si scambiarono "lunghi baci, abbracci e pacche sulle spalle" e si appartarono per mezz'ora in una stanza del motel. Al momento degli addii, Di Cristina assicurò che a Riesi "tutto era fatto e che non c'era bisogno di andarci".

La legione straniera del Pri

Nella direzione provinciale del Pri di Caltanissetta, nel '74 risultano: due dirigenti di sezione della DC e un iscritto al PSDI: un altro democristiano figura addirittura nel collegio dei probiviri del Pri. Alcuni di questi ibridi dirigenti hanno fatto propaganda per l'abrogazione del divorzio servendosi dell'organizzazione democristiana.

E' solo un esempio delle gravissime irregolarità riscontrate dai probiviri nazionali nelle loro indagini sui metodi di gestione del partito in Sicilia. La lista di quella che è stata chiamata la Legione straniera del Pri potrebbe continuare a lungo. Sezione di Porto Empedocle: 18 tesserati appartengono alla Dc, 4 al PCI, 3 al PSI, 1 al PSDI, 3 al MSI; alcuni sono anche consiglieri comunali dei rispettivi partiti. Sezione di Grotte: 10 tesserati appartengono alla DC, 2 al PCI, 1 al MSI, 1 è simpatizzante dc, 3 sono regolarmente defunti, 1 appartiene al PRI. A Caltanissetta figurano in pochi mesi 600 nuovi tesserati, quanti DC e PCI messi assieme non riuscirebbero a totalizzare.

I probiviri nazionali stravedono: il tesseramento irregolare, concludono, è "cosa assai frequente nel partito in Sicilia". A molti repubblicani autentici non vengono consegnate le tessere, che in genere vengono affidate, a pacchetti, a fiduciari di Gunnella che poi le distribuiscono secondo criteri loro. Non è un caso che pullulino le sezioni fantasma.

Con simili metodi Gunnella (che per un certo periodo cumula le cariche di consigliere nazionale, membro della direzione e del comitato esecutivo nazionali, presidente della direzione della federazione regionale, segretario provinciale di Palermo, commissario dell'unione comunale di Palermo, della consociazione di Caltanissetta e delle sezioni di Butera, Mussomeli, Serradifalco, S. Caterina) manovra i congressi locali e regionali. Al minimo pericolo di opposizione, si sciolgono sezioni, direttivi, consociazioni e s'inviano commissari; le assemblee precongressuali o non si tengono o lo sono in modo irregolare, ad esempio convocandole quando sono già chiuse.

Una zona particolarmente turbolenta è Messina, controllata dal boss Salvatore Natoli, capogruppo alla Regione, passato dal PLI al PRI alla vigilia delle regionali del '67 insieme alle clientele della destra liberale. I suoi metodi sono talmente spregiudicati da portare, nel '72, alla formazione di fatto a Messina di sue partiti repubblicano. Appoggiato a spada tratta dalla "Gazzetta del Sud", il quotidiano filofascista di Messina, Natoli realizza nel '72-73 a Gioiosa Marea un accordo con i fascisti della lista "Aquila", e fa eleggere sindaco il capolista dei fascisti, Magistro, ex consigliere provinciale e candidato per il MSI alle regionali. La maggioranza repubblican-fascista si rifiuta di votare un ordine del giorno di condanna della strage di Brescia e di convocare il consiglio in seduta straordinaria per protesta contro l'attentato all'"Italicus". I probiviri riconoscono fondata l'accusa a Natoli di "comportamento e mentalità fascista".

Le conclusioni delle inchieste siciliane dei probiviri non lasciano dubbi: il calo elettorale registrato dal Pri nell'isola alle ultime politiche è dovuto al malcostume e alla corruzione che ne hanno intaccato il prestigio "facendolo apparire come i partito che predica bene e razzola male". Un'ulteriore conferma viene dalle stesse disavventure che colpiscono i probiviri. Come già per Gunnella, infatti, anche per Natoli la sentenza di espulsione emessa il 9 dicembre '74 viene annullata dalla direzione nazionale, il 27 dicembre '74, prima ancora che venga formulata la motivazione: "La Direzione considera che la situazione generale del Partito e alcune controversie sorte fra gli iscritti nella regione non giustificano sanzioni così pesanti, tali da dare impressione all'opinione pubblica di fatti morali che nell'ambito del partito non sono mai esistiti".

La risposta dei probiviri è contenuta in una comunicazione che inviano al successivo congresso nazionale di Genova. "E' la miglior prova - affermano fra l'altro - che il deterioramento dei principi che informavano il nostro partito ha colpito anche la direzione nazionale, perché essa con la deliberazione del 27 dicembre '74 ha violato le norme fondamentali che reggono ogni forma di vita sociale, addivenendo quale organo esecutivo all'annullamento della decisione di un organo giudicante. Neppure nei regimi dittatoriali riteniamo che ciò si sia mai verificato, e per trovare precedenti occorre risalire all'epoca delle monarchie assolute".

 
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