Marco PannellaSOMMARIO: La denuncia della cogestione del potere fra maggioranza ed opposizione, fra destra e sinistra. Il Psi porta intera la responsabilità di non saper affermare con forza la necessità di una vera alternativa socialista, alternativa che deve essere di metodi, di strutture e di obiettivi.
(Tempo Luglio 1976 da " Marco Pannella - Scritti e discorsi - 1959-1980", editrice Gammalibri, gennaio 1982)
E' nata, ormai, la giurisdizione d'appello della sinistra. I voti radicali, una punta emergente dell'iceberg del dissenso comunista, socialista, democratico, civile in Italia, le hanno dato corpo di legittimità e di efficacia. Trent'anni di "linea Togliatti", altrettanto di inesistenza socialista, un regime fondato sull'interclassismo e sul corporativismo, fatti propri dall'intero arco delle forze cosiddette costituzionali, oltre che dal MSI, sono sottoposti a nuovo giudizio anche in seno alle istituzioni.
Il PSI sembra continuare a voler difendere le ragioni delle sue storiche sconfitte, con il PCI e con la DC. Alla volontà, alla richiesta ormai gridata di alternativa socialista (che è innanzitutto alternativa di metodi, di strutture, di obiettivi, di movimento, o non è che declamazione) che sale non solamente dalla base del PSI ma da vaste masse popolari, i vecchi e nuovi sottogattopardi di via del Corso rispondono con proposte di "aggiornamenti", revisioni della vecchia macchina, ulteriori giochetti di potere. Ce ne spiace. Condoglianze. Cercheremo tutti, uniti, e grazie al servizio "socialista" che le strutture libertarie e laiche del Partito radicale offrono a "tutti i socialisti", di evitare che il PSI rovini con loro.
Ma non è già più questo il problema più grosso, più urgente. La crisi di crescita o di sconfitta della sinistra è crisi del 50 per cento, nondimeno, dell'elettorato italiano. E' quindi, innanzitutto, crisi comunista. Il PCI è nella posizione del radicalismo francese di Gambetta, della III Repubblica: governo nei fatti in confronto dialettico con il mondo conservatore. I risultati del 20 giugno renderanno evidente al Paese quella che è la realtà politica italiana da 30 anni. Il potere non coincide con il "governo" formale. Il potere (com'è normale, d'altra parte, anche in una sana democrazia politica) è la risultante del potere di governo e del potere di opposizione. Ma in Italia si è verificato a livello patologico, non fisiologico. Le corresponsabilità, la cogestione fra sinistra e destra, si sono riversate nella pratica politica perfino ai danni della Carta costituzionale, cioè del patto sociale fondamentale, al di là del quale ogni legge diventa violenza, arbitrio, privilegio.
L'accordo sulle presidenze della Camera e del Senato, di per sé sano e democratico, quello su tutti gli organi direttivi del Parlamento, mostreranno a tutti il grado di potere ufficiale del PCI. Ancor più le presidenze delle commissioni parlamentari che, in un Parlamento in cui si approvano migliaia di leggine (che negli altri Paesi sono appannaggio e onere degli esecutivi e non del legislativo), sono strumenti di governo appena mascherati.
Passeremo fra poco ad analoghe soluzioni negli enti pubblici e no. Le contraddizioni economiche, sociali, politiche, ideali che sono incomprimibili in ogni società politica, dovranno alla fine riuscire a esprimersi; ora lo potranno molto più di ieri. E se il PCI non muterà radicalmente politica, vedrà passare fatalmente al di fuori le indicazioni di alternativa e di movimento, mentre le contraddizioni esploderanno anche al suo interno.
Tutto questo è possibile, forse probabile; non certamente "necessario". La storia non è univoca, non è, di per sé, progresso. Il Partito radicale deve rendersi conto della portata sempre più esplosiva della politica che è stata da quasi vent'anni la sua. Deve farlo non cedendo di un millimetro sulle sue caratteristiche libertarie, autogestionarie, antigiacobine, antileniniste, anticlericali, antimilitariste, anticapitaliste. Restando quello che è: una grande forza extraparlamentare, e un centro privilegiato di propulsione del movimento socialista.