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Spadaccia Gianfranco - 26 luglio 1976
"Disordinarsi" per crescere
di Gianfranco Spadaccia

SOMMARIO: Dal congresso la spinta a rilanciare le lotte, come unico "metodo" valido di crescita. Consolidare i partiti regionali, valorizzare le potenzialità federative, libertarie. Trecento associazioni per mutare la presenza del partito nel paese. Intenso lavoro per preparare il Congresso di novembre. Evitare chiusure ideologiche e organizzative. La sede centrale al "servizio" delle iniziative autogestite.

(NOTIZIE RADICALI n. 17, 26 luglio 1976)

L'invito di Marco Pannella a disorganizzarsi è stato motivo di ironia all'esterno del 16· Congresso radicale, in alcuni commenti della stampa, e di protesta all'interno per una parte dei congressisti.

I commentari vi hanno voluto vedere una delle affermazioni paradossali del "personaggio" Pannella. Una parte dei congressisti ha creduto di potervi vedere chi sa quale machiavellico progetto di potere del gruppo dirigente o di un preteso "vertice" che invita il partito a disorganizzarsi per organizzare meglio se stesso contro il partito.

Il problema di "disordine" del partito, e non di disorganizzarlo, è invece un impegno che non deve essere casuale e spontaneistico, ma collettivo e programmato secondo una logica che tende a scoprire e valorizzare, ed attuare, tutte le potenzialità federative, libertarie e autogestionarie, presenti nel nostro statuto. Non a caso Pannella ha parlato di "disorganizzarsi scientificamente".

Come già l'anno scorso la raccolta delle firme per il referendum sull'aborto, quest'anno la campagna elettorale ha costituito per il partito un moltiplicatore della sua organizzazione e del suo rafforzamento. Nel giro di due anni è passato da meno di 40 realtà associative a circa 300, in altrettante città e paesi. Prima delle elezioni i partiti regionali, che sono la struttura portante del nostro statuto, non esistevano e li dove esistevano rappresentavano quasi dovunque soltanto labili strutture di coordinamento, affidate alla associazione più forte fra quelle operanti nella regione. Nelle grandi città, soprattutto a Roma, si passa dalla dimensione delle centinaia, alla dimensione delle migliaia di militanti: deve perciò mutare anche la presenza dell'organizzazione radicale.

Di fronte a questa situazione di crescita del partito, il pericolo da cui bisogna guardarsi e che occorre evitare, è quello della chiusura, di ogni forma di chiusura: la tendenza di ciò che preesisteva prima del momento elettorale a chiudersi rispetto al nuovo; la tendenza ad impostare nel pratito forme di organizzazione ed esperienze sulle quali altre forze politiche hanno consumato il loro fallimento; la ricerca di qualificazioni ideologiche di tipo solo proclamatorio; la richiesta al partito, che deve essere il momento di aggregazione federativa su un minimo comune denominatore sul quale si riconoscono tutti i radicali, di farsi carico di impegni e di iniziative che possono essere vitali solo se nascono non dall'alto, ma autonomamente da specifiche esperienze associative.

Le numerose iniziative che sono state prese durante e dopo le elezioni (dal fronte radicale invalidi a quelle per la scuola, delle associazioni di quartiere di Roma, alle nuove iniziative per i detenuti al progetto di convegno dei credenti anticoncordatari) dimostrano che il partito si muove già in questa direzione, che è la direzione giusta: di chi si apre all'esterno e non si chiude in esperienze cristallizzatrici e riduttive.

Il congresso straordinario è stato certamente caotico e confuso, in parte perché affrettatamente preparato e mal preparato, in parte perché rifletteva una realtà nuova e probabilmente non omogenea. Ma è stato bene farlo. Esso ha delineato alcune scadenze di lavoro comune, di qui a novembre, attraverso le quali deve passere questo impegno di riflessione sulla crescita del Partito.

 
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