di Gianfranco SpadacciaSOMMARIO: Per la prima volta il Partito radicale si è presentato alle elezioni politiche conquistando quattro seggi. Alla vigilia del congresso di Napoli, il segretario del Partito radicale nega che la presenza nelle istituzioni parlamentari ha modificato la caratteristica militante e nonviolenta del partito ed indica nel superamento del "compromesso storico" attraverso lo strumento di democrazia diretta dei referendum il più ambizioso progetto al quale devono impegnarsi gli iscritti. Il rischio di divenire un partito di consiglieri comunali.
(NOTIZIE RADICALI n. 41, 13 ottobre 1976)
Chi prevedeva, temeva o si augurava che, in seguito alla presentazione alle elezioni, il Partito Radicale mutasse la sua natura di partito militante, autogestito, libertario, non violento, per diventare anch'esso un partito istituzionale, occupato dalle istituzioni, che dalle istituzioni si fa cambiare (e corrompere) invece di cambiarle, credo sia stato in questi mesi ampiamente smentito dai fatti.
Lo hanno smentito i nostri compagni deputati in Parlamento, dove fra mille difficoltà sono riusciti a sviluppare un lavoro politico che non riescono ad assicurare gruppi parlamentari molte volte più rappresentati del nostro, e contemporaneamente tornando ad essere, ogni volta che era necessario, dei militanti, Adele e Seveso, Emma nelle carceri o negli istituti psichiatrici, Marco in Friuli o nell'aula del tribunale militare di Padova, Mauro alla marcia antimilitarista.
Lo hanno smentito le associazioni radicali, i movimenti federati, gli iscritti, i sostenitori con le iniziative politiche, le azioni dirette, le manifestazioni di disubbidienza civile di questi mesi. Le nostre compagne del MLD e del CISA in pieno agosto le uniche a contrastare a Seveso l'azione dei vescovi e la presenza militante di Comunione e Liberazione. Gli altri movimenti e gruppi erano in ferie o erano occupati ad accusarci di strumentalizzare il dramma, naturalmente "intimo", delle gestanti della zona colpita dalla diossina. Siamo stati gli unici ad assicurare contemporaneamente difesa politica e giudiziaria e mobilitazioni e iniziativa di massa nel paese, e in particolare nel Veneto, alla battaglia ingaggiata intorno al caso Margherito contro la smilitarizzazione e la sindacalizzazione della polizia da parte del ministro degli interni.
Nessun snaturamento del partito
Abbiamo avuto, dopo gli arresti di Conciani e di sei compagne del CISA a Firenze, centinaia di casi di disubbidienza civile pubblica in almeno dieci città che hanno portato ad altri sei arresti a Bologna. Il Partito si è investito ad ogni livello del problema delle carceri, che ci è caduto letteralmente addosso senza che fossimo preparati ad affrontarlo, per volontà e richiesta dei detenuti di tutta Italia. E' in corso la raccolta delle firme in tutta Italia per una petizione anticoncordataria, lanciata con la marcia popolare che si è svolta a Roma il 20 settembre. Potrei ancora ricordare l'iniziativa della LOC per una leva di obiettori per il servizio civile in Friuli, l'azione dei compagni sardi contro le nuove servitù della NATO nell'isola, le nuove iniziative che ci accingiamo a prendere contro le lottizzazioni e le censure dell'informazione politica della RAI-TV, l'occupazione delle compagne del MLD di Roma di un edificio pubblico inutilizzato, e molte altre cose ancora.
Non esiste dunque un pericolo di snaturamento delle caratteristiche del Partito Radicale, almeno nella volontà soggettiva dei suoi iscritti, dei suoi militanti e anche dei suoi elettori che hanno votato questa "diversità" radicale.
Il pericolo è un altro ed è oggettivo. Ed è lo stesso con cui ci siamo dovuti confrontare nei quindici anni di lotta radicale che abbiamo vissuto dal 1972 ad oggi. E' il pericolo dell'emarginazione delle lotte e degli obiettivi di una politica radicale, alternativa, socialista e libertaria, di fronte al chiudersi dei nuovi equilibri politici e dei nuovi rapporti di forza parlamentari in una politica concordataria di potere.
Sconvolgere gli equilibri politici
Per anni la nostra forza è dipesa dal fatto che siamo riusciti a confrontarci con il regime su alcuni temi centrali della lotta politica, che eravamo gli unici a volere e a imporre e che erano suscettibili, se portati avanti con successo, di sconvolgere gli equilibri politici del regime, affermando e facendo fare passi avanti alla nostra strategia alternativa. E' stato questo il significato della nostra politica complessiva dei diritti civili. Ma senza il divorzio prima, e senza l'aborto poi, e le lotte che su queste due iniziative centrali siamo riusciti ad innestare, la politica radicale e il Partito Radicale sarebbero stati definitivamente sconfitti e travolti. A sinistra del PCI sarebbero rimaste certo altre forze, che avrebbero potuto anche avere nel breve periodo successi politici e anche elettorali, che avrebbero potuto anche dare la sensazione di supplire alla assenza di una forza radicale, socialista e libertaria, ma che in realtà senza la strategia e senza la metodologia e l'azione non violenta del
Partito Radicale non avrebbero avuto, come in effetti non hanno avuto e non hanno, la possibilità di modificare la sinistra italiana e la sua politica e di confrontarsi da protagonisti alternativi con la strategia del PCI.
Ieri abrogazione oggi cooptazione
Solo apparentemente oggi la situazione è diversa. Certo il tentativo di ridurci a una forza marginale della vita e della politica italiana si esprime oggi in forma e con modalità diverse: chi ci disconosceva fino a ieri perfino il diritto di considerarci una forza politica, e una forza politica vitale e determinante, per ridurci a movimento di opinione e costringerci ad accettare questo ruolo che per noi non aveva senso, oggi si sforza di ritagliarci uno spazio di rappresentanza e magari di potere in cui dovremmo assolvere un ruolo di mera testimonianza e una funzione, come si dice, di stimolo e di critica. Chi puramente e semplicemente pretendeva ieri di abrogarci e ci imbavaglia, usando tutti gli strumenti del regime per impedirci di parlare, è disposto oggi a concederci, come forza di estrema minoranza, un qualche diritto di parola, e a cooptarci a questo titolo e in questi limiti, nelle lottizzazioni del regime. Per il resto nulla è mutato: per nostri interlocutori la politica per i diritti civili, a cui
in qualche misura si sono rassegnati a riconoscere una maggiore importanza, rimane e deve rimanere un fatto secondario rispetto alle priorità dettate dai problemi della crisi economica. E i diritti civili, pur nella maggiore importanza che ad essi viene attribuita, rimangono pur sempre i temi che devono essere risolti con il compromesso per non turbare e sconvolgere quel "tessuto" di rapporti unitari che ad ogni livello si cerca di costruire, dal Parlamento alle regioni ai Comuni, e che dovrebbero consentire, nei disegni della sinistra, una svolta nella direzione politica del paese. E' così per il concordato, per il sindacato di polizia, per la legge Reale, per la riforma carceraria, per i nuovi ordinamenti delle forze armate, per i codici, per la legge sulla stampa. E' così in qualche misura, nonostante le modificazioni che siamo riusciti nell'atteggiamento dei maggiori partiti della sinistra ad imporre, anche per l'aborto.
Quanti anni sono che lo ripetiamo, con insistenza, con un'insistenza che può sembrare ossessiva ma che non viene mai smentita dai fatti, i quali confermano invece, puntualmente, le nostre analisi? Ciò che avviene in questi giorni e in queste settimane nella nostra economia dovrebbe pure servire a spiegare qualcosa. Il processo di corporativizzazione della nostra vita pubblica va avanti a tutti i livelli, nelle strutture economiche, dove è rafforzato dai nuovi meccanismi assistenziali della cosiddetta riconversione industriale, e nelle istituzioni statuali dove la politica delle lottizzazioni uccide o snatura i principi e gli istituti istituti della democrazia politica.
Rifiuto della mera testimonianza
O riusciamo a fare saltare questo assetto corporativo autoritario, clericale, che rappresenta il vero e duraturo tessuto connettivo della nostra economia e della politica delle classi dominanti, e a sconfiggere i disegni di razionalizzazione e riusciremo allora a creare le premesse per un progetto socialista alternativo, oppure saremo travolti nella strategia fallimentare della sinistra, noi e con noi le speranze alternative di milioni di compagni comunisti e socialisti.
Io credo che il congresso di Napoli si trovi di fronte, ancora una volta, ad una scelta decisiva e vitale.
Ancora una volta dobbiamo rifiutare il ruolo marginale di mera testimonianza, di stimolo o di critica, che si pretende di assegnarci. Abbiamo di fronte un Parlamento in cui la sinistra sfiora ormai il 50 per cento della rappresentanza elettorale, in cui la Democrazia Cristiana pur vedendo aumentare i propri suffragi, ha visto ridurre se non addirittura distruggere il suo sistema di alleanze, in cui la sinistra è sempre più coinvolta nelle scelte del potere e del regime. Ciò che era importante nella precedente legislatura, diventa essenziale oggi. Dobbiamo immettere, con i referendum, un meccanismo alternativo, di base, di democrazia diretta, costruito dalla volontà e dal consenso di centinaia di migliaia di compagne e compagni, di cittadini e di lavoratori, sotto gli equilibri politici che si stanno delineando, sotto le scelte che si stanno preparando. Dobbiamo obbligare tutte le forze politiche e in primo luogo il partito comunista con questo progetto e con questa volontà alternativa. Dobbiamo offrire sbocc
o politico generale a tutti coloro che lottano nel paese in fabbrica, nei quartieri, nelle piazze, nelle scuole. Ciò in cui siamo falliti ieri non può e non deve fallire oggi.
Riusciremo a fare oggi, quello in cui non siamo riusciti nel 1974 e nel 1975? Questo è il vero interrogativo, questo è il vero tema del Congresso di Napoli.
La nostra forza per anni è dipesa dal fatto che non ci siamo mai lasciati prendere e imprigionare dalle logiche, dagli equilibri, dalla attualità del regime, ma al contrario siamo sempre riusciti a concentrarci su una o due lotte, su uno o due impegni che riuscivamo ad imporre, andando a colpire lì dove magari non ci attendevano.
Stringere i denti, concentrarsi
Oggi ci conoscono bene e ci aspettano per chiuderci ogni possibile varco. Oggi sarebbe illusorio pensare di poter supplire ad un nostro nuovo insuccesso con gli errori dell'avversario come avvenne nel 1974 (referendum sul divorzio imposto da Fanfani) e nel 1975 (arresti di Adele Faccio e mio a Firenze per l'aborto) o con drammatiche iniziative nonviolente condotte quasi al limite del suicidio come Marco e molti di noi siamo stati costretti a fare dopo il 13 maggio 1974 o alla vigilia di queste elezioni politiche.
Questa volta, se è vero che il Partito è cresciuto, deve passare attraverso questa prova collettiva, stringere i denti, concentrare e non disperdere le energie, battere e superare gli ostacoli che ci saranno opposti.
Se nell'ingranaggio degli altrui disegni e processi politici di normalizzazione, saremo riusciti nel corso del 1977 a erigere una barriera alternativa non di uno e neppure di pochi ma di molti referendum, allora potremo pensare di aver creato una solida base per fare del Partito Radicale il protagonista indispensabile della rifondazione e della rinascita socialista e potremo cominciare ad agire non più e non soltanto come antagonisti del regime ma come protagonisti di un progetto alternativo. Nel varco che ci saremo aperti potremo rafforzare e allargare le nostre lotte di liberazione: quella di liberazione femminile, sessuale e degli emarginati, quelle che riguardano le minoranze e quelle che riguardano le maggioranze, quella infine per liberare la democrazia politica dai cappi delle lottizzazioni corporative e delle espropriazioni classiste e autoritarie e per aprire, attraverso questa via e non attraverso quella disperata e suicida della violenza rivoluzionaria, la prospettiva del socialismo.
Senza di questa, al di fuori di questo, cosa rimane? Quale alternativa avremmo?
Liste e programmi raffazzonati?
Certo, la tentazione è forte. Ci saranno le elezioni universitarie, e avremmo la tentazione di gettarci nella mischia, per raccogliere in questo o quell'ateneo il 5-6 per cento dei voti radicali, o magari il 10 per cento. Ci saranno le elezioni circoscrizionali e ci preoccuperemmo di rafforzare liste e programmi improvvisati per assicurare anche in quella sede modeste rappresentanze elettorali. Ci saranno importanti elezioni comunali parziali, e faremmo lo stesso; e sarebbe un errore micidiale se lo facessimo a Novara, dove fino a qualche mese fa il partito non esisteva, ma anche se lo facessimo a Trieste dove il partito esiste da molti anni e dove abbiamo avuto alle politiche più del 3 per cento dei voti.
Abbiamo ormai una rappresentanza parlamentare. Esiste attesa e fiducia nei nostri confronti. Tutti gli emarginati, gli oppressi, i senza-voce, i senza-potere, i senza-difesa, che esistono a milioni in questo paese, tendono a investirci dei loro problemi. E subiremmo allora la tentazione di occuparci di tutto e di investirci di ogni problema, con il risultato di non affrontarne seriamente nessuno, o di scoppiare per mancanza di energie, di forze sufficienti, di capacità.
Per la prima volta, se facessimo così, saremmo travolti o assorbiti dai consueti e mortali meccanismi della vita politica italiana. Non saremmo più noi ad imporre l'attualità delle nostre lotte e dei nostri obiettivi, dei nostri progetti alternativi, a scegliere il terreno su cui scontrarci con l'avversario, ma avverrebbe il contrario, saremmo noi a farci imporre la sterile attualità delle cronache del regime.
Un partito di consiglieri comunali
I nostri deputati diventerebbero allora per davvero solo i rappresentanti di una infima minoranza - quattro parlamentari su mille - invece di essere all'interno delle istituzioni una pattuglia di rappresentanti di un movimento che riesce ad affermarsi e a crescere nel paese, ben al di là dei confini e dell'entità dell'elettorato radicale del 20 giugno. Ci faremmo rinchiudere come topi nell'angusto spazio minoritario che le forze del regime intendono assegnarci. Diventeremmo l'ennesimo partito - il partito dell'1,1 o magari del 2 per cento - e diventeremmo anche noi un partitino di consiglieri comunali, magari di qualche migliaia di consiglieri comunali (e non siamo neppure cinquemila iscritti).
C'è chi non si stanca di ricordarci che non siamo più una banda di guerriglieri nonviolenti, e che non bastano più a questo partito i gesti del Robin Hood-Pannella. Ed è vero. Ma è anche vero che siamo ben lontani dall'essere diventati una grande armata di liberazione. E dobbiamo diventarlo.
Non lo diventeremo con le sole azioni dirette, con la sola disubbidienza civile, con gli arresti, con le sfide alle illegalità e alla violenza del regime, che pure devono rimanere la connotazione del nostro impegno politico. Ciascuna di queste iniziative ha un senso se trova uno sbocco politico generale in un progetto politico unitario che ci faccia diventare gli interlocutori obbligati delle istituzioni.
Non lo diventeremo neppure con le scorciatoie, pretendendo di scavalcare gli impegni che ci derivano dalla nostra storia, quelli che ci siamo assunti con le lotte degli anni passati e che non abbiamo ancora portato a compimento. Tanto meno lo diventeremo se importeremo nel nostro partito la irresponsabile abitudine di chi crede che basti iscrivere nuovi impegni e nuovi progetti nelle mozioni congressuali per poi riuscire a realizzarli o, peggio, di chi crede che bastino le analisi corrette e giuste e programmi generici di lotte economiche e sociali per diventare una grande forza socialista.