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Notizie Radicali - 8 novembre 1976
Carceri (3): l'autoincarcerazione di Adele Faccio, Emma Bonino e Mauro Mellini a "Le Murate"

SOMMARIO: I DEPUTATI RADICALI SOSPENDONO L'AUTO CARCERAZIONE A FIRENZE. I MOTIVI DELLA FINE DELLA PROTESTA ILLUSTRATI STAMANE DAI PARLAMENTARI IN UNA CONFERENZA STAMPA: "ABBIAMO LASCIATO LE MURATE SOLO PER LA NOSTRA VOLONTA' DI PARTECIPARE ALLA RIPRESA DEI LAVORI PARLAMENTARI E DENUNCIARE IN QUELLA SEDE I PROBLEMI SOLLEVATI DALLA NOSTRA PROTESTA". "E' COMPLETAMENTE MANCATO UN INTERLOCUTORE: LA GIUSTIZIA FIORENTINA. L'UNICO DIALOGO POSSIBILE COL PROCURATORE GENERALE E' STATO DI DENUNCIARLO".

(NOTIZIE RADICALI N. 283, 8 novembre 1976)

Firenze, 8 novembre (N.R.) - All'alba di stamane gli onn. Bonino, Mellini e Faccio hanno sospeso la protesta iniziata giovedì mattina. Nell'illustrare alla stampa i motivi della cessazione della loro visita i tre radicali hanno dichiarato:

"Ieri sera il Ministro della Giustizia, Bonifacio, ci ha proposto di riprendere e concludere la visita in carcere, all'interno della sezione fra i detenuti, purché subito dopo accettassimo di lasciare definitivamente l'istituto. Il Ministro si è anche dichiarato favorevole e disponibile al dibattito parlamentare sulla situazione della giustizia in Italia, sulla quale con questa visita al carcere fiorentino e con la mozione contemporaneamente presentata alla Camera, abbiamo voluto richiamare l'attenzione del Parlamento, delle altre forze politiche e dell'opinione pubblica. Pur considerando questa proposta del Ministro un segno di volere uscire dall'imbarazzante situazione e di voler in qualche modo interrompere il grave abuso che era stato commesso in spregio delle funzioni di controllo che sono dalla legge riconosciute ai parlamentari, non abbiamo potuto accettarle. Di fronte a chi mostrava di ritenere che la nostra presenza di deputati all'interno del carcere potesse essere un elemento di turbamento e mostr

ava di preoccuparsi esclusivamente del nostro allontanamento da quel luogo, abbiamo ritenuto di dover riaffermare il nostro diritto che ci deriva dalla legge, rimanendo per un'altra notte all'interno dell'istituto; questo era tanto più necessario in seguito alle gravissime iniziative del Procuratore generale di Firenze, che sono state oggetto di una denuncia penale presentata dai compagni Pannella e Spadaccia, e in seguito al comportamento di alcuni funzionari del Ministero, speriamo all'insaputa del Ministro, che è giunto fino al punto di negarci la possibilità di difenderci dal freddo. Abbiamo deciso di lasciare il carcere delle Murate solo all'alba di stamane, e solo per la nostra volontà, per essere in grado di partecipare alla ripresa dei lavori parlamentari e per sollevare in quella sede i problemi che abbiamo inteso presentare con la nostra visita alle Murate, quelli vecchi che già conoscevamo della crisi della giustizia e di una condizione carceraria vergognosa ed inumana, che ci sono stati puntualme

nte confermati dalla nostra esperienza di questi giorni, e quelli nuovi determinati dalle reazioni suscitate dalla nostra iniziativa. L'esemplare comportamento dei detenuti delle Murate è valso a dimostrare che non era la nostra presenza a determinare e a portare nel carcere gli elementi di turbamento, che altri invece tentava di suscitare con iniziative irresponsabili. Nell'abbandonare il carcere abbiamo dovuto constatare che è mancato completamente un interlocutore: la giustizia fiorentina. Era chiaro che l'unico dialogo possibile con il Procuratore generale era quello che abbiamo iniziato presentando la denuncia. Dei tre magistrati interpellati il solo Padoin ha dimostrato una certa disponibilità, per altro subordinata alla presenza di almeno un altro degli interlocutori interpellati. Il Presidente del Tribunale è stato latitante. E' la stessa giustizia che a cinque mesi dalla nostra elezione alla Camera dei deputati non ha ancora inoltrato la richiesta di autorizzazione a procedere nei nostri confronti.

E' vero che esistono responsabilità del Parlamento e del Governo nella crisi della Giustizia, ma una magistratura che si comporta in questa maniera è essa stessa un fattore della crisi della giustizia".

 
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