di A. T.SOMMARIO: Intervenendo nel dibattito aperto con l'intervento di Pannella sul "Corriere della Sera" (testo n. 1859), Trombadori nega che sia corrispondente a verità l'affermazione del leader radicale secondo il quale il suo movimento aveva saputo evitare i due rischi costituiti dalla "subcultura edonistica e ribellistica" e dalla cultura " idealistica" che privilegia la pura "riflessione" rispetto all'azione politica. Ed è proprio Pannella, secondo Trombadori, a cadere nei rischi da lui indicati. In realtà, il movimento pannelliano non ha nulla a che vedere con "la tradizione del radicalismo europeo e tanto meno italiano". Al proposito, viene ricordata la polemica che divise i comunisti italiani, il "Mondo" ed Ernesto Rossi. L'attuale radicalismo è invece, piuttosto, "la variante degli anni '7O della vecchia piaga del massimalismo", con tutti i rischi della "demagogia giustizialista" e del "sovversivismo antidemocratico". Viene ricordato anche Togliatti, con le sue definizioni del "massimalismo", espression
e di "scarsa maturità" della coscienza politica. Ma queste preoccupazioni sono "estranee" al radicalmassimalismo di Pannella e al suo linguaggio, impastato del "ricatto del vittimismo", pronto sempre a lamentarsi di presunte aggressioni degli altri, gli avversari. L'autore deplora infine che personaggi come Gianna Preda, del "Borghese", e Armando Plebe, filosofo fascista blandiscano le posizioni di Pannella. Le attenzioni che i due gli rivolgono sono significative di ciò che esprime il suo radicalismo.
(CORRIERE DELLA SERA, 14 dicembre 1976)
Vi è un passo della trenodia pannelliana pubblicata dal "Corriere della Sera" domenica scorsa che, malgrado le consuete ambiguità, merita attenzione. Lo cito per intero: "Con il Movimento di liberazione della donna, con quello di liberazione sessuale, con l'esercito dei `diversi' della prima e della seconda età, con il rigore e la chiarezza della non violenza, e l'anticlericalismo dei credenti anticoncordatari e del radicalismo cristiano, c'era certo il rischio che dessimo corpo storicamente ad una subcultura edonistica e ribellistica, piagnona e violenta, destinata a essere egemonizzata e recuperata. E' un rischio nel quale non siamo caduti. Né nell'altro, di cultura idealistica, di credere che la teoria possa avanzare con la riflessione sulla riflessione, con gli interminabili e dotti dibattiti sul pluralismo organicistico o dinamico, dialettico o storico, come ieri sulla `diamant' o il materialismo storico".
E' un richiamo alla "prassi", alla "politica", alla "lotta politica" rivolto soprattutto a chi nella trenodia radicale si appaga di trovare sfogo alle proprie rabbie e si ferma lì. Un richiamo rivelatore (ognuno sa i fatti di casa sua) della situazione di crescente sterilità politica, appunto, in cui si trova tutto il ribellismo radicaleggiante, anche quando cavalca urgenze reali dell'individuo e della società. E in cui sempre più verrà a trovarsi se non riuscirà a trasferire la sua problematica dal terreno della lamentazione informale a quello del confronto, politico definito e responsabile, e se non innesterà la sua gestualità settoriale (il "diritto civile" scorporato dalla costruzione dello Stato democratico, anzi in voluto antagonismo con essa) in un articolato disegno di prospettiva statuale.
Se una simile modificazione di rotta riuscisse davvero ad essere effettuata almeno da una parte di coloro che mossi dagli appelli radicali conducono, a loro modo, una lotta nella nostra società, io penso che non se ne potrebbero trarre che vantaggi per la causa della libertà, del progresso e dell'espansione effettiva delle basi e della dinamica dello Stato democratico.
Non soltanto, invece, tutto lo schieramento radicaleggiante (che, occorre ricordarlo, non si esaurisce nei quattro deputati catapultati in Parlamento dall'improvviso schiaffone delle Botteghe Oscure, ma agisce come un fuoco fauto lungo le dorsali della stampa quotidiana e periodica, dal "Borghese" a "Tempo illustrato", e lungo il vizio, tutto italiano, della fuga in avanti e della demagogia da parte di chi pure milita e agisce nelle file della sinistra) è ben lontano dal proporsi seriamente il tema da Pannella posto in luce, ma è lo stesso Pannella con le sue dichiarazioni di vittoria ("E' un rischio nel quale non siamo caduti"!) a fare del tutto, mentendo, perché una simile vittoria non avvenga mai nelle sue file. Altrimenti che "radicale" sarebbe? Anzi che "radicale italiano degli anni '70"?
Anche sulla mistificazione accreditata dal concetto di radicalismo è tempo di fare chiarezza. Fra l'attuale movimento radicaleggiante e la tradizione del radicalismo europeo e tanto meno italiano, del resto esauritisi o entrati a far parte del patrimonio ideale di altre forze, non vi sono che parentele e continuità strumentali. L'attuale movimento radicaleggiante è del tutto estraneo a quella che fu, ad esempio, la controversia fra i comunisti italiani e Gaetano Salvemini o Ernesto Rossi o gli scrittori del "Mondo".
Non a caso, del resto, uno di essi, Arrigo Benedetti, venne a trovarsi con noi contro il pannellismo. Di quella controversia che tuttavia non salvò Salvemini dal votare "otturandosi il naso" per la legge truffa, vi è piuttosto continuità nel dibattito-confronto fra il PCI e uomini come Norberto Bobbio. Un dibattito-confronto che ha avuto un suo utile momento di ricapitolazione nell'articolo di Alberto Ronchey di domenica scorsa sullo stesso numero del "Corriere" e che meriterebbe risposte di tutti a valle della critica marxista al capitalismo (non dei soli comunisti) se si vuole che divenga, finalmente, un dibattito-confronto rivolto all'avvenire, cioè concretamente inserito nella lotta per costruire il socialismo nella democrazia pluralista. (E se non si vuole che concluda con una sempre insoddisfatta attesa di garanzie tranquillizzanti da parte del PCI a chi, da Aldo Moro a Lucio Colletti, quelle garanzie pensa di averle già trovate altrove, vale a dire nella teoria e nella prassi della "democrazia borghes
e" immutabilmente perfetta come recipiente e mai responsabile dei contenuti storici concreti che la hanno più volte fatta degenerare nella sua negazione).
Ma "torniamo ai nostri montoni". L'attuale movimento radicaleggiante è piuttosto, a mio avviso, la variante degli anni '70 della vecchia piaga del massimalismo. Con questo di diverso che mentre il massimalismo del passato si limitava a scambiare il punto d'arrivo d'un processo storico-plitico giusto per il suo punto di partenza, il "massimal-radicalismo" degli anni '70 pretende anche di mettere in moto processi storici a volte ingiusti e negativi.
Vuole accettare Marco Pannella come utile base di meditazione una definizione togliattiana del massimalismo non solo in generale ma di quel massimalismo italiano nella cui duracea sostanza il leader comunista dovette sicuramente aver ravvisato anche una delle componenti iniziali del PCI? Eccola.
Io penso che se al termine "massimalismo" si sostituisce quello di "radicalismo", nella variante nostrana attuale, non se ne potranno che trarre benefici comuni nel comune confronto e nella comune ricerca. Anche perché si scoprirà come, senza volerlo, e muovendo anzi da posizioni opposte, il "massimal-radicalismo" arriva a confondersi con quello che definirei il pericolo strisciante della demagogia giustizialista, del sovversivismo antidemocratico e "libertario" (non è a caso che il cosiddetto "spirito libertario" sia sempre più invocato nell'agitazione neofascista contro il cosiddetto "regime clerico-comunista" o "regime DC-PCI", formula non estranea, anzi prediletta, a Pannella e ai suoi).
"Il massimalismo - scriveva Togliatti nel 1937 - si potrebbe definire una forma singolare della disperazione politica. Consegue infatti allo stato d'animo di colui che non trova via d'uscita alla situazione, si sente del tutto sopraffatto dal rapporto di uomini e cose che lo circonda, da cui è dominato e ossessionato e perché cerca lo scampo in qualcosa di straordinario, di eccezionale, da cui dovrebbe scaturire un miracoloso, "radicale" (la sottolineatura è mia, a.t.), rovesciamento. La via d'uscita che viene proposta non è però reale, non è una tappa che possa esser coperta con uno svolgimento razionale dell'azione, adeguata alla realtà, e non è nemmeno un salto possibile, di cui siano mature condizioni oggettive e soggettive. (Non è una soluzione pensata, dunque, ma soltanto immaginata, e la proposta che se ne fa ha valore come gesto, non come atto efficace: è una manifestazione d'insofferenza, "degna d'attenzione" (anche questa sottolineatura è mia, a.t.), ma scarsamente feconda di risultati. Nel movimen
to operaio il massimalismo è espressione di una scarsa maturità della coscienza politica e particolarmente si manifesta agli inizi, quando prevale ancora la negazione romantica, o in momenti di grave crisi della società, quando può sembrare che semplici parole siano sufficienti a modificare tutta una situazione e tutto il corso degli avvenimenti. Si può però manifestare anche fuori dal movimento operaio e indipendentemente da siffatti stati di crisi profonda".
Se la necessità di sfuggire ai "rischi", dai quali Pannella ha preteso di aver già tratto in salvo il movimento d'opinione di cui egli è uno degli agitatori, venisse sentita come necessità, appunto, di dare ad "insofferenze degne di attenzione" non meno valore di gesto ma peso effettivo nel confronto democratico, allora sì che avremmo non già una "egemonizzazione o un recupero", come Pannella teme, ma un passo avanti delle giuste esigenze e la eliminazione della zavorra dal contributo del PR.
Ma queste preoccupazioni e questo linguaggio sono estranei al "massimal-radicalismo". Ad esso è più congeniale il gusto della provocazione del paradosso. Che cosa ha rimproverato a De Carolis, Pannella? Non il fatto di lavorare per lo scontro frontale ma il fatto di non accelerare i tempi di tale scontro indugiando nel voto favorevole a un governo che dall'astensione comunista trae uno dei suoi significati. Non il fatto di essere ostile a che la DC tragga le necessarie conseguenze dalla caduta della pregiudiziale anticomunista, ma il fatto di non essere abbastanza ostile alla collaborazione di forze di cui l'Italia ha bisogno. E' lo stesso rimprovero che viene alla destra DC non solo da Montanelli ma da Almirante.
E al "massimal-radicalismo" è, ad un tempo, congeniale il ricatto del vittimismo. Pannella scambia la lotta politica e delle idee per sopraffazione e repressione. E' per autoconvincersi di ciò deve ingannare persino se stesso. Poiché m'è toccato il primo posto nell'elenco da lui tracciato di persecutori di radicali, mi sia consentito l'esempio personale. Scrive Pannella: "Antonello Trombadori trova che la censura è sempre esecrabile ma meritata se fatta ai danni d'un mensile radicale". Ho scritto io in una lettera all'"Unità": "E' stata sequestrata anche una vergognosa copertina della rivista `Prova radicale' (raffigurante Giulio Andreotti il cui fallo eretto ha il volto di Enrico Berlinguer). Forse che la nostra ribadita volontà di essere ostili a tutti i sequestri dovrebbe attutire il disgusto e la lotta di principio contro la provocazione fascistoide dei nostri radicali?". Chiunque può vedere come Pannella deformi la verità facendomi dire che la censura nel caso "Prova radicale" è "meritata".
Questa ennesima prova di pretestuoso vittimismo per potere attribuire ai comunisti italiani volontà dalle quali rifuggono mi ha fatto meglio comprendere il valore delle recenti attenzioni filoradicali di Gianna Preda su "Borghese" ("Pannella non sempre ha obiettivi giusti ma giusti sono i suoi metodi") e di Armando Plebe in una intervista all'"Espresso". Tempo fa promisi a Pannella che a tempo e luogo gli avrei sottoposto come tema di riflessione anche questo. Batta, dunque, ma ascolti! "E' vero - ha detto il pensatore neofascista - dobbiamo essere un partito aperto ai giovani, dobbiamo scendere sul terreno di Marco Pannella: sul quale si indirizzano molti nostri potenziali seguaci".