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Prova Radicale - 30 dicembre 1976
A che serve uno statuto

SOMMARIO: Lo statuto del Partito radicale rovescia l'idea di partito rispetto ai modelli giacobini e leninisti e di "centralismo democratico" divenendo solo un pragmatico trattato fra coloro che intendono collaborare per determinati fini, che può quindi essere sempre modificato secondo le esigenze.

(PROVA RADICALE, dicembre 1976)

E' dagli anni '60 che a sinistra si discute di modelli organizzativi adeguati alle mutazioni sociali e alle nuove esigenze di "partecipazione politica", come si suole dire. Le sezioni di partito, nel dopoguerra disseminate in ogni quartiere, in ogni paesino e frazione con una funzione alternativa essenziale, rispetto alle strutture dalle quali (la parrocchia, ad esempio) il Potere aggregava tradizionalmente il consenso popolare, quando non scadevano a sedi di flippers (e peggio) restavano spesso, in quegli anni, deserte; gli schemi gerarchici creavano insofferenza e disgusto per la politica. La ventata del '68 è stata anche un tentativo di ricerca e di febbrile attuazione di nuove forme di aggregazione, a partire dall'"assemblearismo" riscoperto come universale correttivo alle "degenerazioni" della burocrazia e delle deleghe.

I partiti hanno respinto ogni richiesta di rinnovamento. Gli statuti, nei quali è codificato il meccanismo della gestione e della trasmissione del potere, continuano a rispecchiare la preoccupazione degli apparati per possibili "infiltrazioni" e "scalate" da parte di gruppi alternativi rispetto alla prassi della "cooptazione". Il problema, se appare oggi meno pressante (i partiti della sinistra, specialmente il Pci, hanno nuove e diverse possibilità di gratificazione della partecipazione, senza intaccare le strutture del partito) non è tuttavia meno reale di dieci o venti anni fa.

Il travaglio dei gruppi di "nuova sinistra", di cui la crisi di "Lotta Continua" è emblematica, si svolge anche su questi temi; la corsa alla "costruzione del `nucleo di acciaio'" del gruppo rivoluzionario, corsa "infantile", secondo una recente definizione di Aldo Natoli, è fallita, ma nessun'altra ipotesi spunta all'orizzonte, che non sia l'appiattimento su schemi solo banalmente neoleninisti. Nel '67, al Congresso di Bologna, anche i radicali affrontavano il tema, del resto non nuovo nella loro storia, presentando lo statuto che ancora oggi regge il partito. Ed è a questo documento che, al Congresso di Napoli, ha fatto riferimento Pannella, quando ha auspicato che esso possa restare "nella storia della dottrina politica" del paese, documento di uno sforzo creativo originale e valido: per tutta la sinistra, non solo per il partito radicale.

Tuttavia, proprio a Napoli, questo statuto ha subito notevoli aggiornamenti; una mozione "organizzativa", presentata da Silvio Pergameno, oltre a sancire l'abbandono della testa della Marianna per il "pugno che stringe la rosa" mitterrandiano, ha rimesso in discussione alcuni dati organizzativi importanti (o meglio, li ha aggiornati). E quello che ha stupito alcuni osservatori è che queste modifiche fossero possibili anche se approvate con una maggioranza semplice, del solo 51%. Lo statuto ne dà facoltà.

"Non c'è contraddizione - afferma Sergio Stanzani, che alla gestione dello statuto del 1967 partecipò attivamente - tra la portata e il significato delle sue enunciazioni e la semplicità dei meccanismi di autorevisione che esso contempla. Sotto c'è un'indicazione di metodo molto chiara e, se si vuole, `rivoluzionaria'. Cosa è, cosa deve essere insomma uno statuto organizzativo, per non cadere nella trappola delle burocrazie? Proprio, e semplicemente, la ``carta'' di un accordo, un pragmatico `trattato' che regoli i rapporti reciproci di persone che intendono, e finché intendono, collaborare per determinati fini. Se questo è il punto di partenza, è evidente che questa carta deve essere congegnata in modo che nessuno possa farsene padrone: il cosiddetto ``gruppo egemone'' con la sua ``ideologia'' ed i poteri per giudicare chi la interpreta ``correttamente'' e chi invece, è ``eretico'' e va, magari, espulso. Allora, per modificarla, deve essere sufficiente la volontà della maggioranza".

E', insomma, il rovesciamento dell'idea di partito, rispetto ai prevalenti modelli giacobini, o leninisti e di "centralismo democratico", approdo obbligato, in questi anni, di vecchie e nuove sinistre. Per i radicali pare sia stato, almeno fino ad oggi, fruttifero. Ha consentito l'aggregazione e, in parte almeno, l'amalgamazione di un associazionismo molteplice, che costituisce oggi la realtà, l'immagine stessa del partito: esattamente l'opposto di quanto è successo negli altri gruppi di sinistra, che hanno mostrato diffidenza verso ogni nuova esperienza, dal femminismo alla "libera sessualità", all'autogestione delle lotte degli handicappati e degli utenti degli ospedali psichiatrici, sottoponendola preventivamente ad un rigido ed estenuante vaglio circa la "purezza ideologica", la "correttezza marxista" e via dicendo. La pratica è stata innovativa anche rispetto ai modelli delle sinistre tradizionali; queste, è noto, relegano l'associazionismo a dato "organizzativo", strumentale e collaterale (vedi il Suni

a, l'Udi, ecc.), senza capacità di influenza sul partito, le sue decisioni, la sua politica.

L'ultima "espulsione" organizzativa seguita a due anni di mobilitazione intensa ed al successo elettorale, ha visto affluire nelle sedi radicali nuove "sigle", corrispondenti a nuove associazioni e lotte. Il processo di aggregazione è tornato di nuovo fluido, in movimento, dopo gli anni della Lid, della Loc, del Mld, e una relativa stabilizzazione degli ultimi tempi. A Napoli, gli "scivoli" istallati per consentire l'accesso agli handicappati, sono stati percorsi su e giù dalle carrozzelle degli iscritti al Fronte Radicale Invalidi; la tematica, perfino il linguaggio si sono dilatati, per incorporare e fare confrontare esperienze vecchie e nuove. La stampa, gli osservatori sono apparsi disorientati; invece i militanti, i partecipanti al congresso hanno trovato tutto questo naturale, senza dover fare nessun sforzo di adeguamento; nemmeno quando è arrivato a parlare un ex carcerato del manicomio criminale di Aversa, accolto come "compagno" senza ombra di sconcerto.

Su "Rinascita", è stato sollevato il dubbio che il partito radicale sia viziato di "eclettismo". L'accusa vuole essere molto grave. Ma i radicali rispondono con molta tranquillità che sì, è vero, la provenienza e la formazione culturale di iscritti e militanti è molto varia. Bandinelli, a Napoli, lo ha ricordato un'ennesima volta: "Un partito federativo non può essere ideologico; mancherebbe degli strumenti idonei, statutari, per esercitare un qualsiasi controllo in tal senso. Quando ad esempio alcuni compagni pretendono di vincolare gli iscritti a delibere che sanciscono il carattere `di classe' del partito, mostrano di non aver capito lo statuto del partito. Sono del resto vittime della secolare tradizione cattolica del paese, che è al fondo anche delle altre ideologie, o meglio prassi, totalizzanti, giacobine o leniniste; hanno paura del modello federativo e non ideologico, non a caso completamente assente dalla storia e dalla tradizione italiana".

Sicuramente, in tema di organizzazione, il 1976 è stato per i radicali un anno-choc, con la crescita tumultuosa di sedi, associazioni, iscritti, militanti, con il "disordinatevi scientificamente" di Pannella, con le nuove responsabilità assunte anche a livello di gestione. Lo statuto è stato, metaforicamente, preso d'assalto, sottoposto ad una prova tremenda. A molti nuovi radicali alcune sue soluzioni sono apparse non sostenibili, persino non credibili. Come? Un partito autogestionario che affida al segretario nazionale (e a quelli regionali) un potere "presidenziale" non sottoposto a controlli e vincoli, nemmeno del Consiglio Federativo? E cosa è questa storia che non ci sono - proprio non sono ammesse per statuto - le sezioni con la tradizionale loro competenza territoriale, quest'ultima essendo prerogativa dei soli Partiti Regionali? E perché il tesseramento va, per la quota maggioritaria, alla sede nazionale?

Le mozioni per modificare lo statuto sono fioccate sia al congresso straordinario di Roma che a quello di Napoli. Ad accogliere tutte, c'era da stravolgere dieci anni di paziente costruzione. Ma va notato che nessuna di esse non ha retto al dibattito, che a Napoli ha potuto svolgersi e distendersi abbastanza diffuso e pacato, e che le votazioni sono state impietose con tutte le "novità", tranne quelle proposte da Pergameno. Un difficile equilibrio è stato ancora una volta ricostituito attorno alle strutture fondamentali. La apparente labilità delle strutture ha retto ad una ennesima prova, e si prepara adesso ad accogliere nuovi dati, e magari a "digerirli" come tanti altri; la perenne "disorganizzazione" resiste alla prova, ne esce vittoriosa, con tutta la sua forza aggregante.

"Questo tipo di problemi - dice Pergameno - da noi si risolve sul piano politico; sarebbe impossibile, su quello statutario. Evidentemente, tutto ciò crea uno stato di tensione continua, ma è una tensione vitale. Del resto, tra i radicali circola un detto: che per liquidare il partito radicale, se qualcuno lo volesse, sarebbe facilissimo: basta iscriversi, ed `occuparlo'". Che risposta opporrebbero i radicali alla eventualità che il partito venisse stravolto nelle sue finalità e nei suoi obiettivi? "Nessuna: solo, il partito non esisterebbe più, si sgonfierebbe. Questo associazionismo, così proteso alle lotte, così aggressivo e insieme così recettivo, regge perché c'è "questa" spinta politica unitaria, con i suoi rigorosi obiettivi di fondo: l'alternativa, l'unità laica delle sinistre, il partito dei progetti, adesso. Se questo venisse a mancare, che significato avrebbero Fri o Fuori, tanto per fare due nomi?". La storia della Lid del resto, lo insegna; la Lid è riuscita a conquistare il divorzio ai suoi ass

ociati, "fuorilegge del matrimonio", per lo più, perché le loro lotte sono state saldate alla politica del partito radicale. Ma il paradosso è che poi, in definitiva, la "politica" del partito radicale era in buona sostanza quella determinata dalle spinte della Lid. Lo stesso si ripete oggi. Un intreccio di punti di riferimento e di tensione difficilmente comprensibile, dal di fuori. Che però, a questo pare, funziona.

 
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