di Melina AmariSOMMARIO: La stampa si costituisce in opposizione esterna al Partito radicale. L'analisi delle falsificazioni dei giornalisti sul congresso di Napoli.
(PROVA RADICALE, dicembre 1976)
Se non l'avessi visto con i miei occhi non ci avrei creduto: è la prima volta, io credo, che la stampa di regime si costituisce in "opposizione esterna" a un partito e in questa veste partecipa a un suo congresso. E' successo al congresso del partito radicale tenuto a Napoli dal 31 ottobre al 4 novembre. Che l'operazione sia fallita clamorosamente, nulla toglie al fatto che sia stata realmente tentata, né fa piacere che la primizia sia toccata proprio al partito radicale. Al massimo, dato che anche in questa circostanza la corporazione dei giornalisti ha confermato la sua vocazione di sicario del regime, può valere la pena di azzardare qualche ipotesi sugli obiettivi dei mandanti.
L'operazione infatti non può essere ridotta a un episodio di malcostume; anche se è impossibile stabilire dove finisce la violenza del servilismo e dove inizia l'incapacità professionale e politica, a capire il congresso di un partito in cui non esistono correnti né contrattazioni di corridoio, quindi neanche "indiscrezioni" su cui costruire un articolo; un congresso in cui la stessa mancanza di delegati (possono infatti partecipare, a loro spese, tutti gli iscritti e simpatizzanti) toglie in partenza qualunque possibilità di individuare posizioni cristalizzate; e che infine, invece di esaurirsi nell'ennesimo "confronto" con le evoluzioni tattiche della politica di regime, si pone l'obiettivo di definire un programma politico valido per un anno. La conseguenza è fatale: privo dei consueti punti di riferimento, il potere o il sottopotere, il giornalista di regime non saprà che scrivere. In questo caso però l'uso della denigrazione al posto dell'informazione politica mirava a produrre uno scasso capace di bloc
care sul nascere il progetto di referendum: che avrebbe impegnato il partito solo se approvato dal congresso con la maggioranza dei due terzi. In questa fase, oltretutto, il Pr rappresenta l'unico dato di crescita di un partito, può diventare un polo di attrazione nella crisi che attraversa la sinistra "rivoluzionaria", e dimostra una pericolosa capacità d'intervento anche all'interno delle istituzioni, minacciando di svelare il segno reale del compromesso in atto tra i due grossi partiti di regime, Dc e Pci.
Come si è mossa questa "opposizione esterna"? La linea l'ha offerta Quaranta su "Panorama" alla viglia del congresso (ne parla Pannella nell'articolo accanto): una scaletta su misura per la capacità di comprensione dei colleghi e gli ordini di servizio dei padroni. Innanzitutto il Pr viene "eliminato" come realtà politica, ridotto a un pugno di minorati schiacciati dal "carisma" del capo; e alcuni militanti vengono trasportati a forza sul trono di "capi dell'opposizione a Pannella". Data l'organizzazione decentrata e libertaria del partito, per cui si può rischiare al massimo di morire per eccessiva autonomia, l'accusa è risibile: specie se raffrontata ai metodi e ai modelli organizzativi in uso nella sinistra vecchia e nuova, la cui massima apertura ancor oggi è... il centralismo democratico. Si sperava tuttavia di mettere in crisi il rapporto tra il partito e Pannella, convinti di poter così neutralizzare facilmente entrambi. Oltretutto, si partiva, distorcendolo, da un dato reale: il problema permanente d
i un'organizzazione antiautoritaria di rimettersi continuamente in discussione - struttura, metodi, programma - con ogni nuovo militante, perché da ognuno dev'essere compresa e vissuta come esperienza e disegno personale.
In secondo luogo, si è "gonfiato" in modo inaudito un dissenso, definito di tipo "economico", che pure esisteva e nasceva da esigenze giuste - ad esempio la necessità di ampliare l'arco degli interventi del partito - ma era molto poco alternativo rispetto alla linea storica del partito. Per far questo infatti si è dovuto evitare ogni informazione sulle reali posizioni dei "dissenzienti"; la loro mozione, ad esempio, che ha raccolto 31 voti contro 421, chiedeva l'impegno del Pr su un solo referendum (per l'abrogazione del Concordato), la lotta agli enti inutili e contro l'inquinamento: che è "economia", certo, ma proprio come lo sono le lotte per i diritti civili.
A condurre l'offensiva sono stati giornali più impegnati, in un senso o nell'altro, nell'attuale fase politica; e in prima fila il tandem di "Repubblica" Scalfari-Mafai: il direttore padrone attento a mungere il suo profitti dai nuovi equilibri politici, e la giornalista comunista che realizza l'ideale di servire insieme due padroni: il partito e il capitale. Sotto la loro spinta il resto dei giornali si è allineato progressivamente, con rare eccezioni (ad esempio, Franco Mimmi della "Stampa", finché non è intervenuto a riparare il danno quel Casalegno, la cui volgarità reazionaria aveva già mosso a furore il non violento Paolini). Più defilati sono rimasti giornali, come "Il Messaggero", attualmente in orbita di parcheggio in vista di una più attiva dislocazione di regime.
Alla vigilia del congresso, il 31 ottobre, si hanno già alcune avvisaglie sulla "Repubblica", il "Corriere della Sera", ecc. Un corsivo della "Voce Repubblicana", "Radicali in cerca d'autore", ripete le consuete accuse dei repubblicani all'"armata Brancaleone" impegnata nelle "cosiddette lotte di liberazione"; ma senza i soliti eccessi velenosi (il giornale di La Malfa si rifarà due giorni dopo su un corsivo su Pannella "benzina super" e Spadaccia che è "normale" e perciò "batte in testa...").
Anche il 1· novembre, dopo la prima giornata del congresso, si osserva una sorta di pausa: resoconti non eccessivamente faziosi appaiono di Carlo Benedetti su "Paese sera", di Alfredo Orlando su "Il Giorno", di Giovanni Serafini sulla "Nazione" e il "Resto del Carlino" di Franco Albanese sul "Messaggero", di Franco Mimmi sulla "Stampa"; persino Sergio Gallo dell'"Unità" non riporta le consuete ingiurie del Pci.
Il congresso d'altra parte non è ancora entrato nel vivo; e forse offre ai giornalisti un fatto giudicato normale e familiare: la relazione, sia pure molto sintetica, del segretario del partito (già al congresso straordinario di luglio, i comunisti avevano tentato di contrapporre il ``politico'' Spadaccia al ``provocatore'' Pannella). E poi, non è ancora entrata in azione Miriam Mafai.
Il giorno dopo infatti, martedì 2 novembre, la musica cambia. "La Repubblica" intitola: "Per i referendum divisi i radicali"; occhiello "Il congresso del Pr tra riunioni di corrente e polemiche". E' l'aggiornamento puntuale della "linea Quaranta": si parla di "smarrimento" dei radicali, di "incontri di corrente", di attacchi astiosi a Pannella. Quanto al dibattito politico, Mafai se la sbriga di gran corsa, con fastidio salottiero. Il progetto di referendum? "...Uno, due, dieci cento referendum. Referendum su tutto o quasi tutto..."; e poi "ai referendum non ci crede più nessuno e meno degli altri Spadaccia". "Cazzo", aggiunge Mafai, forse per essere più autentica. La verità è che ha avuto l'impatto con la difficoltà professionale di trovare una chiave di valutazione, di comprendere come e di che cosa parlare. Lo dice lei stessa: "Uno arriva qui e si aspetta di vedere una folla di giovani allegri, irrequieti e fantasiosi. Invece piomba, purtroppo, in un vero congresso...". Incredibile questa donna: le dicono
, va a seguire quel tal congresso, lei ci va e s'incazza perché trova veramente un congresso. Forse erano stati i sonetti del suo compagno di partito Maurizio Ferrara a suscitarle altre aspettative.
Anche Giovanni Russo sul "Corriere" si lamenta di non trovare apprezzabili motivi di divertimento, della pioggia, dell'assenza di Pannella; e si dedica anche lui alla poco fruttuosa caccia al "dissenso". Ora nel fronte dell'"opposizione esterna" entrano anche Carlo Benedetti di "Paese Sera" (il Pr è "un'area di parcheggio per idealisti imberbi", che vi resistono solo sei mesi; Pannella e Spadaccia sono "il gatto e la volpe", tanto per dare un contenuto elevato alla polemica; e la solita caccia al dissenziente); Orlando del "Giorno", sia pure in tono ancora moderato; Antonio Spinosa del "Giornale", che scopre "una mina vagante che rischia di spaccare in due il Pr", che sarebbe l'opposizione ai capi storici "teocrati assoluti"; il titolo: "Pannella accusato di assolutismo". L'"Unità" torna alla tradizionale denigrazione e conclude amleticamente: "C'è qualcosa che non va nel partito radicale".
Ai margini dell'offensiva restano Albanese del "Messaggero" (che continua la sua "cronaca bianca" priva di caratterizzazione politica), e un po' tutti gli altri giornali. Più puntuale il resoconto di Mimmi sulla "Stampa".
Si fanno vivi anche i quotidiani di partito. Oltre all'"Avanti!", che tenta di colmare il silenzio riservato al Psi anche nella relazione di Spadaccia, e preannuncia "colpi di scena", il "Quotidiano dei lavoratori" e "Il Manifesto". La riproposizione delle critiche tipiche del Pdup e di Ao, senza però gli accenti denigratori e le censure che in passato hanno troppo spesso caratterizzato soprattutto "Il Manifesto", sono un dato certamente positivo. I due giornali continueranno su queste posizioni nei giorni successivi; resta da notare che i servizi più informati apparsi sul "Qdl", sono quelli riprodotti dall'inviato dell'Ansa (tanto per informare, un cattolico di destra).
Mercoledì 3 novembre è già chiaro che l'operazione di scasso è destinata a fallire. Anche Mafai è costretta a prenderne atto; Scalfari però lancia attraverso la titolazione un'accusa gravissima: "Al congresso del Pr tolta la parola al capo dell'opposizione" (occhiello); titolo: "A Pannella non piace la critica". La coscienza dell'impunità, che deriva dall'appartenenza al racket dell'informazione di regime, si esprime in pieno.
Ma stavolta l'articolo, malgrado il tono astioso, non giustifica l'intervento del direttore (a parte alcune sciatterie professionali: nomi storpiati, un intervento attribuito a Massimo Teodori, "dissenziente" tra i più pompati, e non pronunciato... questioni di veline?).
Giovanni Russo del "Corriere" è ripiegato invece su toni più equilibrati; ma per il resto il branco è scatenato. Benedetti su "Paese Sera" parla di possibile "spaccatura" del partito, dell'attesa di "Marco l'apostolo", che solo potrebbe fare "il miracolo dell'unificazione".
"Pannella minaccia i radicali: se cambiate il partito, me ne vado" è il titolo del "Giornale". L'articolo di Spinosa riconosce però che il dissenso è "striminzito" e, tra le varie invenzioni curiose su Pannella, annuncia che per poco non s'è fatto un aborto in aula. Poi, commentando la proposta di Carlo Cassola per il disarmo unilaterale dell'Italia, "si diffondeva - commenta - nella sala un sentore di congressi socialisti antichi e stantii, come se si fosse tornati ai tempi di Serrati". Finalmente un'intuizione giusta: la volontà di recupero della tradizione antimilitarista socialista.
"Tempesta al congresso dei radicali", annuncia il "Giorno", che prevede per l'indomani l'arrivo dell'"uragano Pannella", e la possibile frattura.
"Tra i radicali pochi dissensi", constata invece la "Stampa"; l'articolo di Mimmi definisce "un'inerzia" gli interventi critici. Qui, è chiaro, qualcuno è pazzo.
Il "Popolo" si allarma all'idea che il progetto referendario possa sottoporre il paese a "un sussultorio ininterrotto ricorso al voto". Si parla di gestione "teocratica" del partito, che poi "partito non è", ma piuttosto un "movimento a tratti pittoresco, a tratti tenuto insieme da furbesche o seguiate esibizioni di anticonformismo, a tratti sorretto solo dalle capacità di recitazione e di ``spettacolo'' di questo o quell'esponente. Ma, in ogni caso, non una forza politica attenta e composta di fronte alla sostanza dei gravi problemi che la società deve risolvere".
L'"Unità" è d'accordo, e per semplificare stabilisce che esiste solo il vertice, niente base, niente partito.
Spaccature, lotte interne, sconquassi: giovedì 4 novembre, tutto scompare, l'"opposizione esterna" deve ammettere il fallimento, ma non senza la ripicca astiosa: se l'operazione di scasso è fallita, rimane sempre la volontà di eliminare il partito, inglobandolo in Pannella.
La "Repubblica": "Pannella viene, vede e vince". "La Nazione": "Pannella parla e i dissensi si dileguano". "Roma": "Pannella alza la voce: il dissenso si dissolve". L'"Unità": "Pannella parla e se ne va". E via di questo passo: per questa gente, dev'essere proprio un'ossessione. Mentre Russo mantiene il "Corriere" su un sufficiente equilibrio, la "Repubblica" presenta una summa delle invenzioni dei giorni precedenti, che sarebbero confermate dalla presentazione di due mozioni (Mafai però dice che una ha avuto 421 voti, e l'altra 31); e poi si sfoga in un gioco comune a molti giornalisti, la distorsione ridicolizzante di frasi isolate del discorso di Marco. Anche "Paese Sera" conclude minaccioso che "ora si passa al vaglio del voto", ma senza riportarne l'esito. Il giorno dopo, in una didascalia alla foto della segretaria Adelaide Aglietta chiude il discorso predicendo che "le schiere radicali continueranno a ispirarsi al verbo di Marco Pannella".
L'"Unità" afferma, con rara obiettività, che ai congressisti sono state offerte sigarette di marijuana a volontà: "Anche i giornalisti presenti sono stati invitati a fumare queste sigarette, ma hanno rifiutato". Meno male. Passa comunque "l'informazione" che mentre il paese è alla fame (il Pci ne sa niente?) i radicali fanno spreco di spinelli.
Più o meno uguale agli altri giorni il panorama degli altri giornali. Forse vale la pena di segnalare Serafini che sulla "Nazione" si assume la difesa d'ufficio dei suoi colleghi, tutti molto obiettivi, ma che, per misteriosi motivi, hanno suscitato lo sdegno degli stessi "oppositori" sicché - è la chiusa curiosa - il congresso si ritrova unito alla fine "a spese della stampa"!
L'"Avanti!" riferisce preoccupato che i radicali si considerano ormai protagonisti nel "processo di rinascita e di affermazione di una grande forza socialista, libertaria". Il successo elettorale, commenta, gli ha dato alla testa. Sulla "Stampa", Franco Mimmi è l'unico a notare che la seconda mozione è ``semidissidente'', così poco dissidente che i suoi presentatori sostengono la necessità di rieleggere Spadaccia. Ma a parte la "Stampa" e "Il Manifesto", nessun altro giornale dice cosa c'era scritto in questa mozione.
L'indomani, 5 novembre, Serafini sostiene che il partito è stato "lottizzato" dai "pannelliani"; ma per lui, nel partito, radicale c'è solo Pannella, e dopo e sotto di lui "oscuri delegati".
L'"Unità" sentenzia: "segretario nuovo, politica vecchia". La "Repubblica" infine conclude con un intervento a tre facce. A pagina 7 si dà grande spazio a un'intervista con Adelaide Aglietta ("succede al ``colonnello obbediente'' Spadaccia", si precisa), condotta con domande assai più provocatorie di quanto non appaia nel testo. Nella pagina precedente Mafai si esibisce in un editoriale "politico", che è solo una ripetizione in forma meno selvaggia delle idiozie dei giorni precedenti. Accanto, senza alcun legame formale, un commento di Scalfari sulla crisi del Parlamento, in cui si riprende sostanzialmente l'espropriazione che i radicali denunciano da mesi del potere decisionale del Parlamento ad opera dei partiti; le stesse critiche che Pannella ha rifatto nel suo intervento al congresso e che, il giorno prima, Mafai ha liquidato come "l'antico sfogo di stampo ottocentesco e liberale contro la partitocrazia, che si appunta principalmente contro il Pci e la Dc...". Buffi proprio.