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Bandinelli Angiolo - 30 dicembre 1976
ALTIERO SPINELLI DAL "MANIFESTO DI VENTOTENE" ALL'IMPEGNO NEL PCI
Un compromesso fa bene all'Europa

di Angiolo Bandinelli

SOMMARIO: Intervista ad Altiero Spinelli, neoletto nelle liste del Pci. Il ripensamento del Pci verso il federalismo europeo. L'elezione a suffragio popolare del Parlamento europeo porterà all'ampliamento dei suoi poteri e ad una nuova fase costituente dell'europa comunitaria. La costruzione europea ha bisogno di un più vasto consenso non solo a sinistra ma anche al centro e a destra, insomma un "compromesso storico" europeo. L'importanza della difesa aeuropa.

(PROVA RADICALE, dicembre 1976)

Altiero Spinelli, 70 anni deputato neoeletto nelle liste del Pci, presidente del Gruppo misto; un approdo tardivo, dopo quarant'anni di battaglie federaliste, dopo circa cinque trascorsi a Bruxelles come Commissario per l'Industria della Comunità Europea, l'unico italiano di prestigio e con valenza politica nel panorama comunitario e soprattutto l'unico che abbia suscitato interesse e raccolto consensi, con le sue iniziative, oltre la cerchia degli addetti ai lavori.

L'ingresso alla Camera allora è il segno di una svolta: le sinistra, il Pci, guardano all'Europa con attenzione nuova. E non solo con la nascita dell'"eurocomunismo", ma per un più maturo ripensamento, che ha percorso tappe anche faticose: l'accettazione del Parlamento Europeo, l'impegno infranazionale dei sindacati, altri fatti che è inutile qui ricordare. Forse, anche qualche preoccupazione e presentimento negativo - pure senza rifarsi agli anni profetici del "Manifesto di Ventotene", la carta dei federalisti italiani, percorsa da ombre, intrisa delle angosce della guerra - sui destini prossimi futuri del vecchio continente. E, per l'immediato, l'approssimarsi delle elezioni a suffragio diretto del Parlamento Europeo. Occorre una strategia, occorre capirci qualcosa, del labirinto comunitario.

A quando le elezioni? Se tutto va bene, nel 1978. "Appunto, le elezioni - esordisce Spinelli; la lunga intervista si svolge nella sede del Gruppo, alla Camera - saranno un momento decisivo, la prova della verità. L'unità europea è un problema con il quale, ancora una volta, tutte le società e le forze politiche necessariamente devono confrontarsi. Piaccia o non piaccia loro. Il semplice fatto che dal 1945 ad oggi - sono passati trent'anni - il tema non sia scomparso significa che una ragione profonda c'è; fosse dipeso dal modo come le forze politiche lo hanno trattato, sarebbe svanito da un pezzo. Invece, ora vi si interessano nuove forze: socialisti e comunisti italiani, i socialdemocratici tedeschi, mentre su di esso si spaccano laburisti e gaullisti... E poi, i sindacati; in fondo, sono riusciti a fare a livello europeo quello che ad altri livelli non gli è stato possibile conquistarsi: una confederazione in cui ci sono tutti, con l'unica eccezione della CGT, il sindacato comunista - per una maggiore segr

etezza di tutto il comunismo francese: però ormai pronto a trattare per entrare dentro anche lui...".

Si arriverà in tempo? Avverto preoccupazione nelle sue parole: o si coglie l'occasione o crollerà anche quanto è stato fin qui realizzato, già di per sé insufficiente. "Quanto è stato costruito di comunitario poggia su dati amministrativi, un po' a livello europeo, un po' in mano a settori delle amministrazioni nazionali e ad alcuni deputati, magari di secondo piano. Tutto questo oggi non regge più, è da respingere". I ritardi sono imputabili a tutti, ma in certi accenni del suo discorso avverto un po' di ironia, certo un rimprovero, rivolto alle forze di sinistra. "La responsabilità della sinistra è ora di saper prendere una posizione di guida. Del resto, l'idea dell'Europa nasce a sinistra, è un'idea tipicamente di atteggiamento radicale: voler costruire qualcosa perché razionalmente più corretta, perché corrisponde meglio alla difesa degli interessi della giustizia, ecc. Di fatto, nasce nella resistenza, nell'antifascismo, a sinistra. Poi è successo quello che sempre succede alle idee vere, che corrispond

ono a problemi: se le forze di progresso non le sanno affrontare loro, non è che scompaiono; sono le forze conservatrici che le pigliano e le realizzano. Quando i democratici italiani e tedeschi non seppero fare l'Italia e la Germania, Italia e Germania furono fatte da Cavour e Bismarck; cioè da conservatori, al più da liberali. Gli stupidi a sinistra allora le respinsero; gli intelligenti capirono quello che era successo, deplorarono il come, ma non lo buttarono via; compresero bene che occorreva crearvi sopra qualcosa di diverso. Tra gli intelligenti, allora c'era Carlo Marx. Lo stesso capiterà oggi".

"Se le cose stanno così - chiedo - l'occasione delle elezioni diventa determinante. Come pensi che si comporteranno i partiti?". Spinelli diffida delle ideologie, è evidente. Nella storia, specie quando si tratta di progetti di respiro, operano "fattualità" che sfuggono agli schemi. La costruzione di un complesso statuale nuovo, di dimensioni inconsuete, richiede la convergenza di spinte centripete, che non fanno riferimento a modelli prefissati. Le elezioni europee, dice ancora, richiederanno ai partiti un sforzo verso aggregazioni simili piuttosto ai modelli partitici americani, "con tendenze diverse, coesistenti, in ciascuno dei raggruppamenti". "Però, per la prima volta ci sarà un'arena popolare, nella quale i partiti si dovranno porre il problema di come presentarsi, di cosa chiedere agli elettori. Lo faranno con idee chiare, con idee confuse, volentieri, malvolentieri, non lo so; ma difficilmente potranno dire che non sono per l'Europa; difficilmente potranno opporsi a un reale ampliamento dei poteri d

el Parlamento Europeo, al passaggio a una vera e propria fase costituente, che è il nodo essenziale della questione. Sono convinto che i grossi partiti cercheranno tutti di darsi una `dimensione europea'". Pensa che soprattutto i democristiani siano in fase avanzata di elaborazione di un programma, di un coagulo di forze a livello infranazionale. E le sinistre? chiedo. La risposta mi interessa come radicale.

Da anni, abbiamo professato e professiamo un pieno federalismo, persuasi che i problemi attuali debbano essere posti, a livello tecnologico, di struttura, o istituzionale e politico, in una corretta dimensione sopranazionale, nel quadro continentale; che la "classe" cui occorre fare riferimento sia quella che lavora non tanto nelle fabbriche tra Torino, Milano e Bologna, ma tra Milano, Parigi e, diciamo, Düsseldorf. E il rapporto con il socialismo europeo lo vediamo quindi come baluardo necessario contro le tentazioni di compromesso storico con le forze e gli atteggiamenti più chiusi e controriformisti.

La risposta di Spinelli è articolata e sottile. Certo, è convinto che i comunisti abbiano una giusta tattica, quando cercano prospettive di azione comune non solo con gli altri partiti comunisti occidentali, ma anche con le forze socialiste e socialdemocratiche europee: la responsabilità di un partito come il Pci, sottolinea, è di "catalizzare" le possibilità che esistono.

Ma, lo interrompo, una simile strategia non pone i comunisti italiani in rotta di collisione con il Psi?

"Perché i socialisti - risponde - non possono capirlo e farlo anche loro? Il Psi ha una possibilità di svilupparsi e di significare qualcosa se capisce che la prospettiva è di saper sostenere e rafforzare la tendenza attuale del Pci, sia a livello nazionale che europeo. A medio termine, su questa linea di sviluppo, arriverà il momento che la gente si chiederà perché mai ci sono due partiti, invece di uno solo. Era il problema di Amendola, anni fa; che è finito nei cassetti e poi è riemerso, perché esiste. Esiste, e i socialisti ne sono consapevoli. Con quel tanto di distrazione con cui in genere i socialisti italiani fanno politica, però hanno preso anche loro una posizione avanzata, corretta; diciamo dal '56. Socialisti e comunisti si possono distinguere in questo: nel dire che hanno scoperto l'Europa, quelli dopo l'aggressione sovietica all'Ungheria, e questi dopo l'aggressione sovietica alla Cecoslovacchia". Mi sorprende quello che dice adesso, proseguendo nella sua analisi. "L'ho detto anche in altre occ

asioni: in un certo senso, una prospettiva di lavoro a livello europeo deve creare, se si vuole adoperare la terminologia berlingueriana, un `compromesso storico europeo'; o, con terminologia gramsciana, un `blocco storico' europeo. Voglio dire: la costruzione europea, in cui la gente che ci stà assieme deve avere un minimo di consenso comune, perché sennò è una sopraffazione di una parte sull'altra, esige che vi siano consensi, appunto, non solo a sinistra, ma a sinistra, al centro, a destra: di un certo ampio blocco di forze, insomma - capitalista, operaio, ecc. - che desidera l'unione europea e che va molto al di là della sinistra...". Chiedo a Spinelli di chiarire la questione. Cosa potrebbe unire forze così disparate? Quale indicazione di fondo? "Uno dei problemi fondamentali è oggi quello della indipendenza europea nel mondo; direi che tutto il mondo ne ha bisogno, salvo gli americani e i russi: i cinesi, i latino-americani, gli africani, tutti. E' un grosso complesso economico, che anche a dispetto de

l suo passato - il colonialismo è stato un'invenzione europea - non può tanto facilmente avere politiche, imperialistiche; mentre la sua esistenza significa poter attenuare e forse mettere fine al predominio delle grandi potenze". "E' vero - sottolinea - che la costruzione europea è nata all'ombra della dominazione americana, del controllo americano, però poi gli americani hanno cominciato ad essere molto meno interessati ad essa: `l'Europa deve essere nostra dipendenza' hanno cominciato a dire. Questo è un disegno che rientra nella rimeditazione del ruolo americano e delle zone di influenza americane che ha fatto Kissinger. E l'ha detto in mille modi diversi: che gli stati europei non hanno più la legittimità, che devono consultarsi con l'America, eccetera". Poi soggiunge: "Ma teniamo presente - tutti - che questa è anche l'unica, ma proprio l'unica, alternativa all'unità europea. L'epoca della divisione tra gli stati europei è finita. Allora il problema vero è sapere se l'Europa sarà unita dagli europei o

da una forza esterna. Basta guardare i tentativi di chiusura "nazionale" degli stati europei, che fine fanno: finiscono col fare sviluppare una sorta di rapporto bilaterale con l'America.

Questo vale per l'Italia, per la Germania, per tutti. Le differenze nel comportamento tra l'uno e l'altro paese - tra Italia e Germania, ad esempio - non hanno rilievo; sono differenze relative al livello, al rapporto di grandezza. Ma si tratta sempre di comportamento da vassalli: più o meno grandi, più o meno fidati, o riottosi, sicuri o malfidati, da trattare bene o da maltrattare...". Tuttavia Spinelli non pensa che l'Europa nascerà necessariamente "antiamericana". E' convinto che un'Europa che si unisce continuerà ad avere sostanzialmente, ed avrà, migliori rapporti con l'America, economicamente, culturalmente, sotto tutti gli aspetti. Saranno - puntualizza - rapporti da popolo libero a popolo libero.

E' evidente che la costruzione europea, allora, ponte anche il problema della sua difesa. E' il punto che affrontiamo ora, in questa conversazione. Venti anni fa, un voto del Parlamento francese bocciò l'integrazione a livello europeo degli eserciti nazionali, la cosiddetta CED. La CED era però malvista anche, se non soprattutto, dalle sinistre: allora come riproporre la questione oggi? E invece bisogna riproporla, afferma Spinelli: "Se parli a quattr'occhi con gente di sinistra, con comunisti e socialisti, ti riconoscono tutti che è vero, che è così; però poi dicono che non se ne può parlare in pubblico. Come con l'indipendenza algerina, quando in Francia, a quattr'occhi, ogni buon democratico diceva che bisognava concederla, salvo a smentire tutto in pubblico... Poi venne De Gaulle...". "In genere le sinistre rispetto al tema della difesa mettono la testa sotto la sabbia - osserva, e c'è sarcasmo sotto queste parole che gli ho sentito ripetere infinite volte, venti anni fa, e che sicuramente ha ripetuto in

tutti questi anni - oppure si battono su problemi, importanti sì, ma non certo decisivi, anzi parziali: la riforma dello status del militare, il controllo della spesa, eccetera. L'importante, però, non è lì. Dovremmo domandarci: spendiamo del denaro: per fare che? Per la difesa del paese? Ma non c'è più una difesa del nostro paese, magari nel quadro Nato. La realtà è che abbiamo eserciti che prendono come punto di riferimento - ma ciascuno per conto suo, però - i comandi atlantici, cioè praticamente gli Stati Uniti. Questi impongono certe scelte, magari i loro armamenti; con le buone, o con altri metodi. Oppure hanno sviluppato quelle forze - come i colonnelli - che hanno fatto il colpo di stato in Grecia, o cose simili... Allora, anche se fa le sue dichiarazioni anti Nato, la sinistra in realtà ha accettato la situazione: e dà sempre più forza a una struttura che non serve a una politica "europea" - questa non c'è - ma per operazioni a carattere interno; o, nelle situazioni più pulite, serve a mantenere ce

rte strutture conservatrici". "...Ma guarda quello che sta accadendo con la faccenda dell'areo MRCA, nel campo delle forniture militari. Di fronte al progetto di un aereo `multiruolo' relativamente poco costoso proprio perché adottato da più aeronautiche, ciascuno dei paesi acquirenti ha poi preteso modifiche particolari, per le proprie `esigenze'. Perché ciascun paese aveva, o pretendeva di avere, una sua microstrategia'... In definitiva, le forze armate europee hanno ancora, apparentemente, un ruolo `indipendente', in un sistema di Stati apparentemente `indipendenti', capaci di fare una guerra, eccetera; in realtà, il sistema europeo in cui viviamo, la stessa Nato, non è che l'inizio di realizzazione di una costruzione imperiale americana". "Può darsi che possa ancora reggersi in piedi, per un po', senza che questa prospettiva della costruzione imperiale americana sia riconoscibile. Ma non durerà ancora a lungo. Anche se ci fossero condizioni economiche buone, non si manterrebbe; perché una democrazia si m

antenga occorre che nei popoli vi sia un minimo di senso della propria dignità". Allora, pessimismo? La risposta rivela, un'altra volta, quale sia la logica profonda del discorso di Spinelli: la logica di chi sa che la `democrazia' non può escludere dalla scena della storia la forza, e poi una carica di imprevedibile: ricordo inconscio di una polemica, vecchia di sessant'anni se non sbaglio con Croce in mezzo, e Sorel... "Lo sai che cosa diceva Cavour nel 1857, due anni prima della guerra di indipendenza? Diceva che l'unità italiana era una corbelleria. E due anni dopo l'ha fatta. L'ha fatta proprio lui...".

 
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