IL PROGETTO DI LEGGE RADICALE PER L'ATTUAZIONE DELL'ART. 6 DELLA COSTITUZIONESOMMARIO: Il progetto sulle minoranze linguistiche presentato dal gruppo parlamentare radicale è frutto di una lunga elaborazione. Le linee essenziali furono esposte ad un convegno tenutosi a Trento nel gennaio '76 con la partecipazione di esponenti di partiti e gruppi di minoranza linguistica, da Mauro Mellini, il quale propose di ricorrere allo strumento dell'iniziativa popolare, con firme da raccogliere tra le minoranze.
Successivamente, Mauro Mellini provvide a stendere il progetto, che fu esaminato e riconosciuto sostanzialmente positivo dai gruppi contattati dalla "Lega per l'art. 6". Nel convegno tenutosi a Sassari dalla Lega, il 15, 16 e 17 ottobre scorso, si decise di ricorrere alla iniziativa parlamentare dei deputati radicali, salvo poi a sviluppare raccolte di firme e petizioni popolari a sostegno, con carattere possibilmente plebiscitario, nelle zone di minoranza. Erano presenti sloveni, valdostani, occitani, catalani oltre ai sardisti.
Il progetto nella sua attuale stesura tiene conto delle critiche e dei punti di vista espressi dai gruppi dopo la presentazione delle prime bozze.
(PROVA RADICALE, dicembre 1976)
La norma sancita dall'art. 6 della Carta Costituzionale è tra quelle la cui pratica attuazione non è stata ancora realizzata se non attraverso disposizioni incomplete e parziali. Ma che, appunto perché tali e quindi non idonee ad assicurare a tutte indistintamente le minoranze linguistiche esistenti nell'ambito della Repubblica una adeguata tutela, ed addirittura una tutela qualsiasi, determinano una situazione in cui, mentre continua ad essere violato il disposto del sopra ricordato articolo 6 della Costituzione, appare violato altresì il criterio di uguaglianza sancito dall'art. 3 della stessa Costituzione, operando ingiustificate ed assurde discriminazioni tra l'una e l'altra minoranza linguistica, ed addirittura tra vari gruppi delle medesime minoranze, a seconda che risiedano nell'una e nell'altra regione o provincia.
Ma l'aspetto più grave dell'attuale situazione è rappresentato dal fatto che tutte le norme alle quali può ricondursi il riconoscimento e la tutela delle più favorite tra le minoranze etnico-linguistiche esistenti nel territorio della Repubblica traggono origine da situazioni particolari, in cui il Paese è venuto a trovarsi nell'immediato dopoguerra nei suoi rapporti internazionali, così che la loro origine storica, che finisce per avere una innegabile incidenza anche nella portata e nell'interpretazione delle norme stesse, si ricollega a forme più o meno esplicite di compromesso circa l'appartenenza alla Repubblica delle zone interessate; così, la tutela delle minoranze alloglotte, contro ogni logica e contro il significato vero delle norme costituzionali, finisce per apparire come una sorta di limitazione alla piena sovranità dello Stato, secondo un'identificazione giacobina e poi nazionalista tra Stato, Nazione ed unità linguistica.
Che tale concezione sia e debba rimanere estranea al nostro ordinamento è cosa che non dovrebbe essere discutibile. Prima ancora che l'art. 6 della Costituzione, il carattere composito, dal punto di vista culturale, linguistico ed etnico della comunità sociale che si esprime nella Repubblica è assicurato dall'art. 2 della Carta, che assicura a ogni cittadino come singolo e nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità il godimento dei diritti inviolabili dell'uomo, e dell'art. 3 che stabilisce il diritto di uguaglianza di tutti i cittadini senza distinzione, tra l'altro, di razza e di lingua.
D'altra parte, il concetto secondo cui l'unità e l'uniformità linguistica, etnica e culturale degli Stati, rappresenti un bene essenziale e quasi una condizione di privilegio per quelli di essi che possono vantarla si è dimostrato non solo erroneo e inconsistente, ma pericoloso perché rappresenta il presupposto di degenerazioni nazionalistiche ed autoritarie e di forme di intolleranza e di persecuzione.
Al contrario, la varietà delle culture e la pluralità delle lingue dei cittadini di uno stesso Stato possono divenire un elemento di ricchezza e di sviluppo civile se l'intolleranza e l'angustia delle leggi non conferiscano alle culture ed alle lingue minoritarie una spinta centrifuga e le tendenza a non riconoscersi nelle istituzioni e nei vincoli dello Stato in cui esistono e si sviluppano.
Ciò è tanto più vero in un contesto politico in cui si tende al superamento dei confini degli Stati nazionali con la creazione di organismi sovranazionali ed interstatali, ed in particolare di una Comunità Europea che non è neppure pensabile come costituita da unità statali che al loro interno non riconoscano e garantiscano la più piena libertà degli individui e delle comunità di lingua diversa da quella largamente prevalente.
Né può essere passato sotto silenzio il risveglio che si è manifestato negli ultimi anni di una coscienza nelle comunità alloglotte della Repubblica, coscienza che coincide con rivendicazioni di carattere sociale da parte di popolazioni spesso emarginate e sfruttate a causa di antiche e meno antiche situazioni di sopraffazione di sottosviluppo e di condizionamento culturale.
Minoranze linguistiche esistono dunque nel nostro Paese oltre a quelle cui sono riconosciuti diritti e garanzie degli statuti regionali speciali e non particolari (tedeschi e ladini della provincia di Bolzano, sloveni delle provincie di Trieste e di Gorizia, francese nella Valle d'Aosta). Esse sono l'albanese (Abruzzo, Basilicata, Calabria, Campania, Molise, Puglie, Sicilia), il greco (Puglie, Calabria), il catalano (Alghero, Sardegna), il ladino-friulano (Friuli, provincia di Gorizia), il sardo, l'occitano (Piemonte, provincia di Imperia, Guardia Piemontese in Calabria), il serbo-croato (Molise).
Ma anche le lingue francese, tedesco e sloveno sono usate da comunità che vivono al di fuori delle provincie in cui tali lingue godono di una qualche tutela (tedeschi della Valle d'Aosta, del Piemonte, del Veneto, del Friuli e della provincia di Trento, francesi del Piemonte e delle Puglie, ladini-dolomitici delle provincie di Belluno e di Trento, nelle quali hanno tuttavia una tutela appena simbolica).
Il carattere di vera e propria lingua, oltre che agli idiomi che sono propri di altri Stati o di regioni di altri Stati è generalmente riconosciuto non solo al ladino-dolomitico (il che risulta da disposizioni di legge già in vigore nel nostro ordinamento) ma anche al ladino-friulano ed al sardo, e ciò secondo il parere degli glottologi.
Secondo calcoli certo non ufficiali né assolutamente esatti, ma fondati su dati attendibili e compiuti con criteri assai prudenti, il numero dei cittadini della Repubblica che si valgono di tali lingue supera i tre milioni, pari al 6% della popolazione totale dello Stato.
Provvedere alla tutela di un diritto fondamentale di questi cittadini e delle comunità in cui sono aggregati del diritto cioè alla identità linguistica e culturale, è quindi non soltanto un dovere inderogabile imposto dalla Costituzione al legislatore e a tutti i poteri dello Stato ma, oltre a rappresentare un atto di doverosa riparazione di antiche sopraffazioni ed incomprensioni, culminate con l'insensata e delittuosa politica di snazionalizzazione e di repressione di talune minoranze operata in epoca fascista, costituisce indubbiamente un problema di vaste e complesse proporzioni, d'importanza primaria tra quelli relativi ai diritti civili alla cui realizzazione i radicali ritengono doversi considerare particolarmente impegnati, assieme alle altre forze democratiche del Paese.
La legge che oggi si propone, elaborata attraverso ampie e ripetute consultazioni con esponenti di vari gruppi linguistici, non dovrà esaurire la normativa necessaria all'attuazione dell'art. 6 della Costituzione, dovendo essere integrata e completata soprattutto per ciò che riguarda l'organizzazione scolastica.
Ma soprattutto essa non dovrà esaurire l'azione politica a tutela delle minoranze etnico-linguistiche, da spiegarsi con opportuni provvedimenti e misure di carattere economico e sociale diretti a scongiurare l'impoverimento e lo spopolamento di talune zone di minoranza linguistica e la dispersione e la soffocazione di quelle comunità.
D'altro canto è certo che, assieme al problema delle lingue diverse da quella italiana, esiste quello dei dialetti di tale lingua, che, secondo non trascurabili tendenze politico-culturali, debbono ritrovare dignità e riconoscimenti atti ad evitare forme di ghettizzazione di vasti strati culturali e sociali delle popolazioni di tante zone del Paese. Ma si tratta di un problema diverso, che potrà trovare adeguate soluzioni ed aperti indirizzi pedagogici e di politica scolastica e culturale, tendenti a valorizzare ed utilizzare dati della vita, del costume e della cultura più autentici delle popolazioni.
Il concetto fondamentale su cui si fonda il presente progetto di legge è quello della tutela del diritto individuale all'uso della lingua della propria comunità di origine (art. 1 del progetto, art. 2 della Costituzione), diritto rispetto al quale la comunità stessa e la zona in cui essa ha sede vengono in considerazione quanto elemento di delimitazione e di realizzazione del diritto stesso. Da tale concetto discende quello della assoluta parità di tutte le lingue diverse da quella italiana agli effetti del riconoscimento del diritto soggettivo del cittadino alloglotta.
Viene infatti riaffermato il diritto generale all'uso della lingua d'origine ed al compimento, nell'ambito delle zone in cui essa sia in uso, di ogni atto nei confronti dei pubblici funzionari, uffici ed enti esprimendosi in tale lingua.
Viene riaffermato il divieto di costringere il cittadino alloglotta al compimento di prestazioni personali che comporti l'uso di una lingua diversa da quella della sua comunità, se non abbia trasferito altrove volontariamente la sua residenza.
Questo principio viene tutelato anche nella prestazione del servizio militare obbligatorio, disponendosi che i cittadini appartenenti a comunità alloglotte debbono essere impiegati in reparti e servizi in cui possono avvalersi della loro lingua.
Il diritto all'identità linguistica è sanzionato altresì con l'abolizione delle incivili norme nell'ordinamento dello stato civile che vietano l'imposizione di nomi "stranieri" ed è consentita la modifica dei nomi italiani imposti in osservanza di tale legge agli alloglotti nonché la modifica dei cognomi italianizzati nelle zone di minoranza linguistica dall'epoca dell'Unità.
Il progetto fa distinzione tra zone di uso abituale anche se non prevalente di lingue diverse da quella italiana e zone di uso abituale e prevalente.
Tale distinzione riguarda non tanto la prevalenza numerica degli appartenenti all'uno o all'altro gruppo linguistico, quanto, nel caso assai frequente di bilinguismo delle popolazioni, la prevalenza della tendenza ad usare correttamente l'una o l'altra lingua tra gli appartenenti alla stessa comunità.
La distinzione appare necessaria perché, mentre è logico garantire i diritti individuali degli alloglotti e la conservazione della lingua nel primo caso, solo nel secondo appare opportuno imporre la creazione di strutture culturali e soprattutto scolastiche che assicurino il pieno sviluppo della lingua.
Del resto la difficoltà inerenti alla creazione di tali strutture e comprensibili incertezze nell'avvalersene nella prima fase dell'applicazione della legge, potrebbero indurre molti enti locali e molte popolazioni a rinunziare a qualsiasi tutela della lingua diversa da quella italiana ove non fosse prevista una graduazione nella tutela medesima.
E' infatti agli enti locali (regioni, province, comuni) con prevalenza delle determinazione, nell'ambito del proprio territorio, della deliberazione dell'ente più piccolo rispetto a quello del più grande che è demandata le determinazione della abitualità, prevalente o meno, dell'uso della lingua.
Si realizza così una piena ed articolata autonomia di scelte delle comunità.
Ove l'uso di una lingua diversa da quella italiana sia dichiarato oltreché abituale anche prevalente, si attua un sistema di completo bilinguismo in ogni struttura scolastica, amministrativa, giudiziaria.
E' prevista l'istituzione in università incluse nelle zone suddette o ad esse più vicine, di corsi delle lingue e delle letterature in questione, nonché, nelle varie facoltà, di corsi delle varie discipline nelle lingue degli studenti delle zone alloglotte.
Un'importanza particolare, nel contesto di una politica di integrazione e di unificazione europea, riveste la norma degli artt. 13 e 14 che, prevedendo la costituzione di consorzi e comuni per raggiungere le finalità di tutela e di sviluppo del loro patrimonio linguistico culturale, consente che i consorzi suddetti partecipino anche comuni contigui di Stati confinanti con la Repubblica abitati da minoranze che abbiano con le zone considerate comunità di lingua.
Tale è il caso, ad esempio, di comuni di lingua tedesca del Piemonte contigui ad analoghe isole linguistiche situate nella Svizzera francese.
Il progetto prevede inoltre, entro tre anni dalla determinazione delle zone di uso abituale, prevalente o meno, di lingue diverse da quella italiana, la modifica delle circoscrizioni amministrative atta a meglio garantire l'autonomia e lo sviluppo di comunità alloglotte.