Gianfranco SpadacciaSOMMARIO: E' scoppiato, sulla base di documenti resi pubblici negli Usa, lo scandalo delle tangenti pagate dalla Lockheed per l'acquisto da parte dell'areonautica militare italiana degli aerei da trasporto C-130 Hercules. Il Parlamento, riunito in seduta comune, concede l'autorizzazione a procedere nei confronti dei ministri Gui e Tanassi. In questo articolo l'autore sostiene che, dopo il rinvio all'Alta corte di giustizia dei ministri Gui e Tanassi, le forze politiche e il Parlamento hanno ora, grazie a una denuncia presentata dai deputati radicali, la possibilità di andare a fondo nella ricerca della verità, riprendendo le indagini lì dove erano state interrotte o troncate.
(Notizie Radicali n. 10 del 12 marzo 1977)
Gui e Tanassi sono stati rinviati a giudizio davanti all'Alta Corte di Giustizia. E' la prima volta che questo avviene nella storia della Repubblica dopo anni di avocazioni, di insabbiamenti, di scandalose assoluzioni, da quella di Trabucchi (il ministro dei tabacchi e delle banane) a quella recentissima di Mariano Rumor. A buona ragione il voto del Parlamento, riunito in seduta comune può essere considerato come una vittoria della Costituzione e della democrazia contro l'arroganza del potere e del regime; come una vittoria, per ora eccezionale e momentanea, della speranza contro le ragioni della disperazione e della sfiducia che si diffondono nel paese.
Poteva essere invece un voto di chiusura affrettata dello scandalo Lockheed, con l'offerta delle teste di Gui e di Tanassi all'opinione pubblica in funzione di capri espiatori: per meglio troncare ogni ulteriore indagine verso altre responsabilità e verso una comprensione reale della verità, di tutta la verità; per meglio salvare il sistema con il quale ha fin qui operato la Commissione inquirente.
Se questo non è avvenuto, lo si deve ai quattro deputati radicali, all'accanimento con cui si sono battuti, nel più totale isolamento, esplorando tutte le possibilità offerte dal regolamento, cogliendo tutte le opportunità del dibattito parlamentare, facendo infine valere le ragioni del dialogo e del confronto democratico, della lotta politica, della ricerca della verità su quelle che sembravano prevalenti del compromesso istituzionale e giudiziario, del sequestro della verità processuale, della prevaricazione e della violenza: la prevaricazione e la violenza che promanano dal modo con cui si gestiscono, contro la Costituzione, con sostanziale unanimità, le leggi e i regolamenti, le istituzioni parlamentari, i meccanismi più delicati della giustizia politica.
Il rinvio a giudizio di Gui e Tanassi è un voto che autorizza la speranza perché è inscindibile dalla riapertura delle indagini, che in seguito alla denuncia presentata dai quattro deputati radicali e dall'on. Mimmo Pinto, la Commissione inquirente sarà costretta ad effettuare per accertare gli elementi di colpevolezza che sono emersi a carico dell'attuale Presidente della Repubblica, e le altre più gravi responsabilità che sono emerse a carico degli altri imputati (presidenti del consiglio, ministri e "laici"). Chi dunque voleva chiudere, circoscrivere, delimitare, è per il momento uscito sconfitto.
Giovedì 17 marzo, quando si riunirà l'inquirente per esaminare la denuncia radicale, riprenderanno i tentativi di sequestrare la verità, le manovre per insabbiare e chiudere le indagini con decisioni sommarie.
Forse riusciranno di nuovo a prevalere. Ma questa è già la lotta politica di domani, contro la quale gruppo parlamentare e partito sono già mobilitati e impegnati. Intanto oggi un po' di verità è stata conquistata, e nessuno potrà tornare a sequestrarla per sottrarla all'opinione pubblica; un tratto di strada, piccolo ma importante, forse decisivo, è stato compiuto verso la possibilità di una giustizia non parziale, non di comodo, non di regime; una possibilità nuova, di approfondimento e di riparazione, di verifica dei meccanismi delicatissimi con cui si governa nel settore degli armamenti, con quali ingerenze e quali poteri, con quali connivenze e quali complicità, è stata offerta al Parlamento e alle istituzioni. E' certo che la battaglia dei radicali, su questo, non si è conclusa con il voto dell'11 marzo. Come non si è conclusa con quel voto la nostra lotta contro l'inquirente degli insabbiamenti e delle avocazioni, che riprenderemo con l'arma del referendum il primo di aprile.
Pubblichiamo su questo numero di "Notizie Radicali" il testo integrale della denuncia presentata dai nostri compagni deputati e dal compagno Pinto. Ricostruiamo giorno per giorno, in un articolo giornalistico necessariamente sommario, la storia di questa nostra battaglia parlamentare. E' il solo strumento di cui disponiamo per controbattere la campagna di calunnie, il vero e proprio linciaggio morale e politico che si è tentato contro di noi da parte della stampa di regime e della stampa comunista e paracomunista, e per compensare la disinformazione dei nuovi Bernabei che, con Grassi e Glisenti, con barbato e Rossi, hanno occupato la Rai-Tv di regime.
Ancora oggi, su "Rinascita", uno dei massimi dirigenti comunisti, Alfredo Reichlin, scrive: "Questa volta è apparso chiaro che dietro Pannella non c'erano solo i quattro radicali, ma forze oscure, di varia natura, alcuni che fanno piccoli giochi irresponsabili, altri che puntano all'avventura e alla crisi della prima Repubblica". Scrive queste stronzate, Alfredo Reichlin nello stesso articolo in cui, per la prima volta, con linguaggio radicale, dopo il discorso di Moro, è costretto ad ammettere che "la Dc ha confermato di essere un partito profondamente diverso, un partito-Stato, una sorta di regime". Dietro questa frase ci sono venti anni di polemiche fra comunisti e radicali, che risalgono al momento in cui i radicali della generazione che ci ha preceduto, per la prima volta, nel 1957, parlarono di regime democristiano e clericale.
Ancora una volta siamo i guastatori, come scrive "L'Espresso", i disturbatori del manovratore. Il nostro avventurismo viene contrapposto alla saggezza e alla prudenza comunista. Faremmo il gioco di chi vuole la crisi della prima Repubblica. Vogliamo invece solo la sconfitta, la fine di questo regime, che sola può salvare questa Repubblica. Io spero che questo perfino Reichlin sia sfiorato dal dubbio che non la nostra politica, ma proprio la prudenza comunista possa essere niente affatto saggia, ma dissennata e avventurista. Prima questo dubbio lo raggiungerà, e meglio sarà per tutti.
I comunisti temono la crisi istituzionale, la crisi dei rapporti con la Dc, la destabilizzazione del quadro e degli equilibri politici del paese. E allora preferiscono non guardare, sdrammatizzare, fingere di ignorare.
In America il Parlamento, per indagare sul potere conquistato da una potente società multinazionale, non ha esitato a mettere in crisi sei paesi alleati, e a gettare in pasto alla giustizia amici corrotti su cui poteva contare all'interno di questi paesi. Altrove sono stati deposti presidenti del consiglio, processati ministri, allontanati principi consorti. In Italia? In Italia abbiamo un capo dello Stato su cui gravano consistenti elementi di sospetto e di colpevolezza: sospetto di non essere un corrotto o un corruttore, ma sospetto di società o complicità con chi sempre più chiaramente appare essere stato l'agente e il mandatario degli interessi della Lockheed, di altre società americane, e in alcuni casi di enti governativi americani.
Troncare le indagini, impedirle, nascondere la testa sotto la sabbia per non vedere, può comportare, se quei sospetti sono fondati, di avere al vertice dello Stato un Presidente ricattabile da chiunque: da una potenza straniera, dalle multinazionali, dai servizi segreti, dai suoi complici di ieri, dalle correnti del suo partito. E' questo il modo per evitare le crisi istituzionali?