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Spadaccia Gianfranco - 12 marzo 1977
Lockheed (2): La controinchiesta radicale
Cronaca di dieci giorni di lotta parlamentare

SOMMARIO: E' scoppiato, sulla base di documenti resi pubblici negli Usa, lo scandalo delle tangenti pagate dalla Lockheed per l'acquisto da parte dell'areonautica militare italiana degli aerei da trasporto C-130 Hercules. La Commissione inquirente, dalla quale i radicali sono esclusi, si ferma davanti alle responsabilità del Presidente della Repubblica Giovanni Leone, omettendo tutta una serie di indagini e di approfondimenti. In pochi giorni i deputati radicali ricostruiscono una istruttoria durata mesi. Indagini interrotte. Lettere mai tradotte dall'inglese. Connessioni trascurate. Ne nasce una contro-inchiesta radicale e una battaglia parlamentare che si conclude con la riapertura delle indagini davanti alla Commissione inquirente. L'affare Lockheed non è un affare di truffe e di bustarelle, non è la storia di due ministri corrotti. E' molto di più.

(Notizie Radicali n.10 del 12 marzo 1977)

Ventiduemila fogli di requisitoria, interrogatori, lettere, documenti, indizi, prove. Casse intere di materiale. E' questo il "dossier" del processo Lockheed. I deputati radicali ne fanno richiesta alla Presidenza della Camera nel momento stesso in cui sono depositate le relazioni d'accusa. Cominciano a decorrere i termini per poter rimettere in discussione l'assoluzione di Rumor. Sono i giorni delle affannose trattative fra il Pci e il Pri e il Psi e delle laceranti discussioni e decisioni dei deputati socialisti. I nostri deputati hanno già depositato la richiesta d'incriminazione di Rumor per la raccolta delle 477 firme necessarie.

Devono decorrere cinque giorni, ma la decisione socialista e repubblicana bloccherà l'iniziativa. Da quel momento, però, nel gruppo parlamentare radicale comincia un'altra, affannosa corsa contro il tempo. I radicali sono stati esclusi dalla Commissione Inquirente.

Primo imputato, l'inquirente

La materia è del tutto sconosciuta. Si tratta di ripercorrere e di ricostruire anni d'indagini istruttorie, compiute prima dal giudice Martella e poi dalla Commissione Inquirente. Si tratta di orientarsi e di cercare di comprendere la logica a cui si è ispirata la commissione in questo strano e contraddittorio procedimento d'accusa. Si tratta infine di riflettere sui problemi costituzionali, legislativi e procedurali per i quali non esistono precedenti salvo quello, allarmante, ed aberrante, del "caso Trobucchi". E' un lavoro che per venti giorni non avrà soste. Giorno e notte Marco Pannella e Franco De Cataldo, Emma Bonino e Roberto Cicciomessere, Mauro Mellini e Marisa Galli, con l'aiuto di Antonio Taramelli, di qualche giornalista, di qualche compagno che traduce dall'inglese, lavorano su quelle carte. Fanno collegialmente quello che nessun altro gruppo politico ha fatto. Circondati dall'incomprensione degli altri partiti, dalla polemica più pretestuosa e dai tentativi di linciaggio della stampa comunista

, di alcuni socialisti, del gruppo del Manifesto, assumono il ruolo che dovrebbe essere dell'intero parlamento, quello di vero pubblico ministero di questo processo politico.

E scoprono che ci sono altri imputati in questo processo, oltre a Gui e a Tanassi, ed oltre a Rumor, il quale si è già guadagnato l'assoluzione grazie alla decisione dei socialisti e dei repubblicani. Il primo imputato è la Commissione Inquirente per il modo in cui ha svolto l'istruttoria.

L'inchiesta si ferma alle soglie del Quirinale

Lo è per la legge chiaramente incostituzionale che il Parlamento ha approvato nel 1962 e per il regolamento parlamentare per i procedimenti d'accusa che trasformandola indebitamente in un "tribunale dei ministri" gli ha attribuito poteri di avocazione, di archiviazione, perfino di assoluzione che per la Costituzione non deve e non può avere. Ma lo è ancora di più per gli equilibri politici di cui è espressione, per il modo con il quale tutti i partiti, tutti insieme, sostanzialmente concordi, nonostante le contrapposizioni nei singoli processi e la diversità occasionale degli schieramenti, hanno accettato di gestire le istituzioni parlamentari e i delicati meccanismi del procedimento d'accusa.

I deputati radicali, i deputati supplenti, i loro compagni di lavoro vanno a guardare lì dove gli altri si sono rifiutati di guardare o hanno subito smesso di guardare. E scoprono altre evidenti e gravi linee d'indagine, indizi convergenti, concessioni evidenti, altri reati, altri capi d'imputazione, testimoni importantissimi mai ascoltati, mandati di arresto e richieste di estradizione perseguiti con lentezza burocratica o lasciati cadere, conti correnti su cui non si è indagato, rifiuto di collaborazione da parte delle autorità svizzere a cui non si è reagito, un intero dossier di lettere dal contenuto delicato e gravissimo mai neppure tradotto dall'inglese. Ciò che appare evidente ai nostri deputati è che vero protagonista del processo non è Gui, non è Tanassi, non è neppure Rumor. Vero protagonista del processo è l'avvocato Ovidio D'Ovidio Lefebvre che ha potuto seguire gli svolgimenti del dibattito parlamentare dal lontano Messico al riparo da ogni minaccia di estradizione. Ovidio D'Ovidio Lefebvre non

è il semplice intermediario fra corruttori e corrotti, non è il consulente d'affari delle tangenti per l'acquisto dei C 130, è molto di più: è il mandatario delle multinazionali americane in tutti gli affari di compravendita che riguardano l'industria aeronautica e quella spaziale americana. Il suo nome viene accreditato in un documento addirittura come rappresentante del Governo americano. Non può essere confuso nella schiera dei faccendieri, degli affaristi, dei taglieggiatori che affolla il sottobosco politico delle correnti, dei partiti, dei ministri di regime. Non può essere ridotto al rango di un piccolo truffatore e millantatore di credito come pretenderebbe Tanassi. Con il mondo politico ha rapporti di relazioni pubbliche e d'affari, non ha amicizie. Tranne una strettissima, importante, costante nel succedersi degli anni. L'amicizia con l'ex-Presidente del Consiglio, ora Presidente della Repubblica, Giovanni Leone. Esercitano la stessa professione. Appartengono allo stesso ambiente dell'alta borghe

sia di Stato e professionale napoletana, sono amici di famiglia, commensali, compagni di crociere e di svago. Ma dalle carte processuali risulta che questa amicizia ha anche altri risvolti, politici e non soltanto politici.

Obiettivo radicale: riaprire le indagini

L'indagine Lockheed esamina minuziosamente tutti i rapporti che i fratelli Lefebvre hanno avuto con Gui, con Tanassi, con Rumor. Ma i rapporti con Gui e con Tanassi sono funzionali alla conclusione dell'affare Hercules C 130. L'incontro con Rumor è occasionale e anch'esso affare. Il rapporto con Leone, la sua natura, le circostanze che lo caratterizzano, la sua continuità nel tempo è di genere assolutamente diverso. Ogni volta le prove documentarie, da momenti diversi, da circostanze, fatti, atti e perfino procedimenti diversi, convergono in questa direzione, E ogni volta si ha la sensazione che le indagini degli inquirenti si arrestino alla soglia di questa direzione, che circoscrivano l'affare Lockheed dagli altri affari, dai precedenti logici e storici dell'inchiesta Lockheed, per non dover guardare all'evidenza delle connessioni e della continuità. Così come si ha la sensazione che non si sia fatto più che tanto per assicurare la presenza in Italia di Ovidio D'Ovidio Lefebvre, perché potesse riferire sul

la sua funzione e il suo ruolo, sulle sue conoscenze e i suoi rapporti, su questi affari di Stato che lo hanno visto protagonista e che forse hanno avuto come protagonista l'attuale presidente della Repubblica.

Siamo alla vigilia dell'apertura del dibattito parlamentare. Nasce la prima iniziativa politica del gruppo parlamentare radicale. Facendo riferimento all'art. 26 del regolamento i deputati radicali annunciano in una conferenza stampa che chiederanno agli altri gruppi e ai singoli parlamentari di promuovere un supplemento d'istruttoria che consenta di compiere le indagini che non sono state effettuate. Perché non ci siano dubbi e possibilità di utilizzare questa inchiesta per manovre d'insabbiamento, in cui l'Inquirente è maestra, propongono che il "congruo termine" previsto dal regolamento sia fissato in 60 giorni. Non si fanno illusioni tuttavia sull'accettazione di questa proposta. E' solo il primo momento della battaglia politica del Partito Radicale per ottenere l'allargamento dell'inchiesta.

Il linciaggio della stampa di regime

Pannella si riserva infatti di promuovere la richiesta consentita dall'art. 26 del regolamento, non nella fase preliminare ma nel corso del dibattito se e quando se ne presenterà l'opportunità politica. L'indagine Lockheed è stata ritagliata, circoscritta all'interno d'un affare molto più vasto e molto più esteso nel tempo, che ha i suoi precedenti nell'affare degli aerei P 3 e che ha gli ultimi riscontri negli anni '74 e '75. Le lettere non tradotte che portano al Quirinale risalgono infatti a questi due anni, mentre l'episodio dei C 130 si arresta al 1971. La richiesta d'incriminazione di Gui e Tanassi è solo la punta emergente di quest'affare più vasto. Pannella, le compagne e i compagni del collettivo parlamentare sanno che sarà difficile convincere a cambiare posizione partiti, gruppi parlamentari, uomini che sono corresponsabili di questa impostazione dell'inchiesta. Comincia infatti l'indomani la campagna della stampa di partito e di regime, di cui riportiamo un significativo florilegio. E in cui spic

cano come killer Falaschi dell'"Unità", Matteuzzi del "Manifesto", Guido Paglia del "Resto del Carlino", oltre naturalmente ai Trovati e agli Scardocchia de "La Stampa" di Gheddafi. Ma la massa del lavoro compiuto in pochi giorni e notti e le ulteriori ricerche ci convincono che la direzione è quella giusta. Il processo a Gui e Tanassi non deve divenire il processo a due capri espiatori, ma l'inizio di un processo più vasto in cui se non la giustizia, almeno la verità riesca a farsi strada.

Le reazioni degli altri partiti non sono tuttavia dissimili da quelle dei loro giornali e della stampa di regime: il socialista Felisetti, quello che ha prima votato contro e poi a favore di Rumor, ci accusa di essere agenti segreti della DC. I nostri in Parlamento sono circondati dall'ironia e dal disprezzo dei comunisti. Nei giorni successivi l'atteggiamento muterà, almeno in alcuni importanti settori politici, e le reazioni degli stessi comunisti si faranno più caute e responsabili. Solo Falaschi su "L'Unità" continuerà la sua opera di killer.

Comincia il dibattito parlamentare. I deputati radicali si fanno carico di un altro inscindibile aspetto di questa battaglia. Si tratta del regolamento, dell'interpretazione della Costituzione, del quorum necessario per incriminare i Ministri.

Un processo inquinato di incostituzionalità

In apertura dei lavori del Parlamento, a Camere riunite, Pannella propone una sospensiva di dieci giorni per consentire l'approvazione da parte delle due Camere di una legge di interpretazione autentica del testo legislativo che stabilisca che il quorum per l'incriminazione dei ministri è costituito dalla maggioranza assoluta dei presenti votanti e non dalla maggioranza assoluta dei membri del parlamento. Quest'ultimo quorum è esplicitamente previsto dalla Costituzione solo per mettere in stato d'accusa il presidente della Repubblica. "Non ci preoccupavamo tanto - spiegherà più tardi Emma Bonino intervenendo nel dibattito - di abbassare il quorum, per l'incriminazione di Gui e Tanassi, anche se l'attuale quorum consentirà alla DC di sperare fino all'ultimo di poter acquistare o di poter ricattare il voto di qualche suo complice di ieri; ci preoccupavamo di eliminare almeno le più vistose eccezioni di nullità e di incostituzionalità che costellano questo procedimento d'accusa e che possono far domani arenare

il processo davanti alla Corte Costituzionale per impedirgli di giungere alla sua conclusione". E' esattamente il contrario, dunque, di ciò che gli altri ci accusano di volere: chiediamo di sospendere oggi per impedire il rinvio e l'insabbiamento domani.

La proposta viene però respinta in base ad un'interpretazione del regolamento certamente discutibile, quanto meno forzata. Ingrao fa appello ad una norma che impedisce di sospendere il dibattito. E si è invece alla fase preliminare. Sostiene che la fase del dibattito davanti alle Camere riunite non ha carattere giurisdizionale, come davanti all'Inquirente e alla Corte Costituzionale, (ma è assurda e abnorme l'idea, come osserverà Mellini nel dibattito, di un procedimento giurisdizionale ad intermittenza) per poter sostenere l'inammissibilità di questioni di costituzionalità.

Così viene anche considerata inammissibile la proposta di ascoltare gli imputati laici e i loro difensori. Il procedimento davanti al Parlamento si porta perciò appresso tutte le tare della legge del 1962. Se le porterà appresso fino al momento conclusivo del voto, quando, dovendo scegliere fra votare o no sul rinvio davanti alla Corte Costituzionale degli imputati laici, si sceglie un'assurda via di mezzo: quella di un'unica votazione cumulativa.

Adele Faccio chiede le dimissioni di Leone

Lo stesso pomeriggio comincia il dibattito con le relazioni di D'Angelosante e di Pontello. Con quest'ultima relazione, com'era ovvio e prevedibile, la DC rovescia la strategia tenuta nella Commissione Inquirente. Lì aveva tentato di buttare a mare Tanassi per salvare Gui, ora fa di nuovo blocco con Tanassi per assicurare a Gui i pochi voti socialdemocratici. Ma i limiti della requisitoria di D'Angelosante sono ormai stati sfondati dall'iniziativa radicale.

In Parlamento si parla soltanto di Gui e di Tanassi. Fuori dell'aula si parla di Leone, di D'Ovidio Lefebvre, dell'ambasciatore Messeri, dell'aggiramento dell'embargo americano alla vendita di aerei Lockheed alla Turchia, della missione di Lefebvre in Arabia Saudita al seguito della visita di Stato del Presidente della Repubblica, del Marocco, del Pakistan. Si torna sulla vicenda dei P 3, alle pressioni esercitate dall'allora Presidente del Consiglio, Leone, per riaprire e rimettere in discussione una compravendita già deliberata e in cui la Lockheed era risultata perdente. Si parla di quel messaggio cifrato in cui l'agente della Lockheed in Italia chiede ai suoi dirigenti di non spaventarsi dell'entità delle tangenti richieste dal mondo politico italiano perché l'entratura italiana è "tremendamente" importante. Per ben altre operazioni, evidentemente.

I quattro deputati radicali intervengono tutti e quattro nel dibattito. Comincia Emma Bonino attaccando tutte le forze politiche per il modo in cui pretendono di gestire il processo, delimitandone l'ambito, e precostituendone anche davanti alla Corte Costituzionale la materia dell'indagine e del giudizio. Segue Adele Faccio, la quale ricorda il modo più serio in cui altrove analoghe crisi determinate dallo stesso scandalo Lockheed sono state affrontate e risolte, dal Giappone all'Olanda. "Il presidente Leone - dice Adele - avrebbe dovuto avvertire il dovere patriottico e repubblicano di dimettersi. Brandt per molto meno in Germania l'ha fatto".

Lo stesso giorno, parlando a Torino, Gianfranco Spadaccia precisa ulteriormente: "Se il presidente Leone non ha la responsabilità, è interesse di tutti che un'istruttoria seria elimini ogni dubbio. Ma se gli elementi di colpevolezza accertati dai nostri compagni deputati trovassero conferma nei fatti, non fare l'inchiesta significherebbe avere un Presidente della Repubblica esposto ad ogni ricatto: di potenze straniere, di servizi segreti, di società multinazionali, dei suoi complici, delle stesse correnti democristiane.

Pannella: ha avuto ragione Ovidio Lefebvre

La mattina del 7 marzo interviene Marco Pannella. Oratoriamente non è uno dei suoi interventi migliori. Ha momenti di grande efficacia e momenti invece di stanchezza, di difficoltà, perfino di confusione. Sul tavolo vicino al microfono sono accatastate 30 cartelle. In ciascuna di esse sono raccolte, classificate, riordinate le risultanze del lavoro svolto dal collettivo parlamentare radicale. Le utilizzerà solo in piccola parte per concentrarsi invece sui punti centrali, davvero qualificanti, della ricostruzione dell'affare Lockheed fatta dai radicali. Se la tenuta oratoria non è perfetta, l'economia del discorso è stringente, legata da una logica che è difficile confutare. Esordisce affermando che ha avuto ragione Ovidio D'Ovidio Lefebvre a volere come giudice l'Inquirente delle avocazioni e degli insabbiamenti, piuttosto che il suo giudice naturale. Fu lui infatti a determinare lo spostamento del processo, dopo l'arresto del fratello Antonio, rivelando di aver pagato Tanassi. Elenca i reati per i quali pot

eva essere altrimenti incriminato insieme al fratello qualora l'inchiesta fosse rimasta nelle mani del giudice ordinario: infedeltà negli affari di Stato (pena minima 5 anni); corruzione da parte dello straniero (da tre a dieci anni); spionaggio politico e militare (15 anni); spionaggio di notizie di cui è vietata la divulgazione (10 anni); rilevazione di segreto di Stato (5 anni); utilizzazione di segreti di Stato; procacciamento di notizie concernenti la sicurezza dello Stato. E soprattutto l'associazione per delinquere. Ben altro dunque che il concorso in corruzione contestata dall'Inquirente. E Ovidio D'Ovidio Lefebvre sarebbe da tempo già in carcere se altri si fosse occupato dell'inchiesta.

Pannella ricostruisce a rapidi tratti l'ambiente di "accento napoletano" dei due Lefebvre, i loro rapporti con Leone. Esamina il loro ruolo di professionisti delle relazioni internazionali. Cita documenti che testimoniano dell'assoluta fiducia che la potente società americana ha nei loro confronti. Non utilizza che in minima parte gli altri documenti, le altre piste possibili di indagine per una istruttoria che sia completa e non manchevole e monca. Si limita ad alcuni episodi chiave, significativi, emblematici, che dimostrano come l'inquirente si sia stranamente fermata quando si è trovata di fronte ai possibili sviluppi che potevano derivare da queste indagini. Solo alcuni episodi: l'inquirente non sente il bisogno di ascoltare un teste come l'ex senatore democristiano Messeri, poi ambasciatore, nonostante che Antonio D'Ovidio Lefebvre abbia detto era stato proprio Messeri a metterlo per la prima volta in contatto con la Lockheed; nonostante che Messeri abbia sostanzialmente confermato, anche se con una ve

rsione incredibile dei fatti, quanto aveva detto l'imputato; nonostante infine che Messeri compaia in qualità di ambasciatore nell'affare Lockheed in Turchia come elemento-chiave dell'aggiramento dell'embargo americano (la Lockheed si servì per aggirarlo dell'Aeritalia, grazie alle entrature politiche italiane di Ovidio, e riuscì a vendere gli aerei alla Turchia grazie ai buoni uffici di Messeri). Accenna appena agli altri riservati fonogrammi, agli altri messaggi, a quel qualcosa di "tremendamente" più importante dell'entità delle tangenti cui si fa riferimento in uno di quei messaggi. Parla dello strano comportamento dell'inquirente quando si è trattato di indagare su alcuni "punti terminali", destinatari nei loro conti correnti delle tangenti o di parte delle tangenti, anche quando i nomi corrispondono a persone fisiche con tanto di indirizzo e di telefono. Ricorda e documenta la strana inerzia nel sollecitare e richiedere l'estradizione di Ovidio dal Messico; la nessuna reazione di fronte al rifiuto dell

e autorità elvetiche di collaborare con l'inquirente con l'assurda motivazione che non riconoscono a questo organismo alcuna veste giuridica ufficiale. Perché questa inerzia? Perché questa mancanza di curiosità? Non sono la dimostrazione che alle soglie di indagini più scabrose e scottanti, ci si ferma, ci si vuole fermare?

Marco si occupa anche dell'affare dei P 3. E' stato per un anno e mezzo l'argomento che aveva allontanato ogni sospetto da Leone. Come poteva - si disse - un Presidente del Consiglio essere sospettato di essere l'Antelope Cobbler della Lockheed quando proprio durante la sua presidenza del consiglio erano stati preferiti i diretti concorrenti francesi della società americana? Pannella rovescia definitivamente questo argomento.

Non è un argomento in difesa di Leone, ma caso mai un elemento di accusa. Agli atti c'è un documento di Gui, del ministro della difesa dell'epoca, il quale precisa che il presidente del Consiglio sollecita un riesame di un provvedimento già deliberato dal Governo. A favore di chi? Della Lockheed. I radicali non conoscevano questo documento. L'opinione pubblica non lo conosceva. Ma l'inquirente sì. D'Angelosante sì.

L'affare Lockheed è un affare NATO

Sono gli essenziali scarni, ma puntuali riferimenti processuali, alle carte, quelle sconosciute, di questo processo politico. Poi il discorso si allarga, diventa politico. Questo della Lockheed non è un nudo affare di compravendita di qualche aereo, non è una questione di bustarelle e di tangenti, è un affare di sicurezza nazionale, è un affare NATO, di rapporti e influenze internazionali. Pannella getta uno sguardo vicino, nei meandri e nei misteri dei servizi segreti italiani, quelli delle stragi di Stato, e ricorda ed evoca l'omicidio-suicidio del colonnello Rocca, dirigente dell'ufficio REI del SIFAR, l'ufficio, preposto ai rapporti con le grandi corporazioni economiche del regime, braccio esecutivo dei loro intrallazzi, dei loro ricatti, dei loro interessi; un organismo che aveva a che fare istituzionalmente con le forniture e i traffici d'armi. E uno sguardo lontano alle vicende dell'America del post-Watergate. Perché - si chiede - il Parlamento americano non ha esitato a provocare una crisi istituzion

ale in alcuni paesi alleati, a mettere in difficoltà alcuni amici corrotti, di fronte all'esigenza di fare luce sull'affare lockheed? Perché la prima vittima della guerra del Vietnam era stato proprio il Parlamento americano, espropriato dall'esecutivo perfino del diritto costituzionale di dichiarare la guerra, ed espropriato poi via via degli altri poteri dai centri del potere militare, dai centri del potere economico, dal complesso militare-industriale delle multinazionali e del Pentagono. Lo scandalo Lockheed nasce dunque dall'esigenza dello Stato di riappropriarsi di questi poteri, di riportarli nell'ambito della Costituzione e dei normali meccanismi di controllo democratico da parte delle istituzioni depositarie della sovranità popolare, anche a costo di mettere in crisi punti nevralgici della sicurezza nazionale americana. In Italia invece? In Italia le forze politiche si ritraggono di fronte all'esigenza di fare luce, di ricercare la verità. E la verità, brandelli di verità vengono lasciati in mano al

le agenzie di stampa delle correnti dei servizi segreti, in lotta fra loro, che se ne servono per attaccare il capo dello Stato con tono ricattatorio. Pannella cita una di queste agenzie, la O.P.

Un ultimo attacco diretto al comportamento dell'inquirente.

Il SID non esiste?

E' un affare di armamenti. E' un affare NATO. Ci sono rapporti con una potenza straniera. Ci sono rapporti diretti, incontri, colloqui con i ministri della difesa, con i presidenti del Consiglio. E' concepibile che l'inquirente non si sia neppure posto il problema di chiedere i dossier del SID, dei servizi di sicurezza su questo affare? La storia dell'affare Lockheed, la verità si questo affare è tutta probabilmente scritta in quei dossier.

Infine Pannella si rivolge direttamente alle forze politiche, ai comunisti, ai socialisti, personalmente a La Malfa. Fino a quel momento i comunisti hanno difeso in blocco l'operato dell'inquirente, respingendo ogni ipotesi di allargamento delle indagini.

I socialisti hanno deliberato addirittura in direzione di non associarsi alla richiesta radicale di un supplemento di istruttoria a termine, con la motivazione assurda che bisogna evitare rinvii e insabbiamenti. Uguale l'atteggiamento dei repubblicani. Pannella dice di poter comprendere le preoccupazioni dei comunisti di fronte alla difficoltà della situazione politica, di fronte alla prospettiva di una crisi istituzionale al vertice dello Stato. Ma proprio di fronte a queste difficoltà e a questi pericoli, l'unica salvezza, l'unica possibilità di evitare la crisi, è proprio nel laicizzare la verità, nel metterla a disposizione della gente, nell'essere democratici fino in fondo, nel fidarsi del giudizio e del buon senso della generalità della gente. "Non dobbiamo costituirci anche noi in sacerdoti della verità, accanto ai "sacerdoti" dei servizi segreti e dei corpi separati".

Le reazioni dei partiti

I deputati radicali non si fanno illusioni sulla possibilità di trovare le cinquanta firme per attivare il supplemento d'indagini. Nondimeno il discorso di Pannella lascia il segno nei comportamenti politici e parlamentari in questa vicenda. I repubblicani e i socialisti si riuniscono a lungo. La linea che emerge e alla quale i radicali si uniformeranno è quella di concludere con il voto il dibattito sull'incriminazione di Gui e Tanassi, ma di riprendere e approfondire le indagini in ogni direzione se ce ne sono gli elementi. I repubblicani propongono una commissione d'inchiesta sulle forniture militari. I socialisti qui e lì, in dichiarazioni, in corsivi dell'Avanti! chiedono tutta la verità. I comunisti insistono invece sulle loro posizioni: indagherà il giudice ordinario, può ancora indagare l'inquirente, può indagare (e non è vero) la Corte Costituzionale.

Rinvio a giudizio di Gui e Tanassi, riapertura dell'istruttoria

Il gruppo radicale utilizza allora un altro articolo del regolamento: quello che da la possibilità a ogni deputato di presentare denunce al Presidente della Camera. Presentano a Ingrao una lunga e dettagliata denuncia, quella che pubblichiamo qui integralmente. Il primo nome che vi compare è quello di Giovanni Leone. Il primo capo d'imputazione è quello di associazione per delinquere. Il giorno dopo l'intervento di Pannella, Mellini può dare notizia in aula della presentazione della denuncia, in apertura del suo discorso.

Ingrao il pomeriggio stesso comunica di aver trasmesso la denuncia al Presidente della Commissione Inquirente. Esistono ora le premesse anche formali per quella riapertura dell'istruttoria che è stata per dieci giorni l'obiettivo - l'unico, reale obiettivo - dell'azione radicale, perché si arrivi a conoscere e comprendere tutta la verità. Martinazzoli parla di "tempi lunghi". Ma ormai perfino dal Quirinale, che il giorno prima aveva parlato di "volgarità" e di "polverone" sollevato dai radicali, procurandosi un attacco della "Voce Repubblicana" (un intervento repubblicano in difesa dei radicali non si registrava da anni), è costretto a sollecitare un rapido accertamento della verità. Tempi brevi, dunque.

La DC fa quadrato. Il vero capo di questo regime, Aldo Moro, il presidente del Consiglio degli "omissis" del "caso De Lorenzo", invita tutto il partito a fare quadrato intorno a Gui e Tanassi. Nel discorso di Saragat, Tanassi, l'"homunculus" dei sarcasmi dell'ex presidente della Repubblica, diventa un perseguitato politico. Sono le ultime battute del dibattito. Poi la votazione su Gui e Tanassi. Il loro rinvio all'Alta corte di Giustizia. Poteva essere, questo voto, la chiusura definitiva del procedimento intorno a una scelta di comodo. Può invece essere la premessa di una azione che vada a fondo. Per i radicali questa battaglia non si è ancora conclusa. Ne tenga conto chiunque pensasse che i tempi brevi devono servire a chiudere di nuovo tutto in gran fretta, con mezze verità e verità di comodo.

 
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