Radicali.it - sito ufficiale di Radicali Italiani
Notizie Radicali, il giornale telematico di Radicali Italiani
cerca [dal 1999]


i testi dal 1955 al 1998

  RSS
sab 23 nov. 2024
[ cerca in archivio ] ARCHIVIO STORICO RADICALE
Archivio Partito radicale
Teodori Massimo - 20 marzo 1977
Dall'»area socialista alle iniziative socialiste
di Massimo Teodori

SOMMARIO: Con la nuova classe dirigente emersa dal congresso del Midas il PSI non cambierà, ma rimarrà uguale a sè stesso. E' necessario creare una nuova area socialista alternativa al PCI.

(ARGOMENTI RADICALI - BIMESTRALE POLITICO PER L'ALTERNATIVA - anno I, n. 1, aprile-maggio 1977)

Molto si è parlato nel recente passato di »area socialista per indicare quell'insieme di energie militanti ed intellettuali e quelle iniziative non direttamente organizzate nel PSI, che avrebbero potuto costituire il potenziale retroterra di espansione di un movimento di ricostruzione e di rinascita socialista. Anzi, tutti i discorsi e le ipotesi che ruotavano intorno alla questione dell'alternativa in Italia, nel 1974 e 1975, partivano dalla necessità di mettere in moto un movimento socialista, qualitativamente e quantitativamente rinnovato, che costituisse l'altro polo ideale e politico necessario affinché, insieme a quello comunista, si potesse formare uno schieramento contrapposto alla Democrazia Cristiana ed al suo sistema di potere.

Alla luce degli avvenimenti dell'ultimo anno, in particolare del congresso del PSI (marzo 1976), delle elezioni del 20 giugno, del mutamento del vertice del PSI al Midas (luglio), e della politica svolta nei confronti del governo delle astensioni, è opportuno valutare se ha ancora un senso, o lo stesso senso, parlare oggi di area socialista e della ipotesi politica che essa rappresenterebbe.

Pur se »area socialista è stato, da sempre, un concetto ambiguo essendo adoperato con significati diversi, sino ad un anno fa esso stava a significare per lo più che il PSI non era in grado di esprimere e rappresentare, sotto la direzione immobilista e rinunciataria di De Martino e del regime correntizio, quanto di socialista si muoveva nel paese. Alcuni citavano le molte esperienze di base dal modulo non centralizzato, altri facevano riferimento ad entità organizzate da cui potevano sprigionarsi apporti socialisti (il movimento cristiano, ed in particolare una sua certa ala sindacale), altri ancora vedevano nei movimenti per i diritti civili il segno di una presenza socialista nella società che il PSI era incapace di cogliere. V'era poi il dato certo dell'unica entità politica organizzata e capace di promuovere battaglie socialiste e libertarie, costituita dal PR e dalle iniziative specifiche e unificanti che esso metteva in moto. Il referendum del 12 maggio 1974 era stato il segno rivelatore agli occhi de

lla pubblica opinione e del mondo politico dell'esistenza di un »partito del mutamento nella società civile a cui occorreva dar forma con un »progetto socialista attraverso l'iniziativa soggettiva.

L'associazione »Azione e Ricerca per l'Alternativa (ARA) della quale molti di noi - radicali, socialisti, indipendenti - fummo promotori nell'autunno 1974 e che è stata attivamente impegnata in iniziative convegni e pubblicazioni, rappresentava in questo quadro al tempo stesso un gruppo di pressione prodotto da quel clima ed un attivo protagonista per la rottura di cristallizzazioni e parrocchialismi. Non deve dunque meravigliare il costante e riconosciuto successo di attenzione e di partecipazione conseguito dall'ARA durante le sue stagioni di attività, in quanto l'associazione si era dimostrata capace di promuovere un'inversione di tendenza ed un'auto-organizzazione delle energie stagnanti nell'intera area socialista. Del resto l'ARA non era stata sola: la ripresa di circoli e gruppi interni ed esterni ai partiti, il »comitato di iniziativa per un programma socialista di Milano, l'»Associazione progetto socialista di Roma di carattere esclusivamente di studio, e la stessa »Lega socialista per i diritti

e le libertà civili XIII Maggio di Pannella, erano stati tutti segni, se pure di carattere assai diverso, di speranze e tentativi dei »cento fiori verso una sorta di costituente socialista.

A nostro avviso, però, quegli elementi che avevano permesso di ipotizzare il potenziale dell'area socialista come era allora concepita, in una situazione relativamente non assestata e quindi suscettibile di essere soggetta ad iniziative di aggregazione, di rimescolamento delle carte e di rinascita, non esiste più nei termini e nei fattori che la determinavano in passato.

Il congresso socialista un anno fa dimostrava il fatto, poi convalidato dal corso degli eventi successivi, che la unanime scelta alternativa della classe dirigente socialista era una scelta tutta verbale non sostenuta e non realizzata da azioni discriminanti continue e radicate di una politica per l'alternativa, giorno per giorno. Le elezioni del 20 giugno indicavano successivamente, prima ancora che nei risultati negativi per il PSI e positivi per il PCI, con l'accaparramento degli indipendenti da parte comunista, ritenuti da molti simbolicamente appartenenti all'area socialista e a quell'intellighenzia socialista pronta ad essere chiamata a nuovi compiti, che di fatto questi elementi né erano disponibili nella realtà né rappresentavano un simbolo di una più larga volontà o indirizzo politico in senso socialista.

Ma, soprattutto, il cambio di guardia del Midas, con la presa delle leve del PSI da parte dei colonnelli quarantenni (Craxi, Signorile, Manca, e poi Landolfi, Cicchitto, De Michelis), era segno non già di una apertura socialista ma di una sua chiusura. E perché? Per il fatto che il nuovo gruppo dirigente si mostrava di fatto ben più abile ed efficiente all'interno del partito di quanto non lo fossero i notabili che li avevano preceduti, orientando tuttavia le proprie energie in una visione completamente introversa del partito, per il suo controllo e il suo assestamento interno, invece che verso la ricostruzione di una politica, e conseguentemente di una immagine politica, di autonomia nella sinistra e di iniziativa nei confronti del PCI e dell'avversario democristiano.

Il PSI, dopo il Midas, era sì più giovane, meno sgangherato, più capace di controllare il partito, ma assolutamente inerte, e più di una volta opportunista, nella scena politica del paese, non diversamente da come lo era stato precedentemente. Se l'inerzia demartiniana e la politica di potere manciniana liberavano ai margini del PSI ed in una parte della sua base, energie suscettibili di combinarsi con energie all'esterno del PSI per un processo di rinascita, il PSI craxiano assorbiva nei nuovi organigrammi di potere tutti i margini di insoddisfazione e tutte, o quasi tutte, le energie di rinnovamento. Se, prima del Midas, si poteva sperare in una nuova classe dirigente che portasse con sé una nuova politica, dopo il Midas non rimaneva alcuna classe dirigente disponibile ad un futuro ricambio.

E' assai probabile che questo PSI, uscito da quello che non a caso era stato null'altro che una rivolta di palazzo, e non già un processo di rigenerazione e di ricambio politico, rimarrà - per classe dirigente, per abitudini politiche, per comportamenti prima ancora che per scelte dichiarate - uguale a se stesso per molto tempo nel futuro. Ed anche quella presunta opposizione che sembrava trasparire durante il colpo del Midas e si riconosceva in Antonio Giolitti, in realtà finiva ben presto per rivelarsi quella che effettivamente era: un pallido stato d'animo senza capacità di iniziativa, di battaglia politica, senza la forza e la voglia di proporsi in nessuna maniera come punto di riferimento di una iniziativa politica effettivamente realizzata.

Dall'estate ad oggi il PSI ha convalidato, quasi senza eccezioni, il suo nuovo immobilismo. La sua immagine, insieme alla realtà, è scomparsa ancor più di prima dalla scena di fronte alla progressiva saldatura con il compromesso storico di comunisti e democristiani: in parlamento e nel paese si è quasi perso traccia della presenza socialista. Sarebbe un facile esercizio mettere in fila una serie di assenze, o, peggio, di scelte politiche in direzione completamente opposta a quella del rinnovamento e dell'autonomia. Evochiamone solo le più clamorose: l'accettazione del governo delle astensioni come preludio al compromesso storico; la prolungata attenzione al cosiddetto »caso Gullo segno della qualità del dibattito interno del PSI; l'accodamento all'impostazione del PCI sull'aborto per una legge burocratica sulla testa delle donne e del movimento femminista; la mancanza di proposte qualificanti su tutta la questione delle misure economiche congiunturali e della riconversione industriale; il voto a favore dell

o scagionamento di Rumor per la Lockheed.

Non ha dunque più senso parlare di area socialista, se questa significava mobilità interna socialista insieme a iniziative esterne su una politica di autonomia e di alternativa. A meno che non si voglia ridurre, come qualcuno già pensa, la questione dell'area socialista ad una specie di assorbimento del PSDI post-Tanassi nel PSI e ad un fronte con i repubblicani. Ma questa scelta si muoverebbe nella tradizione, non troppo nobile, che va dalla »unificazione del 1966 all'assorbimento del MUIS ampiamente propagandato alle elezioni politiche 1976 nel mentre si rifiutava un'alleanza politica con il Partito Radicale. E' vero che l'occupazione spontanea da parte dei militanti della direzione romana del PSI e la successiva assemblea nazionale di base nata dalla protesta per l'atteggiamento su Rumor (marzo 1977) hanno significato e confermato la permanente disponibilità della base socialista ad un atteggiamento militante e di fermezza politica e comportamentale che contraddice le scelte negative e le omissioni del p

artito, ma si è trattato di fermenti che non possono acquistare peso se non riescono a costruire un riferimento su una linea d'azione e su una leadership politica.

Si deve dunque dare definitivamente perduta ogni speranza di ricreare un polo socialista a sinistra capace di affiancarsi a quello comunista? E si deve disperare della possibilità di tradurre in progetto politico ed in sbocco politicamente organizzato quel potenziale di rinnovamento in senso socialista che si seguita ad intravedere nella società? Se la risposta fosse negativa, credo che sarebbero buie le prospettive politiche del nostro paese, non solo per chi fa riferimento alla tradizione e alla politica socialista, laica e libertaria, ma per la sinistra intera che, con la sola componente comunista fortemente egemone, finirebbe inevitabilmente per andare verso il fallimento storico, o verso un regime democratico-nazionale-sociale di cui analizziamo le caratteristiche altrove (vedi "Radicali e Comunisti: le ragioni vere del conflitto").

Per noi la risposta è che la questione socialista rimane centrale allo sviluppo di tutta la sinistra ed è il nodo attraverso cui passa qualsiasi prospettiva non rinunciataria. E' tuttavia necessario affermare che la questione dell'area socialista (cioè del come invertire la tendenza alla scomparsa, alla marginalità politica delle forze socialiste) si pone oggi, ancor più di ieri, in termini diversi. Non vi sono infatti molte probabilità di liberazione di energie all'interno del PSI, per come il partito si è configurato. E non è realisticamente fondato ipotizzare operazioni di aggregazione, di individuazioni di astratte »componenti , di calcoli a tavolino, di ingredienti che esisterebbero in attesa da qualche parte.

Il primato, nella situazione attuale di stabilizzazione del sistema politico, è solo ed esclusivamente dell'iniziativa politica. In questa accezione occorrono sì »progetti socialisti , ma come progetti di azione e di mobilitazione e non già come progetti che sono dei disegni di quello che dovrebbe essere l'alternativa: programmi cioè si configurano come programmi di azione, e non programmi di gestione o piccole utopie tecnocratiche, magari riviste alla luce dei newlooks culturali, socialisti e autogestionari, così come ieri erano pianificatori.

Solo intorno a singole battaglie, specifiche se necessario, legate tra loro da una medesima impostazione ideale e da una comune strategia politica, quella dell'alternativa, si possono creare vincenti progressi di rinascita socialista e si può dare corpo politico all'area socialista. Allora essi avranno la forza di coinvolgere inevitabilmente i socialisti del PSI pena la definitiva marginalizzazione del partito, e i socialisti dell'area socialista, se ce ne sono, e dove ce ne sono; ma anche i socialisti che hanno guardato o votato il PCI e quei socialisti del movimento, attanagliati dalla disperazione dell'inerzia e della mancanza di alternative al ribellismo o al particolarismo, oltre, naturalmente, i socialisti del Partito Radicale, che dell'iniziativa puntuale hanno fatto proprio il metodo di azione strategica.

 
Argomenti correlati:
psi
ara
stampa questo documento invia questa pagina per mail