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Teodori Massimo - 20 marzo 1977
RADICALI E COMUNISTI: LE RAGIONI VERE DEL CONFLITTO
di Massimo Teodori

SOMMARIO: Perenne diversità di posizioni tra PCI e PR. Con il compromesso storico il PCI deve controllare ogni fenomeno sociale che possa turbare il precario equilibrio stabilito con il governo delle astensioni e quindi ogni inziativa, come quelle radicali, che voglia mutare il quadro istituzionale appare come destabilizzante ed eversisa. La politica radicale è colpevole di portare le istanze sociali direttamente nelle istituzioni senza consentire la mediazione dei partiti ed in particolare del Pci; la strategia dei diritti civili è alternativa alla visione dello stato democratico-sociale-popolare del Pci. Il PCI può mutare linea solo se spinto da un'altra forza di sinistra. Il progetto referendario radicale tende a saldare tutte le spinte di opposizione al regime consociativo e rischia di far esplodere le contraddizioni del Pci.

(ARGOMENTI RADICALI - BIMESTRALE POLITICO PER L'ALTERNATIVA - anno I, n. 1, aprile-maggio 1977)

Le polemiche che hanno contrapposto nell'ultimo periodo radicali e comunisti - si può datare la nuova serie di scontri a partire dalla campagna elettorale del maggio-giugno 1976 - non trovano la loro vera radice nella soggettiva volontà polemica delle due parti, e tanto meno in singoli comportamenti »provocatori di parte radicale che semmai hanno rappresentato lo spunto accidentale che ha innescato di volta in volta il fuoco. A me pare che queste polemiche abbiano radice non tanto e non soltanto nella contrapposizione ideale e politica che pure esiste, quanto in una serie di nuovi fattori scaturiti nell'ultimo anno, da un lato nelle mutate condizioni di base della politica dei radicali e della sua realizzabilità, e dall'altro nella politica del PCI di fronte al paese nel suo concreto farsi giorno per giorno.

Certamente i motivi antichi e permanenti che già nel passato di questo trentennio opposero uomini e posizioni della democrazia radicale a comunisti continuano ad esistere. E basterebbe ricordare i corsivi di Togliatti su »Rinascita recente - mente ripubblicati (Palmiro Togliatti, »"I corsivi di Roderigo" . De Donato, 1976. In particolare vedi: "Socialismo liberale, Lettera a Vittorini, Gaetano Salvemini, Ernesto Rossi, I comunisti e la democrazia, In tema di libertà, e Ancora sul tema della libertà, Il PCI e le terze forze") in cui il leader del PCI polemizzava aspramente (del resto ampiamente ricambiato) con Gaetano Salvemini, Elio Vittorini, Ernesto Rossi, Norberto Bobbio, e con la nascita del primo partito radicale nel 1956, per comprendere come ci sia nella sostanza una continuità di polemica tra posizioni diverse, da allora ad oggi. Ma la differenza reale tra le due epoche è che allora - venti, trenta anni or sono - si trattava per lo più di polemiche politico-culturali, mentre oggi sono soprattutto al

cuni dati politici nuovi a riproporre all'ordine del giorno quel confronto che è piuttosto riconducibile ad un nodo che Giuliano Amato metteva tempo fa in risalto dalle colonne di »Panorama . A proposito del modo di intendere il pluralismo, Amato scriveva: »osservano i critici del PCI che il pluralismo di questo si coniuga ancora con il centralismo democratico e non osa abbandonare quel "principio di unità" che è il richiamo della foresta di quanti posseggono verità già note da prima. Il pluralismo è fiducia nel dissenso organizzato e questa l'hanno coloro che dall'esercizio del dissenso si aspettano di imparare ciò che prima non sapevano. Ai comunisti, pensano molti, ci si può unire, non ci si può confrontare con loro per cercare insieme la strada migliore. Loro la conoscono già .

I NUOVI DATI POLITICI

I nuovi dati (comunisti e radicali), maturati tutti nella recente stagione politica, possono essere schematizzati nel modo seguente. Per ciò che riguarda il PCI e la politica del suo gruppo dirigente:

a) "il mantenimento ad ogni costo del governo Andreotti". In una intervista a »Rinascita del dicembre 1976 Berlinguer dichiarava esplicitamente: »i problemi di questa natura [la crisi] non si risolvono mettendo in crisi il quadro politico del 20 giugno, ma solo spostandolo in avanti ;

b) la crescente tendenza comunista, nel mantenimento di questo quadro politico, di accentuare la "funzione di controllo sociale" (sindacati, tensioni per i diritti civili, università, ceti marginali, istituzioni totali, ordine pubblico);

c) "l'opera di allargamento delle gestioni cosiddette »democratiche ", cioè lottizzate, di ogni istituzione politica, sociale, economica, e culturale del paese. Mentre il PCI tende a mantenere il quadro politico, si allarga l'insediamento sociale comunista e la gestione di aree di potere. Vedi: Rai, enti di stato, stampa, assemblee elettive, università, decentramento in funzione di integrazione della partecipazione;

d) la creazione di condizioni obiettive per far divenire indispensabile un "governo di emergenza". Ha affermato Amendola in una intervista all'»Europeo : »E' necessaria una lotta per far maturare le condizioni di un governo di emergenza ; altrimenti, si andrebbe a nuove elezioni;

e) l'"oggettivizzazione della crisi economica" non solo come dato reale ma anche come coscienza politica che legittimizza lo stato di crisi e ne accelera una soluzione politica;

f) l'"eliminazione di qualsiasi movimento e iniziativa a sinistra", che possa offrire punti di riferimento a chi rifiuta la strategia dell'inserimento e, semmai, la sua criminalizzazione;

g) l'affermazione contestuale del concetto di un PCI "come forza pluralista" che risolve in sé tutte le spinte e le tensioni per trasformare la società.

Per quanto riguarda i radicali, in nuovi dati possono così riassumersi:

a) il "risultato positivo elettorale" con il superamento, per la prima volta nel dopoguerra da parte di una forza nuova, della barriera per entrare in parlamento;

b) il costante allargamento ed espansione della linea dei "diritti civili" in termini pratico-politici;

c) "la crisi delle formazioni extraparlamentari", in particolare del PDUP, e di quasi tutte le situazioni dei gruppi politici nati dal » 1968 . Berlinguer ha detto: »le formazioni estremiste si trovano all'apice della loro crisi . A questa situazione corrisponde la non-crisi radicale;

d) "l'iniziativa continua e pressante dei radicali in Parlamento";

e) la concreta possibilità di attivare e "dare sbocco politico alle tensioni del paese" attraverso la strategia referendaria;

f) a fronte della crisi per ciò che riguarda gli sbocchi politici dei movimenti nati dal '68, la corrispondente "crescita dei gruppi situazionali" che trovano nella strategia e nel modo di far politica radicale un possibile punto di riferimento.

GOVERNO ANDREOTTI, GOVERNO D'EMERGENZA, COMPROMESSO STORICO

Non sono dunque ragioni marginali e soggettive quelle che hanno fatto sorgere e svilupparsi la polemica tra comunisti e radicali. Sbaglierebbe chi attribuisse al caso di singoli personaggi gli scontri in parlamento, nella stampa, in quelle assemblee elettive e negli altri organismi in cui i radicali si trovano ad essere presenti. Ma, proprio perché si tratta di un conflitto che ha radici lontane e profonde vale la pena di esaminare la questione con la massima analiticità. Solo con la consapevolezza delle ragioni dello scontro e del suo contesto è possibile per dei radicali affrontarlo con forza, senza contrapporre a invettive propagandistiche atteggiamenti ripetitivi e sloganistici e senza far assurgere a dottrina figure polemiche di un giorno.

Sul piano immediato per quanto riguarda il "mantenimento del governo Andreotti", i comunisti temono qualsiasi iniziativa, per piccola che sia, che possa rompere il precario equilibrio stabilito con il governo delle astensioni. Il PCI sa benissimo che l'equilibrio conquistato può essere messo in questione quasi esclusivamente da fenomeni di ordine sociale giacché nel sistema politico-partitico e nel parlamento, che di quel sistema politico è per lo più la cassa di risonanza, non ci sono né pericoli né iniziative. Il PCI teme invece tutto ciò che proviene da fenomeni sociali (tutta la vicenda dell'Università di Roma, l'intervento di Lama, poi l'autocritica, e quindi il tentativo di inserimento nel movimento degli studenti, lo conferma). Da cui l'estrema attenzione e la funzione di controllo che è tornato ad attribuire ai sindacati, in particolare ai propri uomini in essi. Le iniziative radicali possono inserirsi in questo quadro assai fragile. Le nostre azioni non hanno certo la capacità del rifiuto, per esemp

io di parte sindacale, o di parte operaia con la relativa pressione sui sindacati, di bloccare il salario o la scala mobile, o di portare a compimento altre forme di controllo sociale; né hanno l'effetto dirompente nell'immediato di rivolte tipo quella degli studenti, ma finiscono per avere sempre più spessore e più capacità di presa nel tempo, proprio per la loro durata, per la gestione politica, e per il fatto di tradursi costantemente in progetti di mutamento istituzionale.

Tutte le iniziative radicali sono di tale qualità e si inseriscono in tale linea, definita appunto destabilizzante: destabilizzante cioè rispetto a quel quadro attuale che si ritiene non solo l'unico possibile, ma anche il »più avanzato possibile. Di qui l'equivalenza che è stata fatta e si tenterà sempre più di accreditare: destabilizzazione = avventurismo = alleanza obiettiva con la destra.

Rispetto alla seconda fase prevista, al dopo-Andreotti, quando, come sostiene il PCI, saranno mature le condizioni per un governo di emergenza, l'azione radicale è necessariamente più pericolosa di quanto lo possa essere ancora oggi. Infatti facendo buona l'ipotesi di un "governo di emergenza", esso non significherebbe sacrifici economici e controllo sociale in cambio di potere politico. Significherebbe invece un tipo di saldatura al vertice che richiederebbe, in nome dell'interesse nazionale, un esercizio assai stretto del controllo sociale. Allorché i democristiani considereranno che l'attuale formula non è più sufficiente per contenere le spinte sociali, è possibile in questo scenario che si arrivi a una qualche formula di associazione del PCI nello stesso esecutivo (da ultimo ipotizzato attraverso la fase di un governo con l'inserimento di »tecnici graditi alla sinistra), ma solo al fine di associare la forza popolare comunista al controllo e, se necessario, alla repressione popolare. Ed il PCI, pur di

arrivare per questa strada indolore al governo del paese, tenterà di esercitare fino in fondo il ruolo che la DC eventualmente gli assegnerebbe. Il governo di emergenza sarebbe ancor più del governo delle astensioni, un governo che deve chiedere sacrifici, esercitare controllo, tenere la disciplina. Ed allora tutta la società politica si troverebbe unita "sopra" la società civile ed identificata nello Stato; e l'azione radicale che tende a esprimere la società civile o una parte di domande della società civile, sarebbe ancor più vista in chiave destabilizzante, questa volta non più di un precario equilibrio intorno alla società politica ma della intera società politica.

Il "compromesso storico", ultimo stadio della strategia del PCI (un processo che è sì vero essere in atto, ma che ha bisogno di un'ulteriore suggello anche formale), da processo si farebbe assetto, il giorno in cui il sistema dei due partiti dominanti e convergenti portasse alle sue estreme conseguenze il dato della convergenza oltre a quello della dominanza. Val la pena di aggiungere a questo proposito che se fino a ieri rispetto a questa formula potevano essere formulate diverse interpretazioni e potevano nascondersi fenomeni differenti (per esempio: l'incontro con le masse popolari cattoliche, l'incontro con i »cattolici democratici , l'incontro con i cattolici in quanto cattolici, ecc.), certamente dopo il 15 giugno '75 e il 20 giugno '76, la realtà delle situazioni politico-elettorali non lascia oggettivamente adito a dubbi. Prima si poteva ritenere che il PCI guardasse effettivamente alle »grandi tradizioni di cultura politica di massa del paese come quelle su cui fondare un regime popolare-nazionale-

democratico, ma oggi dalla DC sono ormai usciti quei voti a sinistra considerati per la maggior parte sociologicamente popolari. Il PCI stesso non si preoccupa più di lavorare a ridosso della DC magari per arrivare ad un accordo costringendola attraverso il suo ridimensionamento, ma piuttosto di mantenerla così com'è quale polo moderato del paese. Osserva giustamente Carlo Donolo in »Quaderni Piacentini : Appare evidente che il compromesso non viene fatto con la DC in quanto portatrice di valori e interessi popolari, ma in quanto sistema di potere; [tra le ragioni c'è] il fatto che si riconosca che il blocco degli interessi intorno alla DC è tale che essi non possono essere lesi, e che occorre ridimensionarli gradualmente lasciandone nel frattempo la gestione alla DC, che in questo senso è un fattore di stabilizzazione e continuità nella ricomposizione del blocco sociale . ("Quaderni Piacentini", n. 60-61, 2· semestre 1976). Il compromesso storico sarebbe pertanto la istituzionalizzazione al suo estremo stad

io di un sistema politico che si identifica con lo Stato quindi »uno stato di partiti, non liberale, ma sociale e popolare .

Ebbene, la politica dei diritti civili è precisamente l'opposto dello »stato dei partiti , dello stato sociale e previdenziale, della tutela dell'ordine attraverso la istituzionalizzazione di classi, gruppi situazionali, strati sociali comunque definiti e il loro riconoscimento in quanto entità costituite con le loro organizzazioni di massa ed i loro istituti. Non so se, come dicono Pizzorno e Collettivo quando i comunisti hanno tirato fuori la questione del "pluralismo", avessero in mente, per consonanza, la tradizione pluralistica di matrice cristiana ("Pluralismo, appunti", edizioni RAI, pp. 89 e 248). Ma certo è che la pratica pluralista che i comunisti hanno messo e stanno mettendo in atto si riferisce non già alla possibile organizzazione del dissenso, ma all'organizzazione della pluralità delle istanze sociali in dati istituzionali organizzati, da ricondurre ad unità attraverso il partito e la sua funzione egemonica. Questo potrebbe far pensare, se si supera la strumentalizzazione del discorso plurali

sta, che la società pluralista a cui pensa il PCI sia tutta centrata sulla pluralità delle rappresentanze politiche di diverse componenti sociali alle ricerca di un equilibrio da reciproco riconoscimento e cooptazione. Insomma una democrazia politica che potremmo definire »sociale , con un termine assai ambiguo, e che non per nulla ha profonde connotazioni nella tradizione cattolica.

SOCIETA' CIVILE, SOCIETA' POLITICA, STATO

I radicali, prima e al di là delle singole battaglie, hanno costantemente ispirato ed ispirano la propria azione al principio della separazione necessaria tra società civile e società politica e tra questa e lo Stato. Che cos'è, per esempio, la difesa da regolamentazioni dell'aborto o di qualsiasi altro diritto personale o interpersonale, se non la riaffermazione pura e semplice dell'autonomia della società civile dello Stato? E che cos'è il rifiuto di questo finanziamento dei partiti se non il rifiuto che le parti politiche, espressioni di interessi materiali o di correnti ideali, siano organi dello Stato mentre rivendicano l'autonomia di appartenenza al sistema politico? E che cos'è altro la rivendicazione dei referendum come strumento, se non l'espressione di una volontà per una maggiore possibilità di intervento dell'autonoma sfera della società civile sullo Stato senza necessariamente e totalisticamente dover passare attraverso la società partitico-politica? Questi esempi potrebbero proseguire a iosa. I

nteressa piuttosto capire ulteriormente la natura del conflitto comunisti-radicali.

Si affermava sopra che di fronte al costruendo equilibrio verso il perfezionamento del compromesso storico, dati i risultati del 2 giugno (due partiti dominanti e convergenti, indebolimento delle altre componenti quali il PSI e gli extraparlamentari di origine marxista della cosiddetta area rivoluzionaria, DP), ciò che solo può mettere in crisi il nuovo ordine in formazione sono soprattutto fermenti della società civile. Ma la società civile, di per sé, non si esprime, se non attraverso movimenti, canali, iniziative che diano voce a contraddizioni in atto o potenziali.

Ebbene, la pericolosità radicale per il PCI e le ragioni del conflitto devono quindi essere rintracciate proprio qui. Dopo il '68 il PCI, che fino ad allora aveva saggiamente amministrato il suo peculio di grossa opposizione democratica, si è dovuto porre come problema centrale il rapporto con la nuova domanda proveniente dalla società civile, con quel »partito del mutamento che non si esprimeva più se non in piccola parte nelle istituzioni politiche e sindacali tradizionali. Rispetto a questa domanda il PCI di volta in volta ha assolto una di queste tre funzioni, separatamente o in combinazione: a) canalizzazione istituzionale del movimento e sua rappresentazione; b) controllo sociale; c) repressione. Così da quando il movimento, inteso nel senso più ampio del termine, si è andato smorzando, lo sforzo del PCI è stato, e con successo, di rappresentare istituzionalmente la spinta del mutamento proveniente dal movimento colpendo ed evirando tutti coloro che potevano esprimere direttamente le istanze del movim

ento stesso o avevano ambizione di dargli uno sbocco nella società politica nell'ambito di un progetto strategico generale.

Sappiamo che il progetto di costruire »il partito - o i partiti - del movimento sono tutti falliti. Le vicende che da ultimo hanno colpito il PDUP sono il segno che anche i gruppi che erano riusciti a raccogliere energie intellettuali non trascurabili non hanno avuto successo. Non ne analizziamo qui le ragioni. Quello che interessa è invece individuare nel fatto particolarissimo dei radicali che sono al tempo stesso suscitatori di movimento nell'area dei diritti civili e capaci di esprimerlo direttamente nella società politica e nelle istituzioni con puntuali iniziative, in questo fatto tutto particolare cioè di non essere né partito movimentista né partito politicista, le ragioni profonde degli strali comunisti. Agli occhi del PCI, per quel che riguarda le vicende di ogni giorno, la politica radicale è colpevole e quindi deve essere combattuta principalmente per due motivi: primo, perché istanze e domande di movimento o di contraddizioni della società civile vengono portate direttamente nelle istituzioni,

hanno cioè uno sbocco politico non mediato dal PCI stesso; secondo, perché queste lotte che nascono da singole contraddizioni tendono a legarsi in una generale strategia - quella dei diritti civili - che per la sua stessa natura è alternativa alla visione dello stato democratico-sociale-popolare.

TUTELA SOCIALE CONTRO I DIRITTI CIVILI

Questa chiave di interpretazione non è ovviamente né l'unica, né quella che esaurisce tutte le ragioni del conflitto comunisti-radicali. E' tuttavia, mi pare, la principale, in questo momento politico. C'è anche il fatto che il PCI vorrebbe, in ragione del suo patrimonio teorico, che gruppi e forze politiche fossero sempre e solo interpreti meccanici di strati e gruppi sociali; hanno sempre detto: »voi radicali rappresentate la borghesia progressista , così come dicono ai socialisti: »voi rappresentate una parte del ceto medio . Tale discorso, qui ricondotto alla sua brutale schematicità, è un discorso che assume che i comunisti rappresentino la classe operaia, la quale, in quanto tale, deve essere egemone. Quindici anni fa, al tempo del vecchio partito radicale, quando nel 1960 si fece un'alleanza tra socialisti e radicali, anche nelle file del partito di allora si tendeva ad accettare questa visione paleomarxista delle analisi e delle alleanze di classe e quindi ad interpretare quella alleanza di allora co

me quella tra una forza proletaria e la borghesia intellettuale. E' quanto, in altri termini, tende a fare anche gran parte dei gruppi raccolti in Democrazia Proletaria. Quante volte si è sentito dire dai comunisti, da pduppini e magari perfino dai socialisti: i radicali sono borghesi, piccolo borghesi, rappresentano istanze borghesi, ecc. Queste non-analisi partono da moduli logori del modo di pensare e non riescono a porsi il problema del significato originale della presenza radicale che si lega, in termini di contraddizioni sociali, di interessi, di soggetti politico-sociali, a fatti del tutto nuovi e profondamente diversi da quelli che i paleomarxisti, per deficienze teoriche, ed i comunisti, per calcolo politico, vogliono accreditare.

La verità è che, pur nel limitato fenomeno politico e politico-elettorale che il PR rappresenta, esso non è il prodotto di una borghesia liberale (se pure ancora esiste da qualche parte) così come non è neppure una cosa che ormai si tende a dire e si tenderà sempre più ad affermare, il prodotto della »disgregazione sociale del paese. I radicali sono, io credo, oltre al prodotto di una forte e decisa iniziativa politica soggettiva, il risultato di fatti oggettivi. Quelli per i quali la società non può più essere letta semplicemente secondo schemi di classe, ma anche per schemi di gruppi cosiddetti situazionali i quali vivono contraddizioni ed esprimono esigenze in quanto partecipi di una certa situazione esistenziale o istituzionale. Riprendendo uno schema usato da Carlo Donolo, per gruppi situazionali ci si riferisce alle donne in quanto donne, ai giovani in quanto giovani, ai disoccupati in quanto disoccupati, ai membri di qualche istituzione totale o tendente ad esserlo e così di seguito, tanto che potrem

mo analizzare altre situazioni che determinano l'atteggiamento rispetto alla società e allo Stato a partire da una condizione specifica. In un modo o nell'altro sono tutti questi gruppi situazionali che si sono attivamente avvicinati alla politica negli ultimi dieci anni, e che sono entrati come protagonisti nella scena sociale di movimenti antiautoritari o per la trasformazione di singole istituzioni, avendo presa coscienza come le contraddizioni specifiche del loro partecipare ad una determinata situazione potevano essere politicamente socializzate e aggregate.

Il PCI, di fronte a questa esplosione sociale, ha teso e tende a riservare a tali istanze uno spazio sociale controllato e controllabile, ma non già una rappresentazione istituzionale e politica diretta, giacché riserva solo a sé il ruolo di istituzionalizzatore generale del mutamento, in subordine alla strategia politica generale che viene prima di questo e non ne è il risultato. La »politica dei diritti civili , al contrario, tende non già, come taluni sostengono, ad individuare questi bisogni sul piano individuale disaggregando la compattezza sociale, ma a divenire l'unico strumento praticabile di aggregazione politica diretta e non mediata, di una società per altri versi senza molti momenti di unificazione. Alla »tutela sociale che viene proposta dai comunisti (vedi l'aborto, vedi il modo di intendere l'accesso alla RAI TV, il modo di concepire la riforma universitaria, ecc), specialmente nella versione della linea del compromesso storico, in cui si tende a risolvere tutti i nuovi conflitti situazionali

, prodotti non già dal capitale in sé ma attraverso la mediazione dello Stato e della sua crescente funzione, si contrappone in linea ideale e politica la »tutela del dissenso , la »tutela del diritto , che entra necessariamente in contrasto, sia come visione generale che come soluzione specifica, con la concezione comunista coniugata con quella cattolica dell'estensione della mano pubblica e dell'interventismo sociale.

Sappiamo che, ciò affermando, oltre all'accusa di essere agenti e prodotti della disgregazione sociale, può darsi spazio nei confronti dei radicali all'accusa di riproporre, via i diritti civili, una visione liberale dello Stato e della limitazione del suo intervento nella sfera sociale. Si deve perciò essere ben consapevoli che in nulla si ripropongono processi di riprivatizzazione di sfere della vita e della società ma, al contrario, si individua la linea della sperimentazione sociale che non ha bisogno dello Stato assistenziale ma solo della tutela degli strumenti affinché proprio nella sfera sociale possano essere portate avanti invenzioni sociali e istituzionali della società nuova. E' qui che la visione dei diritti civili si coniuga con una visione autogestionaria che non può che fondarsi sulla sperimentazione e non già sulla modellistica. E'questa la sostanza della nostra visione, quella del »partito-società , che era anche la visione del »partito-Stato , la forma a cui nonostante tutto il partito com

unista, non più leninista (ad eccezione che all'interno del partito) sicuramente tende, pur rappresentando esso stesso anche un »partito-società con la funzione tuttavia di integrare questo ruolo in quello di »partito-Stato .

LE CONTRADIZIONI DEL COMPROMESSO STORICO

Quello che è stato analizzato fin qui - le tendenze teoriche dietro le scelte quotidiane del PCI - appartiene alla storia stessa ed alla tradizione del movimento comunista italiano per lo meno dalla svolta togliattiana di Salerno in poi. Lo ha ricordato più volte Giorgio Galli quando ha messo in luce che fin dal dopoguerra il PCI ha pensato che ci fosse un modo per gestire le tensioni sociali per le trasformazioni che non fosse quello legato al modello della democrazia borghese, pur proponendosi costantemente di mantenere il sistema nell'ambito del capitalismo e cioè di »evitare gli scontri sociali esasperati e la frammentazione della tensione della quale la società italiana ha dato evidenti esempi dal '69 in poi, attraverso l'unità delle cosiddette forze popolari . Questo è il dato teorico e pratico da cui ogni discorso deve partire. Il PCI, tuttavia, accanto a questa caratteristica basilare è stato e rimane una grande forza politica che, lo sappiamo bene, raccoglie un terzo dell'elettorato del paese, è str

ettamente collegata alla società civile, deve registrare le spinte che da questa le provengono, ha una grossa dose di realismo politico anche per ciò che riguarda l'adattabilità della sua strategia. E' perciò che se non si può sopravalutare la possibilità di mutare le linee maestre della strategia comunista, non si può neppure sottovalutare l'influenza che fattori interni ed esterni al partito possono avere.

In primo luogo, tra i fattori esterni che hanno influenza sono le spinte della società civile; solo però nella misura in cui queste riescono ad esprimersi, organizzarsi, a diventare cioè politica. In secondo luogo v'è l'atteggiamento delle altre forze politiche (e sindacali) nella sinistra. In terzo luogo vanno richiamate le contraddizioni interne del partito che deve portare sulla linea generale una grande organizzazione di massa ormai non più omogenea. In quarto luogo vi sono le difficoltà esterne, gli ostacoli obiettivi che la sua strategia incontra nel paese nell'incontro con la DC e quindi la stessa possibilità obiettiva (si direbbero i »dati strutturali ) di realizzare il compromesso storico.

Quanto al primo punto (spinte della società civile) oggi certamente ve ne sono di forti (o anche sotto forma di semplici resistenze) nel movimento operaio, come ha mostrato l'atteggiamento sindacale di rifiuto di bloccare la scala mobile, mentre ancora non hanno preso corpo mobilitazioni sociali organizzate di strati marginali e di disoccupati, che sempre hanno gravi difficoltà a trovare punti di aggregazione sociale e politica. V'è poi il movimento dei diritti civili, dentro, accanto, in parte fuori (come nel caso del femminismo) il partito radicale. Tutto qui dipende, ancora una volta, da come comportamenti collettivi e tensioni situazionali diventano elementi in grado di pesare politicamente. E' questa la grande scommessa e l'ipotesi strategica che passa attraverso i referendum.

Per quanto riguarda le forze nel sistema politico, in base anche all'analisi del passato, è chiaro che soltanto nella misura in cui consistenti forze politiche (e sindacali) a sinistra si schierano e agiscono decisamente per strategie diverse dal compromesso storico, solo allora il PCI può essere forzato a mutare linea. Di qui la cruciale importanza di una nuova forza socialista. Senza di questa si può al massimo mettere qualche zeppa nel processo del compromesso. Ricostruire una forza socialista anche se minoritaria rispetto al PCI, ma ferma e decisa su una posizione alternativistica, non solo nella formula politica ma prima ancora nel contenuto della valorizzazione della autonomia e articolazione della società civile nei confronti del partito-Stato, è condizione preliminare a qualsiasi speranza di avviare un processo di mutamento del corso storico del PCI. Non occorre qui ricordare che proprio di tale natura è stato il processo avviato in Francia. In questo senso, si cominciano a scorgere alcuni segni, più

nei comportamenti socialisti al di fuori del partito che dentro, ma che risultano sotto ogni aspetto inadeguati e insufficienti. Mi riferisco, per esempio, al tipo di azione di Giorgio Benvenuto, pur ingabbiato in una UIL tutt'altro che sana e schiacciato dalla massiccia forza di unitarietà con le altre confederazioni, il quale si trova fortemente limitato nel potenziale di movimento, venendogli a mancare qualsiasi riferimento di strategia politica generale e di forza politica a cui far capo pur nell'autonomia di scelte sindacali.

Quanto alle contraddizioni interne ed intorno al PCI, direi che l'attuale corso è tutt'altro che rose e fiori. Non mi riferisco soltanto al conflitto e alla polemica tra, da una parte, Napoleoni e dall'altra gli economisti ufficiali del CESPE, pur non sottovalutando questo indizio di uno stato d'animo. Terrei invece d'occhio il malessere diffuso in alcune zone della base tradizionale comunista e la profonda disillusione che in questi mesi, dopo il 20 giugno, molti elettori che si aspettavano un mutamento a portata di mano, hanno provato di fronte alla politica delle astensioni, ad una situazione di stallo, al non avanzare della »grande forza di governo del PCI verso il potere, anche formale, e a un mutamento nella sua gestione. Ma anche a questo proposito non mi farei illusioni su questo potenziale di contraddizioni del PCI; giacché se queste non hanno modo di esprimersi politicamente rimangono a livello di stato d'animo e di malumore.

Infine, saranno probabilmente proprio le contraddizioni obbiettive del campo avversario, quello democristiano e del suo sistema di potere, a portare il maggior contributo all'inceppamento del compromesso storico; giacché al di là della obiettiva convergenza dei due partiti dominanti, sussiste una base strutturale che detta la necessità di apportare tagli a posizioni di privilegio sociale d'ampie fasce di ceti medi vissuti a ridosso dello Stato, che farà scoppiare quella ipotesi e quelle linee che sono state ipotizzate a livello della società politica e dello Stato. Certo, tutto ciò costituisce un punto interrogativo, tuttavia da non trascurare nella delineazione del quadro della sinistra e delle sue prospettive.

L'AZIONE RADICALE NELLA SOCIETA' E NELLE ISTITUZIONI

L'azione radicale è stata tale che si è collocata sia nelle spinte della società civile, sia nel sistema politico, sia nel quadro di una lotta istituzionale. Di qui le ragioni vere delle reazioni che essa ha suscitato. Il progetto referendario quindi, che tende a saldare tutti questi momenti, non solo ha le sue ragioni politiche specifiche, ma rappresenta sotto questo aspetto lo strumento oggi adeguato per accentuare tutte le contraddizioni di cui si è detto. Certamente non ce ne sono altri altrettanto efficaci.

E' chiaro che stante così la situazione a sinistra, l'azione radicale non può che essere, per il momento, che un'azione tesa a tenere aperti canali di intervento e comunicazione, in quanto non esistono le forze per passare da una strategia di rottura a una strategia di gestione. Ma tenere aperti i canali della lotta, nella società civile e in quella politica, e contemporaneamente portare contributi progettuali nell'area della ricostruzione socialista, significa creare i presupposti affinché le contraddizioni prima accennate possano allargarsi e quindi possa mettersi in moto un processo di ribaltamento di linea strategica a sinistra, realizzando nel frattempo quel progetto di attuazione di istituti di una repubblica autenticamente costituzionale che sono il presupposto di qualsiasi linea alternativa.

I FABBISOGNI FUTURI DI ENERGIA

Questa relazione, con i dati e la valutazioni forniti su comunisti e radicali, può essere percepita come un prodotto di riflessione teorica. In realtà, non lo è nelle intenzioni e non credo che lo sia nella realtà. Tutta l'argomentazione è centrata sulla visione alternativa che singoli atti e posizioni a lungo termine di comunisti e radicali sottendono. Sicuramente questo nodo non solo è oggi ma rimarrà in futuro uno dei motivi centrali del lavoro politico radicale nella scena della sinistra italiana. In questo senso è necessario che i radicali abbiano chiare a sé stessi non solo le ragioni che portano spesso ad assumere posizioni conflittuali all'interno della sinistra, ma anche le ragioni di fondo dell'accanimento comunista verso una forza emergente, affinché non si scambino dettagli e pretesti per motivazioni politiche.

Certamente la »diversità radicale dalla forza egemone comunista non esaurisce la questione del rapporto con la sinistra che è un rapporto necessario e vitale per qualsiasi azione radicale che non intenda chiudersi in se stessa.

L'altro nodo che deve essere affrontato e che non si può eludere è il modo in cui può costruirsi in prospettiva una "nuova forza socialista", la quale soltanto, con una presenza non marginale nel paese, può portare a compimento il progetto politico radicale. E prendere coscienza collettiva nel fuoco della lotta dei nodi politici che si presentano ai radicali, significa rafforzare la linea di crescita del partito nuovo.

Oggi è proprio l'importanza del progetto di attuazione costituzionale che i referendum propongono ed il modo in cui lo propongono, a richiedere di non ridurre il progetto a semplice raccolta di firme. La mancanza di punti di riferimento combattivi esterni al PCI, la situazione di impasse della sinistra tutta, il declino delle forze extraparlamentari marxiste, il dibattito aperto sulla nuova società e sul pluralismo (spesso pretestuosi ma pur sempre presenti), sono tutti elementi di una situazione politica che impone ai radicali di alzare il tiro dal particolare al generale. O, almeno, di rendere esplicito quel generale che è stato sempre alle spalle delle tante lotte effettuate in questi anni. I radicali si trovano a dover rispondere ad una aspettativa forse superiore alle forze di cui dispongono per soddisfarla. La battaglia dei referendum può essere utilizzata, nel fuoco per la raccolta delle firme, per spostare il tiro dai singoli temi alla visione delle linee direttrici per la trasformazione del paese, t

anto più perché ci si trova nel bel mezzo di un momento di crisi.

E, stato sostenuto, a ragione, che i radicali hanno evitato di trasformarsi in un partito di subcultura, avendo dato voce a gruppi e strati di emarginati. La tendenza da parte comunista, che ha la possibilità e gli strumenti per farlo, di presentare i radicali sempre più come devianti e destabilizzatori con i referendum, sarà fortissima. Soltanto avendo la capacità culturale complessiva, oltre che la forza politica, di non farci racchiudere nel partito degli scontenti e dei nuovi qualunquisti, e ribaltando l'assunto sulle linee teoriche e le ragioni strategiche che legano le battaglie dei singoli gruppi situazionali e istituzionali, solo così si potrà continuare a proporci al paese per quello che siamo: i portatori soggettivi nella sinistra di una visione ideale alternativa e di una visione politica del rapporto società/politica nonché gli interpreti di bisogni oggettivi che oggi fanno parte non già del socialismo ma della tensione realistica per maggiori gradi di eguaglianza, di libertà e di liberazione in

questa società.

 
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