SOMMARIO: La lotta della popolazione di Montalto di Castro contro l'installazione della centrale nucleare.
(PROVA RADICALE, marzo 1977)
E' a Montalto di Castro, un paesino dell'Alto Lazio in provincia di Viterbo, così come in tutto il comprensorio fino a Orbetello (siamo già in toscana) e a Capalbio, che si decide il primo atto della guerra ecologica. Ci si batte contro l'inizio dei lavori per la V e VII centrale nucleare dell'Enel e la possibile localizzazione del Coredif (4 centrali). La maggioranza della popolazione non tollera la trasformazione della zona in una squallida periferia di città, affollata dalle migliaia di persone (si dice tremila) necessarie alla costruzione dell'impianto: "Non siamo dei ritardati mentali; ci si assicura l'assoluta sicurezza della centrale ma nessuno ci viene a spiegare con precisione su che cosa si basa questo ottimismo"; "piuttosto, il governo incrementi l'agricoltura, avvii il turismo e ristrutturi i servizi pubblici". Attorno ai refrattari, il corteo dei militanti radicali, di Kronos 1991, del Mir, del Movimento Nonviolento.
Nel corso di un convegno tenutosi a Perugia nel dicembre '75, le Regioni avevano mostrato interesse al piano energetico che prevedeva la costruzione in Italia di 20 centrali nucleari, da 1000 MW entro il 1984. Approvarono anche un documento che esprimeva il parere che l'area interessata all'installazione di un impianto non poteva essere ridotta al singolo comune, ma estesa a un "comprensorio" tra comuni. Per una centrale nucleare da localizzare nell'alto Lazio, venne segnalato il comprensorio della Maremma e Premaremma comprendente comuni come Tarquinia, Montalto di Castro ed altri 9, tutti situati nella zona meridionale della provincia di Viterbo. La segnalazione si basava su solidi precedenti. Il 26 giugno del '74, l'allora presidente della Regione Lazio, Rinaldo Santini, aveva espresso parere favorevole alla localizzazione di una centrale nucleare nell'Alto Lazio, nella località di Pian dei Cangani-Tarquinia, e di Pian di Spillo-Montalto di Castro. La decisione venne recepita dal Cipe e quindi dalla legge
393 del 2 agosto 1975 (art. 22).
Ma la scelta di Tarquinia dovette essere abbandonata quasi subito. Poco dopo l'emanazione della legge, la giunta comunale deliberava la propria opposizione alla costruzione della centrale e dava anzi mandato a un gruppo di avvocati locali (del Comitato cittadino) di impugnare la delibera della Regione. Per quattro valide ragioni: il territorio prescelto si trovava in una zona agricola sulla quale erano stati già fatti notevoli investimenti pubblici; Tarquinia è cittadina eminentemente turistica, con una forte necessità di salvaguardare quindi le proprie peculiarità ambientali: la centrale avrebbe messo in forse queste attività, senza apparenti vantaggi; l'intera economia agricola e quella della pesca sarebbero state sconvolte dall'insediamento; ugualmente sconvolti sarebbero stati gli equilibri sociali del paese, per il prevedibile afflusso di manodopera dall'esterno.
Il Comitato cittadino, con tutti i suoi avvocati, non poté però far conto dei partiti. Questi nelle loro dichiarazioni pubbliche fecero il viso dell'armi al progetto, ma al loro interno tenevano discorsi parecchio diversi. Comunque, vale la pena dare un'occhiata alle azioni intraprese dagli avocati, capeggiati da Paolo Mattioli. Essi scovarono il precedente interessante del caso di Whyl, un paesino nei pressi di Strasburgo nella Germania. Federale. Qui, contro un analogo progetto nucleare, era stata la popolazione a battersi adottando metodi di disobbedienza civile e, non bastando, le armi legali. Lo stesso Mattioli, insieme al liberale Cesare de Cesaris, presidente della "Pro Tarquinia", riuscì anche a interessare della vicenda il professor Chiarelli, costituzionalista ed ex presidente della Corte Costituzionale. Venne minacciata l'accezione di incostituzionalità per la legge 393, in quanto limitativa dell'autonomia dei comuni. Infine, l'episodio più rilevante: i tecnici dell'Enel, recatisi sul posto per ef
fettuare ricerche, vennero cacciati con un nutrito lancio di pomodori; anche Lama preferì tagliare corto un comizio col quale si proponeva di illustrare i vantaggi dell'insediamento della centrale. Alla fine, il governo dovette rinunciare a Tarquinia.
Il Consiglio regionale del Lazio ribadì invece la precedente scelta di Montalto di Castro in una seduta del 22 settembre '76. Stavolta, a presiedere la regione c'era il socialista Palleschi, e la proposta ottenne l'assenso dei consiglieri Ciofi (Pci), Ziantoni (Dc), Muratore (Psdi), Santarelli (Psi) e persino del demoproletario Di Francesco, con l'opposizione Pli e Msi. La delibera venne ratificata il 23 novembre dalla Giunta, presieduta dal comunista Ferrara, e mise in crisi la giunta comunale Pci-Psi di Montalto che cinque giorni prima aveva votato una delibera contro la centrale presentata dai consiglieri comunali Brunori, socialista, Livio Lotti, democristiano e il repubblicano Pallotti mentre il Pci votava contro. Si dimettevano il sindaco socialista De Maria, e l'assessore all'istruzione Bravetto, anche lui socialista. L'"Avanti" parlò di decisione presa "in modo verticistico e accentrato", senza consultare le popolazioni interessate. I socialisti entrarono anzi a far parte del "Comitato montaltese con
tro la centrale nucleare"; purtroppo, l'ex assessore all'istruzione diventava poco dopo sindaco, ammorbidendo subito la propria opposizione alla centrale. Mentre la nuova giunta (Pci-Psi) insediatasi a gennaio di quet'anno pare unita contro la centrale, nel Psi i contrasti sono rimasti forti; la federazione locale appoggia le centrali; quelli tra di loro che l'avversano sono riusciti a portare a Orbetello, ad una manifestazione organizzata del Comitato montaltese, il sentore Silvano Signori. Il comune è deciso a mettere in mezzo il professor Giannini.
Sia a livello locale che regionale, il Pci appare compattamente favorevole, almeno nei suoi vertici. Contrari sono il Pli (il cui capogruppo alla Camera, Aldo Bozzi, presentò al Ministri dell'Industria una interrogazione che eccepiva l'incostituzionalità della legge 393 e opponeva ragioni di opportunità alla localizzazione a Montalto, per ragioni ecologiche, archeologiche ecc.), il Psdi e il Pri (almeno a livello cittadino). Favorevolmente si sono espressi i sindacati.
Ma i pericoli per Montalto non sono finiti: tendono anzi ad aggravarsi. La sollevazione di Capalbio contro una possibile localizzazione sul suo territorio dell'impianto Coredif ha fatto venire fuori la notizia che l'impianto potrebbe finire, non a Capalbio, ma appunto a Montalto. E si pensa anche a localizzare nella zona altre due centrali nucleari; è chiaro che, temendo la resistenza delle altre popolazioni, le autorità pensino già a trasformare Montalto e dintorni in una zona nucleare intensiva, dove concentrare le iniziative per l'avvio della prima fase del programma nucleare.