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Prova Radicale - 30 marzo 1977
SETTIMO NON RUBARE
LA DISPUTA SUI BENI DEL VATICANO

Sommario: Dopo 50 anni di silenzio sono venuti alla ribalta i problemi dei beni del Vaticano e delle clausole economiche del Concordato. Ecco, punto per punto, i vari aspetti della disputa che ha provocato il licenziamento del direttore dell'"Europao" Gianluigi Melega.

(PROVA RADICALE, marzo 1977)

"Secondo Pio XI l'indennizzo di un miliardo e 750 milioni, ricevuto dallo Stato italiano nel 1929 per chiudere la Questione Romana, fu limitato allo stretto necessario" (L'Osservatore Romano, "6 gennaio").

Chissà che fine ha fatto la somma (è l'equivalente di circa 2000 miliardi di oggi) pagata dallo Stato quasi come risarcimento di danni di guerra (Paolo Ojetti, "L'Europeo"). Il vaticano n on ha dato alcuna risposta al riguardo ("n.d.r.").

"Il Vaticano ha le casse vuote, ossia è povero. Del resto chiunque può fare con calma le sue valutazioni e rendersi conto che un patrimonio limitato come quello riconosciuto alla Santa Sede dai Patti Lateranensi non è tale anche se amministrato bene da offrire un reddito adeguato a far fronte alle grandi spese che sono necessarie per rispondere alle esigenze della missione della Chiesa nel nostro tempo. La chiesa cattolica essendo una grande istituzione universale sparsa in tutto il mondo ha bisogno di un certo numero di dicasteri, uffici, commissioni e organismi che non potrebbero svolgere la loro attività senza edifici, senza personale e mezzi economici. Una valutazione oggettiva dei beni della Santa Sede, delle diocesi, degli Ordini religiosi in Italia, dopo la formazione dello Stato unitario, conduce non già al riconoscimento di un impero opulento, sovrabbondante, lussuoso e inutile, quanto piuttosto ad una realtà assai limitata, spesso problematica per la mancanza di redditi destinati alla sua manutenzi

one e al suo esercizio e comunque per nulla adeguato, anche soltanto al reddito che nella società civile competerebbe a un così grande enumero di persone qualificate per l'esercizio delle loro mansioni e della loro professione" (L'Osservatore Romano; "6, 11 e 22 gennaio").

La Chiesa, quale essa è oggi, è un'istituzione politica, dove le cose sacre e le cose profane stanno mescolate insieme. Essa è una elefantesca forma di potere. Quando da essa provengono parole di pace, non riusciamo a udirle, perché le parole del potere suonano mute alle orecchie dell'uomo. Una simile forma elefantesca dove sono mescolate insieme le cose sacre e le cose profane, e le une adoperate a servizio delle altre, è per me nella sua solennità una forma opprimente, e non credo di esser l'unica persona al mondo a trovarla, e a scorgere in essa una ingiuria e un'offesa all'idea che tutti, credenti e non credenti, abbiamo di Dio. Penso che se sparisse ad un tratto dalla terra questa forma di potere dove le cose sacre e le cose profane stanno tristemente mescolate insieme, ne proveremmo, tutti o in gran numero, una felicità profonda, sia perché quella forma di potere ci rattrista come ogni altra forma di potere e, forse, molto di più, sia perché sarebbe finalmente salva e libera nei credenti l'idea di Dio

(Natalia Ginzburg, "Corriere della Sera").

Si potrebbe inoltre ricordare al giornale vaticano che non fu colpa dell'opinione laica se lo scempio di Roma fu identificato con la finanza vaticana, bensì del fatto oggettivo che i pacchi azionari del controllo delle grandi immobiliari, prima di emigrare verso i vari Sindona, furono per lunghissimo tempo custoditi nei forzieri dell'Istituto per le Opere di religione (la cosiddetta banca vaticana) e dell'amministrazione Beni della Santa Sede; gli si potrebbe ricordare la composizione dei consigli di amministrazione gremiti di nipoti Pacelli, di archiatri pontifici, di cavalieri di cappa e spada, di assistenti al Soglio e via numerando (Eugenio Scalfari, "La Repubblica").

"La Santa Sede denuncia regolarmente alle competenti autorità civili le imposte immobiliari che gravano sugli immobili di sua proprietà non extra-territoriali, e le tasse sono versate al fisco con buona pace de" L'Europeo (L'Osservatore Romano, "6 gennaio").

Per i beni extra-territoriali, di cui la Santa Sede non fa cenno, ai sensi dell'art. 2 del DPR 29 settembre 1973 n. 601 vi è l'esenzione dall'imposta sul reddito delle persone giuridiche, oltre che dall'incremento di valore degli immobili (INVIM). Questo dall'entrata in vigore delle nuove norme tributarie, cioè dal 1 gennaio 1974; invece, per la sola INVIM dal 1 gennaio 1973. Prima la Santa Sede era esente dall'imposta sui fabbricati extra-territoriali grazie all'art. 78 del testo unico 29 gennaio 1958 n. 645. Inoltre in caso di vendita di beni extra-territoriali l'acquirente è esentato dal pagamento dell'imposta di registro ai sensi dell'art. 1 ultimo comma della tariffa, parte prima, allegata alla legge di registro, di cui al DPR 26 ottobre 1972 n. 634, che richiama l'art. 16 del Trattato. Per quanto riguarda i beni non extra-territoriali la Santa Sede era tenuta a pagare l'imposta fabbricati per gli immobili, che non godevano di esenzione venticinquennale per la legge Tupini, ma l'imposta era applicata in

misura assai ridotta rispetto all'effettivo reddito percepito. Infatti l'imposta pagata corrisponde alla moltiplicazione di un imponibile, che varia di volta in volta a seconda degli stabili (se popolari o a fitto bloccato etc.), per un coefficiente che si aggirava intorno al 35%, di cui il 2.50% veniva versato paradossalmente all'Ente comunale di assistenza a seguito delle leggi 18-2-1946 n. 100 e 10 dicembre 1961 n. 1346 (cioè la Santa Sede contribuiva al mantenimento di un ente comunale con scopi di beneficienza!). Per quanto riguarda invece il periodo di imposta dal 1974 in poi la Santa Sede è soggetta la pagamento dell'ILOR con lo stesso meccanismo della vecchia imposta fabbricati cessata il 31 dicembre 1973, ma beneficiari dell'imposta sono ora solo lo Stato e le regioni, oltre che, naturalmente, gli esattori delle imposte. Comunque si ribadisce che si tratta di tasse veramente esigue, irrisorie e del tutto insignificanti ai redditi percepiti. Per quanto riguarda, invece, le agevolazioni fiscali per g

li enti ecclesiastici va detto che l'imposta sul reddito delle persone giuridiche è ridotta della metà grazie al richiamo che l'art. 6 lettera H del DPR 29 settembre 1973 n. 601 fa dell'art. 29 lettera H del Concordato (fino al 3-12-1973 erano esonerati dall'imposta sulle società ex art. 151 lettera i T. U. 654/1958). "In nome della Santissima Trinità", questo art. 29 equiparava i fini i culto e religione ai fini di beneficienza e istruzione. (In parte, Paolo Ojetti, "L'Europeo").

"La Santa Sede non dispone dei beni intestati ad altri enti sia pure ecclesiastici che sono dalla stessa patrimonialmente autonomi. E' vero che la Santa Sede esercita uno stretto e diretto controllo sugli enti ecclesiastici, ma si tratta di un diritto per garantire la tutela delle finalità di fondazione di ciascun ente, finalità di carattere sociale, culturale, religioso. La Chiesa non ha responsabilità se i beni religiosi alienati sono poi destinati dal compratore a case di lusso o a esercizi commerciali redditizi essendo l'acquirente arbitro di destinare le sue proprietà ai fini che meglio crede" (L'Osservatore Romano, "6 e 22 gennaio").

Ai sensi dell'art. 1518 del diritto canonico, il romano Pontefice è di tutti i beni ecclesiastici il supremo amministratore e dispensatore. Se poi, come sostiene la voce ufficiale del Vaticano, i beni immobili degli enti ecclesiastici fossero realmente distinti da quello della Santa Sede, bisognerebbe aprire una lunga discussione sulla figura della cosiddetta devoluzione canonica. Per esempio la congregazione dei Frati della Carità, meglio conosciuti come Frati Bigi, è stata sciolta con decreto della Sacra Congregazione per i religiosi e gli istituti secolari (ente di diritto pubblico ecclesiastico con sede nella Città del Vaticano) il 15 febbraio 1972 e i beni sono stati devoluti canonicamente alla Santa Sede. Concretamente è finito sotto l'ala della Santa Sede un enorme complesso sito in Roma fra via Tasso e Viale Manzoni (a circa 500 metri dal Colosseo). Con atto del 2 maggio del 1975 la Santa Sede vendette il tutto alla EDIF, una società immobiliare controllata da una società fantasma panamense, per un m

iliardo e 50 milioni. Già un anno prima, però, la EDIF aveva ottenuto il possesso di fatto dell'immobile. Fu una compravendita veramente singolare: insieme alla Santa Sede che "canonicamente" era divenuta proprietaria del bene, erano presenti anche i resti di quei "frati bigi", che per il nostro diritto civile erano ancora legittimi intestatari del patrimonio della congregazione appena disciolta. In sostanza il miliardo e 50 milioni non fu poi diviso fra i frati bigi ma è finito nelle casse vaticane grazie a questa devoluzione canonica. Queste devoluzioni equivalgono a veri e propri passaggi di ricchezze fra enti che la stessa Santa Sede si affanna a dichiarare separati fra loro. Ed è sorprendente, a questo punto, che su questi passaggi di ricchezza non ci siano né controlli né imposte. Di casi come quello dei frati bigi se ne contano a decine. Ma ci sono altre forme di mascheramento ancora più elementari. Per esempio è sempre la Santa Sede che compare sotto l'etichetta di "Luoghi pii dei catecumeni e neofit

i", "Casa pia dei catecumeni e neofiti", "Pio istituto dei catecumeni e neofiti". Insomma tre nomi diversi per individuare un medesimo ente avente personalità giuridica riconosciuta e presieduto dal cardinale Ugo Poletti, vicario generale del Papa. A questo proposito va aperta una breve parentesi. L'inchiesta de "L'Europeo", causa scatenante dello scandalo, ha riportato un elenco voluminoso di dati desunti dal catasto e una serie di storie di compra-vendite vaticane a carattere speculativo. L'elenco dei beni della Santa Sede e degli enti ecclesiastici non è però completo per due motivi principali. Il primo è che la Conservatoria dei registri immobiliari di Roma riporta i dati a partire dal 1911; inoltre occorre fornire agli impiegati addetti l'esatta denominazione e la sede di ogni ente ecclesiastico. Ancora, per rendere più difficoltose le visure a partire dal 1 gennaio 1973 a Roma vi cono tre Conservatorie, distanti tra loro circa 15 km e vanti lo stesso orario di ufficio. Ciò significa che i beni apparten

enti al Vaticano o agli ordini religiosi da periodi antecedenti al 1911 non risultano oggi di proprietà della Santa Sede in Conservatoria. Il secondo motivo è che essendovi poi un arretrato catastale di circa 15 anni ed essendo, spesso, riportati in catasto dati che non corrispondono alle vere denominazioni delle comunità religiose, si verifica con frequenza che un immobile venduto da un ente religioso non sia riportato in catasto prima di 15 anni al nome del nuovo proprietario. La stessa confusione accade per sapere se un ente ecclesiastico abbia o meno venduto un immobile. Per esempio se un immobile è intestato in catasto ai "Luoghi pii dei catecumeni e neofiti" e in caso di vendita fosse invece utilizzata l'etichetta di "Casa pia dei catecumeni e neofiti", si verificherebbe che in Conservatoria chiedendo di fare una visura a carico dei "Luoghi Pii", essi (nonostante la vendita con l'altra etichetta) risulterebbero, almeno sulla carta, ancora i proprietari del bene. Pertanto l'indagine dell'"Europeo" ha de

i limiti proprio perché si è trovata di fronte a dei meccanismi del tutto arretrati o, meglio, delle cortine fumogene atte a mascherare legalmente tutti i vari passaggi di proprietà. Si tratta di uno scandalo nello scandalo. In sostanza a qualsiasi cittadino non è consentito a Roma di conoscere l'esatto ammontare dei beni di chicchessia, tanto meno della Santa Sede. Non gli resterebbe, infatti, altro che andare al catasto a ricopiare paginate di elenchi che, tuttavia, potrebbero rivelarsi inesatti, proprio per quanto è stato sopra detto. La soluzione di questo grave problema potrebbe essere quello di installare dei cervelli elettronici e di fare uso di microfilm, obbligando nel contempo tutti gli enti ecclesiastici e la Santa Sede a ritrascrivere la proprietà per tutti quegli immobili pervenuti anteriormente al 1911. Inoltre andrebbe analizzata la possibilità di unificare in un unico ufficio il catasto (che oggi, così arretrato, non serve a nulla) e la Conservatoria dei registri immobiliari (che ha i difetti

sopra citati). Una soluzione di questo tipo potrebbe essere l'adottamento di un sistema tavolare (oggi esistente in alcune zone del Bellunese e dell'Alto Adige) con opportune modifiche.

Tornando ai "Luoghi pii dei catecumeni e neofiti" va ricordato che questo ente un anno fa vendette un enorme complesso di fabbricati e giardini sotto San Pietro in Vicoli (nel pieno centro storico di Roma) per un miliardo e 150.000.000. Acquirenti unitamente a una società di Milano fu il Credito Artigiano. Questa Banca è controllata dal Vaticano, tanto è vero che ogni anno all'assemblea dei soci si presenta monsignor Ferdinando Maggioni, che altro non è che il braccio destro del Cardinale Colombo, Arcivescovo di Milano. La Santa Sede nulla ha replicato circa le scelte liberamente effettuate nella ricerca degli acquirenti dei suoi immobili. Infatti essi sono per lo più società, Banche, Assicurazioni e privati con cui essa intrattiene da tempo rapporti di affari (Italcasse, Banco di Roma, Generale immobiliare, Vianini, ecc.). Per quanto riguarda inoltre il controllo della Santa Sede sulle vendite dei beni appartenenti ad enti ecclesiastici va detto che nessun istituto può compiere un'operazione di compravendit

a, senza l'autorizzazione che, secondo i casi, viene concessa dalla Santa Sede attraverso la "Sacra congregatio pro clericis", la "Sacra congragatio pro religiosis et institutis saecularibus", l'"Istituto di Propaganda Fide", o l'intervento diretto e personale di cardinali.

L'autorizzazione non solo è obbligatoria (e ciò dimostra la nostra tesi di una stretta connessione, almeno sul piano della gestione patrimoniale, tra gli enti ecclesiastici e la stessa Santa Sede) ma è anche costosa: per ottenerla, l'ente, l'istituto, il collegio, la casa pia, devono, in latino, "implorare umilmente" la Santa Sede attraverso una serie di passaggi gerarchici; motivare con abbondanza di particolari "l'implorazione", assicurare che, sotto sotto, non vi saranno "inhonestos usus", e pagare intorno alle 200.000 lire (libellarum italicarum) di tasse varie.

Dunque non è vero che la Santa Sede ignora gli affari dei suoi enti. Essa ne è tanto coinvolta che addirittura tiene a metter in bella evidenza in calce all'autorizzazione di ritenersi non responsabile né economicamente né civilmente per atti compiuti da ricorrenti o da terzi. Con questa formuletta, per esempio, la Santa Sede si sente in diritto di non essere chiamata a rispondere degli abusi edilizi compiuti in seguito alle spericolate transazioni effettuate dalle sue congregazioni. Ad aggravare la situazione la Santa Sede, che pure segue fino ad un certo momento tutta l'operazione condotta dall'ente ecclesiastico, una volta chiusa la partita si disinteressa completamente di controllare se gli impegni presi dall'ente siano poi stati rispettati. Per esempio, la "Veneranda confraternita del santissimo rosario di Besazio, diocesi di Lugano", s'era impegnata a reinvestire il ricavato della vendita di due palazzi in via Sant'Andrea delle Fratte (160 milioni) nella città di Roma. Ma a Roma i "venerabili di Besazi

o" non hanno reinvestito una lira. Che siano finiti in Svizzera?

Altre volte, la Santa Sede (è il caso della vendita di un palazzetto in vicolo Scandenberg) si riserva in caso di eventuali controversie, a scanso di grane ed equivoci, la competenza del "foro della Città del Vaticano" (In parte Paolo Ojetti, "L'Europeo"). Si può sempre sostenere inoltre che i traffici dei preti e delle suore sarebbero stati meno devastatori se il Papa li avesse con energia impediti (Michele Tito, "Il Corriere della Sera").

"Nella Chiesa esistono 221 istituti religiosi maschili e 1173 istituti religiosi femminili. Parecchi istituti religiosi che hanno case a Roma, amareggiati e afflitti per le difficoltà di ogni genere che incontrano a vari livelli, sono del parere che converrebbe loro stabilire la propria sede in altri paesi".

Con l'attuale crisi delle vocazioni a che serve oggi mantenere in vita 1294 istituti religiosi? Ciò impedisce ogni controllo da parte delle autorità competenti italiane o di chicchessia, e si favoriscono tra l'altro le fusioni canoniche (vedi i frati bigi) con la Santa Sede. Inoltre a parte il tono vagamente intimidatorio sarà consentito eventualmente agli istituti religiosi di lasciare Roma, regalando i loro immobili agli amici di sempre (banche, Assicurazioni, Società Immobiliari, ecc.) come è accaduto sinora? Oppure questi beni, una volta tanto, saranno venduti, eventualmente, ad aste pubbliche sotto il controllo dello Stato, della Regione, del Comune e dei Comitati di quartiere con impegni precisi dal punto di vista urbanistico da parte degli acquirenti e, da parte degli enti ecclesiastici, con il pagamento di tasse sulle vendite e con l'utilizzo del residuo per fini di vera beneficienza?

"Molti istituti religiosi hanno dato vita a Roma, a beneficio della popolazione, a ben precisi servizi nel campo dell'istruzione" (L'Osservatore Romano, "6 gennaio").

La conseguenza dei ben precisi servizi degli istituti religiosi nel campo dell'istruzione è che le scuole più costose ed esclusive della capitale sono proprio quelle gestite da istituti religiosi maschili (vedi il Marcantonio Colonna, il San Leone Magno, il S. Giuseppe-De Merode, Villa Flaminia, il S. Gabriele, il Nazareno, il Massimo e il Pio IX etc.) o da istituti religiosi femminili (vedi Trinità dei Monti, il Mater Dei, il Nazareth, le Ancelle del Sacro Cuore, il Giuliana Falconieri, il S. Dominique, le Suore di Nevers, il S. Angela Merici e l'Assunzione etc).

"Chi conosce un po' di storia e un po' di diritto sa che alla Santa Sede non è stato regalato nulla" (L'Osservatore Romano, "6 gennaio").

Lasciando per un attimo in disparte la storia e il diritto, ma esaminando dati di fatto concreti e incontrovertibili non si può non rilevare la mostruosità di una simile affermazione. La Santa Sede oltre ad aver ricevuto, come si è visto prima, 1.750 milioni del 1929 da Mussolini, continua a ricevere ogni anno dallo Stato italiano (fra congrue e voci di spesa per le quali si potrebbe addirittura sospettare dell'effettiva esistenza dei destinatari apparenti) la ragguardevole somma di circa 50 miliardi! Basta leggere fra le righe del bilancio del Ministero dell'Interno, di quello del Lavoro, dei Beni Culturali, della Pubblica Istruzione e della Difesa, pubblicati sulla "Gazzetta Ufficiale", ma mai pubblicizzati in maniera adeguata. In poche parole, se anche fosse vero che la Santa Sede paga le tasse allo Stato italiano, questo gliele restituirebbe sotto altre voci e con i dovuti interessi! Inoltre esaminando il Trattato ci si può facilmente accorgere quanti sono i beni extra-territoriali concessi dallo Stato i

taliano alla Santa Sede, e a solo vantaggio di quest'ultima. Prova ne è che, mentre è fatto divieto per l'Italia di espropriarli e di tassarli, la Santa Sede, invece, ne può disporre a suo piacimento vendendoli a chi vuole al prezzo che vuole senza chiedere nessuna autorizzazione. E' il caso ad esempio dello storico palazzo della Dataria, a pochi passi dal Quirinale, regalato all'agenzia di stampa Ansa per circa un miliardo e mezzo (di cui ben 825 milioni di mutuo concesso in precedenza da due banche italiane, il Credito Fondiario e la Cariplo, alla Santa Sede), inferiore di almeno tre volte al vero prezzo. Incredibile a dirsi: dalla compravendita lo Stato ha ricavato nientemeno che duemila lire di tasse! Altro mistero è quello del riconoscimento, il 13 giugno 1952, dell'extraterritorialità sui 424 ettari di terreno a Santa Maria di Galeria sulla strada Braccianese a nord di Roma destinati a centro trasmittente della radio vaticana, nonché suoi 117 ettari a Castel Romano sulla strada di Pratica di Mare a sud

di Roma, destinati a centro ricevente sempre della radio vaticana. Insomma si vorrebbe far credere che per le sue trasmissioni nel mondo la radio vaticana necessiti di ben 541 ettari, superiori addirittura a quelli necessari per impiantare una centrale nucleare. Allora ci si chiede che uso ne fa veramente la Santa Sede di tutta questa terra, non trascurando poi gli altri 1500 ettari circa sempre intorno a Roma, intestati formalmente ad altre due, fra le tante, etichette, di cui si serve per coprire i suoi oscuri traffici, e cioè la Sacra Congregazione de Propaganda Fide e l'Istituto per le Opere di Religione. Inoltre con quale sudore della fronte la Santa Sede ha accettato e continua ad accettare elemosine (esentasse per il Concordato), lasciti e donazioni per lo più da religiosi o da persone molto avanti negli anni, che vengono amorevolmente assistite fino al giorno del trapasso? Di esempi di questo tipo se ne contano non a decine ma a migliaia. La Santa Sede, con la complicità della sostanziale inutilità

dei formalismi delle procedure di controllo attuate ancor oggi dalle autorità italiane (vedi decreti troppo disinvoltamente firmati dal Presidente della Repubblica e dal Ministro dell'Interno, visti gli artt. 21 del D.L. 19-8-1954 n. 968, 18 del Regolamento di cui al R.D. 2-12-1929 n. 2262 e legge 6-4-1933 n. 455, udito il parere del Consiglio di Stato, ma mai verificati realmente nelle effettive destinazioni o nei veri valori di mercato, né ascoltando mai il parere di Comune, Regione e comitati di quartiere, ma, anzi, guardandosi bene dal farlo) si impossessa ora di un palazzo, ora di un appartamento, ora di una tenuta. Lo stesso avviene puntualmente per tutti gli enti ecclesiastici. Anzi v'è di più. Infatti oltre a ricevere del tutto gratis un determinato immobile la Santa Sede e gli enti religiosi non pagano nemmeno una lira di tasse, in quanto, invocando i benefici fiscali previsti dalla legge, perché la donazione viene fatta a fini di culto, religione, istruzione, assistenza, apostolato, misericordia ed

evangelizzazione degli infedeli, entrano in gioco le esenzioni dall'INVIM (art. 25 del DPR 26-10-1972 n. 643) dall'imposta di registro (art. 3 DPR 26-10-72 n. 637), nonché gli altri benefici fiscali previsti dal decreto legge 9 aprile 1925 n. 380, dall'art. 12 del R.D 28 febbraio 1930 n. 289 e dall'art. 9 della legge 12 maggio 1949 n. 206. In sostanza resta da pagare il solo disturbo del notaio che stende l'atto. Se invece il caro estinto, anziché donarli alla Santa Sede, avesse lasciato i beni in eredità ai suoi figli, lo stato avrebbe regolarmente percepito l'imposta di successione. Basta questo a insinuare il legittimo sospetto che certe donazioni siano state accuratamente studiate di comune accordo con la Santa Sede o con altri enti, per far risparmiare (naturalmente con una buona ricompensa) agli eredi gravosissime tasse di successione, per pagare le quali, non infrequentemente, molti sono, addirittura, costretti a svendersi gli immobili ereditati.

Per concludere non va poi trascurato come la Santa Sede faccia finta di non sentire quando si parla dei suoi massicci interventi in Borsa. Tanto è vero che mai ha pubblicato l'elenco completo di tutte le società italiane ed estere in cui ha cointeressenza, più o meno consistenti, siano quotate in Borsa, o siano esse (sono quelle che più le vanno a genio!) di comodo, cioè quelle dietro le quali si celano i suoi uomini di fiducia. Basti dire che l'aver pubblicato "L'Europeo" un parziale elenco di queste società e l'aver attribuito alla Santa Sede e agli Ordini ecclesiastici il migliore quarto degli immobili di Roma, ha fatto scatenare in Vaticano un putiferio, tale da far intervenire sulla questione l'organo ufficiale della Sacra Pantofola, per ben tre volte nel giro di quindici giorni, per tentare di far cessare ogni strascico polemico. Evidentemente il timore, di non veder più affluire dentro il Portone di Bronzo valigie piene di dollari di elemosine, ha ancora un grande fascino.

"La disponibilità di verde pubblico cittadino è esiguo: 2111 ettari a Roma pari a 8 metri quadrati per ciascun abitante" (L'Osservatore Romano, "9 gennaio").

Che altro aspettano il Vaticano e gli enti ecclesiastici ad aprire ai romani i loro parchi o le loro ville? Non vi sarebbe forse maggiore disponibilità di verde? Se non altro si ridurrebbe l'altra statistica che, in alcuni casi, attribuisce un ettaro di verde per ciascun frate o per ciascuna monaca.

In caso contrario, perché non dare attuazione immediata alla proposta del vice-sindaco, il socialista Alberto Benzoni, di verde pubblico al posto di ville religiose?

"Non è lecito mischiare la Santa Sede con le istituzioni religiose a Roma, tanto meno con i governi civili della città, sia pure co-gestiti da cattolici" (L'Osservatore Romano, "11 gennaio").

Il Vaticano da solo non avrebbe potuto patrocinare o mettere in moto operazioni speculative così estranee alla sua vocazione trascendente. Se un partito politico non avesse fatto combutta con lui, molti di questi maneggi non sarebbero mai andati in porto. E il potere e lo strapotere esercitato dalla Dc in Campidoglio fino all'avvento del centro-sinistra ha reso possibili prevaricazioni e illeciti (Roberto Gervaso, "Il Resto del Carlino").

"Non si vede come possa sorprendere o scandalizzare qualcuno che le singole entità minori di carattere ecclesiastico operino acquisti, vendite o trasformazioni nell'ambito del diritto italiano. Gli ordini religiosi, come gli altri cittadini e gli altri enti, fanno i loro progetti, li sottopongono a licenza, se la ottengono agiscono, se non la ottengono li mutano. Se le leggi ci sono, chi di dovere le faccia osservare" (L'Osservatore Romano, "6 e 11 gennaio").

Chi chiede di costruire un convento e poi ne fa un albergo di lusso; chi acquista un giardino per il riposo delle monache e poi lo riempie di cemento è uno speculatore, sia o meno un credente; e se si tratta di un ordine religioso coinvolge nei suoi loschi affari la Chiesa che fino a prova contraria appartiene alle monarchie assolute, verticistiche. Gli abusi commessi a migliaia dagli ordini religiosi costituiscono una vergogna che, per essere secolare, e commessa da credenti, non cessa di essere tale, indecente, macroscopica, impudente (Giorgio Bocca, "L'Espresso").

"Alla base del tessuto e della realtà cittadina, c'è la popolazione, che è prima responsabile della conduzione della sua città. Poi ci sono le forze politiche. Chi è senza peccato scagli la prima pietra! Non si esclude che da parte degli enti ecclesiastici e religiosi, come da parte del Vaticano, si siano potuti commettere degli errori in sé deplorevoli e meritevoli di essere puniti dalle leggi civili ed ecclesiastiche, se riconducibili a precise responsabilità civili e penali. Se ci sono stati traffici illeciti, li si denunci con prove uno ad uno: per i religiosi come per chiunque" (L'Osservatore Romano, "11 gennaio").

Se illeciti ci sono stati, sembra dire in altre parole il Vaticano, la colpa è innanzitutto di chi stava in Comune. Non è certo un complimento per la Democrazia Cristiana che per 30 anni ha amministrato Roma. E' vero che si cerca di mettere nello stesso calderone le amministrazioni dc e le opposizioni affermando gratuitamente che chi è senza peccato scagli la prima pietra; ma resta comunque il fatto che la Dc è la prima destinataria della constatazione che chi di dovere non ha fatto osservare le leggi. E' positivo inoltre il riconoscimento da parte della Santa Sede che sono stati commessi da parte sua "innumerevoli errori" (Marco Politi, "Il Messaggero").

"I religiosi vivono in Italia sotto le leggi italiane. Non sono buone queste leggi? Si cambino. C'è un Parlamento nazionale e regionale apposta per questo" (L'Osservatore Romano, "11 gennaio").

Ma si vuole vedere che se la legge sulla casa (che prevede l'esproprio a prezzo agricolo di una gran quantità di terreni per l'edilizia economica-popolare) ed altre leggi vengono applicate, col giusto rigore, anche ai beni degli Ordini Religiosi, "L'Osservatore Romano" non se ne compiace per niente, e anzi rispolvera l'antica accusa di persecuzione anticlericale? (Vittorio Emiliani, "Il Messaggero"). Quando poi alle leggi da cambiare il Parlamento prenda nota delle richieste della Santa Sede in tal senso provveda a rivedere tutta la legislazione attualmente vigente con il Vaticano. E precisamente oltre alla legge 27 maggio 1929 n. 810, riguardante l'esecuzione del Trattato, dei quattro allegati annessi e del Concordato (in nome della Santissima Trinità, fra l'altro all'art. 12 prevede testualmente: "Nelle domeniche e nelle feste di precetto, nelle chiese in cui officia un Capitolo, il celebrante la Messa conventuale canterà, secondo le norme della sacra liturgia, una preghiera per la prosperità del Re d'Ital

ia e dello Stato italiano), sottoscritti in Roma tra la Santa Sede e l'Italia, l'11 febbraio 1929; il R.D. 9/6/1930 n. 1182 sulla circolazione degli autoveicoli; il R.D. 10/7/1930 n. 974 sulle disposizioni relative all'uso delle onorificenze degli Ordini Equestri e dei titoli nobiliari pontifici; il R.D. 27/10/1032 n. 1422 sulle esenzioni dal servizio militare, dalla giuria, e da ogni prestazione di carattere personale a favore dei dignitari della Chiesa e delle persone appartenenti alla Corte Pontificia; la legge 13/4/1933 n. 379 sulla notificazione degli atti in materia civile e commerciale; il R.D. 19/10/1934 n. 1725 sulla Convenzione Ospedaliera tra la Santa Sede e l'Italia; la legge 30/11/1939 n. 1887 (che ora non ha più alcun senso) sulla definizione dei rapporti concernenti le Chiese e le Cappelle Palatine ed il relativo clero; il D.Lgs.C.P.S. 18/3/1947 n. 664 sulla permuta di aree nella zona di S. Paolo tra la Santa Sede ed il Municipio di Roma; il D.Lgs. 10/4/1948 n. 1080 sulla nuova delimitazione d

i alcune zone extra-territoriali nelle adiacenze della Città del Vaticano; la legge 21 marzo 1950 n. 178 sulla zona extra-territoriale costituita dalle Ville Pontificie in Castelgandolfo-Albano Laziale; il D.M. 15/1/1952 riguardante l'adeguamento delle tariffe postali; il D.M. 15/1/1952 riguardante l'adeguamento delle tariffe telegrafiche; la legge 13/6/1952 n. 680 sulla extra-territorialità delle estensioni destinate a sedi degli impianti radio-vaticani a Santa Maria di Galeria e a Gastel Romano e la legge 26/10/1964 n. 1141, modificata successivamente dal D.P.R. 15/12/1971 n. 1299, dal D.P.R. 13/10/1972 n. 770, e dalla legge 12/4/1973 n. 196, riguardante la convenzione monetaria tra l'Italia e la Santa Sede. In forza ad esempio dell'art. 20 del Trattato chiunque può oggi andare in Vaticano a comprare benzina, tabacco, cibi, vestiario, alcool e altro a prezzi più bassi: è sufficiente solo essere amici di qualche monsignore. Né poi va trascurato il settore dell'assistenza sanitaria, che rappresenta uno scand

alo a parte, come l'esenzione di ritenute fiscali per i cittadini italiani dipendenti del Vaticano.

"Il regime dei beni della Santa Sede, regolato dal Trattato non è affatto in discussione, come lo è invece il Concordato, perché non ci consta che in Italia qualcuno voglia seriamente riaprire la questione romana" (L'Osservatore Romano, "6 gennaio").

Quello che asserisce la Santa Sede non è esatto. Il pomeriggio del 2 dicembre scorso durante la discussione in Parlamento del progetto di legge sul nuovo Concordato, proprio un democristiano, campione della destra cattolica, l'onorevole Giuseppe Costamagna, piemontese, ha dichiarato: "Io, come cattolico, chiedo la modifica del Trattato, strappato da Mussolini con un baratto che ripugna alle coscienze: concedere molto con il concordato e poco con il Trattato. Il mondo cattolico italiano, a fronte di modifiche al Concordato dovrebbe chiedere la modifica del Trattato per accordare alla Santa Sede un territorio degno delle sue esigenze e comunque non inferiori a quello che è riconosciuto a Stati come il Principato di Monaco e la Repubblica di San Marino, che hanno certo minori tradizioni storiche della Santa Sede. Solo a questo modo si potrebbe rimediare alla ingiustizia perpetrata nel 1929". Questa stravagante omelia dell'onorevole Costamagna fu seguita, con buona pace della Santa Sede, da nutriti applausi (Pao

lo Ojetti, "L'Europeo").

Eventuali trasformazioni edilizie della Santa Sede non sono fatte per speculazione, ma per necessità funzionali o per opere di carità. Ad esempio il palazzo di Via dell'Umiltà 36 in Roma non solo fu venduto con tutti i crismi della legge italiana ordinaria, ma il ricavato della vendita fu investito nella costruzione di una parte dei 99 appartamenti per baraccati ad Acilia, donati dalla Santa Sede al Comune di Roma" (L'Osservatore Romano, "del 6 gennaio").

La precisazione della Santa Sede serve a poco. Prima di tutto nessuno potrà mai dimostrare che proprio quei 550 milioni furono effettivamente utilizzati a quello scopo (all'epoca questa opera di misericordia passò sotto silenzio, né la Santa Sede reclamizzò la vendita al Banco di Roma).

In secondo luogo, la cosa non fa che gettare luce su quello che noi consideriamo uno dei problemi più scottanti che sono a monte del "riciclaggio" dei beni immobili del Vaticano. Gli antichi inquilini di via dell'Umiltà furono allontanati con delle buonuscite. Al loro posto, mentre sono ancora in corso i lavori di ristrutturazione, andranno probabilmente alcuni uffici dello stesso Banco di Roma. I vecchi inquilini si sono dunque trasformati, anche se non proprio fisicamente, in quei pendolari di periferia, simbolo dell'esodo forzato verso le cinture cittadine più esterne, del progressivo snaturamento del centro storico, causa ulteriore degli affanni del Comune, gravato dalle spese e dai problemi creati da questo artificiale sconvolgimento del tessuto urbano (Paolo Ojetti, "L'Europeo").

 
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