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Corleone Franco, Strik Lievers Lorenzo - 25 maggio 1977
I referendum, il 12 maggio, quelli che firmano e quelli che sparano
di Franco Corleone e Lorenzo Strik Lievers

SOMMARIO: La decisione del XVIII Congresso straordinario di non utilizzare i fondi del finanziamento pubblico ma di lanaciare una campagna di autofinanziamento per la raccolta delle firme per i referendum è stata solo apparentemente organizzativa. L'opinione pubblica ha infatti recepito la diversità del Pr, come forza alternativa, non invischiata negli aspetti deteriori del regime. L'altro problema sollevato dal Congresso, quello relativo al diritto del cittadino di essere informato e delle minoranze di non essere schiacciate da una informazione manipolata, si è manifestato in tutta la sua drammatica attualità in occasione della strage del 12 maggio a Roma, con l'assasinio di Giorgiana Masi. Si è tentato di annullare la diversità radicale omologando il Pr ai gruppi violenti della sinistra extraparlamentare e di stroncare l'iniziativa referendaria.

(ARGOMENTI RADICALI - BIMESTRALE POLITICO PER L'ALTERNATIVA - anno I, n. 2, giugno-luglio 1977)

In pochi giorni, fra il 7 e il 12 maggio, sono accaduti avvenimenti di segno opposto ma comunque di grande rilievo per quanto riguarda il rapporto fra il Partito Radicale e il paese nel suo insieme. Prima il XVIII Congresso straordinario, che ha posto sul terreno la scommessa sul successo o il fallimento dei referendum, e insieme quella sul mantenimento dei caratteri fondamentali del PR: e subito dopo i fatti di Roma del 12 maggio, che per la loro drammaticità hanno comunque inciso sull'immagine tradizionale del partito nell'opinione pubblica.

Il congresso era stato convocato sulla base della constatazione che il successo della raccolta delle firme rischiava di essere vanificato per insuperabili difficoltà finanziarie: l'alternativa cui in concreto il partito si trovava di fronte era fra un rilancio dell'autofinanziamento pressoché "impossibile" nella misura necessaria di alcune centinaia di milioni, e la rinuncia alla decisione di non utilizzare i fondi del finanziamento pubblico: decisione che era stata presa dai precedenti congressi e sentita all'interno e all'esterno del partito come intimamente omogenea al progetto di costruire un partito autogestito e necessaria per sfuggire ai rischi di una degenerazione burocratica.

Su questo dilemma l'incertezza in tutti i momenti decisionali del partito - dalle assemblee locali al Consiglio federativo alla stessa tesoreria e segreteria nazionali - è stata profonda e drammatica fino alla vigilia del congresso. La semplice proposizione che a prima vista si presentava era: "vincere sicuramente nella raccolta delle firme pregiudicando la scelta politica (e ideale) del rifiuto del finanziamento pubblico oppure rischiare anche di non avere i mezzi minimi materiali per la raccolta stessa, mantenendo una astratta posizione di purezza sul finanziamento". Ma il dibattito ha poi dimostrato che l'alternativa era non solo malposta, ma inesistente: perché di fatto risultava politicamente impossibile compiere quella che sarebbe apparsa non tanto all'esterno, quanto soprattutto nella coscienza degli iscritti e nel modo di essere del partito, una conversione di centottanta gradi. Anche in termini di efficacia - la valutazione, in definitiva, è stata pressoché unanime - il far ricorso al finanziamento

pubblico, al di là di indubbi vantaggi immediati avrebbe indebolito e non rafforzato la capacità di azione e incidenza politica radicale, colpendo drasticamente la credibilità del partito e umiliando l'impegno volontario dei suoi membri.

La risposta del congresso, come è noto, è stata di confermare l'autofinanziamento come unica possibile forma di sostentamento delle attività radicali, e di lanciare immediatamente una sottoscrizione di 300 milioni, dimostrandone contestualmente la praticabilità col raccogliere subito, nei due giorni di congresso, ben 45 milioni.

Taluni commentatori hanno scritto che in un congresso impegnato a discutere solo su questi termini di questioni organizzative è mancato il dibattito politico. Ma appunto il modo come a quelle decisioni si è giunti, e i risultati di esse, dimostrano ancora una volta la difficoltà di comprendere nei suoi reali termini il metodo radicale: perché la discussione "organizzativa" si è svolta tutta intorno al nodo centrale del ruolo singolare del PR nella società italiana, e quindi ha mostrato come il corpo radicale proprio come corpo politico ne ha saputo cogliere con lucidità la sostanza.

Qual è il segreto della singolare corrente di simpatia e di fiducia verso i radicali che si era manifestata già al momento delle elezioni e che si è esplicata ancor più nell'adesione senza riserve di centinaia di migliaia di cittadini al progetto referendario che i promotori non erano stati in grado di pubblicizzare se non marginalmente, e di cui, tutt'al più, erano riusciti a trasmettere la nozione dell'esistenza? Qual è, cioè, la forza dei radicali?

Un'analisi sia pure sommaria che ha la sua base proprio nella raccolta delle firme non lascia adito a dubbi: si è fatta strada la convinzione in larghe fasce di opinione pubblica democratica che i radicali sono "diversi", che fanno quel che promettono, che non sono in nessun modo invischiati negli aspetti deteriori del regime; che, in una parola, sono riusciti proprio a fare politica in quel modo diverso da tutti invocato. Il paese ha percepito il PR come forza davvero alternativa: anche se l'alternativa, in questo caso, viene intesa in un'accezione certo differente da quella corrente nel dibattito politico. E' un'alternativa non tanto degli schieramenti, delle formule e delle bandiere, ma quella sulle cose; o meglio ancora sul costume politico. Intorno a "questa" alternativa si raccolgono ormai spontaneamente milioni di cittadini provenienti da aree culturali, sociali e partitiche le più diverse; è una alternativa se non già maggioritaria certamente assai diffusa nella coscienza del paese, non contro lo Sta

to ma per un funzionamento delle istituzioni democratiche rispondente allo spirito della Costituzione.

La "diversità radicale"

Il Congresso ha mostrato piena consapevolezza di questa realtà: ha capito che se la forza dei radicali sta nella loro "diversità", un atto come l'accettazione del finanziamento pubblico che - a torto o a ragione - sarebbe stato sentito come la prova che i radicali "sono come gli altri" avrebbe costituito, non per ragioni moralistiche ma di efficacia politica, un errore catastrofico. Del resto non era questione solo dell'immagine esterna, ma della stessa consapevolezza di sé dei congressisti: inevitabilmente una decisione diversa da quella adottata avrebbe indotto un fenomeno di deresponsabilizzazione tale che, per esempio, non sarebbe stato neppure immaginabile un così feroce impegno di autotassazione dei partecipanti al congresso. E quando Pannella ha avanzato I'ipotesi di una utilizzazione del finanziamento pubblico non già per il partito né per i referendum, ma a sola e pura opera di controinformazione, il congresso non ha raccolto tale ipotesi; senza neppure volere entrare nel merito della (pur sostenibi

le) separatezza tra utilizzazione a scopo referendario e utilizzazione a scopo controinformativo. In ciò anche un'importante evidenza apparsa dal congresso: la rivelazione che i mille e più partecipanti alla assise costituivano un corpo politico sedimentato (il partito riflesso nel congresso) con i suoi tempi, le sue scelte, le sue metodologie di lavoro e di deliberazione, che non potevano essere mutate senza un processo di maturazione collettiva.

E' stato così largamente accettato che il dibattito congressuale si svolgesse all'interno del nodo politico di fondo dell'autofinanziamento, rinviando tacitamente l'esame di altri aspetti che pure ad esso erano direttamente collegati: lo stato del partito (prima annunziato nell'odg congressuale e poi lasciato cadere), e il senso e i limiti della collaborazione instauratasi sui referendum con Lotta Continua e con il Movimento dei Lavoratori per il Socialismo. E' vero dunque che il congresso non ne ha parlato, ma il suo stesso andamento suggerisce alcune valutazioni a proposito.

Il tipo di risposta che ha riscosso l'appello per l'autofinanziamento ha confermato, con evidenza semmai maggiore che in passato, il dato appena ricordato che l'area di consenso intorno al PR ha una latitudine vasta: hanno contribuito impiegati e sottoproletari, pensionati e uomini di cultura, operai e casalinghe, studenti e carcerati; molti dando non il superfluo ma - veramente - il necessario. Una risposta "interclassista" di questo genere, che viene non da militanti altamente politicizzati, ma - senza retorica - dalla gente qualsiasi, dà uno spaccato dell'intera e complessa realtà italiana, delle maggioranze non silenziose ma eloquenti. Una risposta di questo genere non sarebbe stata neppure immaginabile se l'appello fosse stato rivolto da una corrente che avesse le caratteristiche storiche e culturali della sinistra rivoluzionaria. Si è confermato che l'essere "minoranza attiva e dinamica" per i radicali ha significato e valore ben diversi da quelli delle correnti della nuova sinistra marxista: infatti a

i richiami mai o quasi mai esauditi alla "classe operaia" ed al "proletariato" dei militanti extraparlamentari corrisponde l'adesione dei "cittadini" e dei "democratici" ai progetti radicali.

In effetti, gruppi e movimenti come Lotta Continua e il MLS, con i loro pregi e i loro difetti, sono comunque forze strutturalmente minoritarie, confinate in aree ben delimitate di opinione pubblica, incapaci di uscire dai lacci di un ideologismo esasperato e da una fraseologia rivoluzionaria non comunicante, incapaci insomma di stabilire un rapporto con l'opinione pubblica più vasta. Non si può porre quindi in alcun modo per il PR la questione di tradurre le convergenze, pur importanti, e che nell'ultimo anno sono state numerose e qualificanti, in un disegno strategico.

Guai se il PR avesse soggettive o oggettive pretese egemoniche nell'area dell'ultrasinistra in disgregazione e se perdesse in un rapporto "frontista" con queste forze la propria specificità, e con essa il nesso singolare che ha saputo costruire con il paese. Oltretutto la pratica scomparsa del PR - ché questo comporterebbe la sua riduzione a ulteriore partitino dell'ultrasinistra - avverrebbe senza alcuna utilità per nessuno.

La violenza dei mass media

Gli avvenimenti successivi del 12 maggio hanno dimostrato con evidenza drammatica la piena validità dell'altro grande problema che il Congresso ha finalmente messo al centro dei propri lavori: quello del diritto dei cittadini ad avere un'informazione non distorta che è poi anche il diritto delle minoranze a non essere schiacciate in una società in cui, molto più delle galere, televisione e giornali sono strumento di consenso e dissenso, quindi di manipolazione e di dominio.

Non entriamo qui nel merito degli avvenimenti. Osserviamo solo che - salvo poche, onorevoli eccezioni - i mezzi di comunicazione di massa hanno stravolto completamente il senso dell'iniziativa dei radicali e i loro concreti atti e comportamenti in quel pomeriggio.

L'immagine che così è stata trasmessa a spettatori e lettori è stata quella di uno scontro fra la polizia e i "soliti" estremisti violenti; fra i quali, questa volta (per la prima volta), in prima fila i "seguaci di Pannella". L'operazione che si è tentata, e che certamente il governo aveva preventivato e voluto, è stata quella di annullare la "diversità" dei radicali ("ma allora, anche loro...") e di stroncare l'iniziativa pacifica e vincente, perciò pericolosissima, dei referendum. L'obiettivo era quello di dimostrare con l'evidenza delle immagini della guerriglia urbana che gli otto referendum sono proposti e voluti solo dal blocco degli estremisti sovversivi; e con ciò si voleva tagliare il cordone ombelicale che lega il movimento dei diritti civili alla coscienza democratica della grande maggioranza, civile e non violenta, del paese.

Crediamo e speriamo - al momento in cui scriviamo non abbiamo ancora elementi certi di giudizio - che questo disegno sia destinato a fallire non solo perché negli scontri è stata uccisa una compagna del movimento femminista che voleva firmare gli otto referendum e non un poliziotto, ma soprattutto perché è stato troppo evidente l'uso criminale dei provocatori di stato armati nelle strade di Roma: cosicché davvero oggi, per la prima volta, si può parlare di opposti estremismi che minacciano la pace e la democrazia del paese: da un lato i criminali adoratori della P38 e dall'altro quelli delle squadre speciali in borghese.

Già prima del 12 maggio avevamo conquistato la certezza che quella dell'informazione negata era la strozzatura che impediva di raccogliere non a centinaia di migliaia, ma a milioni le firme dei democratici; a tanto maggior ragione lo si deve constatare ora, e deve quindi essere individuata una efficace strategia che per far salva la base stessa delle possibilità democratiche, deve avere tra i nodi essenziali e prioritari quello dell'esercizio e del controllo dell'informazione. E questo non solo per ristabilire la verità sul partito radicale (contro il tentativo cioè di "criminalizzare quanto meno moralmente, l'unico partito della nonviolenza in Italia") ma per garantire un diritto fondamentale (conoscere per deliberare) a tutti i cittadini.

Come che sia, il 30 giugno il Comitato per i referendum consegnerà - è una certezza ormai acquisita - oltre 500.000 firme autenticate e certificate.

Certo, diciamo, molto meno di quelle che in diverse condizioni si sarebbero raccolte. Se le firme riconosciute valide dalla Cassazione saranno sufficienti a far indire i referendum, si porrà il problema di utilizzare questo strumento importantissimo di crescita civile del paese non solo per realizzare riforme eluse da trent'anni, ma per qualcosa di più ampio. Con i referendum, i radicali e tutte le componenti del movimento per i diritti civili non faranno opera negativa, disgregatrice o soltanto "di opposizione"; al contrario, come è da sempre nei loro obiettivi e nel loro metodo, agiranno pienamente, nel senso più vero del termine, come forza non di potere ma di governo.

Su questa strada, ed oggi purtroppo non se ne intravedono altre, si costruisce nel paese quella forza socialista la cui mancanza rende non credibile e difficile l'alternativa: e cioè - non ci stancheremo di ripeterlo a chi finge di non sentire - si offre il contributo più serio ed efficace a bloccare la degenerazione del tessuto civile del paese.

 
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