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Bresso Mercedes, Megevand Beatrice - 25 maggio 1977
MLD fra partito e femminismo
di Mercedes Bresso e Beatrice Mégevand

SOMMARIO: Il movimento femminista risente di un periodo di riflusso. L'MLD, federato al PR, si è presentato nelle sue liste, ma l'esperienza interna è stata peggiore di quella esterna, perchè il partito ha una struttura maschile. Un'informazione distorta sulla violenza delle femministe rende necessaria una maggiore azione nonviolenta.

(ARGOMENTI RADICALI - BIMESTRALE POLITICO PER L'ALTERNATIVA - anno I, n. 2, giugno-luglio 1977)

Il prossimo congresso del Movimento di Liberazione della Donna si apre in un momento difficile per il movimento femminista; dopo la grande ondata di crescita provocata dalla mobilitazione per la battaglia sull'aborto il movimento si trova in una fase di riflusso. Si tratta purtroppo di un fenomeno scontato, che si è prodotto in tutti i paesi dove si erano svolte analoghe battaglie. Basti pensare alla Francia, dove il "dopo-aborto" ha incontrato mille difficoltà, in presenza di una opinione pubblica (anche femminile) ormai disattenta e dove il tentativo di creare un segretario di stato alla condizione femminile è naufragato miseramente nel disinteresse generale.

Rendendosi conto delle difficoltà che il movimento avrebbe incontrato nel periodo del defatigante dibattito parlamentare sull'aborto, l'MLD aveva tentato di rilanciare la mobilitazione intorno al noto progetto legislativo per "le eguali opportunità", incentrato su un problema di bruciante attualità come quello del lavoro femminile. La mobilitazione tuttavia non è riuscita: la logica ferrea degli strumenti di comunicazione di massa che richiede il ricambio continuo delle "mode" politiche ha agito contro il movimento femminista ricacciandolo tra i fenomeni di folclore.

Era inevitabile che al riflusso esterno corrispondesse anche una crisi interna all'MLD, crisi che investe sia i rapporti fra MLD e movimento femminista nel suo complesso, sia quelli fra MLD e Partito radicale.

Una posizione di frontiera

La particolare situazione di "frontiera" in cui si trova l'MLD a causa del suo rapporto federativo col PR ha dato luogo in questi anni a molte contraddizioni che, a seconda delle occasioni, si sono risolte positivamente, contribuendo alla crescita politica del movimento, o lo hanno frenato invece nel suo sviluppo autonomo.

Secondo noi una contraddizione positiva è stata quella provocata dalla scelta dell'MLD di presentarsi alle elezioni nelle liste radicali con una massiccia presenza di candidate. Questa decisione ha provocato certamente delle polemiche con gli altri gruppi femministi ma è stata per molte una importante e stimolante esperienza di contatto diretto con le donne. La verifica del fatto che i tradizionali comportamenti politici dell'elettorato femminile, di diffidenza a dare la preferenza alle candidate donne, potevano essere superati da una presenza di massa nelle liste di donne portatrici di un discorso femminista, è stata di estrema importanza.

L'assoluta parità nella distribuzione delle preferenze fra candidate e candidati ha confermato che le sole condizioni necessarie per sbloccare la scelta nei confronti delle donne erano la decisa testimonianza di volontà del partito che le presentava di riconoscere loro un ruolo effettivamente paritario e la presenza concreta delle donne candidate nelle lotte di liberazione.

Se dunque l'esperienza "esterna" di rapporto con il PR nella fase elettorale (ma anche nelle lotte comuni sui grandi temi di questi anni) è stata positiva, meno positiva ci appare quella che potremo definire "interna". A differenza di altri movimenti di sinistra (si veda il caso di Lotta Continua) lo sforzo del PR di darsi un'immagine femminista è stato certo rilevante. Il tipo stesso di battaglie prescelte testimonia l'interesse per l'acquisizione delle donne alla vita politica. L'appartenenza al PR è stata quindi indubbiamente "gratificante" per le donne, che si sono spesso sentite portatrici di un nuovo modo di impegno e di partecipazione politica al femminile. Questa situazione relativamente privilegiata ha fatto spesso però dimenticare che la struttura e il funzionamento del partito restavano sostanzialmente "maschili" e si riflettevano spesso anche sull'azione deil'MLD che finiva per accettare i tempi politici imposti dal partito.

La necessità dell'iniziativa pressante, della risposta alle fasi di un dibattito parlamentare e, al limite, l'accettazione della logica del successo come metri di valutazione dall'esterno della validità della propria azione femminista, hanno creato nell'MLD grossi problemi di coerenza interna. L'MLD è vissuto in effetti in questi anni, a livello dell'elaborazione teorica, in maniera sostanzialmente parassitaria sul resto del movimento e non è nemmeno riuscito a spiegare a se stesso le ragioni delle scelte che lo differenziavano dal resto del movimento. Probabilmente la scelta che abbiamo fatto è stata quella di essere un gruppo "cerniera", di divulgazione verso le altre donne dei temi e delle acquisizioni del movimento nel suo complesso. Ma solo raramente siamo riuscite a chiarire fino in fondo a noi stesse i limiti e i significati del ruolo che ci eravamo scelto. Anche la "diversità" del rapporto federativo fra un gruppo femminista che si muove in un'area estremamente complessa ma anche ben definita come ob

iettivi e metodi politici, rispetto a quello che lega il PR agli altri movimenti federati, è stata poco approfondita. Il nodo del rapporto col partito sta nella sua difficoltà ad accettare questa diversità del rapporto federativo che d'altro canto è costato molto caro all'MLD nel confronto con il movimento femminista nel suo insieme. Per il Partito radicale all'MLD, come agli altri gruppi federati, si deve chiedere una continuità di prestazioni clamorose, si può dire anzi che "il prezzo della federazione è il successo", secondo la felice espressione di una compagna milanese.

Appare quindi necessario un momento di riflessione sul come reimpostare il rapporto di federazione che proprio perché "difficile" resta secondo noi valido e stimolante. Ciò che occorre salvaguardare è l'esigenza di un maggiore legame dell'MLD col movimento femminista e, soprattutto, quella di una maggiore autonomia nelle iniziative di lotta (probabilmente anche negli strumenti che troppo spesso hanno ricalcato quelli usati dai radicali).

C'è un altro aspetto dei rapporti partito-femminismo che riguarda non solo le donne dell'MLD ma più in generale le donne radicali o almeno quella maggioranza fra esse che si considera femminista. Si tratta dell'utilizzazione dell'appartenenza all'MLD (vera o presunta) per dare alle donne emergenti del PR una "patente" di femminismo.

Non intendiamo certo trasferire il diritto a dare la "patente" di femminista dal partito all'MLD ma piuttosto chiarire che l'appartenenza delle donne dirigenti del PR all'MLD è più interessante come concreto comportamento dell'oggi piuttosto che come testimonianza di buona condotta passata. In sostanza, se è vero che all'interno del partito il modo nuovo, femminista, di fare politica, così come la diversità del rapporto con i compagni, sono ancora tutti da inventare, la presenza di donne dirigenti del partito ci pare da caratterizzare come "femminista" solo se esse concretamente fanno uno sforzo di ricerca in questa direzione.

Molte compagne hanno fatto nel partito l'esperienza della difficoltà di essere contemporaneamente militante femminista e militante politica. Il caso di Adelaide Aglietta è esemplare di questa difficoltà. L'attenzione della prima donna segretario di partito in Italia ai problemi del femminismo e in particolare a quelli del rapporto donna politica è stata insufficiente a caratterizzare in maniera non tradizionale il suo mandato, riconfermando la difficoltà di riuscire a tradurre in termini concreti le analisi fatte a livello culturale.

D'altronde se un significato ha il rapporto di federazione dovrebbe essere proprio nell'individuazione teorica e pratica della possibilità di conciliare questi due momenti diversi. Il tentativo è fallito in alcuni partiti della sinistra rivoluzionaria. Se non vogliamo che fallisca anche nel nostro dobbiamo chiedere uno sforzo di approfondimento in primo luogo alle compagne che militano nel partito in posizioni di responsabilità e a quelle che essendo impegnate prevalentemente nell'MLD possono meglio porsi come interlocutrici.

Senza pretendere di essere esaustive ci sembra possibile indicare alcuni temi di dibattito, quali il significato del contributo delle donne alla vita politica e i limiti in cui la militanza politica favorisce la liberazione della donna. Ci sono poi i temi classici del dibattito femminismo-partiti, quali i rapporti compagne-compagni, militanza-vita privata, legame di coppia- militanza politica. Da ultimo può valere la pena di affrontare una discussione sul diverso significato che probabilmente assume per le compagne dell'MLD e per i radicali l'affermazione "il personale è politico" che tanto spesso usiamo.

Femminismo e violenza

L'altro importante nodo che dobbiamo affrontare è quello relativo al nostro rapporto con il movimento complessivo delle donne che ha visto negli ultimi mesi un mutamento di tipo qualitativo e quantitativo. Se da una parte il cosiddetto "femminismo storico" (definizione che non ci piace, ma che adottiamo per comodità di chi legge e anche nostra) non ha saputo uscire dai suoi schemi ormai superati di autocoscienza, continuando a stare chiuso nei ghetti di sole donne, dall'altra è giunta a rimpolpare le fila del movimento un'ondata di ragazze, per lo più molto giovani, quasi tutte provenienti dai gruppi della nuova sinistra e spesso tuttora militanti. Queste ultime hanno, in certa misura, scavalcato le femministe storiche, imponendo al movimento ritmi e attività nuove Loro caratteristica principale: la ricerca dello scontro sul terreno politico, la presenza fisica nelle vie e nelle piazze, il desiderio di "far politica" nel senso più concreto del termine. Ai margini di questa corrente, si trovano i collettivi f

emministi facenti parte dell'area dell'autonomia, protagonisti di episodi di violenza inusitati per il movimento femminista fino a pochissimi mesi fa e ora sempre più frequenti (l'ultimo in ordine di tempo a Genova è stato rivendicato da una sedicente "organizzazione femminista armata per la liberazione comunista", che farebbe pensare a collegamenti con le Brigate Rosse).

Queste donne violente hanno fatto molto parlare quotidiani e settimanali, che ne hanno approfittato, come quasi sempre accade, per strumentalizzare gli episodi e giungere quindi a parlare di "violenza femminista". Molti di loro hanno dedicato la copertina a donne mascherate armate di spranghe e bastoni, lasciando così credere ai lettori che ormai tutto il movimento delle donne sia caduto nelle mani di alcune violente. Non solo non è così, ma neppure si può parlare di violenza femminista in questi termini. E' ancora da provare, innanzitutto, che questi gruppi di donne violente siano femministi. I collettivi dell'autonomia sembrano essere, per ora, molto più braccio femminile dei gruppi della P38 che non collettivi femministi. E loro stesse, d'altra parte, non identificano nel maschio, bensì nelle strutture capitalistiche della nostra società il nemico principale.

La discussione comunque è appena cominciata, siamo solo agli inizi di quella che rischia di diventare una prassi contagiosa e bisogna stare attente a non liquidare il problema affermando che queste donne "non sono femministe perché violente". Certo per il femminismo (soprattutto per quello storico) la nonviolenza è stata per anni una bandiera. Nessuna è più convinta della giustezza di questa scelta delle donne del MLD, che fanno parte dell'area radicale. Ma la spinta emergente del nuovo femminismo è in parte anche violenta, non attraverso bombe molotov o sprangate contro vetrine, ma violenta nella sua carica di ribellione a una repressione che, secondo queste compagne, non può essere combattuta con i metodi del femminismo storico. La proposta di ronde notturne di donne per prevenire e punire aggressioni maschili, l'esigenza sempre più sentita di non essere più deboli e indifese e quindi la necessità di imparare metodi di autodifesa, sono reali.

Questa è secondo noi la vera violenza femminista, forse più di intenti che di fatti, ma comunque spinta reale nata da una nuova concezione del ruolo del movimento, e non può essere liquidata con affermazioni di "non femminismo".

Ma questo tipo di violenza esprime soprattutto il bisogno di azioni concrete e di una risposta "politica". Ed è qui che, secondo noi, queste compagne sbagliano: la risposta politica non sta nell'azione clamorosa, violenta, forse anche gratificante al momento, ma che a lungo andare non paga. E se la scelta della nonviolenza è sempre stata difficile, ora lo è anche di più, ma va ribadita, una volta ancora, e non perché siamo donne e quindi per natura non violente (la donna è violenta quanto lo può essere l'uomo), ma perché si tratta di una scelta che continuiamo a ritenere fondamentale. Lo sforzo che in questo momento un movimento come l'MLD deve compiere è quello di incanalare questa spinta in direzione del continuo confronto politico, dell'intervento che incida sulla realtà. E'sempre stata la nostra linea e quasi sempre è stata osteggiata dal resto del movimento che ci rimprovera di non essere abbastanza femministe e di usare strumenti estranei al movimento delle donne. Ora ci pare che il momento storico sia

particolarmente favorevole alla nostra posizione: se la spinta attuale è per un maggiore impegno sul terreno della lotta politica, si tratta, per noi, di avere la forza e la volontà di compiere uno sforzo collettivo di incidenza sulla realtà che non passi attraverso la violenza. Si tratta, soprattutto, di occupare uno spazio che per troppo tempo ci ha visto sole, lo spazio dell'intervento concreto, che ci ha sempre creato problemi e difficolta con il movimento delle donne ma che può oggi diventare un momento di aggregazione.

 
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