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Teodori Massimo - 25 maggio 1977
Contro il pasticcio della riforma Malfatti (*)
di Massimo Teodori

SOMMARIO: La riforma dell'università patrocinata dal fanfaniano Malfatti è priva di ogni motivo ispiratore di fondo. Si coniugano gli interessi baronali con quelli delle masse dei precari attraverso il tradizionale meccanismo assistenziale-parassitario. Il sistema previsto di cristallizazione dei ruoli è contrario al criterio fondamentale di una università moderna e cioè la mobilità all'interno e la mobilità tra istituzione e società. In parlamento i radicali non presenteranno proposte proprie, ma si impegneranno per una riforma alla luce del sole. La speranza che il CNU diventi grande movimento di docenti per la riforma dell'università e sempre meno corpo di contrattazione con le controparti, sempre più portatore di battito generale e sempre meno luogo di aggregazione di interessi specifici.

(ARGOMENTI RADICALI - BIMESTRALE POLITICO PER L'ALTERNATIVA - anno I, n. 2, giugno-luglio 1977)

Il punto da cui vorrei partire è il fatto incontestabile che la proposta Malfatti non ha alcun motivo ispiratore di fondo. E stato detto e ripetuto: "università per che cosa"? Ci si è posti forse la questione a partire dal dato di fatto della "università di massa", se deve essere orientata a preparazioni estremamente specialistiche o se, invece, l'ipotesi portante della nuova istituzione deve basarsi su una sorta di formazione di carattere generale, non generica, in cui si acquisiscano metodologie e capacita di adattamento più che professionalità specifiche?

Sciogliere positivamente questo nodo già postosi con forza in università più evolute della nostra, sembra essere non solo esigenza culturale per un nuovo umanesimo relativo alla civiltà di massa con la creazione di un cittadino in grado di padroneggiare le proprie scelte di lavoro difendendosi da un sistema che tende a parcellizzarlo, ma è anche necessario in rapporto alla estrema mutabilità delle strutture socioeconomiche e occupazionali che le società industriali avanzate presentano.

Questo è un primo interrogativo ed altri potrebbero essere sollevati. Ma qui non intendo addentrarmi ulteriormente nell'esame di tali nodi. Voglio solo dire che la proposta del ministro è priva di qualsiasi filosofia e questa mancanza di impostazione non è casuale, anzi è funzionale. Ad essa si supplisce con l'invenzione di una impalcatura burocratica la cui unica coerenza è quella degli ingranaggi che si innestano uno sull'altro. Lo ha ricordato in questa sede il vicepresidente CNU Decleva quando diceva che il progetto è percorso da due logiche quella di "vertice" e quella "demagogico-assistenziale" che si fanno convivere e ognuna tenta di avere la meglio sull'altra. A questo giusto rilievo delle linee forza del progetto si deve aggiungere che ciò che tiene insieme le due logiche è una visione della "società come società corporata", una società cioè in cui il pluralismo è quello dei corpi che si fronteggiano, patteggiano e si accordano tra loro. E non è un caso che il progetto corporato sia scaturito dalla

mente del fanfaniano ed efficientista Malfatti sopra, contro, al di fuori di qualsiasi dibattito ed intervento nel paese e nel parlamento.

Dopo decenni in cui la politica della DC e delle forze ad essa ancillari si è basata sulla costante pratica del rinvio di ogni scelta, qui come altrove, sostituendo ad essa le concezioni settoriali, e di fatto accettando le pressioni baronali portate fin dentro il parlamento, fino all'attuale stato di disgregazione, ora la risposta è la supersistemazione di tutti i corpi in un "quadro corporato". In esso ancora una volta sono coniugati gli interessi baronali (a cui si lasciano pressoché intatti funzioni esclusive e privilegi nella ricomposizione della prima fascia prevista, con gli interessi delle masse dei precari rispetto ai quali la risposta non è già quella della sollecitazione culturale e scientifica e dalla messa in moto di meccanismi di stimolo, pur nel rispetto del lavoro e delle funzioni svolte, ma solo quella assistenziale stabilizzatrice.

Non meraviglia del resto tutto ciò. Poteva la DC che ha creato, voluto e fatto crescere l'enorme apparato burocratico-parassitario dello Stato, del parastato con quella "nuova classe" che è la base sociale del suo potere poteva la DC comportarsi diversamente con l'università? Non sono d'accordo con i rimpianti del bel tempo antico dei moderati che parlano di "EGAM della cultura", (vedi Alberto Ronchey su ""Il Corriere della Sera"") ma certo questa sistemazione quadro malfattiana è la esatta prosecuzione delle sistemazioni dello Stato burocratico-assistenziale divenute elefantiache nell'ultimo venticinquennio.

Un dato è certo. Il sistema di scatole e di gabbie previsto dalla proposta governativa è quanto di più antitetico ad un criterio elementare senza il quale qualsiasi università, a qualsiasi criterio ispirata, non può che morire: "la mobilità all'interno e la mobilità tra istituzione e società". Tutti conoscono troppo bene i meccanismi complicati proposti dal progetto per doverli qui ricordare. E insieme alla cristallizzazione è altrettanto centrale nella proposta l'illusione anzi la scelta di garantirne il funzionamento istituzionale attraverso provvedimenti tipo la descrizione delle ore da dedicare ed altri simili accorgimenti caporaleschi di cui semmai c'è da meravigliarsi che siano stati ripresi in qualche modo dalle sinistre.

Su un tema che è stato anche al centro del dibattito del CNU ritengo che debba essere fortemente criticato l'accordo con i sindacati confederali, non già rammaricandosi del fatto che per la prima volta ci sia stata una contrattazione sugli aspetti normativi dello stato giuridico, cosa di cui c'è da rallegrarsi, ma per quello che gli altri - "partiti e parlamento" - non hanno fatto. E'stato ricordato da più parti: i sindacati hanno riempito un vuoto; e, lasciatemi aggiungere che il ministro è stato ben lieto, questi vuoti di usarli e strumentalizzarli per farsene forte nella sua riforma. Così la politica delle astensioni ha fatto un altro guasto. Se è lecito un'immagine i sindacati-scuola sono state vittime - non so quanto consapevoli o inconsapevoli - e non protagonisti del disegno malfattiano, ed hanno così permesso che il ministro si presentasse ai partiti ed al parlamento con il beneplacito di una forza sociale in tal modo ridotta a corpo. Oggi una polemica con i sindacati può e deve essere fatta, ma per

addebitare loro di essere caduti in un tranello e quindi per colpire e indicare dove in realtà stanno le vere responsabilità. E le responsabilità sono ancora una volta della DC e nella inerzia delle altre forze politiche.

E veniamo da ultimo a due punti dai quali, parlando a nome di una forza politica, pur se piccola, non posso esimermi: che cosa farà il PR e che cosa rispondiamo alla richiesta che ieri sera veniva avanzata circa il ruolo che il CNU aspira ad assolvere.

I radicali non presenteranno progetti di legge e la ragione è ovvia giacché finora non c'è stata su ciò azione politica. Tuttavia si impegneranno in parlamento, quando la discussione andrà alla Camera, affinché il processo di intervento legislativo si svolga alla luce del sole, portando se necessario i chiusi patteggiamenti nel fuoco della polemica della pubblica opinione. Rispetto alle proposte in campo, per quanto riguarda quella Malfatti, ne denunceremo tutti gli equivoci, le carenze, i sottintesi. Per le altre ci muoveremo secondo i seguenti criteri ispiratori: no alle strutture che favoriscono lottizzazioni politiche, no al corporativismo, no ai controlli assembleari che sono una parodia della democratizzazione, sì alla garanzia dei diritti per tutte le componenti, dagli studenti ai docenti, sì alla mobilità all'interno dell'università e tra essa e la società, sì alla sperimentazione strutturale non centralizzata e non affidata al decreto, sì al rafforzamento del carattere pubblico della università e de

lla sua funzione di centro primario di ricerca al servizio della società. Infine, e più importante, ci batteremo ancora una volta contro il modo di legiferare per "legge delega", tanto più in quei settori cruciali dell'intervento nell'università che significherebbe proprio la contraddizione con qualsiasi aspirazione al controllo democratico nel parlamento e tra le forze sociali e culturali interessate.

Al CNU si deve infine una risposta. Noi radicali così come siamo sempre rifuggiti dagli uffici settoriali e quindi anche dall'ufficio scuola e università, così abbiamo sempre teso a valorizzare i momenti autonomistici che si esprimono nella società civile e all'interno di determinate aree e istituzioni sociali. In questo senso se il CNU riesce ad essere quel grande movimento di docenti per la riforma dell'università, questo sarebbe certamente un fatto positivo che andrebbe nella direzione di una realizzazione del pluralismo non centrato sulla contrattazione di corpi. Appare quindi chiaro che la sfida centrale per il CNU è quella che sempre più esso divenga movimento e sempre meno corpo di contrattazione con le controparti, sempre più portatore di dibattito generale e unificante e sempre meno aggregazione di interessi specifici.

Sappiamo ormai dall'esperienza di questi anni che laddove si produce un movimento che ha la forza di autorganizzarsi, là è possibile ottenere anche mutamenti e riforme senza che queste siano inventate in una qualsiasi "stanza dei bottoni". Mi pare che a partire dalla disgregazione universitaria, quasi da quell'anno zero in cui oggi ci troviamo, se il CNU riesce ad assolvere questo compito, di movimento dal basso, esso può portare un contributo importante a quella opera di ricostruzione che è indispensabile.

(*) Intervento per i radicali al Congresso del Comitato Nazionale Universitario (CNU), Taormina, 30 aprile 1977

 
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