Radicali.it - sito ufficiale di Radicali Italiani
Notizie Radicali, il giornale telematico di Radicali Italiani
cerca [dal 1999]


i testi dal 1955 al 1998

  RSS
mar 30 apr. 2024
[ cerca in archivio ] ARCHIVIO STORICO RADICALE
Archivio Partito radicale
Teodori Massimo - 25 maggio 1977
UN'ARIA AUTORITARIA SPIRA NEL PAESE...
di Massimo Teodori

SOMMARIO: Per la prima volta dal 1947 in Italia non c'è opposizione. Il PCI è divenuto cogestore della normalizzazione e sempre più corresponsabile della gestione autoritaria dello stato. Il PSI (un assemblaggio di dirigenti che si fanno guerra) si limita al mugugno nei confronti del progressivo accordo DC-PCI, senza essere capace di offrire un diverso punto di riferimento al paese. L'opposizione è considerata estremista e, quindi, è criminalizzata. Ma i veri fattori destabilizzanti sono da un parte i pitrentottisti e i difensori della repressione di Stato, dall'altra tutti coloro che a sinistra come al centro o a destra si adoperano per un sistema senza opposizione.

(ARGOMENTI RADICALI - BIMESTRALE POLITICO PER L'ALTERNATIVA - anno I, n. 2, giugno-luglio 1977)

"You don't need a weatherman to know which way the wind blows.

Bob Dylan"

C'è un'aria autoritaria che spira nel paese che ha tutto il sapore di qualcosa di nuovo. E non ci riferiamo agli avvenimenti di aprile e di maggio che ognuno conosce sui quali deve farsi ancora interamente luce, allo stesso modo in cui ci sono voluti molti anni per capire - e non sempre ci si è riusciti - le vicende dell'estate 1964 (Segni e piano "Solo" del generale De Lorenzo) e della prima stagione della strategia della tensione dal novembre 1969 (piazza Fontana) al maggio 1973 (bomba alla questura di Milano). Ci riferiamo a qualcosa di diverso che rappresenta la base stessa della situazione su cui son potute fiorire le "cospirazioni" di Stato e contro lo Stato: è forse il configurarsi in Italia di quella "ingovernabilità" delle società industriali avanzate su cui si pubblicano rapporti negli Stati Uniti e nel resto del mondo occidentale.

Un tempo era solito circolare a sinistra, e tra la migliore sinistra, l'alternativa con carattere di necessità "socialismo o barbarie", da cui prese le mosse uno dei più intelligenti ed originali gruppi francesi all'inizio degli anni cinquanta. Oggi la nuova realtà italiana, quella che viene sì da lontano, ma che ha assunto le caratteristiche decisive e determinanti per ciò che riguarda alcuni tratti autoritari emergenti, data dalla stagione successiva al 20 giugno 1976, dal governo che si regge sulle quasi unanimi astensioni dalla ricorrente formulazione di "partiti dell'arco costituzionale", per giungere fino alle nuove intese (politiche? programmatiche?) che sono in corso di realizzazione. Si potrebbe allora affermare che la risposta, parafrasando quell'alternativa intravista negli anni cinquanta, è "o più libertà o più autoritarismo": cioè o si trova il modo di invertire le tendenze oggettive e soggettive in atto, (nelle cose e tra le forze politiche) oppure queste inevitabilmente arriveranno a ulteriori

conclusioni con forme certamente nuove di surrogazione dell'autorità con l'autoritarismo.

La realizzazione di un sistema senza opposizione

Per la prima volta dal 1947 non esiste in Italia una opposizione nel sistema politico; e, se i corsi vanno così come le maggiori forze politiche PCI, PSI e DC, insieme ovviamente ai minori PRI, PSDI e PLI intendono farli andare, questa situazione atipica eccezionale, di emergenza, sarà sempre più definitivamente tale senza più una parvenza di opposizione. A questo punto non stupirebbe perfino che anche Democrazia Nazionale convergesse in tale unanimismo consensuale nel parlamento e nel paese. E' vero che, come si è detto e ripetuto fino alla noia, in parlamento anche nei periodi di più duro scontro di facciata (anni '50, e poi sotto diverse sembianze, anni '60 del centro-sinistra) esisteva una convergenza, che si realizzava nel voto delle leggine in commissione, tra la DC e i suoi alleati da una parte e il PCI come polo dell'opposizione dall'altra. Ma una cosa è dire che il PCI non si è mai posto come alternativa di governo alla DC, ed un'altra è constatare che quel progetto a lungo perseguito di copartecipa

zione nel governo e nel potere si attua ora anche formalmente. Il governo delle astensioni aveva inaugurato il periodo del "limbo" del corretto funzionamento democratico - quanto a responsabilità e ruoli delle diverse forze politiche - ed oggi si è sulla strada di percorrere l'ulteriore gradino sotto le sembianze della cogestione programmatica magari con l'astuzia verbale della riserva politica (e qui non esprimiamo un giudizio sulla qualità della conclusione dal momento che essa è negativa anche per coloro che hanno creduto nella "diversità" dell'incontro comunista con lo Stato-DC rispetto a quello realizzato dal PSI all'inizio degli anni '60). Il ragionamento politico di fondo che presiede alla creazione del regime unanimistico è quello secondo cui "la DC non può governare contro le sinistre, e il PCI e le sinistre non possono governare contro la DC": sicché non può che realizzarsi l'accordo, e l'accordo di conseguenza diviene esso stesso l'unico quadro "legittimo", al di fuori del quale non esiste che la

volontà destabilizzatrice perché non si possono concepire orizzonti e prospettive diversi da quelli imposti dalle premesse considerate.

A favorire, ancora prima che la realtà di un sistema senza opposizione, la teorizzazione della sua necessità, sono state e sono argomentazioni contenenti tutte in sé germi autoritari. Ieri era una concezione organicistica della società e delle istituzioni secondo cui il mutamento non poteva poggiare che sull'unità delle masse popolari rappresentate dalle correnti politico-culturali che storicamente le hanno organizzate (indipendentemente dal segno politico di queste espressioni organizzate). Oggi è lo stato di necessità che richiede un'unità in difesa dello Stato - anzi secondo la definizione del quotidiano ufficiale del PCI - "una più ampia collaborazione democratica" che si attesti intorno allo Stato distinguendolo da quel sistema di potere ("regime") che pur essendogli strettamente compenetrato è da esso diverso e distinto: un presupposto che potrebbe essere anche preso per buono se non fosse chiaro che la compenetrazione tra Stato (astrattamente) democratico e regime (concretamente) corrotto non fosse re

alizzata proprio attraverso l'essere e l'agire della DC che dell'"ampia collaborazione democratica" costituisce cardine essenziale.

Il PCI come attivo cogestore della normalizzazione

La fine dell'opposizione nel sistema politico (Enzo Forcella chiama questa situazione "una democrazia che si è trasformata in regime proprio perché ha sostituito alla dialettica la struttura", "La Repubblica", 21-5-1977) ha comportato che ognuna delle forze storiche della sinistra assumesse un ruolo nuovo, ulteriormente dislocato rispetto ai precedenti equilibri. Al PCI sembra già da ora essere spettata la funzione di attivo cogestore della "normalizzazione" (moderata); al PSI di essere relegato ai margini scomparendo sempre più da qualsiasi significativa presenza politica nelle istituzioni e nella società; ai sindacati di riassumere progressivamente le obbedienze partitiche per trasmettere le grandi linee direttive del nuovo corso al tessuto sociale del paese.

Mai si era visto un Partito Comunista nella sua dirigenza essere animato da spirito così lealista non verso lo Stato democratico ma verso quegli atti che nello Stato operano come sistema di potere o come regime. Solo negli ultimi mesi, per fare alcuni esempi, il PCI ha dato via libera alla sanatoria dell'EGAM, (per non parlare della Montedison), il più vergognoso misfatto economico-finanziario dei ministri DC, offrendo la propria copertura ad un compromesso che costa migliaia di miliardi ai contribuenti; sull'università l'accordo sindacati-Malfatti (di cui la parte sindacale con la CGIL e la CISL ha operato a sua volta con il beneplacito rispettivamente dell'ufficio scuola PCI di Giuseppe Chiarante e dello stesso ministro DC) ha realizzato il compromesso tra potere baronale e potere sindacale sulla base della logica assistenziale; sull'ordine pubblico poi la mancanza di una qualsiasi strategia "liberale" e progressista ha fatto arroccare il PCI su un terreno difensivo che a mano a mano è arretrato in correla

zione con lo svilupparsi delle nuove strategie della tensione e con la richiesta DC di "prove" al PCI nella corresponsabilizzazione della conseguente gestione autoritaria. Il 12 maggio a Roma non ha rappresentato altro che il momento (per ora) culminante di tale situazione nel quale i responsabili comunisti sono stati chiamati a fare da vero supporto a Cossiga nell'opera prima di sospensione delle libertà civili e poi di repressione e sua giustificazione (Pecchioli: "Non c'è nessuna norma che vieti le squadre in borghese. E dirò di più, ritengo che la presenza di agenti in borghese in servizio d'ordine pubblico nel corso di manifestazioni sia non solo legittimo ma utile", "La Repubblica" 18-5-1977).

Ai segni che provengono da ogni orizzonte sulla volontà di integrazione del PCI nel sistema vigente ha corrisposto e corrisponde l'attacco verso tutte quelle forme di opposizione sociale e politico-sociale che in altri tempi erano pure in qualche modo mediate e rappresentate dalla forza-istituzione PCI. Lo svilire i referendum (con la bizantina distinzione tra metodo e obiettivo, dell'uso buono o di quello cattivo) e soprattutto ignorare il significato partecipativo-democratico dimostrato dalle centinaia di migliaia di firme raccolte; il ridurre sempre più il movimento studentesco con le sue ragioni storiche e le cause di travaglio di masse giovanili a fatti di irresponsabilità sociale da tenere sotto controllo nelle conseguenze; l'indirizzare i sindacati all'attacco contro quelle forme di vitalità di base che hanno trovato espressione nei consigli di fabbrica ribelli e contemporaneamente deprimere ogni combattività in subordine a strategie già tracciate; ignorare i movimenti (o non ancora tali, le istanze)

dei disoccupati e degli emarginati di ogni fascia sociale relegandoli strutturalmente ad una "seconda Italia": tutto ciò assume per il PCI valore non già di un deperimento (subito) del ruolo di opposizione, ma di una scelta (deliberatamente imboccata) di essere agente di normalizzazione, con l'illusione che ciò rappresenti il prezzo da pagare per una stabilizzazione sociale.

E non si può sottacere, nella cronaca di questi mesi, che i tempi, i modi, i limiti e i contenuti dell'incontro tra DC e PCI, in una qualche formula incomprensibile di copartecipazione, sono stati stabiliti dalla prima, con il letale abbraccio dell'onorevole Moro nel suo ben calcolato e funzionale temporeggiamento millenario. Si deve allora, a nostro avviso, rilevare come nel pagare ogni giorno questo scotto, il PCI e per esso Berlinguer, non ha mostrato, come alcuni sostengono, la necessaria tenacia di una operazione a respiro storico, ma ha solo contribuito a ridurre la rappresentatività del sistema politico italiano. E con ciò si sta ponendo in essere un risultato davvero "storico": il racchiudere tutte le forze politiche cosiddette democratiche all'interno di un recinto, con il rigetto al suo esterno dell'opposizione che non ha altra possibilità se non quella di manifestarsi nel sociale; e quindi, in tal senso sì, con funzione destabilizzatrice di "questo" assetto di potere.

In tutto questo processo unanimistico e di creazione di superstruttura senza dialettica alcuna (dalle partecipazioni statali ai sindacati dall'ordine pubblico all'università, dal falso e inesistente "programma" allo sloganistico "quadro politico") il PSI è al tempo stesso al rimorchio della situazione ed emarginato dai suoi principali attori.

Un PSI passivo al rimorchio delle cose

I socialisti erano stati negli ultimi mesi quelli che avevano provocato il "chiarimento" governativo con la proposizione di un accordo programmatico e di una nuova maggioranza politica. Dopo un periodo di logoranti incontri (bilaterali e multilaterali, tecnici e politici, interlocutori e verificanti...) progressivamente il PSI è stato accantonato dai due maggiori protagonisti. E sorge ben il dubbio che non potesse accadere che così: giacché dietro la facciata di una completamente vuota proclamazione di "alternativa" e di altrettanto illusoria ipotesi di tappa intermedia di governo di emergenza con partecipazione comunista, non ha preso forma alcuna specifica iniziativa politica socialista in parlamento e nel paese, nel movimento sindacale e operaio ed in quello dei diritti civili, nella modalità dei comportamenti politici (che, questi sì, sarebbero davvero alternativi e non moralistici) e nel modo di porsi di fronte al "palazzo" ed alle "stanze dei bottoni". Un lucido commentatore socialista ha amaramente sc

ritto: "Il fatto è che il PSI non è un partito. Privato dal frontismo prima e dal centro sinistra poi di un sicuro insediamento sociale, esso è ancora oggi un assemblaggio di gruppi dirigenti, che si fanno la guerra sintonizzandosi ciascuno con una diversa istanza espressa dal paese. Per questo il PSI registra ogni movimento, ma lo fa senza masticare e senza digerire, risputando il giorno dopo non politiche ma formule che sono anche contrastanti tra loro" (Giuliano Amato, "Dove sta andando il PSI", "La Repubblica", 14-5-1977)

Il PSI per proprie carenze più che per scelta ha finito per accettare la fine delle opposizioni non essendo in grado di contrapporre a questa grande tendenza consensuale la voce di movimenti, istanze, contraddizioni e comportamenti che avrebbero costituito una barriera ed un freno al processo in corso. Il "mugugno" con cui Craxi e i suoi compagni hanno commentato la fase cruciale del progressivo accordo DC-PCI non è di certo bastato a costituire motivo sufficiente per ostacolarlo né per offrire un diverso punto di riferimento al paese. In ciò il PSI sembra ridotto, non tanto per la consistenza quantitativa ma per il ruolo politico, a "partito minore", ben al di sotto della sua capacità e potenzialità di lotta.

La democrazia consensuale, unanimistica, antidialettica non è solo nella realtà ma nella stessa mancanza di ipotesi e progetti alternativi sorretti dai consistenti forze che li rendono credibili e fattibili. Il compromesso storico - bisogna pur dirlo - è l'unico progetto politico esistente nel paese, è l'unica trama su cui viene iscritta giorno per giorno la vicenda politica. Ed anche coloro che vi si oppongono devono lavorare sullo stesso terreno per ostacolare quello che parrebbe un corso inesorabile se non dovesse fare i conti con la realtà sociale del paese e con la sua reattività. Sarebbe miope non riconoscere a chiare lettere che l'alternativa proposta esteriormente dai socialisti, o da una parte di essi, è cosa ben risibile, giacché si tratta di una facciata senza sostanza di parole senza spirito, di enunciazione senza politica.

Tutta l'opposizione è rigettata nel sistema sociale

In ciò è l'autoritarismo emergente anche a sinistra: nell'impossibilità di rendere possibile il confronto tra diverse posizioni e proposte. Di conseguenza tutta l'opposizione è rigettata nel sistema sociale: i disoccupati a fare i conti con la propria emarginazione; gli studenti a posteggiare nelle università; i movimenti per maggiori libertà e diritti a doverli difendere e conquistare nelle piazze; e tutti senza nessuna prospettiva d'essere espressi, interpretati e rappresentati nelle istituzioni. Il PCI ama oggi definirsi "partito di lotta e di governo" ma in realtà quanto a lotta, nella pratica di ogni giorno, si sta al contrario dimostrando partito del "contenimento della lotta" nel mentre tenta di essere "ammesso al governo". E' per ciò che l'opposizione sociale, ovunque e sotto qualsiasi forma si manifesti; viene qualificata come "radicale" e "estremista" nel senso che non si fa carico degli equilibri in formazione, ma per la sua stessa natura tende a sovvertirli, trattandosi proprio di quelle istanze

e quelle spinte che non hanno trovato composizione nel quadro politico reciprocamente accettato come quello in grado di soddisfare le richieste dei partiti.

La sinistra, e per essa il PCI, sta accettando una equazione altrimenti cara alla destra. Chi non accetta le convergenze in atto è fuori dal sistema; è, si sarebbe detto venticinque anni or sono, un "nemico del sistema e dello Stato"; è secondo la logica tedesca d'oggi, qualcuno (persona o forza politica) da sottoporre a provvedimenti speciali e da tenere al bando della società. In altri termini oggi la sinistra ha accettato di usare come propria una locuzione come quella dei "centri di iniziativa destabilizzante" in cui l'attività destabilizzatrice è traslata da un determinato assetto politico (in atto o in progetto) all'insieme delle stesse istituzioni. E' questo il germe autoritario che percorre la sinistra. All'accusa di destabilizzazione verso l'establishment del potere che non vorrebbe il compromesso storico si aggiunge ora quella rivolta a "gruppi di orientamento genericamente radicale (non ci riferiamo solo al partito che porta questo nome) i quali, con segno opposto, operano la medesima identificazi

one: combattere il sistema di potere (o il regime) non sarebbe possibile senza coinvolgere lo Stato stesso" (Claudio Petruccioli, "Ricomporre il mosaico", fondo, "L'Unità", 15-5-1977).

Di qui il passo alla criminalizzazione dell'opposizione è breve: se non si riconosce legittimità ad altre espressioni politiche se non a quelle comprese in ciò che emblematicamente vengono definite le forze dell'arco costituzionale; se ogni espressione che sia ad esso esterna è ritenuta fuori dalla Costituzione; se si accetta che lo Stato è in pericolo ed il pericolo viene proprio dall'opposizione sociale che non accetta il piano di stabilizzazione contenuto in una qualche forma di compromesso storico: allora il dissenso sociale e il dissenso politico (sia esso quello in difesa del potere di acquisto dei lavoratori o quello in difesa della libertà di riunione; per la riconquista - con una espressione enfatica ma significativa - del "diritto alla vita" da parte degli emarginati o per la conquista del diritto alla informazione connesso con l'esercizio della democrazia) tendono ad essere schiacciati in un'area ritenuta progressivamente sempre più illegittima.

Chi sono i veri destabilizzatori

Per la prima volta, forse, la strategia della tensione sta facendo breccia nel profondo della coscienza della pubblica opinione del nostro paese. La responsabilità del dilemma bloccato tra paura e repressione, e della sua inevitabile accettazione senza altre possibilità, è della sinistra che non ha saputo, voluto o potuto contrapporre altri diversi disegni per il futuro. Quando si afferma, come molti ormai fanno, che dopo il 20 giugno 1976 nel giro di una stagione la sinistra è stata battuta accettando la logica democristiana del logoramento, mi pare che sia giusto riferirsi innanzitutto alla creazione di un sistema unidimensionale nelle aspettative e negli orizzonti, prima ancora (e premessa) di un sistema unidimensionale nelle formule politiche senza opposizione. E' l'accettazione del dilemma "autoritarismo o ingovernabilità" che singolarmente la sinistra italiana riprende e accetta proprio da quei rapporti americani (rapporto Samuel Hungington per conto della "Commissione Trilaterale", a cui era dedicato

l'intervento di Noam Chomsky nel n. 1 di "Argomenti Radicali") che prospettano soluzioni tecnocratiche per le società industriali avanzate.

Sorge allora un interrogativo che non si può tacere, nascendo esso non già dalla nostra fertile immaginazione applicata all'analisi politica ma piuttosto da quella realtà sociale prodotta ogni giorno nel nostro paese.

Non sono state forse create in questo periodo proprio da tale sistema bloccato, senza opposizioni e senza possibilità di confronto, le premesse psicologiche oggettive dello scontro armato e cruento?

Noi siamo tra coloro che hanno sempre ritenuto altamente improbabile qualsiasi golpe come qualsiasi rottura rivoluzionaria (rappresentando entrambe queste attese le due facce dello stesso atteggiamento mentale) giacché ogni giorno c'è un continuum di fatti autoritari e di possibili fatti rivoluzionari.

Oggi tuttavia ci viene il dubbio che i maggiori fattori destabilizzanti inseriti nella oggettiva situazione di crisi siano due. Da una parte gli (apparentemente) opposti estremismi dei pitrentottisti e dei difensori della repressione di Stato, legati gli uni agli altri da qualche filo, oggettivo e soggettivo, che non possiamo individuare se non induttivamente. Dall'altra tutti coloro che a sinistra non meno che al centro o a destra si adoperano per un sistema senza opposizione e quindi tendente a trasformare sempre più in nemici dello Stato e delle istituzioni quelli che sono portatori di diverse istanze politiche o di bisogni sociali avversi a quelli ritenuti legittimi di rappresentazione.

 
Argomenti correlati:
opposizione
sinistra
craxi bettino
stampa questo documento invia questa pagina per mail