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Pannella Marco - 30 maggio 1977
Armati di non violenza
Marco Pannella

SOMMARIO: Sono state raccolte 500.000 firme per l'indizione degli "otto referendum contro il regime" promossi dal Partito radicale (abrogazione del Concordato, dei tribunali militari, dei reati d'opinione contenuti nel Codice penale, di parti della legge manicomiale, della legge che attribuisce alla polizia poteri speciali in materia di arresto, perquisizione e intercettazioni telefoniche, della legge che attribuisce ai partiti un consistente finanziamento pubblico, della "Commissione inquirente" - lo speciale "tribunale" composto da parlamentari per il giudizio preventivo sui reati compiuti dai ministri). Ma per garantire che non vengano annullati in sede di verifica delle firme, è necessario raccoglierne altre 200.000. Marco Pannella lancia un appello perché sia raggiunto questo obiettivo, perché siano contrastate con le armi della nonviolenza le inevitabili provocazioni e i tentativi di linciaggio che le forze di regime cercheranno di scatenare per impedire questo successo politico.

(Lotta Continua Maggio 1977 da " Marco Pannella - Scritti e discorsi - 1959-1980", editrice Gammalibri, gennaio 1982)

Ci siamo. Raggiunti i 500.000 firmatari per gli otto referendum (e i 4 milioni di firme autenticate), il regime e i suoi volontari o involontari sostenitori e clienti impazziscono di rabbia. Una volta di più ci avevano sottovalutato, come per il divorzio, per l'aborto, per tante più specifiche ma durissime lotte per i diritti civili, come quella che combattiamo da dieci anni contro la Rai- Tv e la stampa, eunuche di informazione leale e democratica, rapinatrici violente di legalità, verità e dialogo civile.

I compagni non radicali hanno dinanzi a loro, in questi giorni, una prova di quanto il regime ci odi e tema, per gli effetti riconfermatisi della nostra tattica e strategia nonviolente, ché solo questo ci distingue radicalmente dalle altre posizioni dell'alternativa autenticamente socialista, libertaria, classista, democratica. Si sono scatenati tutti, da Repubblica a Paese Sera, dal Corriere della Sera a La Stampa, a L'Unità, La Voce Repubblicana, L'Avanti !, Il Secolo, per intimidirci, soffocarci, attribuirci con violenza posizioni, atti e obiettivi opposti e diversi dai nostri. Devono squalificarci, isolarci moralmente dalla coscienza delle masse, per poter poi meglio colpire, e definitivamente, se non ci rassegnamo anche noi a capire che "lo stile" è tutto, e che il nostro "stile" non piace e non è permesso in questa democrazia. Il procedimento è scoperto, classico.

Poiché non siamo disposti, da nonviolenti, ad assuefarci e arrenderci di fronte ai fatti compiuti di violenza, rimettendoli nel conto generale dello scontro di classe e del giorno in cui "dal potere" gli faremo pagare tutto; poiché per noi, la femminista, la compagna di Lotta Continua Giorgiana Masi quel pomeriggio del 12 maggio era anche radicale, una di noi in ogni senso (perché si è quel che si fa, quel che si sceglie di fare), e sul suo assassinio siamo disposti a giocare tutta la nostra esistenza politica finché verità e giustizia vengano fatte ( e glielo abbiamo mostrato); poiché dalla prima ora abbiamo rifiutato l'uscita di sicurezza che volevano imporci (i radicali buoni e nonviolenti ma strumentalizzati dai facinorosi dell'"autonomia", almeno quel giorno); poiché pensano di essere definitivamente riusciti a far mettere nel conto, quanto meno, delle "opposte violenze" di polizia e dei manifestanti, quella morte; tanto più si scatenano ora a difesa di Cossiga, ci accusano di essere divenuti pazzi e vi

olenti quanto più questo può servire per confinare e screditare nel ghetto della pazzia e della violenza anche gli otto referendum e tutto l'armamento parlamentare, istituzionale, costituzionale che costituisce da vent'anni l'altra singolarità e specificità del Partito radicale rispetto a vecchie e nuove sinistre.

Stanno ormai chiaramente coinvolgendo in questa operazione anche compagni "rivoluzionari" di classe e di stile composti e prelibati: la decisione di comunicare preventivamente al ministro di Polizia il testo della mia Tribuna Politica, per opportuna conoscenza, e di sollecitarne non già una "replica" (che presuppone due messaggi televisivi autonomi: non l'inquinamento del messaggio con successivo diritto di replica e rettifica, di cui va accertata preventivamente la penitenza), ma un intervento inquinante, è stata votata all'unanimità, Democrazia Proletaria compresa. E Luciana Castellina compresa la stessa unanimità ha stabilito che prima ancora del mio intervento mi si dovesse accusare di slealtà, scorrettezza, non documentazione delle accuse al ministro di Polizia. Inutile poi, come ha fatto la nostra onorevole compagna, far comunicati di rammarico per cercare di coprire le proprie responsabilità. Insomma, come al solito, nei momenti drammatici e conclusivi di uno scontro, i nemici giungono fino in casa.

Non mi sembra un caso che contro il compagno Corvisieri (che sostiene di aver detto alla televisione, sui fatti del 12 maggio e contro Cossiga, meglio, le mie stesse cose) non c'è stata nemmeno l'ombra di una reazione: è il cocktail lotte di massa e di piazza nonviolente, da una parte, e iniziative costituzionali esemplarmente legalitarie, come quella degli otto referendum, dall'altra, che fa paura ed è esplosivo per il regime. E' il cocktail delle disubbidienze e dei digiuni e delle marce, le obiezioni di coscienza, degli arresti e dei processi che affrontiamo da sempre per l'obiezione antimilitarista, per la legge antidroga, quella antiaborto, quella antidivorzio di classe della Sacra Rota, con l'attivismo costituzionalista e regolamentare nel Paese e in Parlamento che, colpendoci, tentano di disinnescare.

Ecco perché i difensori nonviolenti dei diritti civili dei negri e della pace contro la guerra in Vietnam (a partire, anche, dai diritti violati dello stesso parlamento americano in tema di ostilità armate internazionali) dovettero esser perseguitati fino all'assassinio di Martin Luther King: per "scollare" lotta di piazza costituzionale, lotta di classe e lotta di pace e di ordine civile e internazionale, democratico e legalitario. Ecco perché i Cossiga e i Trombadori, gli Andreotti e i Pecchioli, si scatenano per un nonnulla, per schiacciare il pidocchio radicale dalla criniera del nobile destriero del "compromesso storico" e del monopartitismo di governo, più o meno imperfetto.

Così, il 30 maggio, con un editoriale di Ghirelli, La Stampa può ormai ripetere a chiare lettere che i fatti »collocano ormai i radicali in un'area più vicina a quella dell'Autonomia Operaia che non degli stessi gruppi di nuova sinistra (buon Oreste Scalzone, Toni Negri, dopo tanti anni, lo vedete, vogliono farci ritrovare in lotta comune!). In ogni menzogna c'è del vero, rispondo a Ghirelli e agli altri come lui: già fummo a lungo accusati di essere più vicini a Pinelli, Valpreda, le vere vittime delle stragi e della politica dello Stato, che ai "democratici" allora al governo, allora e oggi vicini, loro, alle fucine e alle "stanze dei bottoni" che organizzano a livello nazionale, da più di dieci anni la violenza omicida, o la suscitano, la coprono, la nutrono per trarne poi condizioni tattiche favorevoli alle loro pur diverse strategie d'ordine, di progresso e di pace.

Ma se non vogliamo esser ciechi o accecati dalla durezza degli attacchi, e servirci da soli le controverità che ci ammanniscono in questi giorni, bisogna invece dirci chiaramente che la battaglia per i referendum sta per essere persa e non vinta, malgrado il raggiungimento della soglia legale dei quattro milioni di firme e dei cinquecentomila firmatari.

La situazione è infatti questa: abbiamo impegnato 60 giorni per raccogliere 500.000 firmatari, dovremmo raccoglierne 200.000 in 15 giorni per porre i referendum al sicuro dal primo, inevitabile attacco, quello della verifica della loro "autenticità" e della allegazione dei certificati elettorali dei firmatari.

Ormai da due mesi, poco meno di un migliaio di compagni radicali oltre, forse, a qualche centinaio di Lotta Continua e del MLS stanno massacrandosi di lavoro militante e sono spesso esausti; l'operazione di raccolta nazionale e di verifica delle firme stesse richiede decine e decine di milioni di spese materiali da fare immediatamente; lo stesso Partito radicale ha finora mostrato, rispetto alla campagna del referendum sull'aborto, con una crescita spesso sorprendente, determinati vuoti o carenze politici e organizzativi in zone dell'importanza di Milano, Genova o Trieste, difficilmente colmabili; il martellante, quotidiano linciaggio cui saremo sottoposti, non potrà certo restare senza effetti; in molti compagni il sospetto di una enfatizzazione tattica da parte nostra degli sforzi finali e della loro necessità, unito alla stanchezza e al periodo estremo degli esami universitari e liceali, creeranno il rischio di una smobilitazione progressiva, lì dove c'è invece bisogno assoluto di giorni di moltiplicazi

one degli sforzi e dei risultati.

Altri pericoli sono quelli dello stato in cui le firme vengono mandate al Comitato nazionale, dove, per esempio, decine e decine di compagni hanno dovuto trascorrere due notti e giorni per verificare e riordinare solo diecimila firme inviate dai compagni di Milano, che sembrano presi da una allucinate sorta di irresponsabilità o da liquefazione politica. Altrove, ovunque, il danaro raccolto nei tavoli non viene immediatamente inoltrato al centro, che rischia fra ore, più che giorni, la paralisi. Piccoli fatti, certo. Ma le vittorie politiche, quanto maggiori e necessarie ci appaiono, esigono da ciascuno altro che il brivido eroico degli scontri: l'umiltà di lavoro e di lavori letteralmente "operai" nella fabbrica della quotidianità alternativa e democratica, simboleggiata dai lapis e dai tavoli in luogo delle chiavi inglesi e delle macchine.

Ecco quindi il problema da risolvere, per cui diventa ormai inutile la "direzione" del "centro", e che solamente il rigore e la fantasia, il senso di responsabilità e la forza militante di ogni singolo gruppo e di ogni singolo compagno può risolvere positivamente. Quanti non hanno firmato? Quanti non si sono concretamente impegnati per un giorno, o cinque giorni, per far firmare, in qualche modo, nei tavoli o nelle segreterie comunali, nelle cancellerie dei tribunali? Certo, subito dopo non ci sarà da riposarsi.

Il PCI sta già preparando cinicamente, al vertice, un tentativo per scippare i referendum, rifiutando di mettere la Corte di Cassazione in condizioni che garantiscano di poter rispettare la legge e compiere in tempo le sue operazioni. Le firme di Umberto Terracini e di decine e decine di migliaia di compagni del PCI devono essere abrogate, come tutte le atre. Altrimenti, come scrive alla fine lo Zanetti, direttore del settimanale L'Espresso (con rispetto parlando), il "pacchetto" di accordi programmatici fra Berlinguer e Moro rischierebbe d'esser schiacciato dal "baule", ugualmente politico e programmatico, dei referendum di liberazione e di conquista dell'ordine costituzionale e democratico nel Paese. Zanetti ha lui il solo torto (che generalmente viene da molti compagni attribuito a noi) di crederci affetti da mania referendaria, o quanto meno di sottovalutare che la nostra risposta al 12 maggio, al PCI e al governo che ne sostengono in modo convergente la violenza assassina sol perché si è trattato di

violenza di Stato e contro di noi, è altrettanto centrale e sconvolgente per il regime, e affonda le sue radici e le sue capacità di scandalo e di colpire nel segno perché anche di queste lotte siamo, da vent'anni, testardi e attenti militanti.

La nonviolenza non è inerzia. »Armati di nonviolenza , abbiamo tante volte precisato e proclamato. Hanno sperato spesso di farci cadere nella trappola dell'evasione inerte o violenta. Se nel Movimento la riflessione e l'azione militante si svilupperanno su questo nodo centrale delle lotte alternative e il nostro patrimonio riuscirà a divenire comune ad altri, sarà inutile non solo il linciaggio politico e personale di questi giorni, ma anche il passo successivo che Cossiga a chiare lettere ha minacciosamente preannunciato con la sua nota televisiva. Sarà tardi anche per ammazzarci.

 
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