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Spadaccia Gianfranco - 2 giugno 1977
I "borghesi" del Mondo e i plebei di Pannella
Gianfranco Spadaccia

SOMMARIO: Nella polemica contro il Pr, la stampa contrappone i "borghesi" radicali del Mondo con i più "plebei" radicali di oggi, le campagne giornalistiche di Pannunzio con le marce,i digiuni, i sit-in, gli arresti dei radicali di Pannella. L'autore, pur non rivendicando una eredità storica con il vecchio gruppo fondatore del Pr, afferma che ciò che unisce politicamente le due esperienze politiche è l'estraneità, dei radicali di ieri come quelli di oggi, all'establishment, alle stanze del potere e della corruzione di regime.

(Notizie Radicali n.161 del 2 giugno 1977)

La contrapposizione dei radicali di oggi, così intolleranti e plebei, a quelli di ieri, cioè al gruppo del "Mondo" di Pannunzio e Paggi, Mario Ferrara ed Ernesto Rossi è stato uno degli argomenti ricorrenti della polemica antiradicale degli ultimi tempi. E naturalmente questa polemica, che ha accomunato Andrea Barbato al direttore del Mattino Orazio Mazzoni (ognuno ha le compagnie che si merita), ha trovato nuove occasioni nei fatti del 12 maggio.

Ci siamo formati, alcuni di noi, della generazione che ha ormai varcato, con i 40, le soglie della mezza età, leggendo "Il Mondo" e siamo cresciuti politicamente accanto e in polemica con quella generazione di radicali. Rapporto dialettico e contraddittorio dunque, come sempre accade nei rapporti fra due generazioni, che hanno avuto storie, esperienze e anche formazioni culturali necessariamente diverse.

Proprio per questo non abbiamo mai rivendicato eredità e abbiamo taciuto quando altri tentava invece di accreditarsi come il continuatore e l'erede del "Mondo": prima La Malfa e i lamalfiani, più recentemente il PCI che ha preteso di inglobare anche quella tradizione e quella cultura e di rappresentarla nel proprio calderone politico-culturale. Ci siamo comportati così anche nei confronti di un uomo come Ernesto Rossi, rispetto al quale nessuno oserebbe negare il diretto legame di continuità, non solo ideale ma politico, che a lui ci unisce. Le rivendicazioni e le approppriazioni in questo campo sono sempre univoche e false, costituiscono da tutti i punti di vista una operazione illecita. Le opere e i giorni, le idee e i fatti di un uomo o di un gruppo di uomini che hanno prodotto politica e cultura appartiene a tutti. Del resto ciascuno è figlio di molti padri, in questo campo, e più d'uno di noi si potrebbe riconoscere a giusto titolo maggiormente nelle esperienze esistenziali di Terracini piuttosto che in

quelle di Pannunzio: e non tanto per il gusto della ricerca dell'eroismo (che non ci appartiene e apparteneva molto di più culturalmente, si pensi a Emilio Lussu, agli uomini di quella generazione) quanto per l'esempio di "non mollare" davanti al fascismo e in ogni altra occasione, perfino davanti al suo stesso partito, che Terracini ha saputo darci in tutta la sua vita al pari di Rosselli e di Ernesto Rossi e dei tanti come loro.

Ci siamo sempre invece preoccupati che dei radicali del "Mondo" non scomparisse, con la scomparsa del Partito Radicale, anche il ricordo: l'unico ricordo che conta per uomini che non hanno fatto da spettatori ma che hanno preteso di influire sulla storia della loro epoca e del loro paese, cioè il ricordo della loro azione politica. Il fatto che se ne parli sempre più spesso sia pure per "usarli" contro di noi e per contrapporceli, significa che in qualche misura ci siamo riusciti.

Lasciamo che fosse Arrigo Benedetti, cioè uno di loro, a riconoscere sulle colonne del "Mondo", che aveva tentato di far rivivere, e su quelle del "Corriere della Sera", che fra il Partito Radicale di oggi e quello degli anni cinquanta e dei primi anni sessanta c'è un rapporto di diversità e anche di continuità: il nuovo radicalismo si è affermato non contro ma grazie all'antico.

La diversità è fin troppo evidente: quanti giornalisti comunisti (fra i tanti borghesi che scrivono sui fogli del partito del proletariato) non ci contrappongono gli usi e costumi, il perbenismo e il tatto, la cortesia e il gusto di quella élite borghese? Non compresero il nostro antimilitarismo e il nostro pacifismo. Anche per loro, così lontani dalle esperienze del movimento operaio italiano ed europeo, la nonviolenza era una merce esotica, d'importazione. Non compresero e non condivisero per la verità neppure il nostro programma di unità e di alternativa di sinistra, con i comunisti, ma questo Paese Sera preferisce non ricordarlo. Le nuove lotte di liberazione, quella della donna, quelle sessuali ed omosessuali, quelle degli emarginati, erano appena agli inizi. Non gli si possono addebitare mancanze ed appuntamenti ai quali la loro generazione non era stata chiamata. La libertà sessuale che potevano capire era quella di Gide e di Lawrence, o quella che in Italia si faceva faticosamente strada nei romanzi

di Moravia: poco più di una esperienza letteraria, e comunque qualcosa che aveva in sé valori universali e che era confinata pur sempre idealmente all'interno di un determinato e ristretto ceto, inafferrabile e inaccessibile per i più, per le masse. Ma chi, come Benedetti, è vissuto qualche anno di più, ha visto e compreso, in qualche modo partecipato.

Ma quando Benedetti parlava di continuità, non si riferiva a questo, perché anche lui non avrebbe mai fatto l'operazione illecita, di attribuire ad altri le sue esperienze e le sue opinioni, ma si riferiva a qualcosa che era appartenuto a pieno titolo ai radicali di quella generazione: l'anticlericalismo, la lotta contro il regime, per i diritti civili, per uno stato di diritto.

Noi ci siamo formati e siamo cresciuti nelle file di quel Partito Radicale di allora. Molti dei giornalisti, che ci censurano oggi, come i giornalisti clerico-fascisti degli anni cinquanta censuravano Pannunzio ed Ernesto Rossi, si sono invece formati frequentando la redazione del "Mondo" e scrivendo su quel giornale o sull'Espresso di Benedetti. Barbato è fra questi, come Enzo Forcella e come tanti altri.

Sappiamo cosa ci differenzia da quei radicali, ma sappiamo anche in cosa erano simili a noi e irriducibilmente diversi da chi oggi ce li contrappone. Sul caso Lockheed, sulle responsabilità di Leone, per fare un esempio, si sarebbero comportati come noi, e non come chi in quella occasione ci ha attaccato o ha taciuto, fornendo comunque un avallo e una copertura al regime e ad operazioni e interessi che danneggiavano la Repubblica.

Era un gruppo di borghesi, era una élite di borghesi illuminati, che non superò mai questo limite e non ne sciolse le contraddizioni. Ma la singolarità della loro esperienza è nel fatto che, appartenendo ad ogni tiolo all'establishment (il più lontano fra loro da ogni ambizione di potere era amico assiduo e consigliere ascoltato dal Presidente Einaudi) seppero rinunciare ai vantaggi e ai privilegi della loro condizione, per dar vita a un progetto prima giornalistico e poi politico di opposizione e di difficile minoranza.

 
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