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Camera dei deputati - 30 giugno 1977
LEGGE REALE: Referendum per l'abrogazione della Legge 22 maggio 1975, n. 152 - Disposizioni a tutela dell'ordine pubblico

SOMMARIO: Scheda sul referendum abrogativo della "legge Reale", promosso dal Partito radicale. Ordinanze della Corte di cassazione, sentenze della Corte costituzionale e ricorso dei promotori contro l'ordinanza della Corte di cassazione.

(IL REFERENDUM ABROGATIVO IN ITALIA: LE NORME, LE SENTENZE, LE PROPOSTE DI MODIFICA - CAMERA DEI DEPUTATI - QUADERNI DI DOCUMENTAZIONE DEL SERVIZIO STUDI, Roma 1981)

"30 giugno 1977": presentazione della richiesta

"6 dicembre 1977": ordinanza Ufficio centrale Cassazione che dichiara legittima la richiesta, eccettuando l'articolo 5 della legge stessa, integralmente sostituito dall'articolo 2 della legge 8 agosto 1977, n. 533

"13 dicembre 1977": istanza dei promotori del "referendum" all'Ufficio centrale Cassazione per la modifica dell'ordinanza del 6 dicembre 1977

"19 dicembre 1977": ordinanza Ufficio centrale Cassazione che dichiara inammissibile l'istanza

"7 gennaio 1978": ricorso Comitato promotore alla Corte costituzionale per conflitto di attribuzione nei confronti della Corte di cassazione

"2 febbraio 1978": sentenza n. 16 Corte costituzionale che dichiara ammissibile la richiesta secondo il quesito modificato dall'ordinanza 6 dicembre 1977

"2 marzo 1978": ordinanza n. 17 Corte costituzionale che dichiara ammissibile il ricorso in sede di sommaria delibazione

"11 aprile 1978": ordinanza n. 44 Corte costituzionale con cui si solleva questione di costituzionalità dell'articolo 39 della legge n. 352/1970

"14 aprile 1978": D.P.R. di indizione del "referendum"

"16 maggio 1978": sentenza n. 68 Corte costituzionale che dichiara la parziale illegittimità costituzionale dell'articolo 39 legge 352/70

"22 maggio 1978": sentenza n. 69 Corte costituzionale che annulla l'ordinanza dell'Ufficio centrale Corte di cassazione, nella patte in cui modifica il quesito referendario relativo alla legge 152/1975, eccettuandone l'articolo

"25 maggio 1978": ordinanza Ufficio centrale Cassazione con cui si dispone che le operazioni referendarie si svolgano sul quesito relativo alla legge 152/75 »come modificata, nell'articolo 5, dall'articolo 2 della legge 533/77

"1· giugno 1978": sentenza n. 70 Corte costituzionale che dichiara ammissibile la richiesta di "referendum"

"11-12 giugno 1978": svolgimento del "referendum"

voti attribuiti alla risposta affermativa (sì) 7.400.619

voti attribuiti alla risposta negativa (no) 24.038.806 287

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Corte di cassazione - Ufficio centrale per il referendum

Ordinanza del 6 dicembre 1977

Ritenuto in fatto e in diritto. - Che con verbale 14 febbraio 1977 della Cancelleria di questa Corte Suprema dieci cittadini italiani iscritti nelle liste elettorali dichiararono di voler promuovere, in base agli articoli 75 e 27 Cost. e 7 legge 25 maggio 1970 n. 352, e successive modificazioni, la raccolta di almeno 500.000 firme di elettori per la richiesta di un "referendum" popolare sul seguente quesito: »Volete voi l'abrogazione della legge 22 maggio 1975 n. 152 recante ``Disposizioni a tutela dell'ordine pubblico''? :

- che tale iniziativa fu regolarmente annunciata dalla Corte suddetta con avviso nella "Gazzetta Ufficiale" n. 42 del 15 febbraio 1977;

- che successivamente, con verbale 30 giugno 1977 della Cancelleria della Corte suddetta. I Signori Pietroletti Glauco, Capuzzo Francesca Romana, Pallicca Davide, Calderisi Giuseppe, Zeno Zencovich Vincenzo, Vigevano Paolo, iscritti rispettivamente al nn. 2, 3, 5, 7, 9 e 10 dei promotori ed iscritti nelle liste elettorali, riferendosi alla dichiarazione di cui al verbale del 14 febbraio 1977, presentarono formale richiesta del "referendum" sopra indicato, depositando - ai sensi dell'articolo 28 legge 25 maggio 1970 n. 352, e successive modificazioni - 63 scatole-pacchi nelle quali dichiararono racchiusi fogli contenenti oltre 700.000 firme di cittadini italiani elettori per la Camera dei Deputati:

- che questo Ufficio Centrale, in vista della complessità delle operazioni, per ottenere la maggior precisione possibile del controllo e dei calcoli da farsi, chiese con verbale del 4 luglio 1977 di essere autorizzato dal Signor Primo Presidente di valersi della collaborazione del Centro Elettronico di Documentazione esistente presso l'Ufficio del Massimario e del Ruolo di questa Corte Suprema di Cassazione, oltre che dei magistrati appartenenti all'Ufficio suddetto, nonché di un consistente ufficio di segreteria e tutto l'altro personale che si dovesse ritenere necessario;

- che l'autorizzazione fu concessa con decreto del Primo Presidente, il quale con altro decreto mise a disposizione dell'Ufficio i magistrati, i funzionari e l'altro personale richiesto;

- che dal 5 al 21 luglio 1977 l'Ufficio Centrale procedette all'apertura dei plichi ed alla identificazione dei fogli mediante timbratura e numerazione progressiva, fogli che furono poi ricollocati in altrettanti pacchi, debitamente numerati e sigillati;

- che in 77 sedute tenute di mattino e di pomeriggio dal 22 settembre 1977 all'11 novembre 1977 l'Ufficio Centrale ha proceduto direttamente all'esame ritenere necessario;

definitivo e totale di tutti i fogli aperti;

- che il risultato definitivo - conformemente ai dati ricavati dall'elaboratore elettronico - su un totale di 562.033 firme esaminate, è il seguente:

a) firme regolari: 516.135;

b) firme irregolari: 45.898;

- che essendosi raggiunto e superato il numero minimo di 500.000 firme volute dalla legge, in base al numero dei fogli contenuti nei plichi finora aperti, l'operazione può dichiararsi chiusa, ogni ulteriore adempimento comportando un'attività del tutto superflua e irrilevante;

- che pertanto può senz'altro darsi atto: a) che la richiesta è stata preceduta dall'attività di promozione conforme ai requisiti di legge; b) che essa è stata presentata da soggetti che vi erano legittimati; c) che il deposito è avvenuto nel termine di tre mesi dalla data di timbratura dei fogli regolari; d) che la richiesta di abrogazione della legge 22 maggio 1975 n. 152, recante: »Disposizioni a tutela dell'ordine pubblico , è stata regolarmente formulata e trascritta nella facciata, contenente le firme, di ciascun foglio; e) che il numero definitivo delle firme valido esaminato supera il numero di 500.000 voluto dalla legge;

- che l'Avvocatura Generale dello Stato in rappresentanza del Consiglio dei Ministri e l'avv. Mario Mellini per il Comitato dei promotori del "referendum" hanno depositato deduzioni scritte con atti del 28 novembre 1977;

- considerato che il compito dell'Ufficio Centrale si esaurisce tutto nella verifica della legittimità formale della proposta di "referendum", implicante il riscontro del rispetto dei limiti modali e temporali di questa;

- che, pertanto, relativamente all'oggetto del "referendum", spetta a questo Ufficio constatare esclusivamente se l'atto considerato è una legge o un atto normativo avente forza di legge e se al riguardo è intervenuta abrogazione legislativa o sentenza di annullamento della Corte costituzionale;

- che è demandato invece alla Corte costituzionale il giudizio sull'ammissibilità del "referendum ratione materiae" e correlativamente l'individuazione dei limiti di questo giudizio;

- che nella specie è indubbio il carattere legislativo della legge n. 152 del 1975;

- che con legge 8 agosto 1977 n. 533 sono state apportate modificazioni alla predetta legge; e precisamente: il comma 1 dell'articolo 1 è stato integrato allargandosi la previsione normativa; l'articolo 5 è stato integralmente sostituito;

- che la sostituzione di un testo normativo importa necessariamente l'abrogazione della parte sostituita; che sotto questo profilo la proposta di "referendum" riguardante originariamente l'intero testo non può avere più corso limitatamente all'articolo 5, la cui abrogazione è implicita nell'avvenuta sostituzione;

- che di conseguenza la formula di proposizione deve essere modificata con espressa eccettuazione dell'articolo 5, così come sostituito dall'articolo 2 legge 8 agosto 1977 n. 533 riguardante l'uso dei caschi protettivi e dei mezzi atti a rendere difficoltoso il riconoscimento della persona;

- che, invece, l'integrazione di cui all'articolo 1 non determina alcun effetto abrogativo, né d'altra parte rientra nei poteri dell'Ufficio la modificazione integrativa dell'oggetto del "referendum", mediante richiamo alla portata della disposizione quale risulta a seguito di intervento legislativo posteriore additivo;

- che, pertanto, l'integrazione medesima non esplica alcun effetto sui contenuti del "referendum", che dovrà svolgersi sull'originario testo dell'articolo medesimo.

Per questi motivi, letti gli articoli 75 Cost., 8, 9, 27 e 32 legge 25 maggio 1970 n. 352 e successive modificazioni l'Ufficio Centrale per il "referendum" dichiara legittima la richiesta di "referendum" popolare sul quesito così modificato: »Volete voi che sia abrogata la legge 22 maggio 1975, n. 152, recante ``Disposizioni a tutela dell'ordine pubblico'', ad eccezione dell'articolo 5 (sostituito dall'articolo 2 legge 8 agosto 1977.

Dichiara cessate le operazioni di sua competenza relativa a questa fase del "referendum".

Dispone che la presente ordinanza sia comunicata: all'On. Presidente della Repubblica; agli Onn. Presidenti delle Camere; all'On. Presidente del Consiglio dei Ministri; al Sig. Presidente della Corte costituzionale.

Dispone che essa venga notificata a mezzo di ufficiali giudiziari ai presentatori della richiesta Signori Pietroletti Glauco, Capuzzo Francesca Romana, Pallicca Davide, Calderisi Giuseppe, Zeno Zancovich Vincenzo Paolo, nel termine di cinque giorni dalla data di deposito di questa ordinanza.

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Istanza dei promotori del referendum abrogativo all'Ufficio centrale per il referendum della Corte di cassazione per la modifica dell'ordinanza 6 dicembre 1977

I sottoscritti presentatori della richiesta di "referendum" abrogativo della legge 22 maggio 1975, n. 152, recante »Disposizioni a tutela dell'ordine pubblico .

Vista l'ordinanza 6 dicembre 1977 con la quale l'Ufficio centrale per il "referendum" ha dichiarato legittima la richiesta di "referendum" abrogativo della legge 22 maggio 1975, n. 152 sul quesito così modificato: »volete voi che sia abrogata la legge 22 maggio 1975, n. 152 recante »Disposizioni a tutela dell'ordine pubblico , ad eccezione dell'articolo 5 (sostituito dall'art. 2 della legge 8 agosto 1977, n. 533? .

Ritenuto che la legge 25 maggio 1970, n. 352 agli articoli 32 e 39 attribuisce all'Ufficio centrale per il "referendum" costituito presso la Corte di cassazione il potere di decidere in ordine: 1) alla conformità delle richieste di "referendum" alle norme di legge; 2) alla concentrazione delle richieste di "referendum"; 3) alla vigenza delle leggi per le quali sia stato richiesto il "referendum";

- che il relativo procedimento è disciplinato dal citato articolo 32, il quale stabilisce che la Corte, qualora rilevi irregolarità delle richieste, emette un'ordinanza con la quale assegna ai promotori del "referendum", ai partiti ed ai gruppi politici un termine per presentare deduzioni scritte in ordine alle questioni sollevate dall'Ufficio centrale;

- che il suddetto procedimento deve essere seguito, per espressa previsione legislativa, anche nell'ipotesi che l'Ufficio centrale ritenga di concentrare diverse richieste di "referendum";

- che la legge, in altri termini, prevede che l'Ufficio centrale, ove ritenga di non poter dichiarare senz'altro legittima la richiesta di "referendum", debba comunicare le proprie osservazioni ai presentatori del "referendum" perché possano fare le loro deduzioni, con facoltà di intervento anche dei partiti e dei gruppi politici;

- che il suddetto procedimento non può non essere seguito anche nel caso che l'Ufficio centrale ritenga di escludere dal "referendum" una disposizione di legge perché abrogata, in quanto i presentatori hanno il diritto a difendere la richiesta di "referendum";

- che il diritto allo svolgimento del "referendum" così come è stato richiesto da 500.000 elettori non può essere soppresso o limitato senza neppure consentire ai presentatori di far valere le proprie ragioni;

- che con il suddetto procedimento, consistente nella contestazione di irregolarità, rilievi e specifiche occasioni di provvedimenti diversi dalla semplice dichiarazione di legittimità del "referendum" così come richiesto dai promotori, si è inteso evidentemente assicurare il contraddittorio e la tutela degli interessi e delle ragioni dei proponenti nelle varie ipotesi in cui tali interessi e ragioni potessero venire in discussione;

- che, peraltro, il provvedimento di cui all'articolo 39, se è stato previsto dal legislatore per una eventualità del tutto schematica e lineare, tale che difficilmente avrebbe potuto venire in questione un diverso interesse ed una diversa tesi dei promotori del "referendum" (ipotesi della pura e semplice rimozione delle norme soggette a "referendum" con conseguente caducazione dell'intero procedimento referendario), nella realtà ha finito col prospettarsi come applicabile a fattispecie più complesse e delicate, come appresso si dirà, trattando in merito il presente ricorso;

- che pertanto anche rispetto all'ipotesi disciplinata dall'articolo 39 è configurabile un contrasto di interessi e di tesi che nella fattispecie effettivamente si profila e si configura, così che si rende necessario assicurare il contraddittorio ed il diritto alla rappresentazione ed illustrazione delle ragioni dei proponenti anche rispetto alla prospettata applicazione dell'articolo 39 della legge;

- che alla luce delle considerazioni di cui sopra il provvedimento adottato dall'Ufficio centrale per il "referendum" in data 6 dicembre 1977 in ordine alla richiesta di "referendum" della legge 22 maggio 1975, n. 152 e specificatamente a articolo 5 di tale legge non può considerarsi che alla stregua del provvedimento di cui al terzo comma dell'articolo 32 della legge 25 maggio 1970, n. 352 con attribuzione della facoltà ai proponenti del "referendum" di presentare proprie deduzioni e che la presentazione di una memoria nella fase precedente a tale provvedimento non può intendersi preclusiva del successivo esercizio della facoltà di produrre deduzioni e ciò sia perché fino a tale momento non poteva ritenersi concreta ed effettivamente contestata la possibilità di adozione di un provvedimento di tal genere, sia perché il termine in questione non può essere attribuito a tutti i soggetti facoltizzati del quinto comma dell'articolo 32, né può ritenersi inoperante per quelli solo di tali soggetti che abbiano anti

cipatamente ed informalmente fatto pervenire esposti e scritti all'Ufficio prima della contestazione sopra richiamata.

Tutto ciò premesso ritengono i sottoscritti presentatori della richiesta di "referendum" di potersi e doversi avvalere della facoltà di cui al quinto comma e articolo 32 della legge, prospettando, in ordine alla possibile esclusione dell'articolo 5 della legge 22 maggio 1975, n. 152 dal "referendum", le seguenti Deduzioni.

L'abrogazione di una norma di legge soggetta a "referendum", attraverso un atto legislazione ordinaria, determinata, con la rimozione dell'oggetto del "referendum", il venire meno della utilità, oltre che dell'oggetto, di esso, potendosi considerare, per altra via conseguita la finalità potenziale del procedimento referendario, così che su tale considerazione si fonda il disposto dell'articolo 39 ella legge 25 maggio 1970, n. 352.

Da tale lineare schema si discosta certamente ogni altra ipotesi relativa ad abrogazione meramente formale di norme soggette a "referendum", che si concreti nella sostituzione delle norme suddette con altre, aventi contenuto analogo, ipotesi nelle quali la norma oggetto del "referendum" non viene di fatto rimossa, così che l'utilità del "referendum" non viene meno, non essendo da ritenere conseguita per altra via la finalità potenziale del procedimento referendario e non potendosi considerare venuto meno l'oggetto del voto popolare richiesto da almeno 500.000 elettori.

Al riguardo non può tacersi il fatto che nella specie è lo stesso legislatore che ha emanato la legge 8 agosto 1977, n. 533 a sottolineare il fatto che l'articolo 5 della legge 22 maggio 1975, n. 152 non è stato affatto rimosso, ma invece "sostituito" così che l'art. 2 della legge 8 agosto 1977, n. 533 deve intendersi tener luogo dell'articolo 5 della legge 22 maggio 1975, n. 152. Trattasi, per cercare un termine proprio della dottrina civilistica di un caso di »novazione legislativa . E' difficile di fronte a ciò escludere nel testo novato continuino ad adoperare quei provvedimenti che, non avendo e non potendo avere altro oggetto che la pura e semplice "rimozione", tra l'altro, anche di tale articolo, non possono ovviamente considerarsi esauriti per il fatto che la norma in questione, lungi dall'essere rimossa, abbia avuto solo una diversa formulazione, avendo subito quindi una »modifica cosa ben diversa dall'abrogazione.

Ancor più evidente appare il discostarsi dalle condizioni obiettive, che giustificano l'applicazione dell'articolo 39 della legge 25 maggio 1970, n. 352 e che ne rappresentano il fondamento razionale, quando la norma soggetta a "referendum", anziché rimossa o modificata con la riduzione ed attenuazione della sua portata, sia addirittura aggravata nei suoi contenuti, così che, da una parte le motivazioni che hanno indotto gli altri elettori a richiedere il voto popolare non possono che considerarsi ulteriormente rafforzate, e dall'altra il provvedimento di modifica abbia conseguito un effetto in direzione opposta a quella potenziale del "referendum".

Allorché poi la »sostituzione riguardi taluna soltanto delle norme soggette a procedimento di "referendum" e si concreti in un aggravamento della portata delle norme sostituite, alla contraddizione con la »ratio dell'articolo 39 della legge, si aggiunge un ulteriore inconveniente; consistente nell'effetto sul procedimento di "referendum" giacché, se da una parte non si giunge alla totale interruzione delle operazioni di esso, ma alla sua limitazione alle sole norme che non siano state oggetto di sostituzione, dall'altra si può concretare in una vera e propria "manipolazione della materia e dell'oggetto del" referendum "e dello sviamento di esso dalle finalità potenziali" per cui è stato richiesto, con alterazione del significato politico che lo contraddistingue, come nel caso in cui, sostituite ed aggravate tutte le norme incriminatrici di una legge soggetta a "referendum" resti invariata, (e debba considerarsi quindi soggetta a "referendum" abrogativo) solo una norma limitatrice dell'ambito di applicazion

e delle altre. Con il risultato quindi che l'eventuale accoglimento della proposta di abrogazione da parte degli elettori comporterebbe, dopo quello operato con la legge sostitutiva degli altri articoli, un ulteriore, sostanziale aggravamento della complessiva portata della legge originariamente soggetta a "referendum".

La norma di cui all'articolo 75 della Costituzione importa l'esistenza nel sistema costituzionale italiano, di un potere autonomo del popolo nell'esercizio della democrazia diretta attraverso il "referendum" così che ad esso, come ad ogni altro potere dello Stato, deve intendersi riconosciuta una sfera propria, così che, se possono e debbono ritenersi sussistenti controlli e condizionamenti reciproci da parte di altri poteri, è certo che deve escludersi la possibilità che un altro potere possa interferire nel meccanismo di democrazia diretta al punto da sopprimere la possibilità di funzionamento di esso ed il raggiungimento delle finalità immediate (voto popolare) e potenziali (abrogazione della legge) o addirittura in modo da imporre ad esso di rendersi strumenti di finalità diverse ed opposte a quelle per il quale è stato attivato dagli elettori richiedenti, secondo le norme che ne regolano il normale funzionamento (rafforzamento e aggravamento della norma di cui è stata chiesta l'abrogazione).

Ne consegue che, se può considerarsi costituzionalmente legittimo da un lato l'intervento legislativo "soppressivo" di norme soggette a "referendum" nella stessa modalità e con la stessa portata con cui la soppressione è stata richiesta dai proponenti del "referendum" (abrogazione parziale o totale di una legge), e dall'altra è legittimo ed anzi necessario il provvedimento nell'ambito della procedura referendaria che, con la presa d'atto dell'avvenuta soppressione della legge dichiari di conseguenza non più necessario utile e quindi possibile il "referendum", non può, senza vincersi lo stesso disposto dell'articolo 75 della Costituzione ipotizzarsi una sottrazione al provvedimento di soppressione mediante "referendum" di una parte di una legge attraverso la sua formale sostituzione.

D'altro canto una volta richiesto il "referendum", dovendo ancora intervenire il giudizio dell'intero elettorato sulla legge ad esso sottoposta, la modifica intervenuta potrà essere essa stessa elemento di giudizio dell'elettorato nelle sue determinazioni sovrane in ordine alla conservazione e surrogazione nella sua interezza della legge sottoposta a "referendum".

Che se poi il formalismo, che dovesse esaltare oltre i limiti il momento della richiesta per sottolineare la diversità tra la legge così come oggetto della richiesta di "referendum" e quella sulla quale il "referendum" finirebbe così per essere effettuato, portasse ad escludere dal "referendum" la parte della legge oggetto di sostituzione, allora non resterebbe che da sottolineare la ben più grave e sostanziale diversità tra la richiesta di "referendum" e l'effettivo giudizio che sarebbe così consentito di esprimere agli elettori, differenza che, come sopra si è rilevato e sottolineato, potrebbe addirittura giungere al punto di far assumere alla abrogazione mediante "referendum" limitata esclusivamente a quella o quelle delle norme della legge che non fossero state sostituite, un significato ed una portata politica e legislativa opposti a quelli insiti nella richiesta originaria.

A questo punto non resta che rilevare che, a fronte di una tesi meramente formalistica la tesi da noi sostenuta della conservazione e degli effetti del "referendum" nella sua portata originaria. Respingendo tale tesi non può che cadersi in inconvenienti assai più gravi di quanti possano attribuirsi alla tesi medesima, con la possibilità di deviazioni, manipolazioni e sostanziali soppressioni di un fondamentale istituto costituzionale.

Tutto quanto precede ritenuto e premesso.

Si chiede che l'Ecc.mo Ufficio Centrale per il "referendum" voglia dichiarare doversi far luogo al "referendum" sull'intera legge 22 maggio 1975, n. 352 compreso l'articolo 5 così come sostituito successivamente alla richiesta del "referendum" medesimo, modificando in tal senso, per quanto necessario, l'ordinanza 6 dicembre 1977.

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Corte di cassazione - Ufficio centrale per il referendum

Ordinanza del 19 dicembre 1977

Viste le deduzioni presentate in data 13 dicembre 1977 dal Comitato promotore in persona dei Signori Giuseppe Calderisi e Francesco Romano Capuzzo, con cui si chiede che l'Ufficio Centrale per il "referendum" modifichi la propria ordinanza pronunciata il 6 dicembre 1977;

vista l'ordinanza predetta, con la quale questo Ufficio ha definitivamente dichiarato cessate le operazioni relative alla richiesta di "referendum" abrogativo della legge 22 maggio 1975, n. 152, decidendo - senza dar corso al procedimento in contraddittorio di cui all'articolo 32 della legge 25 maggio 1970, n. 352, perché estraneo all'ambito del successivo articolo 39 - anche la questione con le deduzioni di cui sopra (per altro già sollevata con la memoria dello stesso Comitato promotore presentata con atto del 28 novembre 1977);

considerato che la qualificazione di definitiva, attribuita dall'articolo 37, ultimo comma della legge n. 352 del 1970 all'ordinanza, esclude la possibilità di qualsiasi impugnativa contro la medesima;

Per questi motivi dichiara inammissibile l'istanza di cui sopra.

Dispone che della presente ordinanza sia data comunicazione agli istanti.

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Ricorso dei promotori del referendum abrogativo alla Corte costituzionale contro l'ordinanza del 6 dicembre 1977 dell'Ufficio centrale della Corte di cassazione

Ricorso del Comitato, Promotore del "referendum" abrogativo della legge 22 maggio 1975 n. 152, ai sensi dell'articolo 37 legge n. 87 del 1953.

Conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato - sollevato dal Comitato promotore del "referendum" abrogativo della l. 22 maggio 1975 n. 152, in rappresentanza dei firmatari della relativa richiesta - sorte a seguito dall'ordinanza dell'Ufficio Centrale per il "referendum" - depositata nella Cancelleria della Corte Suprema di cassazione il 6 dicembre 1977 - con la quale l'ufficio stesso »dichiara legittima la richiesta di "referendum" popolare sul quesito così modificato: ``volete voi che sia abrogata la legge 22 maggio 1975, n. 152 recante disposizioni a tutela dell'ordine pubblico ad eccezione dell'articolo 5 (sostituito dall'articolo 2 legge 8 agosto 1977 n. 533)?'' .

Premessa. - Nella succitata ordinanza l'ufficio centrale per il "referendum" non ha preso in alcuna considerazione le deduzioni scritte depositate per conto del Comitato dei promotori del "referendum" dall'avv. Mauro Mellini, con le quali si denunciava come il Parlamento, nelle more del procedimento referendario (e precisamente in una fase successiva al deposito avvenuto ai sensi della legge n. 353 del 1970 presso la Cancelleria della Corte di cassazione da parte dei promotori del "referendum" di cui sopra di oltre 700 mila firme di elettori) avesse provveduto a una sostituzione meramente manipolativa dell'articolo 5 della succitata l. n. 152 del 1975 mediante l'articolo 2 legge n. 533 del 1977.

In effetti in tema di regolamentazione dell'uso pubblico dei caschi protettivi o dei mezzi che rendono difficoltoso il riconoscimento delle persone, il Parlamento ha sostituito la disposizione originaria con una disposizione solo parzialmente modificata nei contenuti e di natura peggiorativa, recependo, però, tutte le ipotesi normative già contenute nell'articolo 5 legge n. 152 che si è pertanto solo formalmente sostituita.

In presenza di questo atto (e fatto) delle Camere, l'ufficio centrale per il "referendum" si è limitato a rilevare gli aspetti meramente formali asserendo che »la sostituzione di un testo normativo importa necessariamente l'abrogazione della parte sostituita; che sotto questo profilo la proposta di "referendum" riguardante originariamente l'intero testo non può avere più corso limitatamente allo articolo 5, la cui abrogazione è implicita nell'avvenuta sostituzione e che quindi »la formula di proposizione deve essere modificata con espressa eccettuazione dell'articolo 5, così come sostituito dall'articolo 2 legge 8 agosto 1977 n. 533 riguardante l'uso dei caschi protettivi e dei mezzi a rendere difficoltoso il riconoscimento delle persone .

Il predetto ufficio ha dunque applicato in maniera assai dilatata e al di fuori della sua "ratio" l'articolo 39 legge n. 353 del 1970, il quale, quando conferisce all'ufficio stesso il potere di dichiarare che non hanno più corso le operazioni relative al "referendum" sulle disposizioni della legge oggetto del "referendum" stesso che siano state abrogate, intende palesemente riferirsi non a una mera eliminazione formale di esse, ma anche a una caducazione sostanziale di tutte le ipotesi normative ivi previste che non possono essere, in pendenza di un "referendum" (e dunque "in fraudem costitutionis") reintrodotte nell'ordinamento e per di più aggravate (trattandosi nella fattispecie di norme penali).

Nell'applicazione del suddetto articolo 39 l'ufficio centrale non si è preoccupato di sollevare d'ufficio davanti alla Corte costituzionale la questione di legittimità costituzionale dell'interpretazione poi accolta in dottrina da varie e autorevoli parti si è anche recentemente rilevati l'ambiguità, o meglio l'aberranza, di una simile interpretazione dell'articolo 39 legge n. 352, che consentirebbe al Parlamento di aggirare qualsiasi richiesta di "referendum" ledendo irrimediabilmente gli interessi dei firmatari e dei promotori e inibendo al corpo elettorale di pronunciarsi sui quesiti dai medesimi proposti.

A tale proposito giova anche rilevare l'incoerenza e la contraddittorietà della giurisprudenza dello stesso ufficio centrale che in una precedente occasione (nell'ordinanza del 7 gennaio 1976, in sede di valutazione della natura delle modifiche intervenute nelle norme di richiesta di "referendum" relative agli articoli del c.p. sul reato di aborto e a tutela dell'integrità della stirpe) ben altra attenzione ebbe a prestare agli aspetti contenutistici e non semplicemente formalistici.

Essendo infatti intervenuta ad opera della Corte costituzionale la sentenza n. 27 del 1975 (con cui questa Corte dichiarava l'illegittimità costituzionale dell'articolo 546 c.p. »nella parte in cui non prevede che la gravidanza possa venire interrotta quando l'ulteriore gestazione implichi danno o pericolo grave, medicalmente accertato nei sensi di cui in motivazione e non altrimenti evitabile per la salute della madre ) l'ufficio centrale ebbe tra l'altro esattamente a considerare come »ragione determinante in favore della sottoponibilità al voto popolare dell'articolo 546, pur a fronte di una declaratoria di illegittimità della Corte costituzionale il fatto che »sulla parte... non invalidata dalla sentenza della Corte costituzionale n. 27 del 1975 ben può sussistere sia nei promotori dell'iniziativa sia nei sottoscrittori della richiesta sia nel corpo elettorale (nel suo complesso) la volontà che si faccia luogo al "referendum" abrogativo relativamente alla norma citata ancorché nel ridotto del suo conten

uto .

Dunque, implicitamente, in quella occasione l'ufficio centrale ha dimostrato sia di poter interpretare e rilevare l'interesse e la volontà degli elettori firmatari e dei promotori, sia di saper cogliere il valore e le diverse valenze di interventi idonei a privare di efficacia ipotesi normative contenute in disposizioni di legge, pur posti in essere da organi altri rispetto al Parlamento, tanto che (nella stessa ordinanza) l'ufficio centrale ebbe a dichiarare non soggetto a "referendum" l'articolo 553 c.p., in quanto tale disposizione »ha cessato "in toto" di avere vigore in seguito alla sentenza n. 49 del 1971 emanata sempre dalla Corte costituzionale.

Sotto un profilo processuale giova ancora prospettare a questa Corte il fatto che il Comitato promotore attraverso i suoi delegati non ha avuto l'opportunità di sollevare avanti l'ufficio centrale stesso l'eccezione di illegittimità costituzionale dell'articolo 39 legge n. 352 del 1970, in quanto interpretato ed applicato come nell'ordinanza dell'ufficio centrale contro cui si solleva conflitto di attribuzione di potere. In effetti con successiva ordinanza in data 19 dicembre 1977 l'ufficio centrale dichiarava inammissibile un'ulteriore istanza del comitato promotore del "referendum" sulla legge n. 152 del 1975, ha espressamente rilevato di non aver dato corso nel precedente giudizio appena esaurito a un procedimento in contraddittorio »perché estraneo all'ambito dell'articolo 39 legge n. 352 del 1970 ed ha quindi confermato il carattere di definitività e di non impugnabilità dell'ordinanza 6 dicembre 1977.

Presupposti soggetti del conflitto. - Secondo l'articolo 134 Cost., il conflitto di attribuzione può insorgere tra i »poteri dello Stato ; l'articolo 37 legge n. 87 del 1953 specifica poi che, ai fini della proponibilità del conflitto, questo può insorgere tra organi competenti a dichiarare »definitivamente la volontà dei poteri cui appartengono .

Per quanto concerne la legittimazione passiva dell'ufficio centrale del "referendum" ad essere parte in un conflitto di attribuzioni di poteri non paiono sussistere dubbi, in quanto è struttura giurisdizionale, pur di tipo speciale, istituita presso la Corte di cassazione della quale quindi è organo: che ha la competenza di manifestare, ai sensi della legge n. 352 del 1970, in modo definitivo la volontà del potere di appartenenza, cioè il potere giudiziario. Del resto ogni perplessità circa la legittimazione dei singoli giurisdizionali ad essere comunque parti in conflitti di attribuzione è già stata rimossa da questa Corte con le ordinanze nn. 228, 229, 251 del 1975, confermate recentemente anche dall'ordinanza n. 49 del 1977.

Che debba e possa annoverarsi tra i »poteri dello Stato anche il gruppo dei sottoscrittori di una richiesta di "referendum" è stato sostenuto da una autorevole dottrina, tra cui il Mortati che ha qualificato il gruppo stesso come »struttura organizzativa del corpo elettorale titolare di un autonomo potere di volontà . A favore, poi, dell'ammissibilità per il gruppo dei sottoscrittori di assumere la veste di potere dello Stato sembra incidentalmente esprimersi anche la stessa Corte costituzionale, laddove nella sentenza n. 18 del 1970 espressamente afferma che conflitti di attribuzione possano sorgere in seguito ad atti non solo di "organi" (che si presume appartenere allo Stato-apparato), ma anche di semplici "soggetti" (evidentemente di rilevanza costituzionale), purché gli atti medesimi, incidono in sfere ad esse riservate, menominino »una competenza o impediscano l'esercizio di poteri e di diritti agli stessi spettanti .

Ora non c'è dubbio che il gruppo dei sottoscrittori di una richiesta di "referendum" abbia dei diritti e dei poteri costituzionalmente garantiti: quello nella specie di attivare il procedimento di cui all'articolo 75 Cost., e che culmina con la convocazione alle urne del corpo elettorale chiamato a votare sul quesito che i 500 mila o più cittadini elettori hanno adesso proposto: quesito che riguarda non tanto la veste formale di ipotesi normative, ma la sostanza di essere, capaci di determinare certi effetti nei rapporti tra i consociati e lo Stato nella sua articolata organizzazione o tra i consociati tra di loro, a prescindere appunto dalla collocazione ed eventualmente riproposizione formale di detti contenuti in disposizioni non individuabili perché inesistenti al momento della formulazione del quesito stesso.

Né pare esservi dubbio sul rapporto stretto tra gruppi sostenitori e promotori e sulla rappresentanza che questi assumono degli interessi dei firmatari.

La legge n. 352 del 1970 conferisce ai promotori poteri "decisivi" e dunque presuppone una relazione forse non solo di rappresentanza ma al limite di prevalenza dei promotori rispetto al gruppo dei sottoscrittori.

Non si può infatti ignorare che, ai sensi dell'articolo 28 legge n. 352 sono almeno tre dei promotori che devono depositare i fogli contenenti le firme e l'altra documentazione necessaria per la validità della richiesta (e nessuno è ammesso a sostituirsi ai promotori in questa funzione). Così pure, ai sensi dell'articolo 32 della stessa legge sono "solo" i delegati o presentatori che possono presentare memorie che contestino i rilievi di irregolarità mossi dall'ufficio centrale e che, eventualmente, nei termini da questi fissati possano provvedere alla sanatoria, se consentita, delle irregolarità medesime; e, ancora, per lo stesso articolo 32 sono i rappresentanti dei promotori che hanno facoltà di presentare deduzioni contro la proposta di concentrazione, formulata dall'ufficio centrale, tra le richieste depositate che rivelino uniformità o analogia di materia (oltretutto ciò conferma come anche la legge di attuazione dell'articolo 75 Cost. riconosca l'interesse dei promotori alla conservazione del quesito

originariamente proposto per il "referendum").

Proseguendo: per l'articolo 33 legge n. 52 sono sempre i delegati e i presentatori abilitati a depositare presso la Corte memorie sulla legittimità costituzionale delle richieste di "referendum". E, per finire, è utile anche ricordare l'articolo 52 comma 2 legge n. 352 che riconosce ai promotori le stesse facoltà dei partiti o gruppi politici nel corso della campagna elettorale.

E' palese che i promotori, nell'esercizio di molti, tra questi poteri, manifestano in maniera definitiva la loro volontà, che la legge postula coincidente con quella dei sottoscrittori. In particolare appare come siano i promotori che decidono in ultima istanza se dar seguito all'iniziativa referendaria una volta raccolte le firme necessarie: e tale volontà si perfeziona con il loro deposito presso la Cancelleria della Corte di cassazione. Da questo momento tutta l'attività dei promotori è diretta a tutelare l'interesse del gruppo dei sottoscrittori ad interpellare il corpo elettorale sul quesito proposto. A meno che cada nella sostanza e completamente la legge o singole disposizioni di questa, oggetto della mobilitazione referendaria, per intervento del Parlamento o della Corte costituzionale.

Presupposto oggettivo. - L'articolo 37 legge n. 87 del 1953 prevede la insorgenza del conflitto tra poteri dello Stato »per la delimitazione della sfera di attribuzione determinata per i vari poteri da norme costituzionali. Tale conflitto, come si può desumere anche dalla giurisprudenza che si è formata nell'ipotesi parallela dei »conflitti tra Stato e regioni, non si riduce alle sole ipotesi in cui un organo si appropria di una potestà spettante ad altro soggetto, ma si estende a tutti i casi in cui un organo vede lesa la propria sfera di competenza costituzionale o le modalità del relativo esercizio, per effetto del comportamento dell'altro organo. Nella specie l'ufficio centrale ha arbitrariamente modificato il quesito proposto al corpo elettorale dai sottoscrittori della richiesta di "referendum", in presenza di un loro interesse costituzionalmente protetto, e facilmente riscontrabile, a sottoporre a "referendum" abrogativo tutti i contenuti normativi della legge n. 152 del 1975 contenuti successivament

e riprodotti, per quanto riguarda l'articolo 5 - come si è già detto - dall'articolo 2 legge n. 533 del 1977.

Dunque, riepilogando, due poteri il giudiziario attraverso un organo della Corte di cassazione, e quello del gruppo dei sottoscrittori, per conto dei promotori, si contendono il potere della formulazione definitiva del quesito da proporre, relativo al "referendum", sulla legge n. 152 del 1975, al corpo elettorale, rimanendo inalterato l'interesse e la volontà di questi ultimi di far sottoporre a votazione popolare tutte le ipotesi normative "sostanzialmente e totalmente" non caducate ad opera del Parlamento ed eventualmente della Corte costituzionale.

Per questi motivi il Comitato promotore della richiesta di "referendum" sulla legge n. 152 del 1975 chiede alla Corte costituzionale di dichiarare che all'ufficio centrale per il "referendum" non è attribuito dall'articolo 39 legge n. 352 il potere di disporre la cessazione delle operazioni del "referendum" relative alle "norme comuni" contenute prima nella disposizione di cui all'articolo 5 della stessa legge n. 152 ed ora formalmente inserite nella disposizione di cui all'articolo 2 legge n. 533 del 1977.

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Corte costituzionale

Sentenza 2 febbraio 1978, n. 16

La Corte costituzionale ha pronunciato la seguente sentenza nei giudizi riuniti sull'ammissibilità, ai sensi dell'articolo 75 secondo comma della Costituzione, delle richieste di "referendum" popolare per l'abrogazione:

1. - dell'articolo 1 del regio decreto 20 febbraio 1941, n. 303 (»Codici penali militari di pace e di guerra ) limitatamente alle parole »il testo del codice militare di pace (n. 3 reg. ref.);

2. - del regio decreto 9 settembre 1941, n. 1022: »Ordinamento giudiziario militare (n. 4 reg. ref.);

3. - della legge 2 maggio 1974, n. 195 »Contributo dello Stato al finanziamento dei partiti politici (n. 5 reg. ref.);

4. - dell'articolo 1 della legge 27 maggio 1929, n. 810, che dispone »l'esecuzione del Trattato, dei quattro allegati annessi e del Concordato, sottoscritti in Roma, fra la Santa Sede e l'Italia, l'11 febbraio 1929 limitatamente al contenuto degli articoli 1, 10, 17 e 23 dell'allegato Trattato e all'intero contenuto dell'allegato Concordato (n. 6 reg. ref.);

5. - degli articoli 1, 2, 3, 3-"bis" della legge 14 febbraio 1904, n. 36: »Disposizioni sui manicomi e sugli alienati e successive modificazioni (n. 7 reg. ref.);

6. - degli articoli 17 primo comma, limitatamente alle parole: »2) l'ergastolo ; 53 primo comma, limitatamente alle parole: »o vincere una resistenza all'autorità , 57, 57-"bis", 203, 204 secondo comma, limitatamente alle parole: »nei casi espressamente determinati, la qualità di persona socialmente pericolosa è presunta dalla legge ; 205 primo comma, limitatamente alle parole: »o di proscioglimento e secondo comma (possono essere ordinate con provvedimento successivo: 1) nel caso di condanna, durante la esecuzione della pena o durante il tempo in cui il condannato si sottrae volontariamente all'esecuzione della pena; 2) nel caso di proscioglimento, qualora la qualità di persona socialmente pericolosa sia presunta, e non sia decorso un tempo corrispondente alla durata minima della relativa misura di sicurezza, 3) in ogni tempo, nei casi stabiliti dalla legge); 206, 222, 223, 221, 225, 226, 229 230, 231, 232, 233, 234, 235, 256, 261, 262, 265, 266, 269, 270, 271, 272, 273, 274, 275, 278, 279, 290, 290-"bis",

291, 292, 292-"bis", 293, 297 299, 302, 303, 304, 305, 312, 327, 330, 332, 333, 340, 341, 342, 343, 344, 352, 402, 403, 404, 405, 406, 414 terzo comma (Alla pena stabilita nel n. 1 soggiace anche chi pubblicamente fa l'apologia di uno o più delitti); 415, 503, 504, 505, 506, 507, 508, 510, 511, 512, 527, 528, 529, 565, 571 secondo comma, limitatamente alle parole: »ridotte ad un terzo; se ne deriva la morte, si applica la reclusione da tre a otto anni ; 578, 587, 592, 596-"bis" 603, 633 secondo comma (Le pene si applicano congiuntamente, e si procede di ufficio, se il fatto è commesso da più di cinque persone, di cui una almeno palesemente armata, ovvero da più di dieci persone, anche senza armi); 654, 655, 656, 657, 661, 662, 663, 633-"bis", 666, 668, 724, 725 e 726 del codice penale approvato con regio decreto 19 ottobre 1930, n. 1398, e successive modificazioni (n. 8 reg. ref.);

7. - della legge 22 maggio 1975, n. 152, recante »Disposizioni a tutela dell'ordine pubblico , ad eccezione dell'articolo 5 (sostituito dall'art. 2 della legge 8 agosto 1977, n. 533) (n. 9 reg. ref.);

8. - degli articoli 3, 4, 5, 6, 7, 8, 9, 11 primo comma, limitatamente alle parole: »alla Commissione inquirente o ; 12 limitatamente alle parole: »il quale ne informa immediatamente la Commissione inquirente ; 13, 14 primo comma, limitatamente alle parole: »la Commissione inquirente o ; 16 primo comma, limitatamente alle parole: »la Commissione inquirente o della legge 25 gennaio 1962, n. 20: »Norme sui procedimenti e giudizi di accusa (n. 10 reg. ref.).

Uditi nella camera di consiglio del 17 gennaio 1978 l'avv. Mauro Mellini, per i Comitati promotori dei "referendum", e il sostituto avvocato generale dello Stato Giorgio Azzariti, per il Presidente del Consiglio dei ministri;

udito il Giudice relatore Livio Paladin.

"Ritenuto in fatto":

1. - Con ordinanze del 6 dicembre 1977, pervenute a questa Corte il 9 dicembre, l'Ufficio centrale per il "referendum", costituito presso la Corte di cassazione, ha dichiarato legittime otto richieste di "referendum" popolare abrogativo.

La prima e la seconda richiesta, presentate il 30 giugno 1977 dai signori Calderisi Giuseppe, Capuzzo Francesca Romana, Galli Maria Luisa, Mellini Mauro, Aglietta Maria Adelaide, Cristofanelli Laura, Pietrolucci Giuseppe, Pallicca Davide, Spadaccia Gianfranco, riguardano - rispettivamente - l'articolo 1 del r.d. 20 febbraio 1941, n. 303 (»Codici penali militari di pace e di guerra ), limitatamente alle parole »il testo del codice militare di pace , e l'intero r.d. 9 settembre 1941, n. 1022 (»Ordinamento giudiziario militare ).

La terza richiesta, presentata il 30 giugno 1977 dai signori Bises Andrea, Calderisi Giuseppe, Cristofanelli Laura, Pallicca Davide, Vigevano Paolo, Spadaccia Gianfranco, Pietrolucci Giuseppe, attiene all'intera legge 2 maggio 1974, n. 195 (»Contributo dello Stato al finanziamento dei partiti politici ).

La quarta richiesta, presentata il 30 giugno 1977 dai signori Calderisi Giuseppe, Galli Maria Luisa, Pietroletti Glauco, Mellini Mauro, Pallicca Davide, Capuzzo Francesca Romana, Bises Andrea, concerne l'articolo 1 della legge 27 maggio 1929, n. 810, che dispone »l'esecuzione del Trattato, dei quattro allegati annessi e del Concordato, sottoscritti in Roma, fra la Santa Sede e l'Italia, l'11 febbraio 1929 , limitatamente al contenuto degli articoli 1, 10, 17 e 23 dell'allegato Trattato e all'intero contenuto dell'allegato Concordato.

La quinta richiesta, presentata il 30 giugno 1977 dai signori Pietroletti Glauco, Capuzzo Francesca Romana, Pallicca Davide, Calderisi Giuseppe, Zeno Zencovich Vincenzo, Vigevano Paolo, si riferisce agli articoli 1, 2, 3 e 3-"bis" della legge 14 febbraio 1904, n. 36 (»Disposizioni sui manicomi e sugli alienati ), e successive modificazioni.

La sesta richiesta, presentata il 30 giugno 1977 dai signori Pietroletti Glauco, Capuzzo Francesca Romana, Pallicca Davide, Calderisi Giuseppe, Zeno Zencovich Vincenzo, Vigevano Paolo, ha per oggetto l'abrogazione - totale o parziale - di 97 articoli del codice penale, approvato con r.d. 19 ottobre 1930, n. 1398, e successive modificazioni. Sono infatti coinvolti gli articoli 17 primo comma (nella parte riguardante la pena dell'ergastolo), 53 primo comma (sull'uso legittimo delle armi per »vincere una resistenza all'autorità ), 57 e 57-"bis" (sui reati commessi col mezzo della stampa periodica e non periodica), 203, 204 secondo comma, 205 e 206 (sulla »pericolosità sociale , sulle relative misure di sicurezza e sui provvedimenti che il giudice può adottare in questi casi), 222 e 223 (sul ricovero in un manicomio o in un riformatorio giudiziario), 224, 225 e 226 (sul trattamento dei minori non imputabili, imputabili, delinquenti abituali, professionali o per tendenza), 229, 230, 231 e 232 (sulle varie ipotesi

di »libertà vigilata ), 233 (sul divieto di soggiorno in determinate zone), 234 (sul divieto di frequentare pubblici spacci di bevande alcooliche), 235 (in tema di espulsione dello straniero dal territorio dello Stato). Ancora, la stessa richiesta riguarda vari delitti contro la personalità dello Stato: rispettivamente previsti dagli articoli 256 (»procacciamento di notizie concernenti la sicurezza dello Stato ), 261 e 262 (»rivelazione di segreti di Stato e di »notizie di cui sia stata vietata la divulgazione ), 265 (»disfattismo politico ), 266 (»istigazione di militari a disobbedire alle leggi ), 269 (»attività antinazionale del cittadino all'estero ), 270 e 271 (»associazioni sovversive ed »antinazionali ), 272 (»propaganda ed apologia sovversiva o antinaziona]e ), 273 e 274 (»illecita costituzione di associazioni aventi carattere internazionale e relativa »partecipazione ), 275 (»accettazione di onorificenze o utilità da uno Stato nemico ), 278, 279 e 290-"bis" (»offesa all'onore o al prestigio e »

lesa prerogativa della irresponsabilità del Presidente della Repubblica o di chi ne fa le veci), 290, 291, 292, 292-"bis" e 293 (vilipendio della Repubblica, delle istituzioni costituzionali, delle forze armate, della nazione italiana, della bandiera o di altro emblema dello Stato, con le relative circostanze aggravanti), 297 e 299 (»offesa all'onore dei Capi di Stati esteri e delle bandiere od emblemi degli Stati stessi), 302 e 303 (istigazione a commettere delitti contro la personalità internazionale ed interna dello Stato ed apologia dei delitti medesimi), 304 e 305 (»cospirazione politica mediante accordo o »mediante associazione ), 312 (espulsione dello straniero condannato per i delitti in questione). Inoltre, sono messi in gioco alcuni delitti contro la pubblica amministrazione, considerati dagli articoli 327 (»eccitamento al dispregio e vilipendio delle istituzioni, delle leggi o degli atti dell'autorità ), 330, 332 e 333 (sull'abbandono collettivo ed individuale di pubblici uffici impieghi, servi

zi o lavori, nonché sulla corrispondente omissione di doveri di ufficio), 340 (»interruzione di un ufficio o servizio pubblico o »di pubblica necessità ), 341, 342, 343 e 344 (oltraggio a pubblico ufficiale ed a pubblico impiegato, a corpi politici, amministrativi o giudiziari, a magistrati in udienza), 352 (»vendita di stampati dei quali è stato ordinato il sequestro ); l'insieme dei delitti contro la religione dello Stato e i culti ammessi, di cui agli articoli 402-406; i delitti contro l'ordine pubblico, previsti dagli articoli 414 terzo comma (apologia di delitti) e 415 (»istigazione a disobbedire alle leggi ); i delitti contro l'economia pubblica, di cui agli articoli 503, 504, 505 e 506 (reati di serrata e di sciopero), 507 (»boicottaggio ), 508 (arbitraria invasione, occupazione e sabotaggio di aziende), 510, 511 e 512 (quanto alle relative circostanze aggravanti, alle pene per i capi, promotori ed organizzatori e alle pene accessorie). Così pure, vengono in questione - relativamente alle offese al p

udore e all'onore sessuale - gli articoli 527, 528 e 529 (atti, pubblicazioni, spettacoli ed oggetti osceni); relativamente ai delitti contro la famiglia, gli articoli 565 (»attentati alla morale famigliare commessi col mezzo della stampa periodica ), e 571 secondo comma (sulle particolari pene previste per le varie ipotesi di abuso dei mezzi di correzione o di disciplina); relativamente ai delitti contro la persona, gli articoli 578, 587 e 592 (infanticidio, omicidio, lesioni personali ed abbandono di neonato per causa di onore), 596-"bis" (»diffamazione col mezzo della stampa ) e 603 (»plagio ); relativamente ai delitti contro il patrimonio, l'articolo 633 secondo comma (sull'invasione di terreni o edifici commessa da più persone). Finalmente, in tema di contravvenzioni di polizia, la richiesta in esame si estende agli articoli 654 e 655 (grida, manifestazioni, radunate sediziose), 656 e 657 (»pubblicazione o diffusione di notizie false, esagerate o tendenziose, atte a turbare l'ordine pubblico , »grida o

notizie atte a turbare la tranquillità pubblica o privata ), 661 (»abuso della credulità popolare ), 662 (»esercizio abusivo dell'arte tipografica ), 663 (»vendita, distribuzione o affissione abusiva di scritti o disegni ), 663-"bis" (»divulgazione di stampa clandestina , 666 e 668 (»spettacoli o trattenimenti pubblici senza licenza e »rappresentazioni teatrali o cinematografiche abusive ), 724 (»bestemmia e manifestazioni oltraggiose verso i defunti ), 725 e 726 (»commercio di scritti, disegni od altri oggetti , »atti contrari alla pubblica decenza e »turpiloquio ).

La settima richiesta, presentata il 30 giugno 1977 dai signori Pietroletti Glauco, Capuzzo Francesca Romana, Pallicca Davide, Calderisi Giuseppe, Zeno Zencovich Vincenzo, Vigevano Paolo, interessa l'intera legge 22 maggio 1975, n. 152 (»Disposizioni a tutela dell'ordine pubblico ).

Infine l'ottava richiesta, presentata il 30 giugno 1977 dai signori Calderisi Giuseppe, Bises Andrea, Cristofanelli Laura, Vigevano Paolo, Pietroletti Glauco, intende sottoporre a "referendum" gli articoli 3, 4, 5, 6, 7, 8, 9, 11 primo comma, limitatamente alle parole »alla Commissione inquirente o , 12 limitatamente alle parole »il quale ne informa immediatamente la Commissione inquirente , 13, 14 primo comma, limitatamente alle parole »la Commissione inquirente o , 16 primo comma, limitatamente alle parole »la Commissione inquirente o , della legge 25 gennaio 1962, n. 20 (»Norme sui procedimenti e giudizi di accusa ).

2. - In tutti questi casi l'Ufficio centrale per il "referendum" ha verificato che il numero delle firme valide prese in esame superava il minimo di 500.000, fissato dall'articolo 75 primo comma Cost.; e ha constatato che le richieste erano state regolarmente presentate e concernevano leggi od atti normativi aventi forza di legge, riguardo ai quali non erano intervenute abrogazioni legislative né sentenze di annullamento della Corte costituzionale.

Per altro, l'ordinanza relativa al "referendum" per l'abrogazione della legge 22 maggio 1975, n. 152, ha rilevato che l'articolo 5 della legge stessa era stato integralmente sostituito dall'articolo 2 della legge 8 agosto 1977, n. 533; e quindi ne ha dedotto - in base all'articolo 39 della legge 25 maggio 1970, n. 352 - che sotto questo profilo la proposta di "referendum" non poteva avere più corso, con la conseguenza che la formula di proposizione doveva venir modificata eccettuando espressamente la disposizione dell'articolo 5.

L'Ufficio centrale ha inoltre preso atto che questa Corte aveva adottato varie sentenze di accoglimento parziale, dichiarative dell'illegittimità costituzionale di norme desumibili dalle disposizioni sulle quali era stato richiesto "referendum" abrogativo: in particolar modo, nei riguardi degli articoli 224 secondo comma (sent. n. 1 del 1971), 330 primo e secondo comma (sent. n. 31 del 1969), 415 (sent. n. 108 del 1974), 503 (sent. n. 290 del 1974), 506 (sent. n. 222 del 1975), 507 (sent. n. 84 del 1969), 666 del codice penale (sent. n. 56 del 1970); come pure nei riguardi del secondo e del terzo comma dell'articolo 2 della legge 14 febbraio 1904, n. 36 (sent. n. 74 del 1968 e n. 223 del 1976). Ma in tutti questi casi l'Ufficio ha rilevato che »dette pronunce non hanno toccato la portata testuale e lessicale di tali disposizioni , con la conseguenza che »esse vanno ugualmente sottoposte a "referendum" . Unicamente in rapporto all'articolo 272 cod. pen., il cui secondo comma era stato dichiarato integralmente

illegittimo dalla sent. 87 del 1976, l'Ufficio stesso ha seguito una diversa linea di ragionamento: concludendo pur sempre, però, che »la rispettiva proposta di "referendum" devesi ritenere riferibile e riferita allo stesso articolo 272 nella sua formulazione ridotta .

Rispondendo implicitamente alle deduzioni di un atto di intervento depositato dall'Avvocatura dello Stato, in rappresentanza del Presidente del Consiglio dei ministri, l'ordinanza concernente la richiesta di "referendum" per l'abrogazione del codice penale militare di pace ha infine precisato »che è demandato... alla Corte costituzionale il giudizio sull'ammissibilità del "referendum ratione materiae", e correlativamente l'individuazione dei limiti di questo giudizio e della sua eventuale estensibilità, oltre le testuali previsioni dell'articolo 75 comma secondo Cost., rispetto alle leggi costituzionalmente obbligatorie, ovvero essenziali per il funzionamento dell'ordinamento democratico . Analoghe precisazioni risultano, d'altronde, anche dalle ordinanze che hanno dichiarato la legittimità delle richieste relative all'ordinamento giudiziario militare ed a 97 articoli del codice penale.

3. - Ricevuta comunicazione delle ordinanze, il Presidente di questa Corte ha fissato per le conseguenti deliberazioni il giorno 17 gennaio 1978 dandone a sua volta comunicazione ai presentatori delle richieste ed al Presidente del Consiglio dei ministri, ai sensi dell'articolo 33 secondo comma della legge n. 352 del 1970. Tanto i presentatori quanto l'Avvocatura dello Stato, in rappresentanza del Presidente del Consiglio dei ministri, si sono avvalsi della facoltà di depositare memorie, di cui all'articolo 33 terzo comma legge citata.

La memoria dell'Avvocatura dello Stato, depositata il 28 dicembre 1977, assume in via preliminare che l'elencazione contenuta nell'articolo 75 secondo comma Cost., quanto alle categorie di leggi non assoggettabili ad abrogazione per "referendum", non sarebbe affatto tassativa. Con queste premesse, tutte le richieste in esame - fatta eccezione per quella concernente alcuni articoli della legge manicomiale 14 febbraio 1904, n. 36 - dovrebbero essere dichiarate inammissibili: o perché attinenti a materie difformi ed eterogenee, come nei casi dei "referendum" per l'abrogazione di 97 articoli del codice penale e della legge 22 maggio 1975, n. 152 (recante »Disposizioni a tutela dell'ordine pubblico ); o perché interessanti leggi »costituzionalmente necessarie , emanate per dare attuazione a specifiche norme costituzionali, come nei casi dei "referendum" aventi per oggetto alcuni articoli della legge 25 gennaio 1962, n. 20 (»Norme sui procedimenti e giudizi di accusa ), il codice penale militare di pace e l'ordina

mento giudiziario militare, nonché l'articolo 1 della legge 27 maggio 1929, n. 810 (sull'esecuzione del Trattato e del Concordato fra la Santa Sede e l'Italia); oppure perché la richiesta riguarderebbe una »legge finanziaria connessa alla legge di bilancio , quale sarebbe la legge 2 maggio 1974, n. 195 (sul finanziamento pubblico dei partiti).

Per contro, le memorie dei comitati promotori dei "referendum" in esame, rispettivamente depositate il 5 e il 13 gennaio 1978, sostengono l'ammissibilità di tutte le richieste. Le memorie in questione richiamano anzitutto le precedenti decisioni della Corte (sentt. n. 10 del 1972 e n. 251 del 1975), per dedurne che i giudizi concernenti l'ammissibilità dei "referendum" abrogativi dovrebbero basarsi sulle sole testuali previsioni dell'articolo 75 secondo comma Cost. Conseguentemente, non avrebbe fondamento la tesi che ulteriori cause d'inammissibilità siano desumibili dal carattere costituzionalmente necessario o dal particolare rilievo sociale di determinate leggi ordinarie. Né si potrebbe affermare che siano ammissibili le sole richieste attinenti a questioni omogenee od analoghe, dal momento che la Costituzione avrebbe individuato i limiti delle richieste stesse con criteri strettamente formali, indipendenti da qualsiasi giudizio sull'opportunità politica della formulazione dei relativi quesiti.

Quanto al "referendum" sulla legge esecutiva del Trattato e del Concordato fra la Santa Sede e l'Italia, il comitato promotore precisa che non potrebbero venire sottoposte ad un voto popolare abrogativo le leggi formalmente costituzionali. Ma la legge esecutiva dei Patti lateranensi non sarebbe stata costituzionalizzata, né condizionerebbe l'attuazione dei Patti nell'ordinamento italiano (comunque garantita, almeno per quanto riguarda il Concordato, dalle leggi n. 847 e n. 848 del 1929) e non andrebbe nemmeno confusa con le leggi di autorizzazione alla ratifica lei trattati internazionali, cui si riferisce l'articolo 75 secondo comma Cost.

4. - Ad integrazione del contraddittorio espressamente previsto dall'articolo 33 terzo comma della legge n. 352 del 1970, nella camera di consiglio del 17 gennaio 1978 sono stati uditi l'avvocato Mauro Mellini, per i comitati promotori dei "referendum", ed il sostituto avvocato generale dello Stato Giorgio Azzariti, per il Presidente del Consiglio dei ministri.

"Considerato in diritto":

1. - Le varie questioni che la Corte è tenuta a proporsi, per accertare l'ammissibilità delle otto richieste in discussione, sono tanto interferenti che le relative soluzioni si connettono e si condizionano a vicenda, venendo tutte a dipendere da comuni premesse concernenti la definizione dell'istituto del "referendum" abrogativo, ai sensi dell'articolo 75 Cost. Pertanto gli otto giudizi vanno riuniti e decisi con un'unica sentenza.

2. - La novità e la vastità dei problemi, che nella presente occasione si prospettano alla Corte, impongono anzitutto di considerare e di determinare - in via preventiva e generale - i fondamenti, gli scopi, i criteri del giudizio riguardante l'ammissibilità delle richieste di "referendum": al fine di tracciare un quadro unitario di riferimento, entro il quale si possano coerentemente effettuare le singole valutazioni che la Corte stessa deve in questa sede svolgere.

Rimane ferma, anche nell'attuale prospettiva, la sistemazione già operata dalla sentenza n. 251 del 1975, quanto ai comitati rispettivamente attribuiti - nel procedimento instaurato dalla legge 25 maggio 1970, n. 352 - a questa Corte ed all'Ufficio centrale per il "referendum", costituito presso la Corte di cassazione. Conseguentemente, va riaffermato che spetta all'Ufficio centrale »accertare che la richiesta di "referendum" sia conforme alle norme di legge, rilevando con ordinanza le eventuali irregolarità e decidendo, con ordinanza definitiva, sulla legittimità della richiesta medesima ; mentre a questa Corte è conferita la sola »cognizione dell'ammissibilità del "referendum" , secondo i disposti degli articoli 2 della legge costituzionale n. 1 del 1953, 32 secondo comma e 33 della legge ordinaria n. 352 del 1970. E va ribadito che tale competenza si è aggiunta a quelle previste dall'articolo 134 Cost.; atteggiandosi dunque - come precisava la sentenza testé ricordata - »con caratteristiche specifiche ed

autonome nei confronti degli altri giudizi riservati a questa Corte ed in particolare rispetto ai giudizi sulle controversie relative alla legittimità costituzionale delle leggi e degli atti aventi forza di legge .

Ciò non toglie, però, che si dimostra troppo restrittiva quella configurazione del giudizio di ammissibilità, per cui sarebbe affidato alla Corte il solo compito di verificare se le richieste di "referendum" abrogativo riguardino materie che l'articolo 75 secondo comma Cost. esclude dalla votazione popolare: con espresso ed esclusivo riguardo alle »leggi tributarie e di bilancio, di amnistia e di indulto, di autorizzazione a ratificare trattati internazionali . Tale interpretazione non ha nessuna altra base, in effetti, al di fuori dell'assunto - postulato più che dimostrato - che la testuale indicazione delle cause d'inammissibilità, contenuta nel capoverso dell'articolo 75, sia rigorosamente tassativa; laddove è altrettanto sostenibile - in ipotesi - che essa presuppone una serie di cause inespresse, previamente ricavabili dall'intero ordinamento costituzionale del "referendum" abrogativo.

Vero è che questa Corte giudica dell'ammissibilità dei "referendum" - stando alle concordi previsioni della legge costituzionale n. 1 del 1953 e della legge ordinaria n. 352 del 1970 - »ai sensi del secondo comma dell'articolo 75 della Costituzione . Ma non per questo si può sostenere che il secondo comma debba essere isolato, ignorando i nessi che lo ricollegano alle altre componenti la disciplina costituzionale del "referendum" abrogativo. Il processo interpretativo deve muoversi invece nella direzione opposta. Occorre cioè stabilire, in via preliminare, se non s'impongano altre ragioni, costituzionalmente rilevanti, in nome delle quali si renda indispensabile precludere il ricorso al corpo elettorale ad integrazione delle ipotesi che la Costituzione ha previsto in maniera puntuale ed espressa Diversamente, infatti, si determinerebbe la contraddizione consistente nel ritenere - da un lato - che siano presenti, nel nostro ordinamento costituzionale, ipotesi implicite d'inammissibilità, inerenti alle caratte

ristiche essenziali e necessarie dell'istituto del "referendum" abrogativo, e che questa Corte non possa - d'altro lato - ricavarne conseguenze di sorta, solo perché il testo dell'articolo 75 secondo comma Cost. non le considera specificamente.

Del resto, una testuale conferma di ciò deriva per l'appunto da quell'articolo 2 primo comma della legge cost. 11 marzo 1953, n. 1, per cui »spetta alla Corte costituzionale giudicare se le richieste di "referendum" abrogativo presentate a norma dell'articolo 75 della Costituzione siano ammissibili ai sensi del secondo comma dell'articolo stesso . Chiarendo che deve comunque trattarsi di richieste »presentate a norma dell'articolo 75 , tale disposizione riconosce alla Corte il potere-dovere di valutare l'ammissibilità dei "referendum" in via sistematica; per verificare in particolar modo, sulla base dell'articolo 75 primo comma, se le richieste medesime siano realmente destinate a concretare un »"referendum" popolare e se gli atti che ne formano l'oggetto rientrino fra i tipi di leggi costituzionalmente suscettibili di essere abrogate dal corpo elettorale.

3. - Salve le ulteriori indicazioni contenute nel seguito dell'attuale sentenza, ai fini dei singoli giudizi di ammissibilità, questa Corte ritiene che esistono in effetti valori di ordine costituzionale, riferibili alle strutture od ai temi delle richieste referendarie, da tutelare escludendo i relativi "referendum", al di là della lettera dell'articolo 75 secondo comma Cost. E di qui conseguono, precisamente, non uno ma quattro distinti complessi di ragioni d'inammissibilità.

In primo luogo, cioè, sono inammissibili le richieste così formulate, che ciascun quesito da sottoporre al corpo elettorale contenga una tale pluralità di domande eterogenee, carenti di una matrice razionalmente unitaria, da non poter venire ricondotto alla logica dell'articolo 75 Cost.; discostandosi in modo manifesto ed arbitrario dagli scopi in vista dei quali l'istituto del "referendum" abrogativo è stato introdotto nella Costituzione come strumento di genuina manifestazione della sovranità popolare.

In secondo luogo, sono inammissibili le richieste che non riguardino atti legislativi dello Stato aventi la forza delle leggi ordinarie, ma tendano ad abrogare - del tutto od in parte - la Costituzione, le leggi di revisione costituzionale, le »altre leggi costituzionali considerate dall'articolo 148 Cost., come pure gli atti legislativi dotati di una forza passiva peculiare (e dunque insuscettibili di essere validamente abrogati da leggi ordinarie successive).

In terzo luogo, vanno del pari preclusi i "referendum" aventi per oggetto disposizioni legislative ordinarie a contenuto costituzionalmente vincolato, il cui nucleo normativo non possa venire alterato o privato di efficacia, senza che ne risultino lesi i corrispondenti specifici disposti della Costituzione stessa (o di altre leggi costituzionali).

In quarto luogo, valgono infine le cause d'inammissibilità testualmente descritte nell'articolo 75 cpv., che diversamente dalle altre sono state esplicitate dalla Costituzione, proprio perché esse rispondevano e rispondono a particolari scelte di politica istituzionale, anziché inerire alla stessa natura dell'istituto in questione. Ma, anche in tal campo, resta inteso che l'interpretazione letterale deve essere integrata - ove occorra - da un'interpretazione logica-sistematica, per cui vanno sottratte al "referendum" le disposizioni produttive di effetti collegati in modo così stretto all'ambito di operatività delle leggi espressamente indicate dall'articolo 75, che la preclusione debba ritenersi sottintesa.

4. - Ciò premesso, la questione che giova affrontare per prima - indipendentemente dall'ordine in cui le otto richieste sono state presentate e poi prese in esame dall'Ufficio centrale - concerne l'ammissibilità del "referendum" sull'articolo 1 della legge 27 maggio 1929, n. 810, nelle parti interessanti l'intero Concordato, nonché gli articoli 1, 10, 17 e 23 del Trattato fra la Santa Sede e l'Italia. Le peculiarità di posizione e di funzione, caratterizzanti questo atto nel sistema delle fonti normative, stanno infatti alla base di un duplice ordine di eccezioni d'inammissibilità - già prospettate in dottrina e quindi riproposte dall'Avvocatura dello Stato - che non trova riscontro nei riguardi delle altre richieste in discussione. Precisamente, si afferma da un lato che l'articolo 1 della legge n. 810, in quanto destinato ad assicurare la »piena ed intera esecuzione dei Patti lateranensi, verrebbe ad integrarsi con la corrispondente disposizione dell'articolo 7 secondo comma Cost, sulla quale finirebbe al

lora per incidere il voto popolare; mentre il "referendum" abrogativo non potrebbe riferirsi alle nome costituzionali, né ad altri atti legislativi comunque dotati di una specifica resistenza all'abrogazione. E d'altro lato si osserva che la legge n. 810 assolverebbe anche una funzione esecutiva di accordi internazionali, quali il Trattato e il Concordato dell'11 febbraio 1929, sicché la relativa richiesta di "referendum" dovrebbe venire respinta, allo stesso titolo per cui l'articolo 75 secondo comma Cost. esclude l'abrogazione popolare delle leggi »di autorizzazione a ratificare trattati internazionali .

Sotto entrambi i profili, la richiesta dev'essere dichiarata inammissibile.

Al di là del previo giudizio di legittimità, nel corso del quale l'Ufficio centrale accerta solamente se la richiesta verta su di una qualsiasi legge in senso tecnico (ovvero su di un atto costituzionalmente equiparato), con ]o scopo di escludere il "referendum" riferito ad atti non legislativi, spetta invece a questa Corte di non dare adito all'abrogazione di quelle specie di leggi - riguardate non già per la materia che esse disciplinano, ma dal punto di vista della loro forza o del loro procedimento formativo - che debbano considerarsi sottratte alla sfera di operatività dei voti popolari in esame; senza di che si potrebbero verificare, attraverso il consenso e l'apporto della Corte stessa effetti abrogativi che la Costituzione ha implicitamente ma sicuramente voluto riservare ad organi ed a procedure ben diversi dal corpo elettorale e dal "referendum" regolato nell'articolo 75 Cost. (con esiti analoghi a quelli che si avrebbero ammettendo che una disposizione di legge ordinaria potesse abrogare - sia pur

e illegittimamente - un articolo della Costituzione).

Se infatti il "referendum" abrogativo assumesse ad oggetto qualunque tipo di legge in senso tecnico, ordinaria o costituzionale indifferentemente, la conseguenza sarebbe ben difficilmente compatibile con l'attuale regime di Costituzione rigida. Accanto all'apposito procedimento di revisione e di formazione delle »altre leggi costituzionali , disciplinato dall'articolo 138 Cost., si verrebbe cioè ad inserire un procedimento destinato alla sola abrogazione delle leggi costituzionali nonché - coerentemente - della Costituzione stessa, che in nessun modo potrebbe venire armonizzato con il primo di questi due istituti Per colmare le lacune dell'"iter" configurato dall'articolo 138 (ad esempio, in tema di iniziativa delle leggi, di promulgazione), è possibile ed anzi necessario ricorrere alle norme dettate dagli articoli 71 e seguenti della Costituzione, relativamente alla funzione legislativa ordinaria. Ma la disciplina del "referendum" abrogativo non attiene affatto all'esercizio di tale funzione da parte delle

Camere, e non è comunque utilizzabile per colmare nessuna delle lacune predette. Al contrario, la stessa previsione di uno specifico "referendum" approvativo, contenuta nel secondo comma dell'articolo 138, contribuisce ad escludere che in tema di revisione e di legislazione costituzionale vi sia posto per un ulteriore "referendum" abrogativo, nelle medesime forme previste per le leggi ordinarie.

Con ciò non si vuol certo sostenere che i Patti lateranensi siano stati costituzionalizzati ad ogni possibile effetto, in virtù del richiamo contenuto nell'articolo 7 Cost. Al contrario, dal capoverso dello stesso articolo 7 risulta testualmente che »le modificazioni dei Patti, accettate dalle due parti, non richiedono procedimento di revisione costituzionale (ma sono apportabili, dunque, nelle forme della legislazione ordinaria). E resta fermo, d'altronde, quanto la Corte ha dichiarato e ribadito più volte (nelle sentenze n. 30 e n. 31 del 1971, n. 12 e n. 195 del 1972, n. 175 del 1973): ossia che l'articolo 7 secondo comma Cost. »non preclude il controllo di costituzionalità delle leggi che immisero nell'ordinamento interno le clausole dei Patti lateranensi per ciò che riguarda la conformità delle clausole stesse rispetto ai »principi supremi dell'ordinamento costituzionale dello Stato .

Ma tutto questo non toglie che l'articolo 7 contenga una norma »di accoglimento del principio concordatario, nei termini risultanti dai Patti lateranensi , attribuendo loro una precisa »rilevanza o »copertura costituzionale (come questa Corte ha ritenuto - rispettivamente - nelle sentenze n. 12 del 1972, n. 175 del 1973 e n. 1 del 1977). La circostanza che i Patti non abbiano la forza attiva di »negare i principi supremi dell'ordinamento non esclude affatto, quindi, che sotto il profilo della forza passiva o della resistenza all'abrogazione tali fonti normative siano assimilabili alle norme costituzionali; tanto è vero che esse non possono venire legittimamente contraddette od alterate se non con lo strumento delle leggi di revisione costituzionale, là dove si tratti di modificazioni unilateralmente decise dallo Stato italiano.

Effettivamente, Trattato e Concordato del 1929 non vanno equiparati ad una qualsiasi di quelle tante leggi cui la Carta costituzionale opera generici richiami o rinvii, allo scopo di specificare le proprie disposizioni o di consentirne l'attuazione e la materiale applicazione; ma sono quei due atti normativi, storicamente e giuridicamente individuati, ai quali l'articolo 7 allude in materia diretta e puntuale, attraverso il congiunto riferimento ai Patti lateranensi. Ed un tale dato basta per concludere che il "referendum" previsto dall'articolo 75 Cost., non potendo avere la forza necessaria per produrre l'abrogazione dei Patti, non può essere nemmeno ammissibile in quanto li assuma ad oggetto, sia pure parzialmente e non nella loro interezza.

Né vale obiettare che altro sono i Patti per sé considerati, altro la legge ordinaria che li ha immessi nel nostro ordinamento: con la conseguenza che soltanto i primi, e non la seconda, sarebbero sottratti al "referendum". Distinzioni del genere non sono fondate, dal momento che il richiamo costituzionale non ha per tema esclusivo i Patti lateranensi come fonti del diritto internazionale o concordatario, ma si riferisce ad essi - anche e soprattutto - per ciò che interessa alla Costituzione di uno Stato, ossia per la loro incidenza sull'ordinamento interno del nostro Paese. La stessa previsione - implicitamente operata dall'articolo 7 - che i Patti siano modificati per volontà unilaterale dell'Italia, ma nella forma d'una legge di revisione costituzionale, sarebbe priva di senso se l'articolo stesso non avesse diretto riguardo o quello che i Patti rappresentano nell'ambito del diritto italiano. E dunque ne discende - secondo la prospettiva che la Corte ha fatto espressamente propria già nella sentenza n. 1

del 1977 - che la »copertura costituzionale fornita dall'articolo 7 comma secondo Cost. garantisce al tempo stesso i Patti lateranensi e quell'articolo 1 della legge n. 810 del 1929, che ha dato loro una »piena ed intera esecuzione .

D'altronde, la richiesta in esame si dimostra egualmente inammissibile per chi la consideri dal punto di vista del collegamento riscontrabile fra l'autorizzazione alla ratifica e l'esecuzione degli accordi di diritto internazionale (o comunque stipulati fra soggetti »indipendenti o sovrani ), ivi compresi i Patti lateranensi del 1929. La ragion d'essere dell'esplicita esclusione costituzionale, quanto ai "referendum" incidenti sulla ratifica dei trattati internazionali indicati dall'articolo 80 Cost. non si risolve nell'intento di evitare che il corpo elettorale interferisca nel processo formativo del trattati stessi (tanto più che il lunghissimo procedimento prescritto dalla legge n. 352 del 1970 non offrirebbe nemmeno - di regola - la possibilità materiale che il voto popolare preceda la stipulazione). Ben più largamente la Costituzione ha voluto impedire, una volta perfezionatosi il trattato, che esso venga privato dell'indispensabile fondamento costituzionale (ai sensi dell'articolo 80 Cost.) determinand

one la disapplicazione e rendendo in tal modo responsabile lo Stato italiano verso gli altri contraenti.

Ma l'esclusione dev'essere quindi riferita - secondo la tesi dominante in dottrina - non solo al momento dell'autorizzazione alla ratifica, ma anche al momento dell'esecuzione strettamente intesa. Ed a questa stregua poco importa che l'ordine di esecuzione rappresenti l'oggetto di un apposito atto legislativo (com'era inevitabile nell'ordinamento statutario, date le norme costituzionali che allora regolavano la formazione dei trattati) o sia contemporaneo e contestuale all'autorizzazione, venendo inserito nella medesima legge che consente la ratifica. In entrambe le ipotesi, infatti, l'interpretazione logico-sistematica dell'articolo 75 secondo comma Cost. impone che vengano respinte le richieste di "referendum" abrogativo.

5. - Per contestare la legittimità della richiesta di "referendum" vertente su 97 articoli del codice penale, l'Avvocatura dello Stato ha depositato presso Ufficio centrale un atto di intervento, in cui si deduceva l'improponibilità di quesiti referendari congiuntamente riferiti ad un'eterogenea pluralità di disposizioni legislative. Ma l'Ufficio centrale non ha accolto né ha preso in formale considerazione la tesi dell'Avvocatura, limitandosi invece ad osservare che »il principio dell'omogeneità della normativa sottoposta a "referendum" non comporta la corrispondenza in senso assoluto di ogni singolo "referendum" ad ogni singolo atto normativo, ma deve ritenersi rispettato anche quando gli atti, pur nella loro pluralità, siano sistematicamente incorporati in un testo legislativo avente unità di oggetto .

Nella memoria successivamente presentata a questa Corte, l'Avvocatura dello Stato insiste però nell'assunto, sostenendo che richieste del genere sarebbero comunque inammissibili. Di fronte a domande formulate in termini così complessi, gli elettori non potrebbero esprimere risposte consapevoli ed univoche; sicché del "referendum" si farebbe un uso abnorme, contrastante con i caratteri essenziali di questo istituto.

Ora la Corte deve anzitutto constatare che, sotto i profili indicati dall'Avvocatura dello Stato, l'attuale ordinamento del "referendum" abrogativo è contraddistinto da gravi insufficienze e da profonde antinomie.

Da una parte, corrisponde alla naturale funzione dell'istituto (aderendo ad alcune importanti indicazioni ricavabili dagli atti dell'Assemblea Costituente) l'esigenza che il quesito da porre agli elettori venga formulato in termini semplici e chiari con riferimento a problemi affini e ben individuati; e che, nel caso contrario, siano previste la scissione od anche l'integrale reiezione delle richieste non corrispondenti ad un tale modello. In coerenza con questi scopi, la legislazione attuativa dell'articolo 75 Cost. doveva e dovrebbe prevedere, dunque, appositi controlli delle singole iniziative, da effettuare - preferibilmente - prima ancora che vengano apposte le firme occorrenti a sostenere ciascuna richiesta; affinché gli stessi sottoscrittori siano messi preventivamente in grado d'intendere con precisione il valore e la portata delle loro manifestazioni di volontà.

D'altra parte, bisogna viceversa riconoscere che la legge n. 352 del 1970 non ha preordinato per nulla i rimedi necessari in tal senso. L'articolo 27 primo comma, pur prescrivendo l'indicazione dei »termini del quesito che si intende sottoporre alla votazione popolare , si limita in sostanza a prevedere che la formula »volete che sia abrogata... (o »volete voi l'abrogazione... ) sia completata richiamando gli estremi della legge in discussione, citando il numero dell'articolo o degli articoli specificamente interessati, nonché trascrivendo i soli testi dei commi o dei frammenti eventualmente messi in gioco (ma non gli integrali disposti degli articoli stessi). Ciò che più conta, la legge attuativa non chiarisce in nessun modo con quali criteri, da parte di quali organi, in quali momenti, né con quali effetti dovrebbe esercitarsi il controllo sull'omogeneità delle richieste: con la conseguenza che l'introduzione delle necessarie garanzie di semplicità, di univocità, di completezza dei quesiti, presentemente

trascurate od ignorate dal legislatore, rimane affidata ad una futura riforma.

Ma il sindacato della Corte non si può arrestare di fronte alla constatazione delle carenze o delle lacune della legge n. 352 del 1970. Diversamente dall'Ufficio centrale, tenuto ad accertare la legittimità delle richieste alla stregua di quella legislazione ordinaria che ha determinato »le modalità di attuazione del "referendum" , questa Corte deve infatti giudicare sull'ammissibilità delle richieste stesse, in diretta applicazione delle norme o dei principi di ordine costituzionale che comportino una causa impeditiva - espressa od implicita - dei voti popolari abrogativi. E, su questa base, la richiesta mirante all'abrogazione - totale o parziale - di 97 articoli del codice penale dev'esser dichiarata inammissibile.

Nella disposizione dell'articolo 75 primo comma Cost. (»E' indetto "referendum" popolare... quando lo richiedono cinquecentomila elettori... ) è certo ricompresa una vastissima gamma di richieste, indeterminate ed indeterminabili a priori. Ma nello stesso modo che la cosiddetta discrezionalità legislativa non esclude il sindacato degli arbitri del legislatore, operabile da questa Corte in rapporto ai più vari parametri; così la normativa dettata dall'articolo 75 non implica affatto l'ammissibilità di richieste comunque strutturate, comprese quelle eccedenti i limiti esterni ed estremi delle previsioni costituzionali, che conservino soltanto il nome e non la sostanza del "referendum" abrogativo. Se è vero che il "referendum" non è fine a se stesso, ma tramite della sovranità popolare, occorre che i quesiti posti agli elettori siano tali da esaltare e non da coartare le loro possibilità di scelta; mentre è manifesto che un voto bloccato su molteplici complessi di questioni, insuscettibili di essere ridotte ad

unità, contraddice il principio democratico, incidendo di fatto sulla libertà del voto stesso (in violazione degli artt. 1 e 48 Cost.).

Né giova replicare - come hanno fatto i promotori del "referendum" in esame - che saranno gli elettori ad esprimere in proposito il loro libero giudizio politico: approvando o respingendo la richiesta, secondo che il quesito sia stato formulato in termini più o meno chiari e precisi. Sia che i cittadini siano convinti dell'opportunità di abrogare certe norme ed a questo fine si rassegnino all'abrogazione di norme del tutto diverse, solo perché coinvolte nel medesimo quesito, pur considerando che meriterebbe mantenerle in vigore, sia che preferiscano orientarsi verso l'astensione, dal voto o nel voto, rinunciando ad influire sull'esito della consultazione, giacché l'inestricabile complessità delle questioni (ciascuna delle quali richiederebbe di essere diversamente e separatamente valutata) non consente loro di esprimersi né in modo affermativo né in modo negativo; sia che decidano di votare »no , in nome del prevalente interesse di non far cadere determinate discipline, ma pagando il prezzo della mancata abr

ogazione di altre norme che essi ritengano ormai superate (e vedendosi impedita la possibilità di proporre in questo senso ulteriori "referendum", prima che siano trascorsi almeno cinque anni, data la preclusione disposta dall'articolo 38 della legge n. 352 del 1970): appare evidente come i risultati dell'esperimento referendario ne vengano falsati alla radice, per l'unico motivo che "referendum" diversi - e per se stessi ammissibili - sono stati conglobati a forza entro un solo contesto.

Effettivamente, libertà dei promotori delle richieste di "referendum" e libertà degli elettori chiamati a valutare le richieste stesse non vanno confuse fra loro: in quanto è ben vero che la presentazione delle richieste rappresenta l'avvio necessario del procedimento destinato a concludersi con la consultazione popolare; ma non è meno vero che la sovranità del popolo non comporta la sovranità dei promotori e che il popolo stesso dev'esser garantito, in questa sede, nell'esercizio del suo potere sovrano. Uno strumento essenziale di democrazia diretta, quale il "referendum" abrogativo, non può essere infatti trasformato - insindacabilmente - in un distorto strumento di democrazia rappresentativa, mediante il quale si vengano in sostanza a proporre plebisciti o voti popolari di fiducia, nei confronti di complessive inscindibili scelte politiche dei partiti o dei gruppi organizzati che abbiano assunto o sostenuto le iniziative referendarie.

Viceversa, proprio questo finisce per essere, in modo esemplare, il caso del "referendum" vertente su 97 articoli del codice penale. Per quanti sforzi interpretativi si facciano, da tali disposizioni non si riesce ad estrarre un quesito comune e razionalmente unitario; e ciò fornisce allora la riprova che la richiesta non può venire ammessa, perché incompatibile con le proclamazioni degli articoli 1, 48 e 75 Cost.

6. - Analoghe considerazioni valgono ad escludere l'ammissibilità della richiesta relativa al codice penale militare di pace (approvato dal regio decreto 20 febbraio 1941, n. 303).

Anche a prescindere dalle dimensioni del codice stesso (che pure si compone di ben 433 articoli), è determinante la circostanza che questo atto legislativo implica le più diverse tematiche: dall'individuazione delle categorie di »persone soggette alla legge penale militare alla determinazione delle specie delle relative pene: dalla parte generale alla parte speciale della legislazione penale militare; dal diritto penale militare sostanziale alla procedura penale militare ed alla giurisdizione dei tribunali militari; dalla definizione dei reati esclusivamente militari, caratteristici dell'ordinamento delle forze armate, fino ad un'amplissima serie di figure criminose che s'innestano sulle parallele previsioni del codice penale comune, aggravando però le sanzioni a causa delle condizioni delle persone che abbiano commesso il fatto.

Ma l'eterogeneità delle disposizioni del codice penale militare di pace risulta ancora più netta, in vista dei loro diversissimi rapporti con la Costituzione. Accanto a molte norme penali o processuali, che possono considerarsi costituzionalmente neutre (prestandosi indifferentemente ad essere abrogate o mantenute in vigore, modificate oppure conservate nei loro contenuti), sussistono altri precetti che, nei loro attuali nuclei normativi, si saldano con le corrispondenti disposizioni costituzionali: come si verifica - ad esempio - nei casi di reati di mancanza alla chiamata alle armi e di diserzione, che stanno indubbiamente in funzione delle previsioni dell'articolo 52 Cost., relative al servizio militare obbligatorio ed all'ordinamento delle forze armate. Il fatto stesso che la richiesta in esame si proponga di abrogare simili figure criminose potrebbe esser dunque motivo sufficiente perché questa Corte la respinga. In ogni caso, però, l'aver voluto coinvolgere in un solo "referendum" le parti accessorie e

le parti essenziali del codice penale militare di pace, comprese le norme a contenuto costituzionalmente vincolato, rappresenta una conferma della irriducibile pluralità delle questioni, su cui l'elettore verrebbe costretto ad esprimere un unico voto.

Perciò ne deriva, mancando alla Corte poteri di scissione o di ridefinizione dei quesiti referendari, l'inammissibilità dell'intera richiesta.

7. - Quanto alla richiesta di "referendum" avente per oggetto l'ordinamento giudiziario militare, essa determina problemi almeno in parte diversi da quelli concernenti il codice penale militare di pace. Nel caso del regio decreto 9 settembre 1941, n. 1022, non è infatti sostenibile che ci si trovi in presenza di una radicale disomogeneità delle disposizioni da sottoporre al voto popolare, tale che su questo solo dato si debba fondare un giudizio d'inammissibilità. Disciplinando la tipologia e la composizione dei tribunali militari, l'ordinamento in questione considera e configura un ben preciso complesso di organi di giurisdizione speciale (che anzi conservano i loro caratteri essenziali - in virtù della norma generale dell'articolo 57 r.d. cit. - sia per il tempo di pace sia per il tempo di guerra).

Nondimeno, è anzitutto riscontrabile un collegamento strettissimo fra il codice penale militare di pace e l'ordinamento giudiziario militare. Da un punto di vista formale, è significativo che entrambi i decreti in questione (n. 303 e n. 1022 del 1941) ritrovino la loro comune matrice nella delegazione legislativa operata dalla legge 25 novembre 1926, n. 2153; tanto più che, nella prima parte dell'articolo 2 di tale legge-delega, si prevedeva che a ciò sarebbe bastato un unico atto delegato contenente il »nuovo testo delle disposizioni della legislazione penale militare . Dal punto di vista sostanziale, poi, è ancora più notevole che la materia dei giudizi penali militari sia stata suddivisa in una parte concernente la procedura penale, che ha trovato posto nel codice penale militare di pace, e nell'altra parte riguardante l'ordinamento giudiziario propriamente inteso; fermo restando, però, che la materia rimane essenzialmente unitaria, come stanno a dimostrare i sistematici richiami ai tribunali militari che

si ritrovano nei corrispondenti codici penali.

Allo stesso modo che per il codice penale militare di pace, anche per l'ordinamento giudiziario militare si può dunque ritenere che esso corrisponda - nel suo complesso, piuttosto che nei suoi singoli modificabili disposti - alle comuni esigenze della difesa della Patria, dell'obbligatorietà del servizio militare e dell'indefettibile esistenza delle forze armate, quali sono attualmente affermate e garantite dall'articolo 52 Cost. E già da questo nesso potrebbero trarsi, pertanto, argomenti atti a far concludere che i due "referendum" sul codice penale militare di pace e sull'ordinamento giudiziario militare debbano venire congiuntamente preclusi.

Ma, anche a voler considerare per sé solo il problema dell'ammissibilità di un voto popolare abrogativo dell'ordinamento giudiziario militare, separato dal contesto normativo del quale esso forma una parte integrante, la conclusione ultima non muta. In effetti, non è che il "referendum" sia stato qui richiesto per privare di efficacia norme riguardanti aspetti determinati, sia pure importantissimi, della giurisdizione militare: con lo scopo di obbligare il legislatore ordinario ad attivarsi tempestivamente per colmare o prevenire le lacune.

Ben diversamente, l'iniziativa in esame si propone di sopprimere l'intera giurisdizione militare, assoggettando all'effetto abrogativo anche quelle disposizioni a contenuto vincolato, sul tipo dell'articolo 1 del regio decreto n. 1022 del 1941, che non possono venir modificate o rese inefficaci, senza che ne risultino lese le corrispondenti disposizioni costituzionali.

In altre parole, il tema del quesito sottoposto agli elettori non è tanto formato - in questa come in tutte le ipotesi del genere - dalla serie delle singole disposizioni da abrogare, quanto dal comune principio che se ne ricava; ed il principio sul quale si fonda l'intero ordinamento giudiziario militare consiste appunto nella disposizione dell'articolo 1, per cui »la giustizia penale militare è amministrata: dai tribunali militari; dal tribunale supremo militare . Di conseguenza, il senso che obiettivamente assume la richiesta di cui si discute, quali che fossero gli intendimenti soggettivi dei presentatori e dei sottoscrittori di essa, consiste nella volontà di togliere di mezzo, attraverso la congiunta abrogazione del codice penale militare di pace e dell'ordinamento giudiziario militare, la totalità degli organi della giustizia militare di pace; per ritornare ai concetti ispiratori dell'articolo 95 ultimo comma del progetto di Costituzione, elaborato dalla Commissione dei 75, onde i tribunali militari a

vrebbero potuto »essere istituiti solo in tempo di guerra (mentre in ogni altra circostanza si sarebbe reso necessario espandere la giurisdizione penale comune). Ma il progetto è stato in questa parte superato irrevocabilmente - salvo il ricorso ad una revisione costituzionale - nell'atto in cui l'Assemblea Costituente ha approvato l'articolo 103 terzo comma della Costituzione (»I tribunali militari in tempo di guerra hanno la giurisdizione stabilita dalla legge. In tempo di pace hanno giurisdizione soltanto per i reati militari commessi da appartenenti alle forze armate ), nonché la VI disposizione transitoria (»Entro cinque anni dall'entrata in vigore della Costituzione si procede alla revisione degli organi speciali di giurisdizione attualmente esistenti, salvo le giurisdizioni... dei tribunali militari. Entro un anno dalla stessa data si provvede con legge al riordinamento del tribunale supremo militare in relazione all'articolo 111 ).

Pur avvertendo che quest'ultima previsione costituzionale è rimasta inadempiuta, che l'adeguamento della giurisdizione militare ai fondamentali principi informatori della giuridizione comune tarda da oltre un trentennio, e che questa inerzia del legislatore ha fornito lo spunto ai promotori dei "referendum" sui regi decreti n. 303 e n. 1022 del 1941, la Corte è tenuta egualmente a dichiarare inammissibile la richiesta referendaria avente per oggetto l'ordinamento giudiziario militare.

8. - Nella memoria depositata dall'Avvocatura dello Stato, si afferma che l'eterogeneità della materia regolata dalla legge 22 maggio 1975, n. 152 (intitolata »Disposizioni a tutela dell'ordine pubblico ), sarebbe tale da precludere l'ammissibilità della relativa richiesta di "referendum". Ma l'assunto non può esser condiviso.

Non è contestabile, in vero, la varietà di contenuti normativi della legge n. 152, che riguarda - fra l'altro - i limiti alla concessione della libertà provvisoria, i casi di fermo di indiziati di reato, una serie di modifiche della legge n. 645 del 1952 (sul divieto di ricostituzione del disciolto partito fascista), l'uso delle armi da parte di pubblici ufficiali, la prescrizione dei reati, le misure di prevenzione, l'espulsione degli stranieri, le notificazioni urgenti a mezzo del telefono o del telegrafo. Senonché la richiesta in questione non concreta un uso così artificioso del "referendum" abrogativo, da farla considerare eccedente le previsioni dell'articolo 75 Cost. Al contrario, tale iniziativa ha per oggetto un particolare complesso di misure legislative eccezionali, se non addirittura provvisorie (non si dimentichi, infatti, che le disposizioni processuali della legge n. 152 cesseranno di avere applicazione all'atto dell'entrata in vigore del nuovo codice di procedura penale, per espressa previsio

ne dell'articolo 35 della legge stessa): che il Parlamento ha disposto nel comune intento di fronteggiare la presente situazione di crisi dell'ordine pubblico, con particolare riguardo alla criminalità politica e para-politica. Sotto questo aspetto, anzi, si può ben dire che il titolo della legge enuncia già, nei suoi tratti essenziali, la questione sulla quale il corpo elettorale verrà chiamato a decidere.

Non frapponendosi altri ostacoli di ordine costituzionale, la richiesta di "referendum" per l'abrogazione della legge n. 152 del 1975 risulta quindi ammissibile (salvo quanto disposto in relazione all'art. 5 - perché sostituito dall'art. 2 della legge 8 agosto 1977, n. 533 - dall'ordinanza 6 dicembre 1977 dell'Ufficio centrale, avverso la quale i promotori del "referendum" hanno sollevato conflitto di attribuzione davanti a questa Corte).

9. - L'ipotesi che spetti alla Corte di precludere i voti popolari abrogativi sulle »leggi costituzionalmente obbligatorie, ovvero essenziali per il funzionamento dell'ordinamento democratico , è stata sistematicamente prospettata dall'Ufficio centrale per il "referendum", all'atto di dichiarare la legittimità delle richieste miranti all'abrogazione di 97 articoli del codice penale comune, del codice penale militare di pace e dell'ordinamento giudiziario militare. Ma l'Avvocatura dello Stato, riprendendo e sviluppando questo genere di argomentazioni, ha eccepito in tal senso l'inammissibilità della stessa richiesta di "referendum" avente per oggetto 13 articoli della legge 25 gennaio 1962, n. 20 (intitolata »Norme sui procedimenti e giudizi di accusa ), nelle parti attinenti ai poteri ed ai modi di funzionamento dell'apposita »Commissione inquirente . La eventuale abrogazione di tali disposti determinerebbe, infatti, l'integrale disapplicazione dell'articolo 12 della legge cost. n. 1 del 153, per cui »la mes

sa in istato di accusa del Presidente della Repubblica, del Presidente del Consiglio dei Ministri e dei Ministri è deliberata dal Parlamento in seduta comune su relazione di una Commissione, costituita di dieci deputati e di dieci senatori, eletti da ciascuna delle due Camere... ; con l'ulteriore conseguenza che il legislatore ordinario non potrebbe più porvi rimedio, senza per ciò stesso contraddire la volontà popolare.

Tesi del genere difettano, però, negli stessi presupposti dai quali procedono: in quanto non è sostenibile che siano sottratte al "referendum" abrogativo tutte le leggi ordinarie comunque costitutive od attuative di istituti, di organi, di procedure, di principi stabiliti o previsti dalla Costituzione. A parte l'ovvia considerazione che il "referendum" verrebbe in tal modo a subire limitazioni estremamente ampie e mal determinate, il riferimento alle leggi »costituzionalmente obbligatorie si dimostra viziato da un equivoco di fondo. La formula in questione farebbe infatti pensare che quelle leggi e non altre, con i loro attuali contenuti normativi, siano indispensabili per concretare le corrispondenti previsioni costituzionali. Così invece non è, dal momento che questi atti legislativi - fatta soltanto eccezione per le disposizioni a contenuto costituzionalmente vincolato - non realizzano che una fra le tante soluzioni astrattamente possibili per attuare la Costituzione.

Tale è appunto il caso della legge n. 20 del 1962. In realtà, l'attuale disciplina della »Commissione inquirente risponde ad una scelta politica del Parlamento, che poteva anche esser diversa, senza per questo violare l'articolo 12 della legge cost. n. 1 del 1953. Nell'eventualità di un voto popolare abrogativo, nulla può dunque impedire al legislatore ordinario di colmare in altro modo il conseguente vuoto normativo (o d'intervenire prima ancora che la lacuna sia divenuta effettiva, in virtù di quella previsione dell'articolo 37 terzo comma della legge n. 352 del 1970, per cui lo stesso decreto presidenziale dichiarativo dell'avvenuta abrogazione della legge sottoposta al voto popolare può »ritardare l'effetto abrogativo »per un termine non superiore a 60 giorni dalla data di pubblicazione ).

E questo conferma che la legge n. 20 del 1962, nelle parti coinvolte dalla richiesta in esame, non può essere esclusa dal complesso degli atti legislativi assoggettabili al "referendum" abrogativo.

10. - Nemmeno è fondata la tesi, problematicamente accennata dall'Avvocatura dello Stato, che la legge 2 maggio 1974, n. 195 (sul »Contributo dello Stato al finanziamento dei partiti politici ), rappresenti una legge finanziaria connessa alla legge di bilancio; sicché la relativa richiesta di "referendum" potrebbe esser respinta, sulla base di una larga interpretazione dell'articolo 75 secondo comma Cost.

Le leggi di bilancio cui si riferisce l'articolo 75 - ben individuate come sono, sia per il loro procedimento formativo, sia per la loro tipica struttura, sia per i limiti cui le sottopone l'articolo 81 terzo comma Cost. - non vanno infatti confuse con le innumerevoli leggi di spesa, del genere di quella concernente il finanziamento dei partiti politici. E questo stesso atto, d'altra parte, non può neppure esser fatto rientrare fra le leggi finanziarie, intese nel senso più proprio del termine.

In definitiva, anche per la legge n. 195 del 1974, la Corte non rileva ragioni impeditive, che valgano ad escluderne la abrogazione popolare (mentre, per quanto riguarda la legge 16 gennaio 1978, n. 11, sopravvenuta nel corso dell'attuale giudizio a modificare l'art. 3 terzo comma lettera b) della legge n. 95, le eventuali conseguenti valutazioni spettano all'Ufficio centrale per il "referendum", ai sensi dell'art. 39 della legge n. 352 del 1970).

11. - Finalmente, non sono riscontrabili cause d'inammissibilità e nessuna eccezione è stata comunque sollevata dall'Avvocatura dello Stato, circa la richiesta di "referendum" attinente agli articoli 1, 2, 3 e 3-"bis" delle norme »sui manicomi e sugli alienati , dettate dalla legge 14 febbraio 1904, n. 36, e successive modificazioni.

Per questi motivi la Corte costituzionale

1) dichiara inammissibili le richieste di "referendum":

a) per l'abrogazione dell'articolo 1 della legge 27 maggio 1929, n. 810 - sull'esecuzione del Trattato, dei quattro allegati annessi e del Concordato, sottoscritti in Roma, fra la Santa Sede e l'Italia, l'11 febbraio 1929 - limitatamente al contenuto degli articoli 1, 10, 17 e 23 del Trattato e all'intero contenuto del Concordato;

b) per l'abrogazione di 97 articoli del codice penale approvato con r.d. 19 ottobre 1930, n. 1398, e successive modificazioni, nei termini indicati in epigrafe;

c) per l'abrogazione dell'articolo 1 del r.d. 20 febbraio 1941, n. 303 (»Codici penali militari di pace e di guerra ), limitatamente alle parole »il testo del codice (penale) militare di pace ;

d) per l'abrogazione del r.d. 9 settembre 1941, n. 1022 (»Ordinamento giudiziario militare );

2) dichiara ammissibili le richieste di "referendum"

a) per l'abrogazione della legge 22 maggio 1975, n. 152, recante »Disposizioni a tutela dell'ordine pubblico , ad eccezione dell'articolo 5 (sostituito dall'art. 2 della legge 8 agosto 1977, n. 533), secondo il quesito modificato dall'Ufficio centrale per il "referendum", con ordinanza 6 dicembre 1977;

b) per l'abrogazione di 13 articoli della legge 25 gennaio 1962, n. 20 (»Norme sui procedimenti e giudizi di accusa ), nei termini indicati in epigrafe;

c) per l'abrogazione della legge 2 maggio 1974, n. 195 (»Contributo dello Stato al finanziamento dei partiti politici );

d) per l'abrogazione degli articoli 1, 2, 3, 3-"bis" della legge 14 febbraio 1904, n. 36 (»Legge sui manicomi e sugli alienati ), e successive modificazioni.

Corte costituzionale

Ordinanza 2 marzo 1978, n. 17

La Corte costituzionale ha pronunciato la seguente ordinanza sul ricorso proposto da Pietroletti Glauco, Pallicca Davide e Calderisi Giuseppe in nome e per conto del Comitato promotore del "referendum" abrogativo della legge 22 maggio 1975, n. 152, quale rappresentante dei firmatari della relativa richiesta pervenuto in cancelleria il 7 gennaio 1978 ed iscritto al n. 9 del registro 1978, per conflitto di attribuzione sorto a seguito della ordinanza dell'Ufficio centrale per il "referendum" depositata nella cancelleria della Corte di cassazione il 6 dicembre 1977, con la quale è stata dichiarata legittima la richiesta di "referendum" popolare sul quesito così modificato: »volete voi che sia abrogata la legge 22 maggio 1975, n. 152, recante disposizioni a tutela dell'ordine pubblico, ad eccezione dell'articolo 5 (sostituito dall'art. 2 della legge 8 agosto 1977, n. 533)? .

Udito nella camera di consiglio del 1· marzo 1978 il Giudice relatore Guido Astuti.

Ritenuto che per conto del Comitato promotore della richiesta di "referendum" abrogativo della legge 22 maggio 1975, n. 152, in rappresentanza dei firmatari di detta richiesta, è stato sollevato con ricorso 7 gennaio 1978, conflitto di attribuzione nei confronti della Corte di cassazione - Ufficio centrale per il "referendum" esponendosi: che detto Ufficio, con ordinanza 6 dicembre 1977, ha dichiarato legittima la richiesta di "referendum" per l'abrogazione della legge n. 152 del 1975, con espressa eccettuazione dell'articolo 5, in quanto abrogato perché integralmente sostituito dall'articolo 2 della successiva legge 8 agosto 1977, n. 533; che detto Ufficio, con ordinanza 19 dicembre 1977, ha dichiarato inammissibile l'istanza prodotta da esso Comitato per ottenere la modificazione della precedente ordinanza, ritenuta definitiva a norma dell'articolo 32, ultimo comma, della legge 25 maggio 1970, n. 352; che pertanto l'Ufficio centrale per il "referendum" avrebbe illegittimamente leso la competenza attribuita

ai firmatari della richiesta di "referendum" in ordine alla formulazione definitiva del quesito da proporre al corpo elettorale; e chiedendosi quindi a questa Corte di dichiarare che »all'Ufficio centrale per il "referendum" non è attribuito dall'articolo 39 della legge 25 maggio 1970, n. 352, il potere di disporre la cessazione delle operazioni del "referendum" relative alle norme comuni contenute prima nella disposizione di cui all'articolo 5 della legge n. 152 del 1975, ed ora formalmente inserite nella disposizione di cui all'articolo 2 della legge n. 533 del 1977 .

Considerato che, a norma dell'articolo 37, terzo e quarto comma, della legge n. 87 del 1953, la Corte in questa fase è chiamata a deliberare senza contraddittorio se il ricorso sia ammissibile, in quanto esista »la materia di un conflitto la cui risoluzione spetti alla sua competenza , rimanendo impregiudicata, ove la pronuncia sia di ammissibilità, la facoltà delle parti di proporre, nel corso ulteriore del giudizio, anche su questo punto, istanze ed eccezioni.

Che, secondo la giurisprudenza di questa Corte, per determinare se vi sia materia di conflitto deve accertarsi unicamente, in via di prima delibazione, la concorrenza dei requisiti di ordine soggettivo ed oggettivo contemplati dal primo comma dell'articolo 37 della legge n. 87 del 1953, e cioè se il conflitto sorga tra organi competenti a dichiarare definitivamente la volontà del potere cui appartengono, e per la delimitazione della sfera di attribuzioni determinata, per i vari poteri, da norme costituzionali.

Che dal punto di vista soggettivo appare ammissibile la legittimazione a sollevare conflitto, a' sensi dell'articolo 134 Cost., degli elettori, in numero non inferiore a 500.000, firmatari d'una richiesta di "referendum", quale frazione del corpo elettorale identificata dall'articolo 75 Cost., titolare dell'esercizio di una pubblica funzione costituzionalmente rilevante e garantita, e non può dubitarsi della competenza dei promotori del "referendum" a dichiarare, in questa fase, la volontà dei firmatari della richiesta medesima; che del pari non può dubitarsi della legittimazione ad essere parte del conflitto di cui trattasi dell'Ufficio centrale per il "referendum" della Corte di cassazione, competente a decidere sulla legittimità delle richieste con ordinanza definitiva (art. 32 della legge n. 352 del 1970).

Che dal punto di vista oggettivo il conflitto sollevato attiene all'applicazione delle norme costituzionali e ordinarie che regolano l'attuazione del "referendum" abrogativo, assumendosi dal comitato ricorrente che l'Ufficio centrale per il "referendum" non aveva il potere di disporre la cessazione delle operazioni del "referendum" relative alla disposizione dell'articolo 5 della legge n. 152 del 1975, solo formalmente sostituita da quella contenuta nell'articolo 2 della successiva legge n. 533 del 1977, modificando il quesito proposto al corpo elettorale dai firmatari della richiesta di "referendum" in contrasto con l'attribuzione ad essi costituzionalmente garantita della funzione di promuovere "referendum" abrogativo su tutti i contenuti normativi della legge n. 152 del 1975.

Per questi motivi la Corte costituzionale

riservato ogni definitivo giudizio circa l'ammissibilità e circa il merito del ricorso;

dichiara ammissibile, ai sensi dell'articolo 37 della legge n. 87 del 1953, il ricorso per conflitto di attribuzione proposto dal comitato promotore del "referendum" abrogativo della legge 22 maggio 1975, n. 152, in rappresentanza dei firmatari della relativa richiesta.

Dispone:

a) che la cancelleria della Corte dia immediata comunicazione al Comitato ricorrente, nelle persone di tutti i suoi componenti come indicati in ricorso, della presente ordinanza;

b) che, a cura del Comitato ricorrente, il ricorso e la presente ordinanza siano notificati all'Ufficio centrale per il "referendum" presso la Corte di cassazione, entro dieci giorni dalla data di ricevimento della comunicazione di cui sopra.

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Corte costituzionale

Ordinanza 11 aprile 1978, n. 44

La Corte costituzionale ha pronunciato la seguente ordinanza sul ricorso proposto da Pietroletti Glauco, Pallicca Davide e Calderisi Giuseppe in nome e per conto del Comitato promotore del "referendum" abrogativo della legge 22 maggio 1975, n. 152, quale rappresentante dei firmatari della relativa richiesta, pervenuto in cancelleria il 7 gennaio 1978 ed iscritto al n. 9 del registro 1978, per conflitto di attribuzione sorto a seguito della ordinanza dell'Ufficio centrale per il "referendum" depositata nella cancelleria della Corte di cassazione il 6 dicembre 1977, con la quale è stata dichiarata legittima la richiesta di "referendum" popolare sul quesito così modificato: »volete voi che sia abrogata la legge 22 maggio 1975, n. 152, recante disposizioni a tutela dell'ordine pubblico, ad eccezione dell'articolo 5 (sostituito dall'art. 2 della legge 8 agosto 1977, n. 533)? .

Vista l'ordinanza emessa da questa Corte il 2 marzo 1978, n. 17 sulla ammissibilità del conflitto di cui in epigrafe.

Vista la regolarità delle notificazioni e del successivo deposito del ricorso in cancelleria;

udito nell'udienza pubblica del 5 aprile 1978 il Giudice relatore Guido Astuti;

udito l'avv. Franco Casamassima per Pietroletti Glauco, Pallicca Davide e Calderisi Giuseppe.

Ritenuto che, secondo l'assunto dei ricorrenti, l'Ufficio centrale per il "referendum" della Corte di cassazione dichiarando legittima, con ordinanza 6 dicembre 1977, la richiesta di "referendum" per l'abrogazione della legge 22 maggio 1975, n. 152, con espressa eccettuazione dell'articolo 5, in quanto abrogato perché integralmente sostituito dall'articolo 2 della successiva legge 8 agosto 1977, n. 533 avrebbe illegittimamente leso la competenza attribuita ai firmatari della richiesta di "referendum" in ordine alla formulazione definitiva del quesito da proporre al corpo elettorale, che conseguentemente si chiede a questa Corte di dichiarare che »all'Ufficio centrale per il "referendum" non è attribuito dall'articolo 39 della legge 25 maggio 1970, n. 352, il potere di disporre la cessazione delle operazioni del "referendum" relative alle norme comuni contenute prima nella disposizione di cui all'articolo 5 della legge n. 152 del 1975, ed ora formalmente inserite nella disposizione di cui all'articolo 2 della

legge n. 533 del 1977 .

Considerato che l'articolo 39 della legge n. 352 del 1970, disponendo: »se la legge, o l'atto avente forza di legge, o le singole disposizioni di essi cui il "referendum" si riferisce, siano stati abrogati, l'Ufficio centrale per il "referendum" dichiara che le operazioni relative non hanno più corso , non distingue ai fini della pronuncia di detto Ufficio tra le diverse ipotesi di abrogazione previste dall'articolo 15 delle disposizioni sulla legge in generale; e con ciò stesso può dar luogo ad applicazioni lesive delle attribuzioni costituzionalmente riconosciute ai firmatari delle richieste di "referendum", i quali debbono essere adeguatamente tutelati dalla legge che determina le modalità di attuazione di questo istituto di democrazia diretta.

Che conseguentemente non appare manifestamente infondata, in riferimento all'articolo 75 della Costituzione, la questione di legittimità costituzionale dell'articolo 39 della legge n. 352 del 1970, nella parte in cui prevede che il blocco delle operazioni referendarie si produca anche quando la sopravvenuta norma abrogativa sia accompagnata dalla emanazione di altra normativa che regoli la stessa materia apportando solo innovazioni formali o di dettaglio, senza modificare né i contenuti normativi essenziali dei singoli precetti, né i principi ispiratori della complessiva disciplina sottoposta a "referendum".

Che non sussiste dubbio sulla rilevanza di detta questione ai fini della decisione di questa Corte sul sollevato conflitto, dovendosi stabilire se nel caso di specie l'Ufficio centrale per il "referendum", dichiarando cessate, in applicazione appunto dell'articolo 39 della legge n. 352 del 1970, le operazioni del "referendum" relative alla disposizione dell'articolo 5 della legge n. 152 del 1975, sostituita da quella dell'articolo 2 della successiva legge n. 533 del 1977, abbia leso le attribuzioni costituzionalmente garantite agli elettori, in numero non inferiore a 500.000, firmatari della richiesta di "referendum" per l'abrogazione della legge 22 maggio 1975, n. 152.

Che pertanto la Corte deve sollevare di ufficio la questione di legittimità costituzionale sopra formulata, sospendendo il presente giudizio e rinviando ogni sua definitiva pronuncia.

Per questi motivi la Corte costituzionale

riservata ogni definitiva decisione in merito al ricorso per conflitto di attribuzione;

visti gli articoli 1 della legge costituzionale 9 febbraio 1948, n. 1 e 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87, dichiara rilevante e non manifestamente infondata, in riferimento all'articolo 75 Cost., la questione di legittimità costituzionale dell'articolo 39 della legge 25 maggio 1970, n. 352, nei termini di cui in motivazione;

sospende il giudizio, e dispone che, a cura della cancelleria, la presente ordinanza sia notificata al Presidente del Consiglio dei ministri, ai ricorrenti e all'Ufficio centrale per il "referendum" presso la Corte di cassazione e comunicata ai Presidenti delle due Camere;

ordina che gli atti del giudizio siano restituiti alla cancelleria.

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Corte costituzionale

Sentenza 16 maggio 1978, n. 68

La Corte costituzionale ha pronunciato la seguente sentenza nel giudizio di legittimità costituzionale dell'articolo 39 della legge 25 maggio 1970, n. 352, promosso con ordinanza emessa l'11 aprile 1978 dalla Corte costituzionale nel corso del giudizio per conflitto di attribuzione tra Pietroletti Glauco ed altri (in nome e per conto del Comitato promotore del "referendum" abrogativo della legge 22 maggio 1975, n. 152) e l'Ufficio centrale per il "referendum" presso la Corte di cassazione, iscritta al n. 260 del registro ordinanze 1978 e pubblicata nella "Gazzetta Ufficiale" della Repubblica n. 105 del 15 aprile 1978.

Visto l'atto di costituzione di Pietroletti Glauco ed altri;

udito nell'udienza pubblica del 15 maggio 1978 il Giudice relatore Livio Paladin;

udito l'avv. Franco Casamassima, per Pietroletti Glauco ed altri.

"Ritenuto in fatto":

Il Comitato promotore del "referendum" per l'abrogazione della legge 22 maggio 1975, n. 152, ha promosso conflitto di attribuzione nei confronti dell'Ufficio centrale per il "referendum": impugnando l'ordinanza 6 dicembre 1977, con cui l'Ufficio stesso ha dichiarato legittima la relativa richiesta, ad eccezione dell'articolo 5 della legge predetta, in quanto sostituito dall'articolo 2 della legge 8 agosto 1977, n. 533.

In via di prima delibazione - mediante l'ordinanza n. 17 di quest'anno - la Corte ha ritenuto l'ammissibilità del conflitto; e nel corso del conseguente giudizio ha sollevato d'ufficio - mediante l'ordinanza n. 44 - la questione di legittimità costituzionale dell'articolo 39 della legge 25 maggio 1970, n. 352, in riferimento all'articolo 75 della Costituzione. Nell'articolo impugnato si dispone infatti, senza distinguere fra le diverse ipotesi di abrogazione, che se »la legge, o l'atto avente forza di legge, o le singole disposizioni di essi cui il "referendum" si riferisce, siano stati abrogati, l'Ufficio centrale per il "referendum" dichiara che le operazioni relative non hanno più corso . Con ciò stesso possono però determinarsi - come la Corte ha notato - »applicazioni lesive delle attribuzioni costituzionalmente riconosciute ai firmatari delle richieste di "referendum" : quanto meno nella parte in cui l'articolo 39 »prevede che il blocco delle operazioni referendarie si produca anche quando la sopravven

uta norma abrogativa sia accompagnata dalla emanazione di altra normativa che regoli la stessa materia apportando solo innovazioni formali o di dettaglio, senza modificare né i contenuti normativi essenziali dei singoli precetti, né i principi ispiratori della complessiva disciplina sottoposta a "referendum" .

Nell'attuale giudizio si è costituito il solo Comitato promotore interessato sostenendo la fondatezza della questione. Più precisamente, i promotori assumono che »il legislatore non possa sottrarsi alla verifica popolare se non abrogando la legge o l'atto avente forza di legge, secondo l'intenzione dei richiedenti la consultazione : vale a dire, attraverso una »eliminazione pura e semplice della legge o dell'atto avente forza di legge dall'ordinamento giuridico . Del resto, ogni altra interpretazione dell'articolo 39 conferirebbe all'Ufficio centrale poteri di gran lunga eccedenti le previsioni della legge n. 352 del 1970, facendo dipendere dalle sue decisioni - emesse senza alcun contraddittorio - l'indizione del "referendum" abrogativo e la stessa modificazione del quesito referendario.

Quanto invece al rapporto tra il potere legislativo, i richiedenti il "referendum" e l'intero corpo elettorale, il Comitato promotore ha rilevato che l'intervento del legislatore, una volta indetta la consultazione popolare, verrebbe a stravolgere la dinamica dell'istituto previsto dall'articolo 75 Cost.: donde la necessità di concludere che, al di là di un certo termine, lo stesso Parlamento non debba attivarsi o comunque non possa dare luogo ad un blocco delle operazioni referendarie.

"Considerato in diritto":

1. - Per valutare la questione di legittimità costituzionale dell'articolo 39 delle »norme sui "referendum" previsti dalla Costituzione , occorre stabilire in quali rapporti si trovino - ai sensi dell'articolo 75 Cost. - le richieste di "referendum" abrogativo e gli atti legislativi che producano, prima dell'effettuazione dei "referendum", l'abrogazione delle leggi, degli atti aventi forza di legge ovvero dei singoli disposti, inizialmente indicati dai promotori delle richieste medesime Più specificamente, deve essere accertato se la legislazione ordinaria sia paralizzata od altrimenti limitata, nel corso dei procedimenti per il "referendum", quanto agli oggetti delle richieste referendarie; e reciprocamente deve essere accertato se con tali richieste possano validamente interferire, e con quali conseguenze, gli eventuali atti di esercizio della funzione legislativa conferita alle Camere dall'articolo 70 della Costituzione.

Sotto il primo profilo, i promotori del "referendum" per l'abrogazione della legge 22 maggio 1975, n. 152, hanno sostenuto - già in vista del giudizio sul conflitto di attribuzione instaurato nei confronti dell'Ufficio centrale presso la Corte di cassazione - che la presentazione delle richieste di "referendum" abrogativo determinerebbe un effetto di »prevenzione , preclusivo di ogni intervento perturbatore del potere legislativo. Ma la tesi è infondata. In base all'articolo 70 Cost., la funzione legislativa ordinaria è potenzialmente inesauribile: prestandosi a venire esercitata per un indefinito numero di volte, senza limiti di tempo, in tutte le materie di sua competenza che il legislatore ritenga opportuno disciplinare nuovamente. Né si può dire che l'esercizio di tale funzione debba essere bloccato per l'intero corso del procedimento referendario, in quanto gli oggetti delle richieste di "referendum" sarebbero attratti nell'esclusiva disponibilità del corpo elettorale. Al contrario, l'assunto non corris

ponde al testo costituzionale, che non introduce in tal senso nessuna eccezione al principio di continuità della funzione e del potere legislativo; né corrisponde alla stessa ragion d'essere dell'istituto del "referendum" abrogativo.

Da un lato, infatti, gli stessi promotori costituitisi nel presente giudizio riconoscono che l'articolo 75 Cost. non esclude la sopravvenienza di leggi di abrogazione totale degli atti o dei disposti per i quali sia stato richiesto il "referendum": dal momento che esso ne risulta privato del suo oggetto, con esiti i identici a quelli producibili da un voto popolare-abrogativo. E d'altro lato non può nemmeno escludersi una legislazione abrogativa accompagnata da una nuova disciplina della materia in questione: sia perché il "referendum" può bene mirare (se non altro nelle ipotesi in cui vengano in considerazione le cosiddette leggi costituzionalmente necessarie) ad una mutazione della disciplina preesistente, piuttosto che ad una integrale e definitiva caducazione di essa; sia soprattutto perché, una volta promosse le richieste referendarie, potrebbero insorgere nuovi bisogni e problemi, di fronte ai quali sarebbe assurdo che al potere, legislativo venisse impedito d'intervenire tempestivamente.

Occorre dunque concludere che le Camere conservano la propria permanente potestà legislativa, sia nella fase dell'iniziativa e della raccolta delle sottoscrizioni, sia nel corso degli accertamenti sulla legittimità e sull'ammissibilità delle richieste, sia successivamente alla stessa indizione del "referendum" abrogativo.

Di conseguenza, il rispetto delle esigenze che i promotori ritengono lese non pone problemi di legittimità delle leggi, di cui questa Corte possa darsi; carico, ma resta demandato alla sensibilità politica del Parlamento, tanto più che le indagini sui pretesi vizi delle leggi sopraggiunte ad innovare la disciplina sottoposta al voto popolare, dopo che la consultazione fosse stata indetta, eccedono i limiti dell'attuale giudizio, quali sono stati definiti dall'ordinanza di rinvio.

2. - Sotto il secondo profilo, s'intende per altro che gli effetti abrogativi, in quanto incidenti sull'oggetto del quesito referendario, non possono non ripercuotersi sulla corrispondente richiesta. Per definizione, infatti, non è dato proporre al corpo elettorale l'abrogazione di leggi formali o di atti equiparati o di singoli disposti legislativi, che già siano stati abrogati: poiché, se così fosse, il voto popolare verrebbe in partenza privato di entrambi i suoi tipici effetti, abrogativo e preclusivo, alternativamente previsti dall'articolo 37 e dall'articolo 38 della legge n. 352 del 1970. Ed è qui che trova fondamento quell'articolo 39 della legge medesima, per cui »l'Ufficio centrale per il "referendum" dichiara - in questi casi - »che le operazioni relative non hanno più corso .

Fin dalle prime applicazioni della legge n. 352 gli interpreti hanno però rilevato che la formulazione dell'articolo 39 è così ampia ed indiscriminata, da consentire che vengano frustrati gli intendimenti dei promotori e dei sottoscrittori delle richieste di "referendum" abrogativo: prestandosi in tal modo ad eludere o paralizzare le stesse disposizioni dell'articolo 75 Cost. Effettivamente, con la previsione e con la garanzia costituzionale del potere referendario non è conciliabile il fatto che questo tipico mezzo di esercizio diretto della sovranità popolare finisca per esser sottoposto - contraddittoriamente - a vicende risolutive che rimangono affidate alla piena ed insindacabile disponibilità del legislatore ordinario: cui verrebbe consentito di bloccare il "referendum", adottando una qualsiasi disciplina sostitutiva delle disposizioni assoggettate al voto del corpo elettorale.

In dottrina è stato perciò suggerito d'intendere e di applicare l'articolo 39 - per conformarlo alla Costituzione - con esclusivo riferimento alle ipotesi di abrogazione totale ed espressa, non accompagnata da una nuova disciplina della materia, e quindi equivalente ad un voto popolare abrogativo. Ma simili interpretazioni adeguatrici (che oltre tutto rischierebbero di non essere nemmeno producenti allo scopo) non trovano alcun riscontro nel testo legislativo in esame. Prescrivendo che le operazioni referendarie non hanno più corso, »se prima della data di svolgimento del "referendum", la legge, o l'atto avente forza di legge, o le singole disposizioni di essi cui il "referendum" si riferisce, siano stati abrogati , l'articolo 39 non introduce distinzioni o precisazioni di alcun genere; ma è letteralmente riferibile - ed è stato riferito nella prassi - all'abrogazione totale come a quella parziale, all'abrogazione dissociata come a quella accompagnata da una nuova regolamentazione della materia, mediante inn

ovazioni di sostanza o di forma, di principio o di dettaglio.

3. - Così interpretato, l'articolo 39 della legge n. 352 del 1970 deve essere allora considerato illegittimo, per contrasto con l'articolo 75 Cost., nella parte in cui non predispone adeguati mezzi di tutela dei firmatari delle richieste di "referendum" abrogativo.

La sostanza del quesito che i promotori ed i sottoscrittori di tali richieste propongono al corpo elettorale non è infatti costituita da un atto legislativo oppure da certi suoi singoli disposti; e l'abrogazione di essi non impone di concludere che le rispettive operazioni debbano essere comunque bloccate. E' vero che alle leggi, agli atti aventi forza di legge od alle loro singole disposizioni si riferiscono - per identificare i temi del "referendum" abrogativo - tanto l'articolo 75 primo comma Cost. quanto l'articolo 27 della legge n. 352 del 1970. Ma è manifesto, perché in ciò consiste il valore politico delle decisioni demandate al popolo, che gli atti o i disposti legislativi indicati in ciascuna richiesta non sono altro che il mezzo per individuare una data normativa, sulle sorti della quale gli elettori vengono in effetti chiamati a pronunciarsi. Se così non fosse, la stessa riproduzione integrale dei contenuti di una legge preesistente, operata da una legge nuova, basterebbe a precludere l'effettuazi

one del "referendum" già promosso per l'abrogazione della prima di queste due fonti. Ma una conseguenza così paradossale concorre a far capire quanto poco sia fondata la premessa.

Nella sentenza n. 16 di quest'anno, giudicando sull'ammissibilità della richiesta per l'abrogazione dell'ordinamento giudiziario militare, la Corte ha viceversa precisato che »il tema del quesito sottoposto agli elettori non è tanto formato... dalla serie delle singole disposizioni da abrogare, quanto dal comune principio che se ne ricava ; ed in questi termini ha coerentemente valutato se alla base delle varie richieste assoggettate al suo giudizio fosse o meno riscontrabile quella »matrice razionalmente unitaria , in vista della quale dev'essere accertata l'omogeneità dei corrispondenti quesiti. Con analoghi criteri va ora risolto il problema dei limiti in cui può verificarsi - legittimamente - il blocco delle operazioni per il "referendum", a causa degli effetti abrogativi previsti dall'articolo 39 della legge n. 352 del 1970. Se l'»intenzione del legislatore - obiettivatasi nelle disposizioni legislative sopraggiunte - si dimostra fondamentalmente diversa e peculiare, nel senso che i relativi principi i

spiratori sono mutati rispetto alla previa disciplina della materia, la nuova legislazione non è più ricollegabile alla precedente iniziativa referendaria: in quanto non si può presumere che i sottoscrittori, firmando la richiesta mirante all'abrogazione della normativa già in vigore, abbiano implicitamente inteso coinvolgere nel "referendum" quella stessa ulteriore disciplina. Se invece l'»intenzione del legislatore rimane fondamentalmente identica, malgrado le innovazioni formali o di dettaglio che siano state apportate dalle Camere, la corrispondente richiesta non può essere bloccata, perché diversamente la sovranità del popolo (attivata da quella iniziativa) verrebbe ridotta ad una mera apparenza.

In quest'ultima ipotesi, la nuova disciplina della materia realizza per intero i suoi normali effetti abrogativi, impedendo che il "referendum" assuma tuttora ad oggetto le disposizioni già abrogate. Ma la consultazione popolare deve svolgersi pur sempre, a pena di violare l'articolo 75 Cost. E, di conseguenza, l'unica soluzione possibile consiste nel riconoscere che il "referendum" si trasferisce dalla legislazione precedente alla legislazione così sopravvenuta (oppure che la richiesta referendaria si estende alle successive modificazioni di legge, qualora si riscontri che esse s'inseriscono nella previa regolamentazione, senza sostituirla integralmente).

Per meglio chiarire a quali condizioni il "referendum" debba essere effettuato sulla nuova disciplina legislativa, al di fuori delle attuali prescrizioni dell'articolo 39 della legge n. 352 del 1970, conviene però mantenere distinta l'ipotesi in cui la richiesta riguardasse nella loro interezza una legge od un atto equiparato (od anche un organico insieme di disposizioni, altrimenti individuate dal legislatore) da quella in cui fosse stata proposta soltanto l'abrogazione di disposizioni specifiche. Nel primo caso, questa Corte ritiene che l'indagine non possa limitarsi alle affinità od alle divergenze riscontrabili fra le singole previsioni della precedente e della nuova legislazione, ma si debba estendere ai raffronti fra i principi cui s'informino nel loro complesso l'una o l'altra disciplina, sicché il mutamento dei principi stessi può dare adito al blocco delle relative operazioni referendarie, quand'anche sopravvivano - entro il nuovo ordinamento dell'intera materia - contenuti normativi già presenti ne

ll'ordinamento precedente; mentre la modificazione di singole previsioni legislative giustifica l'interruzione del procedimento nella parte concernente le previsioni medesime, solo quando si possa riscontrare che i loro principi informatori non sono più riconducibili a quelli della complessiva disciplina originaria. Nel secondo caso, invece, decisivo è il confronto fra i contenuti normativi essenziali dei singoli precetti, senza che occorra aver riguardo ai principi dell'intero ordinamento in cui questi si ritrovino inseriti: appunto perché i promotori ed i sottoscrittori delle richieste di "referendum" non avevano di mira l'abrogazione di quell'ordinamento considerato nella sua interezza.

Con tali criteri, comunque, non si può certo sostenere che gli elettori vengano chiamati a votare su un quesito affatto diverso da quello per cui erano state operate la presentazione e la sottoscrizione della richiesta di "referendum" abrogativo. La sottoposizione della nuova legge al voto popolare, qualora essa introduca modificazioni formali o di dettaglio, corrisponde alla sostanza dell'iniziativa assunta dai promotori e dai sottoscrittori; e rappresenta la strada costituzionalmente obbligata per conciliare - nell'ambito del procedimento referendario - la permanente potestà legislativa delle Camere con la garanzia dell'istituto del "referendum" abrogativo.

In questi termini, l'Ufficio centrale per il "referendum" è dunque chiamato a valutare - sentiti i promotori della corrispondente richiesta - se la nuova disciplina legislativa, sopraggiunta nel corso del procedimento, abbia o meno introdotto modificazioni tali da precludere la consultazione popolare già promossa sulla disciplina preesistente: trasferendo od estendendo la richiesta, nel caso di una conclusione negativa dell'indagine, alla legislazione successiva. Corrispondentemente, alla Corte costituzionale compete pur sempre di verificare se non sussistano eventuali ragioni d'inammissibilità, quanto ai nuovi atti o disposti legislativi, così assoggettati al voto popolare abrogativo.

4. - All'atto di dichiarare l'illegittimità dell'articolo 39 della legge n. 352 del 1970, nella parte in cui lascia insoddisfatta l'esigenza di non frustrare il ricorso al "referendum", la Corte è pienamente consapevole che da questa decisione potranno derivare inconvenienti e difficoltà applicative. Ma i poteri dei quali essa dispone non le consentono altro che di accertare e sanzionare le violazioni delle norme costituzionali, adottando le soluzioni a ciò conseguenti nei soli limiti in cui queste risultino univoche ed indispensabili per assicurare l'osservanza della Costituzione stessa. Le ulteriori modificazioni del procedimento per il "referendum" abrogativo, di cui le recenti esperienze stanno dimostrando l'opportunità - come la Corte ha già rilevato nella sentenza n. 16 di quest'anno - competono invece al Parlamento (anche mediante il ricorso - qualora necessario - alla legislazione prevista dall'articolo 138 Cost.).

In particolar modo, al legislatore spetterà di precisare o di riconsiderare i ruoli e le funzioni degli organi competenti ad intervenire nel corso delle procedure referendarie. Inoltre, attraverso una riforma della legge n. 352 del 1970 potranno essere altrimenti regolati i tempi delle relative operazioni: specialmente allo scopo di permettere l'effettuazione del "referendum" abrogativo oltre il termine finale del 15 giugno, allorché le leggi o le disposizioni sottoposte al voto popolare vengano abrogate all'ultima ora, imponendo nuove formulazioni degli originari quesiti ed intralciando gli adempimenti che precedono la data di convocazione degli elettori.

Per questi motivi la Corte costituzionale

dichiara l'illegittimità costituzionale dell'articolo 39 della legge 25 maggio 1970, n. 352, limitatamente alla parte in cui non prevede che se l'abrogazione degli atti o delle singole disposizioni cui si riferisce il "referendum" venga accompagnata da altra disciplina della stessa materia, senza modificare né i principi ispiratori della complessiva disciplina preesistente né i contenuti normativi essenziali dei singoli precetti, il "referendum" si effettui sulle nuove disposizioni legislative.

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Corte costituzionale

Sentenza 22 maggio 1978, n 69

La Corte costituzionale ha pronunciato la seguente sentenza sul ricorso proposto da Pietroletti Glauco, Pallicca Davide e Calderisi Giuseppe in nome e per conto del Comitato promotore del "referendum" abrogativo della legge 22 maggio 1975, n. 152, quale rappresentante dei firmatari della relativa richiesta, pervenuto in cancelleria il 7 gennaio 1978 ed iscritto al n. 5 del registro 1978, per conflitto di attribuzione sorto a seguito della ordinanza dell'Ufficio centrale per il "referendum" depositata nella cancelleria della Corte di cassazione il 6 dicembre 1977, con la quale è stata dichiarata legittima la richiesta di "referendum" popolare sul quesito così modificato: volete voi che sia abrogata la legge 22 maggio 1975, n. 152, recante disposizioni a tutela dell'ordine pubblico, ad eccezione dell'articolo 5 (sostituito dall'art. 2 della legge 8 agosto 1977, n. 533)?

Vista l'ordinanza emessa da questa Corte il 2 marzo 1978, n. 17 sulla ammissibilità del conflitto di cui in epigrafe.

Udito nell'udienza pubblica del 22 maggio 1978 il Giudice relatore Guido Astuti;

udito l'avv. Franco Casamassima per Pietroletti Glauco, Pallicca Davide e Calderisi Giuseppe.

"Ritenuto in fatto":

Con ricorso depositato in cancelleria il 7 gennaio 1978, Pietro]etti Glauco, Pallicca Davide e Calderisi Giuseppe hanno sollevato, per conto del Comitato promotore del "referendum" abrogativo della legge 22 maggio 1975, n. 152, in rappresentanza dei firmatari della relativa richiesta, conflitto di attribuzione in riferimento all'ordinanza dell'Ufficio centrale per il "referendum" depositata il 6 dicembre 1977, con la quale è stata dichiarata legittima la richiesta di "referendum" popolare sul quesito così modificato: volete voi che sia abrogata la legge 22 maggio 1975, n. 152, recante »disposizioni a tutela dell'ordine pubblico ad eccezione dell'articolo 5 (sostituito dall'art. 2 della legge 8 agosto 1977, n. 533)?

Un reclamo proposto dai promotori contro la detta ordinanza era stato dall'Ufficio centrale dichiarato inammissibile con successiva ordinanza 19 dicembre 1977, sul presupposto della definitività della precedente decisione.

Il conflitto di attribuzione è motivato in relazione alla esclusione dal "referendum" dell'articolo 5 della legge n. 152 del 1975, a seguito della sostituzione meramente »manipolativa di detta norma mediante l'articolo 2 della legge n. 533 del 1977, che avrebbe solo formalmente sostituito la precedente disposizione, lasciando inalterati, ed anzi peggiorando i contenuti.

Ciò, mentre l'articolo 39 della legge n. 352 del 1970, nel conferire all'Ufficio centrale del "referendum" il potere di dichiarare che non hanno più corso le operazioni relative al "referendum" sulle disposizioni della legge oggetto del "referendum" stesso che siano state abrogate, intenderebbe riferirsi non ad una mera eliminazione formale di esse, ma anche a una caducazione sostanziale di tutte le ipotesi normative ivi previste, che non potrebbero essere, in pendenza di un "referendum" reintrodotte nell'ordinamento e, per di più, aggravate.

La contraria interpretazione, accolta dall'Ufficio centrale senza sollevare, di ufficio, la questione di legittimità costituzionale dell'articolo 39, consentirebbe al Parlamento di aggirare qualsiasi richiesta di "referendum" ledendo irrimediabilmente gli interessi dei firmatari e dei promotori, e inibendo al corpo elettorale di pronunciarsi sui quesiti dai primi proposti.

Sull'ammissibilità del conflitto di attribuzione si afferma nel ricorso la esistenza dei requisiti sia oggettivi che soggettivi.

Quanto all'Ufficio centrale per il "referendum" tratterebbesi di struttura giurisdizionale, di tipo speciale, organo della Corte di cassazione e competente a manifestare in modo definitivo la volontà del potere di appartenenza, cioè del potere giudiziario.

A sua volta il gruppo dei sottoscrittori di una richiesta di "referendum" dovrebbe annoverarsi tra i »poteri dello Stato avendo diritti e poteri costituzionalmente garantiti, quale quello di attivare il procedimento di cui all'articolo 75 Cost. La volontà dei sottoscrittori sarebbe poi dalla legge n. 352 del 1970 ritenuta coincidente con quella manifestata dai promotori in maniera definitiva.

Infine, l'arbitraria modifica da parte dell'Ufficio centrale del quesito proposto dai sottoscrittori al corpo elettorale avrebbe fatto sorgere un contrasto tra il potere giudiziario, attraverso un organo della Corte di cassazione, e quello del gruppo dei sottoscrittori in ordine al potere di provvedere alla formulazione definitiva dei quesiti da proporre al corpo elettorale, relativi al "referendum" sulla legge n. 152 del 1975.

La Corte costituzionale con ordinanza n. 17, depositata il 3 marzo, ha affermato, in sede di prima delibazione, l'ammissibilità del conflitto, ricorrendone i presupposti sia oggettivi che soggettivi, e rilevando, in particolare, che gli elettori in numero non inferiore a 500.000, firmatari d'una richiesta di "referendum", sono una frazione del corpo elettorale identificata dall'articolo 75 Cost., titolare dell'esercizio di una pubblica funzione costituzionalmente rilevante e garantita, di cui i promotori sono competenti a dichiarare, in sede di conflitto, la volontà.

Compiuti gli adempimenti di rito, i ricorrenti hanno depositato memoria in cui, richiamati in tema di ammissibilità gli argomenti svolti in ricorso, hanno trattato più diffusamente il merito dello stesso.

In primo luogo si afferma che l'articolo 39 della legge n. 352 del 1970 fisserebbe il principio che quando il "referendum" è inutile (perché cade su una normativa o su una disposizione di legge o su una parte di una o più disposizioni di legge non più vigenti), è utile non farlo. Tale situazione, peraltro, non ricorrerebbe quando oggetto della richiesta di "referendum" sia un intero testo normativo, ed una sola disposizione dello stesso sia stata abrogata nelle more della procedura, atteso che, se tale disposizione non esiste più, la restante normativa sarebbe pur sempre in vigore, e quindi il "referendum" dovrebbe aver corso egualmente, senza che sia possibile modificarne l'oggetto, tanto più che, altrimenti, si finirebbe con il non tener conto dei possibili effetti che l'abrogazione referendaria comporta.

Il potere-dovere dell'Ufficio centrale sarebbe solo quello di accertare la legittimità delle richieste referendarie, sicché o le dichiara conformi alla legge, o le dichiara non conformi essendo stato l'intero oggetto del "referendum" abrogato, con sostanziale cessazione della materia del contendere. Comunque, in nessun caso vi sarebbe il potere di modificare l'oggetto delle richieste.

Peraltro, anche a voler ritenere l'articolo 39 applicabile alla ipotesi di abrogazione di una disposizione facente parte di una legge sottoposta per intiero a "referendum", andrebbe rilevato che l'articolo 2 della legge n. 533 del 1977, avendo operato una sostituzione dell'articolo 5 della legge n. 152 del 1975, avrebbe determinato una abrogazione implicita, e non espressa, della norma di oggetto di "referendum", come tale affidata al coordinamento operato in sede giurisprudenziale tra le due norme, e, perciò, non idonea ad integrare l'ipotesi prevista dall'articolo 39.

In ogni caso, poi, l'abrogazione per sostituzione non toccherebbe la formulazione della normativa come manifestazione di volontà del legislatore nel suo momento logico e nel suo momento volitivo, avendo effetti la sostituzione solo con riguardo al momento del commesso reato (ex art. 2, terzo comma, c.p.). Perciò, essendo la legge nella sua integralità a venire in discussione, la richiesta di "referendum" non verrebbe meno rispetto al testo sostituito, rientrando questo pur sempre nel corpo della legge di cui si chiede la totale abrogazione, e che mantiene inalterato il proprio contenuto complessivo nei suoi aspetti i logici e teleologici, tanto è vero che, se, scorporata una singola disposizione in quanto sostitutiva, la restante normativa fosse abrogata a seguito di "referendum", quella disposizione isolata non avrebbe di per sé un preciso valore giuridico.

Infine, ritenere che le operazioni relative al "referendum" non abbiano più corso, in presenza di una abrogazione solo formale delle disposizioni oggetto della richiesta di "referendum", essendo il contenuto formale dello stesso rimasto nell'ordinamento siccome reintrodottovi a mezzo di altra o altre disposizioni solo formalmente diverse dalle prime, significherebbe svuotare di contenuto il precetto di cui all'articolo 75 della Costituzione. Di fronte ad una richiesta di "referendum" il potere legislativo avrebbe solo due alternative: riconosciuto il fondamento della richiesta, abrogare la normativa che ne costituisce oggetto, ovvero accettare il peso della consultazione.

Nel corso del giudizio la Corte, con ordinanza n. 44, depositata il 12 aprile ha sollevato di ufficio la questione di legittimità costituzionale dell'articolo 39 della legge 25 maggio 1970, n. 352, in riferimento all'articolo 75 della Costituzione.

Con successiva sentenza n. 68, depositata il 17 maggio, è stata dichiarata la illegittimità della norma impugnata, nella parte in cui non predispone adeguati mezzi di tutela dei firmatari delle richieste di "referendum" abrogativo.

"Considerato in diritto":

1. - Con il ricorso di cui in epigrafe il comitato promotore del "referendum" per l'abrogazione della legge 22 maggio 1975, n. 152, in rappresentanza dei firmatari della relativa richiesta, ha sollevato conflitto di attribuzione nei confronti dell'Ufficio centrale per il "referendum" presso la Corte di cassazione, impugnando l'ordinanza 6 dicembre 1977 con cui quell'ufficio aveva dichiarato legittima la suindicata richiesta ad eccezione dell'articolo 5 di detta legge, in quanto integralmente sostituito dall'articolo 2 della successiva legge 8 agosto 1977, n. 533. Si assume nel ricorso che l'ufficio, modificando la formula di proposizione con espressa eccettuazione dell'articolo 5, avrebbe leso la competenza attribuita ai firmatari della richiesta di "referendum" in ordine alla formulazione definitiva del quesito da proporre al corpo elettorale, e conseguentemente si chiede a questa Corte di dichiarare che »all'Ufficio centrale per il "referendum" non è attribuito dall'articolo 39 della legge 25 maggio 1970,

n. 352 il potere di disporre la cessazione delle operazioni del "referendum" relativo alle norme comuni contenute prima nella disposizione di cui all'articolo 5 della legge n. 152 del 1975, ed ora formalmente inserite nella disposizione di cui all'articolo 2 della legge n. 533 del 1977 .

2. - Con ordinanza 3 marzo 1977, n. 17, la Corte ha ritenuto, in via di prima delibazione, l'ammissibilità del conflitto ai sensi dell'articolo 37 della legge 11 marzo 1953, n. 87; e nel corso del susseguente giudizio, con ordinanza 12 aprile 1977, n. 44, ha sollevato di ufficio, in riferimento all'articolo 75 della Costituzione, la questione di legittimità costituzionale dell'articolo 39 della legge n. 352 del 1970, nella parte in cui prevede che il blocco delle operazioni referendarie si produca anche quando la sopravvenuta abrogazione sia accompagnata dalla emanazione di altra normativa che regoli la stessa materia apportando solo innovazioni formali o di dettaglio, senza modificare né i contenuti normativi essenziali dei singoli precetti, né i principi ispiratori della complessa disciplina sottoposta a "referendum".

3. - La Corte ha deciso tale giudizio di costituzionalità con sentenza 17 maggio 1978, n. 68, dichiarando la illegittimità costituzionale dell'articolo 39 della legge 25 maggio 1970, n. 352, »limitatamente alla parte in cui non prevede che se l'abrogazione degli atti o delle singole disposizioni cui si riferisce il "referendum" venga accompagnata da altra disciplina della stessa materia, senza modificare né i principi ispiratori della complessiva disciplina preesistente né i contenuti normativi essenziali dei singoli precetti, il "referendum" si effettui sulle nuove disposizioni legislative .

4. - Definitivamente pronunciando circa l'ammissibilità del ricorso, questa Corte conferma le considerazioni già svolte nell'ordinanza n. 17 circa la sussistenza, nella fattispecie, dei requisiti di ordine soggettivo ed oggettivo contemplati dal primo comma dell'articolo 37 della legge n. 87 del 1953.

Per quanto concerne, in particolare, la legittimazione dei ricorrenti, può osservarsi che se »poteri dello Stato , legittimati a proporre conflitto di attribuzione ai sensi dell'articolo 134 Cost., sono anzitutto e principalmente i poteri dello Stato-apparato, ciò non esclude che possano riconoscersi a tale effetto come poteri dello Stato anche figure soggettive esterne rispetto allo Stato-apparato, quanto meno allorché ad esse l'ordinamento conferisca la titolarità e l'esercizio di funzioni pubbliche costituzionalmente rilevanti e garantite, concorrenti con quelle attribuite a poteri ed organi statuali in senso proprio.

Tale è appunto il caso del gruppo degli elettori, in numero non inferiore a 500.000, firmatari d'una richiesta di "referendum" abrogativo - istituzionalmente rappresentati dai promotori - a cui l'articolo 75 Cost. riconosce la potestà di proporre tale richiesta, con l'effetto di rendere costituzionalmente dovuta la convocazione del corpo elettorale, quando ricorrano i requisiti previsti dagli articoli 27 e seguenti della legge n. 352 del 1970. Nel procedimento referendario i promotori e i sottoscrittori, l'ufficio centrale presso la Corte di cassazione, il Governo, il Presidente della Repubblica e la Corte costituzionale concorrono all'effettuazione della consultazione popolare, e sarebbe incongruo escludere dalla legittimazione a sollevare conflitto di attribuzione solo il gruppo dei sottoscrittori, in quanto estraneo alla organizzazione dello Stato-persona, quando ad esso propriamente compete di attivare la sovranità popolare nell'esercizio di una potestà normativa diretta, anche se limitata all'abrogazion

e.

A conferma di quanto ora osservato si può rilevare che nell'analogo caso del "referendum" previsto dall'articolo 138, secondo comma, Cost., nell'ambito del procedimento formativo delle leggi di revisione della Costituzione e delle altre leggi costituzionali, per cui l'iniziativa referendaria può essere assunta da un quinto dei membri di una Camera, o da 500.000 elettori, o da cinque Consigli regionali, sarebbe assurdo ritenere legittimati a proporre ricorso per conflitto di attribuzione il gruppo dei parlamentari o dei Consigli regionali proponenti, e non quello di 500.000 elettori.

5. - Non può, del pari, dubitarsi della capacità del comitato dei promotori, in numero non inferiore a dieci (cfr. artt. 7 e 40 della legge n. 352 del 1970), a rappresentare gli elettori, in numero non inferiore a 500.000, firmatari della richiesta di "referendum", e della facoltà conferita dalla legge ad almeno tre dei promotori di agire in nome e per conto del comitato promotore. Ed invero la legge stabilisce che almeno tre dei promotori possano provvedere al deposito dei fogli con le firme dei sottoscrittori e dei relativi certificati elettorali (art. 28); alla sanatoria di eventuali irregolarità della richiesta, e alla presentazione di memorie intese a contestarne l'esistenza (art. 32, terzo comma); alla ricezione da parte dell'Ufficio centrale e di questa Corte, delle notificazioni e comunicazioni dei provvedimenti relativi alla legittimità ed ammissibilità delle richieste di "referendum" (art. 32, terzo e quinto comma, art. 33, secondo e quinto comma). Nel presente caso, il ricorso è stato proposto da

tre componenti del comitato promotore, i quali, come si desume dall'ordinanza 6 dicembre 1977, sono tra i presentatori della richiesta.

6. - Nel merito, occorre premettere che l'Ufficio centrale presso la Corte di cassazione, facendo puntuale applicazione del disposto dell'articolo 39 della legge n. 352 del 1970, aveva con l'ordinanza impugnata ritenuto che la richiesta di "referendum" relativa all'intero testo della legge 22 maggio 1975, n. 152 »Disposizioni a tutela dell'ordine pubblico , non potesse più avere corso per l'articolo 5, abrogato e sostituito dall'articolo 2 della legge 8 agosto 1977, n. 533, (contenente un più ampio divieto dell'uso di caschi protettivi o di altri mezzi atti a rendere difficoltoso il riconoscimento della persona, con più gravi sanzioni per i contravventori), ed aveva conseguentemente disposto la modificazione della formula di proposizione con espressa eccettuazione dell'articolo 5.

La già ricordata decisione di questa Corte, che ha dichiarato la parziale illegittimità costituzionale dell'articolo 39 della legge n. 352 del 1970, nei sensi e nei termini sopra riferiti, impone di riconoscere che l'Ufficio centrale presso la Corte di cassazione è ora chiamato a valutare se la nuova normativa contenuta nell'articolo 2 della legge n. 533 del 1977 abbia introdotto modificazioni tali da precludere la consultazione popolare sulla preesistente disciplina offerta dall'articolo 5 della legge n. 152 del 1975, o se invece il "referendum" debba effettuarsi sulla nuova disciplina legislativa.

Di conseguenza, il ricorso per conflitto di attribuzione deve essere accolto, annullando "in parte qua" l'ordinanza 6 dicembre 1977 dell'Ufficio centrale.

Per questi motivi la Corte costituzionale

dichiara che l'articolo 39 della legge 25 maggio 1970, n. 352, non attribuisce all'Ufficio centrale per il "referendum" presso la Corte di cassazione il potere di disporre la cessazione delle operazioni del "referendum" relative alla disposizione dell'articolo 5 della legge 22 maggio 1975, n. 152, abrogata e sostituita dalla disposizione dell'articolo 2 della legge 8 agosto 1977, n. 533, senza avere previamente valutato se il "referendum" non debba effettuarsi sulla nuova disciplina legislativa;

e in conseguenza annulla l'ordinanza dell'Ufficio stesso in data 6 dicembre 1977, nella parte in cui modifica il quesito referendario relativo alla legge n. 152 del 1975 eccettuandone l'articolo 5.

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Corte di cassazione - Ufficio centrale per il referendum

Ordinanza del 25 maggio 1978

Vista la precedente ordinanza dell'Ufficio in data 6 dicembre 1977, con la quale è stata riconosciuta la legittimità della richiesta di "referendum" abrogativo della legge 22 maggio 1975 n. 152, recante »Disposizioni a tutela dell'ordine pubblico , ad eccezione dell'articolo 5 abrogato e sostituito dall'articolo 2 legge 8 agosto 1977 n. 533;

vista la sentenza della Corte costituzionale 2 febbraio 1978 n. 16 che ha dichiarato ammissibile la relativa richiesta;

premesso che il Comitato del "referendum" per l'abrogazione della citata legge n. 152 ha promosso - con ricorso 7 gennaio 1978 - conflitto di attribuzioni nei confronti di quest'Ufficio, impugnando la predetta ordinanza per avere escluso dal "referendum" l'articolo 5; che la Corte con ordinanza n. 17 del 1978 ha ritenuto l'ammissibilità del conflitto e, nel corso del conseguente giudizio, ha sollevato d'ufficio, con ordinanza n. 44 del 1978, questione di legittimità costituzionale dell'articolo 39 legge n. 352 del 1970, che, con successiva sentenza 17 maggio 1978 n. 68, la Corte costituzionale ha dichiarato la illegittimità del citato articolo 39 »limitatamente alla parte in cui non prevede che se l'abrogazione degli atti o delle singole disposizioni cui si riferisce il "referendum" venga accompagnata da altra disciplina della stessa materia, senza modificare né, i principi ispiratori della complessiva disciplina preesistente né i contenuti normativi essenziali dei singoli precetti, il "referendum" si effett

ui sulle nuove disposizioni legislative ; che, infine, con sentenza 23 maggio 1978 n 69, la Corte costituzionale, pronunciando sul conflitto, mentre ha osservato che la cessazione delle operazioni referendarie, relativamente all'articolo 5 legge n. 152 del 1975, era stata dichiarata in »puntuale applicazione del disposto dell'articolo 39 per l'intervenuta sua abrogazione e sostituzione in forza dell'articolo 2 legge n. 533 del 1977, ha peraltro dichiarato che il citato articolo 39, così come risultante dalla sopravvenuta sentenza n. 68, non attribuisce all'Ufficio centrale per il "referendum" presso la Corte di cassazione il potere di disporre la cessazione delle operazioni del "referendum" relative alle disposizioni dell'articolo 5 legge n. 152 del 1975 senza avere previamente valutato se il "referendum" non debba effettuarsi sulla nuova normativa contenuta nell'articolo 2 legge n. 533 del 1977, ed ha conseguentemente annullato la citata ordinanza dell'Ufficio 6 dicembre 1977, nella parte in cui modifica i

l quesito referendario, eccettuandone l'articolo 5;

considerato che, per effetto di tale decisione, quest'Ufficio è ora chiamato a rinnovare il giudizio di legittimità della richiesta in riferimento al citato articolo 5 nel testo risultante dall'articolo 2 legge n. 533 del 1977;

che a tal fine occorre valutare gli effetti dell'abrogazione sostitutiva portata dall'articolo 2 legge n. 533 del 1977 sulle operazioni referendarie relative all'articolo 5 legge n. 152 del 1975;

che, invero, nella citata sentenza n. 68 la Corte costituzionale - dopo avere premesso che ogni vicenda abrogativa, comunque attuata esclude che il "referendum" possa avere ad oggetto le disposizioni abrogate - ha precisato che, quando l'abrogazione sia accompagnata da altra disciplina della stessa materia per stabilire i criteri di distinzione fra l'ipotesi in cui le operazioni referendarie non debbono avere più corso (in tutto o in parte) a quella in cui il "referendum" si trasferisce (o si estende) alle nuove disposizioni, occorre separare il caso della richiesta riguardante una legge (o atto equiparato) nella sua interezza o un organico insieme di disposizioni altrimenti individuate dal legislatore, da quello della proposta diretta soltanto alla abrogazione di disposizioni specifiche; che, alla stregua dei criteri ricavabili da detta sentenza, nel primo caso la cessazione totale delle operazioni referendarie consegue alla modificazione, comunque attuata, dei principi informatori della complessiva discipl

ina legislativa preesistente e la cessazione parziale alla non riconducibilità a quei principi delle singole disposizioni modificative (altrimenti il "referendum" si trasferisce o si estende alle nuove disposizioni) e nel secondo caso il "referendum" non deve avere più corso quando siano stati modificati i contenuti normativi essenziali dei singoli precetti;

considerato che sulla base di tali criteri la modifica introdotta dalla legge n. 533 del 1977 comporta la estensione delle operazioni referendarie riguardanti la legge n. 152 del 1975 all'articolo 2 citata legge n. 533;

considerato che ricorre, invero, il primo dei casi sopra enucleati essendo oggetto della richiesta una legge nella sua interezza;

che la introdotta modifica esaurendosi nell'ampliamento della figura criminosa con esclusione di un caso particolare, nell'inasprimento della sanzione e nella previsione dell'arresto facoltativo in flagranza, pur se innova anche nella sostanza la disciplina precedente, tuttavia è sempre riconducibile ai principi complessivamente ispiratori di questa, dei quali costituisce uno sviluppo ulteriore;

ritenuto, pertanto, che, estendendosi le operazioni referendarie alla nuova disposizione, occorre modificare correlativamente l'oggetto del quesito e trasmettere la presente ordinanza alla Corte costituzionale perché provveda alla verifica di sua competenza in ordine alla esistenza di eventuali ragioni di inammissibilità relative al suddetto articolo 2 legge n. 533 del 1977.

Per questi motivi, l'Ufficio centrale per il "referendum" dispone che le operazioni relative alla richiesta di "referendum" popolare per l'abrogazione della legge 22 maggio 1975 n. 152: »Disposizioni a tutela dell'ordine pubblico si svolgano sul quesito: »Volete voi che sia abrogata la legge 22 maggio 1975 n. 152, recante ``Disposizioni a tutela dell'ordine pubblico'', come modificata, nell'articolo 2 legge 8 agosto 1977 n. 533: ``Disposizioni in materia di ordine pubblico'' .

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Corte costituzionale

Sentenza 1· giugno 1978, n. 70

La Corte costituzionale ha pronunciato la seguente sentenza nei giudizi riuniti sull'ammissibilità, ai sensi dell'articolo 75, secondo comma, della Costituzione, delle richieste di "referendum" popolare per l'abrogazione:

1. - della legge 22 maggio 1975, n. 152, recante »Disposizioni a tutela dell'ordine pubblico , come modificata, nell'articolo 5, dall'articolo 2 della legge 8 agosto 1977, n. 533: »Disposizioni in materia di ordine pubblico (n. 11 reg. ref.);

2. - della legge 2 maggio 1974, n. 195, »Contributo dello Stato ai finanziamento dei partiti politici , come modificata, nell'articolo 3, terzo comma, lett. b, dall'articolo unico della legge 16 gennaio 1978, n. 11, »Modifiche alla legge 2 maggio 1974, n. 195, concernente norme sul contributo dello Stato al finanziamento dei partiti politici (n. 12 reg. ref.).

Udito nella camera di consiglio del 1· giugno 1978 il Giudice relatore Livio Paladin.

"Ritenuto in fatto":

1. - Con ordinanza del 25 maggio 1978, l'Ufficio centrale per il "referendum", costituito presso la Corte di cassazione, ha disposto che le operazioni relative alla richiesta di "referendum" popolare per l'abrogazione della legge 22 maggio 1975, n. 152, si svolgano sul seguente quesito: »Volete voi che sia abrogata la legge 22 maggio 1975, n. 152, recante »Disposizioni a tutela dell'ordine pubblico , come modificata, nell'articolo 5, dall'articolo 2 della legge 8 agosto 1977, n. 533, »Disposizioni in materia di ordine pubblico ?

L'Ufficio centrale ha infatti rilevato che questa Corte - con sentenza n. 68 del 17 maggio 1978 - aveva dichiarato l'illegittimità dell'articolo 39 della legge n. 352 del 1970, »limitatamente alla parte in cui non prevede che se l'abrogazione degli atti o delle singole disposizioni cui si riferisce il "referendum" venga accompagnata da altra disciplina della stessa materia, senza modificare né i principi ispiratori della complessiva disciplina preesistente né i contenuti normativi essenziali dei singoli precetti, il "referendum" si effettui sulle nuove disposizioni legislative ; e conseguentemente aveva annullato - con la sentenza n. 69 del 23 maggio 1978 - l'ordinanza emessa dall'Ufficio centrale in data 6 dicembre 1977, nella parte in cui modificava il quesito referendario relativo alla legge n. 152 del 1975, eccettuandone l'articolo 5.

Su questa base, l'Ufficio centrale ha constatato che la modifica introdotta dall'articolo 2 della legge n. 533 del 1977, quanto all'articolo 5 della legge n. 152 del 1975, »esaurendosi nell'ampliamento della figura criminosa con esclusione di un caso particolare, nell'inasprimento della sanzione e nella previsione dell'arresto facoltativo in flagranza, pur se innova anche nella sostanza la disciplina precedente, tuttavia è sempre riconducibile ai principi complessivamente ispiratori di questa ; e pertanto ha concluso che le relative operazioni referendarie si dovranno estendere alla nuova disposizione.

2. - Con altra ordinanza emessa in pari data, l'Ufficio centrale ha disposto che le operazioni relative alla richiesta di "referendum" popolare per l'abrogazione della legge 2 maggio 1974, n. 195, si svolgano sul seguente quesito: »Volete voi che sia abrogata la legge 2 maggio 1974, n. 195, »Contributo dello Stato al finanziamento dei partiti politici , come modificata, nell'articolo 3, terzo comma, lettera b, dall'articolo unico della legge 16 gennaio 1978, n. 11, »Modifiche alla legge 2 maggio 1974, n. 195, concernente norme sul contributo dello Stato al finanziamento dei partiti politici ?

Preso atto della ricordata sentenza n. 68 del 17 maggio 1978, l'Ufficio centrale ha ritenuto »che la introdotta modifica, attenendo alla sola individuazione dei destinatari del finanziamento, opera una innovazione di dettaglio, costituente una ulteriore puntuale applicazione dei principi informatori della complessiva disciplina preesistente , ed anche in tal caso ha perciò modificato l'oggetto del quesito, estendendo le operazioni referendarie alla nuova disposizione.

3. - Entrambe le ordinanze sono state quindi trasmesse a questa Corte, per la verifica dell'esistenza di eventuali ragioni d'inammissibilità, in ordine ai quesiti referendari così modificati.

Ricevuta comunicazione delle ordinanze, il Presidente della Corte ha fissato per le conseguenti deliberazioni il giorno 1· giugno 1978, dandone a sua volta comunicazione ai presentatori delle richieste ed al Presidente del Consiglio dei ministri, ai sensi dell'articolo 33, secondo comma, della legge n. 352 del 1970; né gli uni né l'altro si sono avvalsi della facoltà di depositare memorie, di cui all'articolo 33, terzo comma, della legge citata.

"Considerato in diritto":

1. - Ciò premesso, la Corte ritiene ammissibile la richiesta di "referendum" per abrogazione della legge 22 maggio 1975, n. 152 (»Disposizioni a tutela dell'ordine pubblico ), anche in ordine all'articolo 5 della legge stessa, come modificato dall'articolo 2 della legge 8 agosto 1977, n. 533 (»Disposizioni in materia di ordine pubblico ).

Valgono in tal senso, infatti, le stesse considerazioni che la Corte ha già svolto nella sentenza n. 16 del 7 febbraio 1978, per desumere l'ammissibilità della richiesta referendaria concernente, nel loro complesso, tutte le residue disposizioni della legge n. 152 del 1975.

2. - Del pari, non sussistono specifiche ragioni d'inammissibilità, per effetto dell'estensione delle operazioni referendarie concernenti la legge 2 maggio 1974, n. 195 (»Contributo dello Stato al finanziamento dei partiti politici ), all'articolo unico della legge 16 gennaio 1978, n. 11 (»Modifiche alla legge 2 maggio 1974, n. 195, concernente norme sul contributo dello Stato al finanziamento dei partiti politici ).

Quanto invece all'ammissibilità del "referendum" per l'abrogazione dell'intera legge n. 195 del 1974, la Corte si è già espressa in senso affermativo con la ricordata sentenza n. 16 di quest'anno.

Per questi motivi la Corte costituzionale

dichiara ammissibili, ai sensi delle indicate ordinanze dell'Ufficio centrale per il "referendum" presso la Corte di cassazione, le richieste di "referendum":

1) per l'abrogazione della legge 22 maggio 1975, n. 152 (»Disposizioni a tutela dell'ordine pubblico ), come modificata, nell'articolo 5, dall'articolo 2 della legge 8 agosto 1977, n. 533 (»Disposizioni in materia di ordine pubblico );

2) per l'abrogazione della legge 2 maggio 1974, n. 195 (»Contributo dello Stato al finanziamento dei partiti politici ), come modificata, nell'articolo 3, terzo comma, lett. b, dall'articolo unico della legge 16 gennaio 1978, n. 11 (»Modifiche alla legge 2 maggio 1974, n. 195, concernente norme sul contributo dello Stato al finanziamento dei partiti politici ).

 
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