Roberto CicciomessereSOMMARIO: La legge sui diritti degli appartenti alle Forze Armate italiane (Legge sui principi del nuovo regolamento di disciplina) è stata approvata dalle due Camere con il sostegno del Pci. L'autore contesta le affermazioni dei comunisti secondo cui la legge consentirà di far entrare la Costituzione nelle caserme: il divieto per i militari di organizzarsi in sindacato e di partecipare all'attività politica vanifica, con legge ordinaria, i principi costituzionali.
(Notizie Radicali n.163 del 16 luglio 1977)
Secondo il quotidiano l'"Unità", "la Costituzione repubblicana potrà finalmente entrare nelle caserme". Si tratta probabilmente di caserme di altri paesi, perché con la "legge sui principi" approvata nei giorni scorsi dalle Commissioni riunite Difesa e affari Costituzionali della Camera, si sanziona "finalmente" per legge, e non solo sulla base dei regolamenti, che nelle caserme la Costituzione è vietata.
Il PCI, ignorando come d'abitudine i tiepidi e poco convinti dissensi del PSI, che dopo aver disertato da mesi la commissione ed aver rinunciato in questo periodo a qualsiasi forma di sensibilizzazione e mobilitazione del paese su questo problema, oggi sventola la bandierina del dissenso per crearsi alibi e verginità e poi confluire obbediente nel voto unanime del parlamento, ha pagato così il conto alle dirigenze dell'apparato militare in cambio di una supposta neutralità di queste al compromesso storico.
L'obbedienza continuerà quindi, nelle nostre caserme, ad essere una virtù e i militari sono definiti per legge cittadini di serie B, affermando infatti l'art. 2 che "ai militari spettano i diritti che la costituzione riconosce ai cittadini". Ma dopo aver sanzionato la distinzione fra "cittadini" e "militari", l'art. 2 prosegue affermando naturalmente che "per garantire l'assolvimento dei compiti delle forze armate la legge pone ai militari limitazioni nell'esercito di taluni di tali diritti (costituzionali) nonché l'osservanza di particolari doveri."
L'analisi di questo testo di legge potrebbe concludersi all'art. 2 che chiarisce la volontà precisa del legislatore democristiano e comunista: vanificare con legge ordinaria i principi costituzionali. Questa operazione sicuramente anticostituzionale diventa poi esplicita negli articoli successivi che praticamente vietano ai militari l'esercizio dei diritti civili, politici e sindacali.
Ai militari è vietata l'organizzazione sindacale e la pratica politica, se non quella clandestina e possibilmente antiistituzionale che naturalmente, da sempre, costituisce l'attività fondamentale delle forze armate. Con gli art. 4 e 5 si stabilisce infatti che ai militari, compresi quelli di leva, "è fatto divieto di partecipare a riunioni e manifestazioni di partiti, associazioni, organizzazioni politiche nonché di svolgere propaganda a favore o contro i partiti, associazioni, organizzazioni politiche o candidati ad elezioni politiche ed amministrative" quando svolgono attività di servizio, sono in luoghi militari o comunque destinati al servizio, indossano uniforme; e - perla del gesuitismo - quando si qualificano, in relazione a compiti di servizio, come militari o si rivolgono ad altri militari in divisa o che si qualificano come tali.
In poche parole quindi la grande vittoria del PCI che ha impedito l'approvazione dell'articolo che vietava ai militari l'iscrizione ai partiti politici si risolve in un fatto puramente formale dal momento che sarà possibile possedere una tessera ma sarà sostanzialmente vietato di occuparsi di problemi militari, manifestare e qualificare pubblicamente la propria condizione, rivolgersi a propri colleghi. Ma sempre nell'art. 4 questo concetto viene chiarito ancor più precisamente, anche per consentire poi al Governo, in sede di realizzazione del regolamento di attuazione di questa legge, di aggravare le limitazioni quando si afferma che i militari sono tenuti al "dovuto riserbo sulle questioni militari".
Permane naturalmente nel testo approvato dalle commissioni il famigerato e anticostituzionale C.P.R. che ora viene chiamato "consegna di rigore" ma che in sostanza consente al comandante del corpo di chiudere in camera di sicurezza un giovane per 15 giorni senza intervento dell'autorità giudiziaria e senza possibilità di ricorso e di difesa da parte del condannato.
Contro questa forma di limitazione anticostituzionale della libertà personale e contro gli altri provvedimenti cosiddetti amministrativi non è possibile, come prevede l'art. 14, "il ricorso giurisdizionale o ricorso straordinario" al presidente della Repubblica se non dopo 3 mesi.
Ma i risultati di cui si mena più vanto sono gli organismi di rappresentanza militare. Al divieto di organizzazione sindacale si contrappone infatti questa truffa di organismi corporativi, con prevalenza di rappresentanti dei militari permanenti e che, praticamente, non hanno alcun potere se non quello di formulare "pareri, proposte e richieste" sui problemi economici, previdenziali, giuridici, sanitari, culturali e morali con precisa esclusione "alle materie concernenti l'ordinamento, l'addestramento, le operazioni, il settore logistico-operativo, il rapporto gerarchico-funzionale, e l'impiego del personale."
L'obiettivo è chiaro: discutete dei soldi, del rancio, del circolo e al massimo degli altri problemi corporativi, ma non mettete il naso nelle questioni fondamentali che riguardano il funzionamento delle FF.AA e i problemi di libertà, politici, di abuso gerarchico, delle punizioni e dei trasferimenti.
Non solo quindi la Costituzione sarà vietata ma non sarà neppure possibile discutere negli organismi rappresentativi dei quotidiani abusi e ricatti che vengono realizzati sui sottoposti.
Il militare non deve abituarsi a pensare, e soprattutto deve obbedire ciecamente a qualsiasi ordine sotto il ricatto prima del Tribunale militare poi delle punizioni disciplinari e dei trasferimenti.
Il PCI quindi come nel caso della polizia, ha svenduto ignobilmente tutte le richieste e le speranze dei movimenti democratici dei soldati, di sottufficiali e degli ufficiali, nati in questi anni.