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Notizie Radicali - 6 settembre 1977
I vertici del Pci propongono di abrogare i referendum. Abbiamo solo "Cento giorni per la Costituzione"

SOMMARIO: Se prima delle ferie invernali, con il consenso della DC e degli altri partiti dell'"arco costituzionale", la legge di modifica dell'istituto referendario presentata dal PCI sarà approvata, un colpo mortale sarà stato inferto non ai referendum radicali ma alla Costituzione. Saremo già nei fatti alla seconda Repubblica. Una Repubblica senza opposizione e senza referendum.)

(NOTIZIE RADICALI N. 186, 6 settembre 1977)

I referendum sono stati cancellati dalla cita politica italiana, dal dibattito parlamentare e soprattutto dall'informazione. Di essi non si parla e non si deve parlare. L'operazione "silenzio sui referendum" (silenzio della Rai-Tv, dei giornali, dei gruppi parlamentari, delle direzioni dei partiti, delle stesse presidenze delle Camere che pure avrebbero il compito di prevedere con largo anticipo i lavori parlamentari) ha una sua logica, semplice e stringente.

Disinformazione dell'opinione pubblica, mancanza di riflessione e di dibattito e disattenzione della classe dirigente sono le condizioni indispensabili, necessarie e sufficienti, per condurre in porto un attacco, che per colpire e rendere inoperanti i referendum radicali deve necessariamente colpire, e colpire sostanzialmente, uno dei perni fondamentali della Costituzione repubblicana.

Nap, Brigate Rosse, difesa delle istituzioni, ricatto agli intellettuali non allineati accusati da Amendola di vigliaccheria e di opportunismo: tutto è stato usato e giocato con estrema spregiudicatezza per nascondere, in un clima di emergenza, le cose gravi che si stanno preparando per il paese all'ombra dei compromessi di vertice e di potere firmati dai segretari dei sei partiti della grande coalizione della non sfiducia.

Su tutto questo il clamore era giustificato per far ingoiare e far ritenere normali e necessari peggioramento della legge Reale, leggi speciali sull'ordine pubblico, rinvio del sindacato di polizia a tempo indeterminato, istituzione delle carceri di rigore, annullamento dell'istituto dei permessi ai detenuti, reintroduzione di norme e procedure da tribunale speciale. Ma con i referendum non sono in gioco la vita di qualche terrorista o di qualche "delinquente", non è in gioco la vita o il carcere di qualche studente, di qualche intellettuale strano, di qualche "autonomo", emarginato, diverso: E' in gioco un diritto fondamentale che la Costituzione attribuisce ai cittadini, sono in gioco otto leggi che rappresentano altrettanti "cadaveri nel cassetto" fascisti e clericali di questa Repubblica democratica, sono in gioco oltre 700 mila firme (a Roma otto elettori su cento) in massima parte di comunisti, socialisti, democratici. Sui referendum potrebbe accadere che un'opinione pubblica frastornata e fin qui indo

tta ad accettare come normali le leggi speciali del governo Andreotti si accorgesse che l'obiettivo dei compromessi di potere e dei nuovi equilibri politici non è quello di colpire una piccola minoranza di oppositori violenti e criminali ma il funzionamento della democrazia politica, istituti fondamentali della Costituzione, i diritti stessi dei cittadini, di tutti i cittadini. Forse non basterebbero per distrarla da questa realtà neppure il rigido controllo dei telegiornali lottizzati di regime e gli articoli dei tanti Casalegno pronti sempre ad affermare che le iniziative referendarie di quei folli dei radicali costituiscono una jattura per il paese e un pericolo per la Repubblica. Sarebbe difficile convincerla che i referendum sono come le P38 e come le bombe, da mettere fuori legge, e che la Repubblica può essere messa in pericolo dall'esercizio della democrazia e dall'esercizio di un diritto costituzionale che si può esprimere liberamente con un SI o con un NO. Dunque è necessario il silenzio. Che l'opi

nione pubblica non sappia, che la base comunista non conosca e non discuta.

Non può meravigliarci quindi, non meraviglia certo noi radicali, il fatto che l'iniziativa politica forse più grave e importante dell'ultimo scorcio dei lavori parlamentari prima delle ferie estive, cioè la presentazione del progetto di legge comunista di modifica della legge istitutiva del referendum, sia passata senza reazioni, senza commenti, senza dibattito.

Il progetto di legge è gravissimo. Tanto più grave in quanto si propone in pratica di rendere impossibile l'attuazione di una norma della Costituzione (l'articolo 75 che istituisce il referendum abrogativo), senza ricorrere alle procedure speciali di revisione costituzionale, ma semplicemente introducendo alcune modifiche alla legge ordinaria di attuazione. Anche i comunisti, al pari di socialdemocratici e dei democristiani che l'hanno presentata, si ripromettono di elevare il numero delle firme necessarie per richiedere un referendum, attraverso una legge di modificazione dell'articolo 75. Ma a parte la complessità e difficoltà delle procedure, una tale modifica non varrebbe a bloccare il referendum radicale. Sarebbe difficile sostenere infatti la retroattività. La legge ordinaria presentata dai comunisti riguardando l'iter di controllo e di indizione del referendum, sarebbe invece immediatamente applicabile ai referendum promossi dal Partito Radicale, almeno per la maggior parte degli articoli in essa cont

enuti. Che il PCI affidi soprattutto a questa legge, sulla quale ha già probabilmente verificato il consenso degli altri partiti dell'esarchia, il compito di bloccare i referendum radicali, pare fuori di dubbio. Basta riflettere che l'on. Jotti, che ne è seconda firmataria, è anche la Presidente della Commissione Affari Costituzionali della Camera cui la legge dovrà essere assegnata.

Ma vediamo in cosa consistono le modifiche comuniste.

Il referendum non può essere richiesto prima che siano passati tre anni dalla approvazione della legge di cui si intende chiedere l'abrogazione.

Si attribuisce al presidente della Repubblica, autonomamente, o su proposta dei presidenti delle due Camere, la facoltà di sospendere per sei mesi l'indizione del referendum (sospensione che in pratica comporta il rinvio di un anno e anche di più perché lo svolgimento del referendum deve necessariamente tenersi in un periodo compreso tra il 15 aprile e il 15 giugno). Perché il presidente della Repubblica possa esercitare questa facoltà discrezionale è sufficiente la presenza di un progetto di legge rivolto a modificare le norme che sono oggetto della richiesta di referendum. Non si fa neppure riferimento al contenuto del progetto di legge. E cioè potrebbe bastare anche un progetto di legge che avesse contenuto opposto a quello del referendum e che quindi fosse rivolto a confermare e ad aggravare i contenuti della legge di cui si chiede l'abrogazione.

Sono inoltre previsti almeno due altri accorgimenti chiaramente elusivi del dettato costituzionale.

E' prevista la possibilità di sospendere temporaneamente l'efficacia di una legge per sospendere il referendum.

E' sufficiente, per bloccare il referendum, che siano state introdotte dal Parlamento "modificazioni sostanziali" alla legge di cui si chiede l'abrogazione. Ed anche qui non c'è alcun riferimento al contenuto delle modificazioni.

Infine viene introdotta una norma elettorale assurda che computa le schede bianche ai fini della determinazione della maggioranza. Cioè per abrogare una legge, è necessaria la maggioranza assoluta, cioè il 50 per cento più uno dei SI e le schede bianche non sono considerate voti di indecisi, come tali ininfluenti nel calcolo della maggioranza, ma voti validamente espressi che acquistano lo stesso valore dei NO. Per rendersi conto della gravità di questa norma basterà ricordare che questa interpretazione fu sostenuta dai democristiani e da Gabrio Lombardi prima del referendum sul divorzio (per il quale non sarebbe comunque bastata ad impedire l'imponente vittoria del NO, e dal ministro Cattani, da una parte dei liberali e dai monarchici dopo il referendum per la Repubblica del 2 giugno 1946. Se questa interpretazione fosse stata accettata dalla Corte di Cassazione, o se fosse esistita una norma come quella ora proposta dai comunisti, in Italia avremmo ancora la monarchia oltre al concordato e alle norme e all

e strutture corporative e fasciste!

Proviamo dunque a disegnare, come in un possibile scenario, la strategia antireferendum del PCI sulla base di questa legge. Alcuni referendum potrebbero essere bloccati nei prossimi mesi dal Parlamento dall'approvazione di nuove leggi o di leggi-truffa (legge truffa sull'aborto, revisione truffa sul Concordato). Per altre si potrebbe bloccare il referendum o con leggine che ne sospendessero temporaneamente l'efficacia o ricorrendo, con la presentazione dei progetti di legge di modifica, alla facoltà del capo dello Stato di rinviare di un anno il referendum. In altri casi infine, come per la legge Reale, le norme peggiorative previste dall'accordo a sei potrebbero essere, fatte valere come "modificazioni sostanziali" sufficienti a annullare il referendum. E' la tesi già adombrata dal settimanale "L'Espresso", che si è fatto portavoce senza alcuna riserva critica di questa aberrante e anticostituzionale interpretazione comunista.

Per quei referendum che nonostante tutto riuscissero a superare indenni questa cortina di sbarramenti, di sospensioni, di rinvii, il PCI potrebbe invitare a votare scheda bianca, senza assumersi la responsabilità di scegliere chiaramente il NO. E le schede bianche sarebbero determinanti. La legge rimarrebbe in vigore.

Non sono come si vede modifiche alle norme di attuazione. E' un attacco alla Costituzione.

Con le modificazioni della proposta comunista da istituto fondamentale del processo legislativo il referendum scade invece a "stimolo per il Parlamento", a "sintomo degli orientamenti dei cittadini", a "strumento cui ricorrere in ultima analisi". Sono affermazioni dei relatori. Secondo queste intenzioni il referendum non sarebbe più l'esercizio di un potere legislativo e di un diritto costituzionale ma dovrebbe assumere tutt'al più lo stesso valore di un'indagine demoscopica, la funzione di un termometro degli umori e degli orientamenti dell'opinione pubblica per meglio consentire a chi gestisce il potere di conservarlo.

Siamo già fuori, e nettamente fuori della Costituzione. E' antica prassi di ogni democrazia che nel momento in cui mutano gli equilibri politici e di potere e cambiano le maggioranze non si tocchi la legge fondamentale, il patto comune che lega tutti i cittadini. Nella famosa legge truffa del 1953, contro cui accanitamente si batterono comunisti e socialisti, la truffa non consisteva tanto nel meccanismo maggioritario della legge elettorale che è in vigore in molti paesi democratici, ma nell'aver tentato di imporla alla vigilia di una competizione elettorale a favore di uno schieramento politico che presumeva di rappresentare la maggioranza dell'elettorato. Il paese sconfisse quella maggioranza e impedì che scattasse il meccanismo maggioritario, perché fu indignato da quella prevaricazione, e un antifascista come Ruini che esercitò il potere di presidente della Camera conculcando i diritti delle minoranze scomparve dalla scena politica italiana. Questa antica prassi democratica, questa tradizione repubblican

a viene oggi calpestata al servizio di un disegno miope e antidemocratico, pericolosissimo e gravissimo per la sinistra, per la Repubblica, per il paese. Nel momento stesso in cui si costituiscono schieramenti politici largamente maggioritari e tendenzialmente unanimistici, annullare e vanificare l'istituto del referendum significa togliere all'opposizione, a qualsiasi opposizione, il canale di una possibile espressione costituzionale, deontocratica, nonviolenta. Allora davvero l'equazione dissenso=violenza rischierebbe di diventare una tragica e inevitabile realtà. Il disegno folle di criminalizzare ogni dissenso, con la pretesa di unificarlo nel comune denominatore del terrorismo e della violenza, sarebbe allora compiutamente realizzato. Abbiamo già una democrazia senza opposizione parlamentare perché la maggioranza rappresenta oltre il 90 per cento dell'elettorato. Avremmo una democrazia senza opposizione parlamentare e senza referendum. Cioè non avremmo più democrazia politica perché la democrazia politi

ca esiste dove esiste la possibilità per l'opposizione di esistere, di organizzarsi, di potersi esprimere. La miopia consiste nel guardare solo agli oppositori e ai dissenzienti di oggi. I protagonisti, magari secondari, dei compromessi di oggi non riescono a vedersi nelle vesti e nella posizione degli oppositori di domani.

Il problema riguarda in primo luogo i socialisti, o almeno quei socialisti che non si servano, come Signorile, della bandiera dell'alternativa per coprire operazioni di potere e di sottopotere con i baroni del regime (o gli aspiranti baroni Niutta, Mazzanti, Albanese). E' possibile che il partito di Nenni e di Craxi, di Lombardi e di Manca, di Mancini e di Mariotti (per citare i dirigenti più diversi per generazione e per orientamento) possa lasciar passare senza reazioni un disegno di questa portata e di questa gravità?

Il problema dovrebbe riguardare anche e soprattutto i democristiani. Lo ha ricordato Marco Pannella in una dichiarazione che pubblichiamo. Abbiamo sempre sostenuto la alternativa della sinistra, ma a partire dal rispetto integrale della costituzione, dal rispetto dell'opposizione e quindi dei diritti democratici anche e in primo luogo di una DC respinta all'opposizione. Abbiamo sempre affermato che con il nostro diritto al referendum contro le leggi clericali e fasciste intendevamo difendere ed affermare anche il diritto della DC al referendum, domani, contro le nostre leggi, contro le leggi della sinistra. Ma trenta anni di prevaricazione esercitata contro la costituzione sembrano rendere impossibile ogni reazione ed ogni comportamento democratico.

Riguardo i comunisti: in cosa consiste il loro eurocomunismo? In cosa consiste la "loro democrazia"? E' una democrazia corporativa che ha molte caratteristiche comuni con le cosiddette democrazie popolari o è la democrazia politica prevista dalla Costituzione? E' inutile invece rivolgersi a quei partiti minori dei Preti e dei Romita, degli Zanone e dei Mammì. Gridano contro il compromesso ma siedono tutti i tavoli dove i compromessi vengono realizzati sulla testa del paese. La loro vocazione resta quella di servitori del potere, di ogni potere.

 
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