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Spadaccia Gianfranco - 6 settembre 1977
Difendere i referendum rafforzare il partito e l'opposizione
di Gianfranco Spadaccia

SOMMARIO - Un intervento precongressuale di Gianfranco Spadaccia: anche quest'anno gli obiettivi nazionali e vincolanti per il partito devono essere rigorosamente delimitati e non devono allontanarsi da quello che per noi resta terreno centrale dello scontro politico che è quello della Costituzione e delle garanzie di libertà. I temi di un dibattito da cui il partito deve uscire con un progetto politico ancora una volta vincente.

(NOTIZIE RADICALI N. 186, 6 settembre 1977)

Alla vigilia del Congresso, credo che il Partito Radicale soffra di un male, o se l'espressione è forse eccessiva per un partito che esce ancora una volta da una impresa vittoriosa come quella degli otto referendum, almeno di una sfasatura e di una contraddizione che determinano una situazione di insoddisfazione e di malessere.

Ritengo che non guardare chiaramente alle cause di questa insoddisfazione e di questo malessere, che sono oggettive, e non cercare di superare questa sfasatura e questa contraddizione almeno nei limiti che sono consentiti dalle nostre reali possibilità, sarebbe un grave errore, suscettibile di favorire nel partito l'instaurazione di una dialettica fittizia e di accentuare il diffondersi di spinte centrifughe e di gravi fenomeni di deresponsabilizzazione rispetto agli impegni collettivi che purtroppo abbiamo dovuto lamentare anche nel momento più caldo della campagna degli otto referendum.

In cosa consiste la contraddizione?

La responsabilità di un'opposizione

Da una parte la situazione politica ci assegna compiti e responsabilità crescenti a cui dobbiamo far fronte con la mobilitazione su obiettivi precisi, rivolti a forzare la situazione di chiusura e i gravissimi processi politici in corso.

Dall'altra il partito, continuamente proiettato all'esterno nell'azione militante e nell'urgenza della lotta politica, avverte che deve darsi strumenti diversi di conoscenza e di riflessione collettiva, di informazione e di dialogo interno, ormai necessari anche per poter far fronte ai compiti della lotta politica e senza distrarsi da essi.

E' invece accaduto che gli impegni e le necessità della lotta politica e della azione militante abbiano fin qui ostacolato e impedito di soddisfare questo secondo tipo di esigenza. Ne sono derivate e ne derivano frustrazioni notevoli per tutti: per quei compagni che sono presi dai compiti di gestione dell'organizzazione del partito e di realizzazione degli obbiettivi congressuali, non meno che in quelli che lamentano l'assenza troppo spesso non solo di strumenti di dibattito e di informazione, ma anche di propaganda e di conoscenza.

Il problema esiste perché sussistono oggi più che mai i termini di questa contraddizione. La drammaticità della situazione politica, tanto più drammatica quanto più si afferma una immagine di normalizzazione, ci assegna i doveri e le responsabilità di una opposizione che per non essere schiacciata ed emarginata deve darsi obiettivi e ambizioni ancora una volta - come le elezioni, come gli otto referendum - sproporzionati alle nostre forze. Obiettivi che devono essere perseguiti e realizzati in tempi politici utili, cioè adeguati e corrispondenti ai processi politici che si vogliono battere.

Il nostro successo come forza politica è dipeso proprio dal fatto che non ci siamo mai chiusi nel microcosmo radicale, che non ci siamo mai estraniati dalla realtà della lotta politica per badare esclusivamente o prevalentemente ai nostri problemi interni ed organizzativi di partito. Non siamo stati un gruppetto e soprattutto non siamo stati avvertiti e considerati come un gruppetto proprio perché la nostra crescita di partito, il nostro successo o i nostri fallimenti, venivano sempre misurati sulle condizioni generali della democrazia italiana e sulla concreta possibilità di influire positivamente su di esse.

A questa stregua il 1978 non sarà per i radicali un anno tranquillo. Se possibile anzi il 1978 si presenta un anno più difficile dei due che l'hanno preceduto. Non solo per l'ovvia considerazione che non si sceglie di essere radicali per gestire l'esistente e per vivere di rendita sulle lotte passate, cioè per consolidare una forza politica già conquistata, che è del resto minima e inconsistente e destinata ad essere spazzata via non appena si rassegnasse a sopravvivere o a vivacchiare. Non solo per la drammatica convinzione che le prospettive di una politica alternativa hanno i giorni contati e che lo stesso quadro di garanzie democratiche previste dalla Costituzione corre un serio pericolo. Ma per due altre considerazioni: una di carattere molto pratico, che nel 1978 non avremo un obiettivo unico ed unificante, come sono state nel '76 le elezioni e nel '77 la raccolta delle firme; l'altra di carattere politico più generale, consistente nel nostro isolamento, nell'uso sistematico dei mezzi di comunicazione

di massa ai fini della denigrazione dell'azione politica radicale, oltre che nella generale chiusura che si verifica ad ogni livello ed in primo luogo sul piano dell'informazione.

La lotta per la difesa della democrazia politica, dei diritti e delle garanzie costituzionali, per strappare spazi di informazione alla sempre più massiccia occupazione e lottizzazione di regime, per impedire la sottrazione al paese dei referendum, sarà dunque dura e drammatica.

Gli impegni di lotta che abbiamo dovuto affrontare nel passato sono stati tali da sconvolgere e mettere in crisi molto spesso per molti di noi scelte e rapporti, ritmi ed equilibri personali.

Nuovi strumenti di organizzazione

E così sarà presumibilmente, non c'è da farsi illusioni, per gli impegni che dovremo affrontare nel futuro. Figuriamoci se essi possono non essere tali da non mettere in crisi e da non sconvolgere ritmi ed equilibri di una ipotetica, astratta ed improbabile crescita del partito. L'unica crescita del partito che abbiamo conosciuto è quella che è derivata dalla crescita e dai successi delle sue lotte politiche, dagli sbocchi politici che di volta in volta riuscivamo a dare a queste lotte, dai nuovi apporti e dai nuovi consensi, e anche dalle contraddizioni che essi determinavano e dagli elementi di crisi e di ripensamento che introducevano nel partito.

E tuttavia il partito ha oggi dimensioni e problemi diversi dal passato che esigono strumenti diversi di comunicazione, di socializzazione e di dibattito. La difficoltà che dobbiamo risolvere sta nel conquistarci questi strumenti, senza venir meno agli impegni della lotta politica. In questi momenti nel partito si ripropongono infatti costantemente due tipi di soluzioni, illusorie o controproducenti: da una parte la tentazione di fughe in avanti di chi crede che la soluzione del partito sia nell'affrontare nuovi compiti programmatici, e per questa strada la riproposizione, anche se mascherata dalle migliori intenzioni del partito ideologico, che nasconde dietro l'ideologia le sue carenze politiche o da sfogo contemporaneamente alla sua impotenza e alla sua velleità; dall'altra il riaffacciarsi di soluzioni organizzative di tipo tradizionale che farebbero del partito radicale l'ennesimo gruppuscolo o partitino della vita politica italiana, del tutto simile agli altri e fallimentare come gli altri. Queste prop

oste e queste soluzioni possono tuttavia trovare oggi un terreno più fertile che nel passato, se non riusciremo a dare una risposta positiva a questo problema e a questa contraddizione, una risposta politica che tenga conto di tutti e due i termini della contraddizione e non pretenda di risolvere e superarne uno solo, eludendone l'altro. Dobbiamo quindi uscire dal Congresso con un progetto politico che comprenda contemporaneamente efficaci obiettivi di lotta adeguati alla gravità della situazione e nuovi strumenti di organizzazione per farvi fronte collettivamente. Non posso avere la pretesa di delineare questo progetto politico. Il contributo che posso dare è quello di indicare alcuni temi di dibattito e di scelta politica congressuale.

Temi di dibattito e di scelta

"Analisi della situazione politica": deve essere certamente approfondita e articolata. Ma dobbiamo chiederci se si è d'accordo nel giudizio politico sui processi in corso e sulle conseguenze che essi hanno già avuto sul funzionamento delle istituzioni, sulle garanzie costituzionali, sulla democrazia politica.

In particolare dobbiamo valutare le conseguenze che ha avuto la politica del PCI (perché è stato questo partito molto più della DC ad imporla e a portarla avanti), rivolta ad eliminare ogni elemento che potesse configurarsi come destabilizzatore degli equilibri politici, e di conseguenza a ridurre e ad appiattire ogni forma di opposizione e di dissenso nel comune denominatore della violenza e della criminalità. Quando parlo delle conseguenze di questa politica mi riferisco anche all'influenza che essa ha avuto su fasce di opinione "liberal" che solo un classismo di tipo becero può far ritenere non importanti nel determinare e rendere possibili condizioni più avanzate di democrazia senza le quali non è possibile affermare progetti radicali di trasformazione della società e dello Stato. Non c'è alcun dubbio che, dopo il 12 maggio, il regime di Cossiga e il PCI sono riusciti in qualche misura ad alienarci almeno nel breve periodo i consensi diffusi e l'adesione di queste fasce d'opinione, intorno alle nostre an

alisi e alle nostre lotte.

"Rapporti con i partiti della sinistra": non si può far conto, sempre nel breve periodo, su significative contraddizioni interne ai partiti della sinistra. Il controllo dei gruppi dirigenti sull'area politica e sociale da essi egemonizzata è più stretto che nel passato. Si sono di conseguenza affievoliti gli spazi di dissenso e di autonomia. Nel PSI i cambiamenti di direzione hanno da questo punto di vista avuto un effetto più negativo che positivo, e non solo da questo punto di vista. Non possiamo e non dobbiamo estraniarci dal dibattito generale della sinistra, dal quale siamo peraltro costantemente esclusi ed emarginati, ma non possiamo illuderci che attraverso il dibattito, e attraverso la sola proposta politica di strategie e progetti alternativi, si possa modificare la situazione.

"Democrazia e informazione": un partito libertario che non si rivolge a ristrette avanguardie e non si chiude in ristretti spazi ed insediamenti politici e sociali, può affermare le sue lotte ed imporre le sue iniziative politiche solo sull'onda dell'informazione di massa. Credo di poter dare per scontata l'analisi e la documentazione sulla chiusura in atto dei mezzi di comunicazione di massa ed in primo luogo nella Rai-TV, chiusura tanto più grave quanto, più è mascherata da un'apparente liberalizzazione (riconoscimento dei ristretti spazi lottizzati alle minoranze, diritto d'accesso vanificato e reso inefficace dai regolamenti, apparente concorrenzialità delle testate radiotelevisive). Questo che ha costituito almeno dal 1970 ad oggi l'obiettivo reale e principale di tutte le nostre iniziative nonviolente, è oggi il terreno su cui si manifestano con immediatezza gli effetti più deleteri dei nuovi equilibri politici e compromessi di potere. I mezzi usati nel passato dal partito per forzare la chiusura dell'

informazione appaiono in questa situazione ormai spuntati e inadeguati.

"Nonviolenza e disubbidienza civile": la nostra analisi secondo la quale ogni scelta di risposta violenta, individuale o di massa, clandestina o pubblica, alla violenza delle istituzioni è omogenea al regime e ne favorisce disegni, strategie e progetti autoritari, repressivi e antidemocratici, è confermata dal costante tentativo di criminalizzare ogni forma di opposizione. Non c'è alcun dubbio che chi sceglie la strada della violenza imbocca la strada che il regime (e il PCI) hanno tracciato, cioè imbocca la strada dell'isolamento e della sconfitta dell'opposizione. Ma se questa analisi regge alla prova dei fatti, i metodi fin qui sperimentati di nonviolenza sono ormai inadeguati. Il partito della nonviolenza e della disobbedienza civile rischia di essere proprio su questo terreno pericolosamente disarmato, e quindi di veder diminuire la propria credibilità di opposizione radicale, di fronte al crescere della violenza nel paese, e di fronte al crescente ricorso ai metodi violenti, e perfino alla loro teorizz

azione e difesa. Il problema deve essere quindi riconsiderato e deve trovare soluzioni non esemplari e individuali, ma collettive e organizzate.

"Obiettivi politici congressuali": se la gravità della situazione politica e dei processi politici in corso è tale, come io ritengo, da influire sullo stesso quadro costituzionale e sulle condizioni stesse dell'esercizio della democrazia politica e parlamentare, non ha senso attestarci su posizioni difensive per rispondere colpo su colpo alle iniziative del regime e agli effetti degli accordi politici di vertice. Non ha neppure senso attestarci in una posizione di attesa di possibili contraddizioni e rotture che potrebbero verificarsi fra la DC e i partiti di sinistra. Nel primo caso rischieremmo comunque di essere travolti e di limitare la nostra resistenza e la nostra opposizione alla mera testimonianza o alla risposta inefficace e tardiva. Nel secondo caso contraddizioni o rotture possono verificarsi sul terreno proprio della strategia dominante nella sinistra: cioè non sul terreno dei diritti civili, della trasformazione democratica dello Stato e delle sue strutture ed istituzioni, ma sul terreno dell'ec

onomicismo e dei rapporti di potere. Su ordine pubblico, garanzie di libertà, costituzione, referendum, il partito deve mettersi in grado di sviluppare una politica di iniziativa e di attacco. Per poterlo fare sono tuttavia necessarie tre condizioni: 1) tentare di ricreare, nei ristretti spazi ancora disponibili e non ancora occupati dalla strategia del PCI e del compromesso storico, elementi di contraddizione a livello istituzionale e di opinione pubblica; 2) tentare di forzare la chiusura dell'informazione, almeno parzialmente; 3) ripensare e sperimentare nuovi metodi di azione nonviolenta e di disobbedienza civile.

"Utilizzazione del finanziamento pubblico":

I problemi e le urgenze della lotta politica ci ripropongono il problema dell'utilizzazione dei fondi del finanziamento pubblico. Problema delicato e serio perché tocca una questione di principio, fondamentale per il partito: quella del rigoroso autofinanziamento della propria organizzazione delle proprie lotte.

Esistono a riguardo nel partito due spinte contrastanti, ma a mio avviso ugualmente negative: una di tipo moralistico, tendente a teorizzare la non utilizzazione di quei fondi, se non per scopi assistenziali e di supplenza delle carenze dello stato; l'altra di tipo tradizionale tendente a ricorrere a queste somme per finanziare direttamente o indirettamente le attività del partito. Ricordo che non abbiamo mai detto che non avremmo utilizzato i soldi del finanziamento pubblico, che rappresentano un patrimonio del partito e dell'elettorato radicale. Noi abbiamo detto:

1) che non li avremmo utilizzati a fini di partito;

2) che non li avremmo utilizzati fino a quando non avessimo messo in atto i meccanismi necessari per l'abrogazione dell'attuale legge sul finanziamento pubblico;

3) che non li avremmo utilizzati per finalità contraddittorie con le nostre posizioni di principio.

Se teniamo conto di questa impostazione il problema deve e può essere risolto con concretezza, ma anche senza furbizia: cioè mantenendoci coerenti con la nostra posizione di principio (autofinanziamento del partito e della lotta), e contemporaneamente facendo in modo che questo patrimonio possa essere utilizzato "non a fini di partito e non dal partito", per contribuire alle lotte democratiche che devono essere combattute, in tempi politicamente utili.

Al congresso si era parlato, in via di ipotesi, di devolvere il finanziamento pubblico ad attività di contro-informazione democratica. Io stesso in Consiglio Federativo ho prospettato la possibilità della costituzione di una fondazione. In vista di questo obiettivo, che richiede strumenti che non possono essere improvvisati si può pensare di devolvere la prima "tranche" del finanziamento pubblico sia per attività di studio e di progettazione di una fondazione, sia per il finanziamento di progetti finalizzati alla difesa della Costituzione e dei diritti costituzionali dei cittadini, da affidare o ad organizzazioni esistenti o da costituire ad hoc.

Il partito contribuirebbe in questa maniera a creare strutture ed iniziative che potrebbero essere in questo momento essenziali per l'opposizione democratica, e se ne avvantaggerebbe per la sua politica, ma come si avvantaggerebbe di qualsiasi altra struttura che servisse alle stesse finalità e che ciò facendo rappresentasse un elemento di remora e di contraddizione per le istituzioni e per il regime.

Il partito deve invece riconsiderare e attuare rigorosamente i meccanismi dell'autofinanziamento, dimensionando iniziative ed obiettivi di lotta alle iniziative e alle capacità di autofinanziamento.

Garanzie di libertà e difesa dei referendum

"Altri campi e modalità di iniziativa radicale": non manca e non mancherà la tendenza a proporre nuovi campi e settori di interesse e di iniziativa politica, soprattutto sui temi economici, per il partito. Io credo invece che anche quest'anno gli obiettivi nazionali e vincolanti per il partito non solo debbano continuare ad essere rigorosamente delimitati ma non debbano allontanarsi da quello che per noi resta il terreno centrale dello scontro politico: che è quello della costituzione, delle garanzie di libertà, della difesa dei referendum. Sono i fatti di questi mesi che ci ripropongono drammaticamente questo terreno di lotta. Certo il compromesso di potere che vediamo svilupparsi ad ogni livello dispiega i suoi effetti anche sul terreno economico e sociale, e sono effetti gravi e drammatici, ma sono effetti secondari e consequenziari.

La lottizzazione, certe scelte che si fanno nel campo delle partecipazioni statali, l'equo canone, solo per citare alcuni esempi, sono sviluppi necessari e logiche conseguenze di scelte che hanno come primo campo di attuazione la corporativizzazione dello stato, lo svuotamento delle istituzioni, la limitazione di alcune garanzie costituzionali, il venir meno degli strumenti classici del controllo democratico che sono garantiti dall'esistenza di una opposizione nel Parlamento e nel paese. Se i tempi di una progettazione alternativa socialista e libertaria si allontanano, rispetto a quanto ancora lo scorso anno potevamo sperare e pensare, ciò è dipeso dai processi politici che si sono sviluppati dopo il 20 di giugno del 176. E' auspicabile però che nel partito, o fuori del partito, nascano centri di iniziativa, di ricerca, di aggregazione e di lotta anche su questi problemi. Ma il pratito in quanto tale non può per correre appresso ad altre cose venir meno al suo compito più immediato, che è quello di salvare

alcune condizioni minime di costituzionalità, di dialettica democratica, di garantismo costituzionale, che sono le condizioni senza le quali sarebbe velleitario ogni altro progetto radicale. Rispetto a questi centri di iniziativa, e la Lega per l'energia alternativa ne costituisce un eccellente esempio e una promettente speranza, il partito ha il compito di assicurare il sostegno delle proprie strutture di servizio.

"Il Partito - L'attuazione dello statuto": il dibattito sullo stato del partito deve avviarsi prima del congresso e proseguire ed essere sviluppato dopo il suo svolgimento. E non deve limitarsi agli organi e alle strutture nazionali, ma investire i problemi di tutto il partito, e in particolare tre punti che richiedono riflessione sulle esperienze fin qui condotte, dibattito e scelte politiche conseguenti: mi riferisco alle prime esperienze dei partiti regionali, alle esperienze associative delle grandi città e ai rapporti con i movimenti federati.

In altre sedi, anche di dibattito precongressuale, entrerò nel vivo dei problemi dell'organizzazione nazionale del partito, e dell'attuazione dello statuto nelle fedeltà alla sua ispirazione libertaria e federativa. Qui mi atterrò invece all'essenziale. Ritengo come ho detto in apertura di questo documento che il partito abbia bisogno di strumenti di dibattito, di comunicazione interna e di informazione. Essi sono tanto più necessari ora in quanto il partito l'anno prossimo non avrà uno strumento unico di mobilitazione nazionale, e perché la durezza della lotta e il confronto con le altre forze politiche richiede un maggiore grado di omogeneità politica, di informazione sulle lotte in corso (ad esempio sull'attività del gruppo parlamentare), e analisi più approfondite e più puntuali che sorreggano e sostengano le iniziative per il raggiungimento degli obiettivi congressuali.

Per questo sono necessari almeno due sostanziali cambiamenti nel funzionamento delle strutture del partito:

1) una accentuazione delle funzioni di dibattito, di analisi e di promozione del Consiglio Federativo, accanto alle funzioni deliberative e di consulenza della segreteria, con una autonomia di gestione e di lavoro che oltre a differenziarne i compiti da quelli della segreteria e degli organi esecutivi, contribuisca ad arricchire la attività del partito impegnando e sperimentando un maggior numero di energie;

2) la pubblicazione periodica di Notizie Radicali a stampa, che assicuri con continuità di informazione essenziale almeno a tutti gli iscritti e a tutti i sostenitori non iscritti.

Credo che sia inutile ed impossibile qui analizzare il funzionamento del Consiglio Federativo e della stampa del partito fino ad oggi. Per mio conto ritengo che i modi nei quali se ne è assicurato il funzionamento siano dipesi da necessità e limiti oggettivi. E' certo tuttavia che non si può oggi più concentrare l'attenzione sui mezzi di comunicazione di massa trascurando gli strumenti d'informazione interni. Ed è certo che un partito che non è più un gruppo ristretto di militanti ma un'organizzazione di alcune migliaia di sostenitori ha bisogno di un dibattito politico e di strumenti d'informazione che lo rendano più omogeneo politicamente e collettivamente più preparato ed agguerrito.

No al frazionismo

Tutto ciò non può avvenire a scapito dell'efficacia delle lotte del partito. Abbiamo bisogno di una democrazia reale e dobbiamo combattere proposte e tendenze che in nome di un democraticismo nominale aprirebbero la strada ad un assemblearismo paralizzante o a un frazionismo lacerante, annullando le acquisizioni federative e libertarie dello statuto. Per quanto riguarda gli organi esecutivi non deve quindi essere toccata la responsabilità personale del segretario nazionale e del tesoriere che dell'attuazione del mandato congressuale rispondono direttamente al Congresso. Il che non toglie che possano e debbano essere fatti dei passi avanti anche per una migliore organizzazione della segreteria (cioè della giunta esecutiva) e della tesoreria. Ma da qui ad ipotizzare soluzioni collegiali, che portano solo all'annebbiamento e alla confusione delle responsabilità, il passo è enorme. Ed ogni volta che abbiamo sperimentato (nel 74 per la segreteria, nel 74 e nel 75 per tesoreria) soluzioni collegiali, la esperienza

è stata fallimentare.

Ugualmente da respingere è l'ipotesi di costituire organismi privi sostanzialmente di funzioni sia esecutive sia deliberative, che svuoterebbero le funzioni del Consiglio federativo e ne ritarderebbero la crescita. Il lavoro collettivo di elaborazione, di promozione e di dibattito, di cui il partito ha bisogno, deve nascere dall'interno del Consiglio Federativo e nell'organizzazione del suo lavoro.

Tralascio qui di parlare di alcune esigenze e bisogni del partito, che tutti avvertiamo come importanti ed urgenti: come ad esempio la necessità di un'attività editoriale, pubblicistica, saggistica e di documentazione di cui si avverte la mancanza. Ma è un problema che non si risolve facendone carico agli organi del partito, fino a quando non esisteranno le energie disposte ad affrontare l'onere e le responsabilità di un progetto editoriale.

E' possibile fare un grosso passo avanti nell'organizzazione del partito e nella soluzione anche di questi problemi fino ad oggi irrisolti. C'è tuttavia un ostacolo e un pericolo che con estrema franchezza a proposto all'attenzione dei compagni e deve essere presente sia nel nostro dibattito che nelle nostre scelte. L'ostacolo e il pericolo sono rappresentati dall'esistenza di spinte centrifughe che allontanano a volte interi settori del partito dall'impegno della lotta politica generale e dagli adempimenti degli impegni collettivi derivanti dal mandato congressuale, e dalla tendenza ad occupare spazi lasciati vuoti dal partito e nel partito o strumenti di iniziativa mancanti o inesistenti.

Non estraniarsi dalle responsabilità di gestione

Lo statuto federativo consente a partiti regionali e ad associazioni di sperimentare o adottare proposte e linee d'intervento locali e nazionali non previste dal mandato congressuale, anzi sollecita, gli iscritti al partito radicale ad organizzarsi autonomamente sulla base di particolari omogeneità politiche ed associative, intorno a progetti politici ed organizzativi. Ma l'uno come l'altro fenomeno non possono indurre ad estraniarsi dalle responsabilità di gestione del partito e di conduzione delle sue lotte politiche, ad estraniarsi dal disegno comune ed unitario che dobbiamo portare avanti. Il problema prima che statutario è politico. Sappiamo che su queste spinte centrifughe si conta all'esterno del partito da parte di chi spera nella sua divisione e nella sua disgregazione.

Ma se questa preoccupazione è giusta, essa è secondaria rispetto al problema di assicurare una maggiore e più coordinata efficacia ai nostri sforzi e l'utilizzazione del maggior numero di energie. Perché se non riusciremo a ricondurre all'unità queste spinte centrifughe, pur nel rispetto di tutte le autonomie e delle naturali diversità anche di scelta politica, esse sono destinate a moltiplicarsi per imitazione in una sorta inevitabile di reazione a catena. Non sarebbe infatti tollerabile una divisione del lavoro e di funzioni e di compiti fra chi - partiti regionali, associazioni, gruppi di iscritti o singoli militanti - per farsi carico degli impegni collettivi del partito deve sacrificare altri interessi e altri impegni ritenuti più gratificanti e chi, nell'ossequio solo formale agli impegni comuni, se ne disinteressa nei fatti per dedicarsi ad altro e questo altro è concepito e realizzato come un impegno non convergente ma divergente e divaricante. E' questo oggi il pericolo maggiore da cui tutti, nessun

o escluso, dobbiamo guardarci.

Altrimenti sarà inevitabile continuare nel consenso logorante e controproducente delle capacità e dell'immagine del leader carismatico. Contraddizione non di poco conto per una partito che si pretende libertario.

 
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