di Laura RemiddiSOMMARIO: L'associazione difesa donne divorziate (ADDD) proponeva due trattamenti diversi, uno per le donne sposate prima dell'entrata in vigore della legge di divorzio, un altro per quelle sposatesi dopo. Proposta di retroattività della legge sulla comunione dei beni. Non è possibile accettare tali posizioni. Risulta necessario modificare la legge sul divorzio. Varie proposte in proposito.
(ARGOMENTI RADICALI, BIMESTRALE POLITICO PER L'ALTERNATIVA, Agosto-Novembre 1977, n.3-4)
""No al divorzio-ripudio, sì a un divorzio civile"": centinaia di manifesti con questo slogan hanno tappezzato la scorsa estate le strade di Pisa e provincia, per iniziativa dell'Associazione Difesa Donne Divorziate (ADDD) che conta ormai oltre 15.000 fra simpatizzanti e iscritte. Il manifesto conteneva un invito a tutte le donne a mobilitarsi perché il divorzio non fosse più una "libertà" soltanto dell'uomo, e in particolare chiedeva alle donne parlamentari: "se volete avere il nostro voto difendeteci, dimostrate di non essere succubi dei colleghi uomini".
L'ADDD, guidata dalla presidente, Pina Prenestini, già dall'aprile di quest'anno aveva reso pubblica una proposta contenente alcune modifiche alla legge sul divorzio, al fine di realizzare una effettiva tutela del "coniuge più debole", come eufemisticamente la legge stessa chiama le mogli.
Il "coniuge più debole"
L'iniziativa parte dalla considerazione che bisognerebbe prevedere due trattamenti diversi per le mogli che hanno contratto matrimonio prima della legge introduttiva del divorzio e incolpevoli della separazione, e per quelle che si sono sposate successivamente: mentre queste hanno cognizione già acquisita del divorzio e possono premunirsene e hanno spesso un lavoro pensionabile le prime, "sposate in tempi di sicura indissolubilità, di diverso assetto sociale, di potestà maritale, di penalizzazione in caso di infedeltà, della forzata rinuncia allo svolgimento di un lavoro retribuito e pensionabile per malintesa rispettabilità e per essersi dovute dedicare completamente alla famiglia", subiscono più crudamente gli effetti dello scioglimento del matrimonio.
La proposta prevede disposizioni applicabili soltanto ai matrimoni celebrati prima della legge 1· dicembre 1970, affinché dopo il divorzio il coniuge mantenga "intatti e automatici i diritti economici acquisiti con il matrimonio e nel tempo". In concreto si chiede che l'assegno periodico non sia inferiore comunque a un terzo dei redditi globali percepiti dall'obbligato qualora l'altro coniuge non goda di altri redditi, sia inabile al lavoro o abbia compiuto i quaranta anni alla data di entrata in vigore della legge sul divorzio e non sia stato dichiarato colpevole della separazione; che una quota dell'indennità di liquidazione del divorziato spetti all'ex coniuge, anche se viene a maturare dopo la pronuncia di divorzio nella misura di un terzo della parte riferibile agli anni in cui il rapporto di lavoro è coinciso con il matrimonio; che la comunione dei beni, introdotta dal nuovo diritto di famiglia per le persone sposate dopo l'entrata in vigore della legge stessa, si applichi anche ai matrimoni precedenti
, con l'effetto che tutti i beni mobili e immobili acquistati dai coniugi insieme o separatamente durante la convivenza matrimoniale (ad eccezione di quelli personali) divengano di proprietà comune.
Anche se queste proposte scaturiscono dalla indubbia constatazione che le donne più colpite dagli effetti negativi del divorzio siano le meno giovani, tuttavia non sembra corretta la formazione di scaglioni di mogli con diversi diritti a seconda dell'anno di matrimonio: una tutela più idonea del coniuge bisognoso deve estendersi a tutti i casi con analoghi presupposti in relazione alle condizioni concrete in cui egli versa. Non si può infatti ipotizzare che la donna italiana sia d'improvviso cambiata il 1· dicembre 1970, contemporaneamente all'introduzione del divorzio, in modo tale da essere automaticamente garantita dall'eventuale perdita del supporto economico.
Miglioramenti tecnici
Né sarebbe tecnicamente possibile stabilire la retroattività della legge sulla comunione dei beni, che equivarrebbe a un vero esproprio di massa: del resto la legge Fortuna, anticipando di qualche anno la riforma del diritto di famiglia, aveva già previsto una tutela delle mogli che con il loro lavoro casalingo e spesso anche extra-domestico contribuiscono a costituire un patrimonio stabilendo che il giudice del divorzio, nella determinazione dell'assegno, deve tener conto anche del contributo personale ed economico dato da ciascuno dei coniugi alla conduzione familiare e alla formazione del patrimonio di entrambi.
L'ADDD chiede anche altre modifiche quali il mantenimento dell'assistenza sanitaria anche dopo il divorzio, il diritto alla pensione di reversibilità, garanzie per il pagamento dell'assegno periodico e tutela penale di tale diritto. Propone infine che il termine per chiedere il divorzio sia ridotto a due anni quando la domanda è proposta da entrambi i coniugi e che la moglie possa essere autorizzata dal Tribunale a mantenere il cognome del marito in presenza di un particolare interesse suo o dei figli.
Frattanto la commissione giustizia del senato (relatrice Giglia Tedesco) ha unificato in un unico disegno di legge quattro proposte di modifiche alla Legge Fortuna a suo tempo presentate dalla sen. Carrettoni, dal PSI, dal PLI e dal MSI, nel quale si prevede il mantenimento dell'assistenza mutualistica a favore del coniuge divorziato, il diritto alla pensione di reversibilità non condizionato a un secondo matrimonio del defunto e alcuni diritti successori.
Fra le altre proposte sull'argomento, va ricordata quella formulata dal Comitato giustizia fra le associazioni rappresentative degli operatori del diritto alla giornata della giustizia che prevede nei giudizi di divorzio un procedimento di volontaria giurisdizione in fase presidenziale con successiva omologazione del tribunale quando non vi sia opposizione dell'altro coniuge, sempre che le parti siano d'accordo. Ciò eviterebbe la spesa e la lungaggine di un vero e proprio processo che è assolutamente inutile quando non vi è contrasto fra le parti, ma il giudice deve limitarsi a un controllo dei presupposti per la pronuncia del divorzio.
Dopo sette anni di applicazione e di verifica sui casi concreti, questa legge merita effettivamente di essere migliorata, e del resto - quale frutto di un compromesso dell'ultima ora - sin dal principio rivelava difetti e lacune.
Vi è solo da sperare che il discorso rimanga circoscritto agli aspetti tecnici e che non si tenti nuovamente di porre in discussione il principio che deve ormai intendersi definitivamente acquisito.