di Ernesto Galli della LoggiaSOMMARIO: Il Parlamento è diventato un bunker e la classe politica aumenta il suo distacco dal paese.
(ARGOMENTI RADICALI, BIMESTRALE POLITICO PER L'ALTERNATIVA, Agosto-Novembre 1977, n.3-4)
Pur con tutta l'orgogliosa sicurezza di poeta-vate che lo contraddistingueva Pier Paolo Pasolini non avrebbe forse mai immaginato che una delle sue più belle immagini profetiche si sarebbe tramutata così presto in realtà. Da quest'autunno il Palazzo è veramente il Palazzo, perlomeno il palazzo di Montecitorio: vetri blindati alle finestre, divieto di circolazione nella piazza e nelle vie adiacenti, distintivi di riconoscimento per chi entra, tunnel sotterraneo che collega la sede dell'aula con i gruppi. Da che parte spirasse il vento, del resto, si era già visto all'indomani del 20 giugno; data da allora, infatti, il divieto - non esplicito ma operante in pratica - di manifestare davanti alla Camera: fatta eccezione, naturalmente, per chi sia nelle grazie dell'"arco costituzionale" o appartenga alle Grandi Corporazioni Autorizzate.
Sarebbe facile fare dell'ironia: dalla "casa di vetro" di buona memoria all'"ingresso delle masse dello Stato" di recentissimo conio è tutto un bel mucchio di formule gratificanti che d'un colpo solo va a farsi benedire. La realtà si prende le sue rivincite e i tempi evidentemente si rivelano più favorevoli ai bunker che ai dialoghi con le masse.
Ma di chi è la colpa? Veramente solo del "terrorismo"? Una classe dirigente che da anni non osa più girare che sotto scorta e attraversare le città in velocissime berline blu; che da anni non mette più piede in nessuno dei luoghi che la gente comune frequenta, che ormai comunica con il mondo esterno solo attraverso i canali televisivi o i comunicati d'agenzia, una classe dirigente del genere non proclama essa stessa per prima, con i suoi comportamenti, il proprio distacco anche fisico dal paese, la propria estraneità ad esso?
Ma c'è la strategia della tensione, si dice, "siamo in guerra". Davvero un bel modo di combattere la tensione quello di trasformare Montecitorio in un'anticamera della linea Maginot! Sai la gente come si sentirà tranquilla e rassicurata!
E poi, va bene, ammettiamo che "siamo in guerra" contro il terrorismo, che qualche deputato può rimetterci la pelle. E con ciò? Chiariamo una cosa: se quella contro il terrorismo è una guerra della democrazia allora in essa non devono morire soltanto gli appuntati dei carabinieri e i giornalisti, devono morire anche i generali. Sono le guerre zariste o le battaglie del maresciallo Cadorna quelle in cui a rimetterci sono esclusivamente i soldati o gli ufficiali di complemento; nelle altre devono essere tutti. Un po' di stile almeno, via!, e anche se si ha paura non bisogna darlo a vedere così rifugiandosi come conigli nel Palazzo a prova di proiettili e lasciando gli altri di fuori a rischiare.
Naturalmente siamo i primi a essere convinti che quanto detto fin qui rimarrà lettera morta. Vorrà dire che ci terremo per noi un ricordo inquietante che ci è tornato alla mente leggendo dei provvedimenti adottati dalla Camera. Risale a circa 35 anni fa: fu allora che le "Kommandantur" nazifasciste sparse in mezza Europa presero a piazzare posti di blocco e ad accatastare sacchetti di sabbia sulle vie in cui affacciavano. Ma non bastò. Bombe e pistolettate continuarono ad arrivare a segno lo stesso, ed allora si decise di vietare la circolazione perfino alle biciclette. Finì male egualmente, com'è noto. Noi avevamo sempre creduto che tutto ciò si spiegasse con l'odio feroce dei popoli, testimoniasse di un solco incolmabile. Vorrà dire che adesso proveremo a vedere le cose da un altro punto di vista: che quei fatti così lontani fossero invece la manifestazione della "centralità" della Gestapo e delle Camicie nere?