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Marasca Luciano - 20 settembre 1977
IL PARTITO RADICALE VERSO IL CONGRESSO (9)
Luciano Marasca, Ancona,

segretario del Partito Radicale delle Marche

SOMMARIO: Il PR deve svolgere il ruolo di partito di opposizione di sinistra, staccandosi dall'eccessivo pragmatismo. Il PR presenta due carenze: un eccessivo libertarismo, che assegna influenza ai leaders carismatici, ed una non continuità del corpo politico. Non sempre il partito ha le strutture per accogliere chi si avvicina per la prima volta. Tutto ciò si può colmare attraverso un dibattito continuo e proficuo.

(ARGOMENTI RADICALI, BIMESTRALE POLITICO PER L'ALTERNATIVA, Agosto-Novembre 1977, n.3-4)

Avvicinandosi il congresso di novembre, dobbiamo prendere atto con soddisfazione della ulteriore crescita del nostro partito, ancora una volta avvenuta su una singola grossa iniziativa - quella degli otto referendum - che si è rivelata vincente.

Di nuovo siamo di fronte al problema del come fornirci gli strumenti adeguati a questa crescita e a quella che probabilmente, in futuro, ci sarà. Le proposte già circolano all'interno del partito, ma molte di queste sono viziate dal pragmatismo - "vizio" storico del Partito Radicale - che, portato all'eccesso, può diventare pragmatismo spicciolo e deteriore: molti compagni, infatti, affrontano i nodi delle questioni poste sul tappeto partendo da una visuale puramente tecnicistica e organizzativa; pochi, tra quelli che finora hanno espresso pareri o posizioni nel quadro di questo dibattito precongressuale, sono del parere che si tratta invece di definire il ruolo "esterno" del PR e pochissimi hanno ben chiaro che tipo specifico di ruolo il nostro partito sta andando e andrà ad assumere all'interno della società italiana.

Sono del parere che il PR ha in questo momento di fronte a sé un compito che non è eccessivo definire di portata storica: siamo infatti l'unica forza che può garantire una reale opposizione di sinistra in Italia. Non è cosa da poco, e di questo sembra che tutti i compagni radicali si rendano conto. Non tutti si rendono conto, invece, che essere opposizione di sinistra per un partito che fino a ieri è stato movimento di opinione su tematiche a volte marginali, significa rivalutare il quadro complessivo delle nostre scelte politiche. Se, fino a ieri, il Partito Radicale si impegnava quasi esclusivamente sul terreno dei diritti civili perché su questo terreno la sinistra si rivelava perdente e il potere, a ogni occasione, vincente, oggi il potere DC rivela di avere una serie di assi nella manica per un arco di questioni riguardo alle quali la sinistra - in nome del compromesso storico o di linee politiche ambigue o a causa di disorganizzazione e sfascio interno - ha letteralmente capitolato. Rimane scoperta una

enorme potenzialità - dalle lotte degli studenti a quelle dei lavoratori - che sta al Partito Radicale recuperare ed esprimere nelle forme adeguate e secondo la prassi libertaria che ci ha sempre contraddistinti.

Ritengo che questo sia il significato del termine "opposizione di sinistra", a meno che il PR non voglia rimanere confinato nella sfera delle sue lotte tradizionali - i diritti civili comunemente intesi - con le sue forme più consuete - tavolini e referendum - e delegare di fatto (anche se nelle nostre proclamazioni di principio affermiamo il contrario) alle altre forze di sinistra tutto ciò che attiene a problemi sindacali, rivendicazioni economiche, casa, scuola, ambiente, ecc. Non è un compito né facile né modesto, e so già che il solo proporlo - come altre volte è stato fatto, forse in forme inadeguate - provocherà le stizze dei "liberali" del Partito Radicale, molti dei quali si collocano, senza volerlo, su una posizione aristocratica quando rivendicano al PR il ruolo di armata Brancaleone che tale

deve rimanere, di partito di minoranza che conduce lotte di (e per conto della) maggioranza. In realtà, se il Partito Radicale è destinato a crescere, crescerà presso vasti strati di opinione pubblica e presso categorie sociali che il nostro discorso non ha mai avvicinato.

La maggiore complessità di questo compito porterà inevitabilmente a una più rigorosa definizione del ruolo di classe del Partito Radicale di un partito cioè che sarà "costretto" (dalla situazione oggettiva, e non tanto - o non solo - dalla precisa volontà di alcuni suoi membri) ad assumersi le responsabilità che il resto della sinistra ha abbandonato, di un partito socialista e libertario che dovrà potenziare il suo quoziente di socialismo mantenendo inalterata la sua carica di libertarietà. Ma un partito libertario, e non liberale. E' una distinzione terminologica a questo punto necessaria. Io personalmente e, per quel che ne so, molti altri compagni di Ancona e delle Marche, abbiamo sempre rifiutato i residui di liberalismo, con quel tanto di individualismo politico e di logica di rivendicazionismo privato, che il Partito Radicale ancora si trascina dietro, come quei cari ricordi che sono soltanto ingombranti ma che non si vogliono abbandonare. A maggior ragione li rifiutano ora, quando il campo d'azione e

la collocazione sociale del PR ci sembrano destinati ad allargarsi.

Sul come e sul quando affrontare tali nuove prospettive, dovrà essere il congresso a pronunciarsi, sempre che lo voglia. Tanto meglio se una deliberazione in tal senso sarà preceduta da un pertinente e ampio dibattito. C'è già, ad ogni modo, un bagaglio di lavoro - minimo se vogliamo - fatto a livello locale sulle tematiche sopra espresse - contro l'inquinamento a Roma, contro stipendi e liquidazioni d'oro dei burocrati a Bologna e ad Ancona - e che può costituire fin da ora una traccia della direzione verso la quale muoversi; al congresso spetterebbe il compito di fare proprio di tutto il Partito Radicale un simile, anche se modesto, patrimonio di lotte, e di gestire le stesse a livello nazionale.

Questi concetti, peraltro qui esposti brevemente e senza nessuna pretesa di compiutezza, dovrebbero essere l'argomento centrale di discussione del congresso, che altre volte li ha affrontati, dandogli anche ampio spazio, senza però garantirgli sbocchi pratici efficaci. Ciò non toglie che vada affrontato unitamente il problema dell'organizzazione. Molti compagni vedono, sempre per effetto di un certo tipo di pragmatismo, questo problema come una questione di organi statutari da potenziare o da ridimensionare, di cariche o incarichi da definire da inventare o da sopprimere, proponendo questo o quel cambiamento singolo, senza individuare il nodo centrale della questione, che sta, come suol dirsi, a monte.

Io ravviso attualmente nella nostra organizzazione due grosse carenze:

1) L'incompatibilità tra struttura libertaria interna del partito e una effettiva prassi democratica di partecipazione alle attività del partito garantita a tutti i militanti e agli iscritti;

2) la non-continuità del corpo politico (come giustamente ravvisano anche i compagni della redazione di "Argomenti Radicali").

Riguardo al primo punto, io ritengo che una struttura libertaria non garantita, come la nostra, porta di fatto ad abbandonare ciascuno alle proprie capacità, il che - se può apparire bello e giusto in linea di principio - di fatto assegna maggior influenza all'interno del partito a chi può disporre liberamente del suo tempo e del suo denaro e ha magari strumenti culturali maggiori di altri compagni. Di fatto, anche a livello periferico, il nostro è il partito dei leader carismatici: Pannella ne è l'esempio vivente. Di fronte a questa situazione l'alternativa non può essere, in primo luogo, che la crescita politica e culturale dei militanti radicali (e ne abbiamo veramente bisogno, con tanto qualunquismo che circola al nostro interno), crescita che può avvenire soltanto con l'intensificazione del dibattito interno. Compito degli organi centrali del partito sarà a questo proposito di fornire in maniera continuata gli strumenti idonei di dibattito, privilegiando ovviamente l'organo di stampa del partito, "Notiz

ie Radicali". Credo sia questa una possibilità che possiamo concretizzare subito per cercare di eliminare, o quanto meno di ridurre, lo stacco tra chi può scegliere di fare militanza radicale e chi non può.

Il secondo problema è connesso al primo, ma per vie secondarie: è vero infatti che spesso chi non può dare adesione piena all'attività del Partito Radicale, presto o tardi se ne allontana e parimenti il lavoro grava su un nucleo abbastanza ristretto di militanti, una buona parte dei quali - in genere studenti o disoccupati - lavora a fondo, fino alla spremitura totale, su singole battaglie e per certi periodi di tempo alla fine dei quali, esaurite le energie, si invola e scompare dalla scena radicale.

Quali possono essere le soluzioni a questa situazione di fatto? La discontinuità della militanza non è un fatto organizzativo in sé e per sé, ma connesso al carattere complessivo del Partito Radicale, che ancora appare agli occhi di molti simpatizzanti come un che di transitorio e non definito, un "secondo partito" permeato da un forte carattere di aleatorietà. Se si aggiunge che noi non abbiamo - per fortuna - strutture che vincolino formalmente i militanti al partito, si capisce perché il numero di quelli che si allontanano dal P.R. è sempre maggiore di quello dei compagni che restano. A questo punto la proposta avanzata dai compagni di "Argomenti Radicali" e di altre sedi (dall'associazione di Bologna, per esempio) di impegnare a pagamento singoli militanti su singole battaglie con contratti a termine va presa in seria considerazione, purché rimanga semplicemente una indicazione operativa che le associazioni e i partiti regionali saranno liberi di seguire o meno (considerato peraltro che la prassi dei con

tratti a termine è già in uso, sotto forma di rimborso spese, presso varie realtà locali del PR), e non una deliberazione formale del congresso, che in tal caso intaccherebbe uno dei principi fondamentali del nostro statuto laddove afferma che all'interno del Partito Radicale non sono ammesse cariche retribuite e che ci spingerebbe inevitabilmente verso una burocratizzazione, sia pure

parziale, di alcune funzioni del nostro partito.

Questo per quanto concerne il lato puramente operativo. Ma un altro aspetto sul quale ancora occorre soffermarsi è dato dal seguente interrogativo: il Partito Radicale possiede strutture più o meno gratificanti per che si avvicina a esso per la prima volta? Detto in altri termini, io riscontro che chi entra nel P.R. lo fa - com'è logico e naturale - per "fare politica", cioè per chiarirsi praticamente gli scopi del nostro partito attraverso il confronto con gli altri compagni, oltreché naturalmente per partecipare dando una mano ai tavolini, facendo volantinaggio e così via. Purtroppo il confronto e la circolazione delle idee sono, nel nostro partito, dei mostri abbastanza rari (contro una sinistra neoleninista che chiacchiera fino alla nausea e si lacera sulle sottigliezze teoriche) che vanno invece rivalutati, sia per non perdere compagni in grado di dare un contributo prezioso sia, come dicevo più sopra, per portare a una crescita collettiva, culturale e politica, dei militanti radicali. Vedo nel dibattit

o continuo, ancora una volta, il sistema migliore per colmare le lacune presenti nel partito non soltanto in rapporto a una cerchia ristretta di problemi ma per una serie di questioni che investono in definitiva tutta la vita del Partito Radicale.

Ripeto, infine, un concetto che si può esprimere come duplice alternativa: o il congresso saprà impegnare il consiglio federativo a diventare veramente il veicolo di un accresciuto dibattito interno e la segreteria a farsi promotrice esecutiva dello stesso attraverso "Notizie Radicali" - sul quale vanno appuntati tutti gli sforzi, politici ed economici, del partito perché non sia un giornaletto di quattro pagine che esce quando può - o se, al contrario, si scarica ancora una volta la responsabilità di questo lavoro sui singoli militanti e sulle associazioni (secondo la peggiore politica del "laissez fair, laissez passer"), consentendo agli organi centrali di rifiutarsi di farsi carico e interpreti delle esigenze del partito, se questo non avverrà il tanto sospirato dibattito rimarrà lettera morta e le poche idee, anche brillanti, verranno fuori come al solito soltanto dalle menti illuminate dei nostri leader carismatici.

Queste, fin qui esposte, sono le esigenze maturate nel Partito Radicale e che auspico costituiscano i temi di discussione al prossimo congresso nazionale. Altri problemi - autofinanziamento, tesseramento, ruolo e funzioni del consiglio federativo - sono già venuti alla luce e saranno probabilmente dibattuti, come gli altri, e con una medesima volontà di soluzione. Ma il lavoro sarà proficuo, io credo, se il partito saprà individuare la strettoia che prioritariamente deve essere superata, e che sta nella definizione di un ruolo più ampio di quello di forza di minoranza, rapportato alle necessità che la politica fallimentare della sinistra e la stretta repressiva del regime ci impongono come partito della nuova opposizione.

 
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