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Taschera Aligi - 20 settembre 1977
IL PARTITO RADICALE VERSO IL CONGRESSO (17)
Aligi Taschera, Milano,

del consiglio federativo nazionale del PR

SOMMARIO: Non capisco il rifiuto al finanziamento pubblico. Può portare burocratizzazione, ma con i soldi si possono avere molte iniziative. La retribuzione delle cariche è necessaria per essere un partito dei cittadini, non delle classi più abbienti, non borghese. Bisogna sperimentare nuove forme sociali.

(ARGOMENTI RADICALI, BIMESTRALE POLITICO PER L'ALTERNATIVA, Agosto-Novembre 1977, n.3-4)

Tra le numerose questioni che mi sono state sottoposte, credo di dover parlare di un insieme di argomenti collegati con il problema del finanziamento. Non solo perché, tra i vari argomenti affrontati dal documento, è stato quello affrontato nel modo più carente, ma perché il comportamento di tutto il partito nei riguardi della questione del finanziamento è profondamente inadeguato.

Non mi stancherò mai di ripetere che la scelta del rifiuto è stata presa in modo emotivo, senza una discussione approfondita, e questo non solo da parte della "base" (se così si può chiamare) ma anche da parte del nucleo storico e delle dirigenze del partito. Ne è la prova il fatto che ogni volta che si propone di discutere a fondo oggi quella scelta (che non significa dire: "prendiamo i soldi"; significa solo dire: "affrontiamo a fondo e senza preclusioni questo problema, che è vitale e collegato a tanti altri, in modo da chiarirci una volta per tutte come dobbiamo agire") si scatenano reazioni isteriche da tutte le parti, ma non si discute. Peggio che far proposte (omo)sessuali ad un super eteromaschio convinto.

Io vorrei riuscire a capire fino in fondo che significa il rifiuto del finanziamento pubblico. E per questo non parlerò dei lati positivi di questo rifiuto, perché mi pare si sappiano e ci si sia soffermati abbastanza su di essi. Ma vorrei spendere due parole su quelli negativi, perché se è vero che l'accettazione del finanziamento di stato può portare a un'involuzione burocratica, non si deve dimenticare che l'autofinanziamento di un partito che ormai spende più di mezzo miliardo solo per le sue strutture centrali (e non si è provato a fare un bilancio che comprendesse anche le spese periferiche) può significare condizionamenti del partito da parte di chi può finanziarlo, cioè dei ceti più abbienti. E può significare non solo condizionamenti esterni (cioè: noi vi diamo soldi finché fate la politica così e così e non ci rompete le balle a fondo sui nostri interessi), che sono i più innocui, perché più facilmente visibili e contrastabili; ma anche condizionamenti interni. Voglio dire che in una situazione di

carenza finanziaria cronica, chi può permettersi di finanziarsi le proprie attività, o perché danaroso, o perché vive in ambienti danarosi, rischia di acquistare nel partito un peso abnorme, assolutamente sproporzionato alle sue reali capacità politiche e intellettuali.

Chi ha soldi può molto più facilmente promuovere nuove attività. Tutto questo può portare al risultato che la gente coi soldi, con tutti i condizionamenti culturali e politici e la mentalità che deriva dal suo status, acquisterà sempre più peso nel partito, condizionandolo di fatto.

Questo problema è strettamente collegato ad un altro: al problema del "partito dei cittadini". Non si può non essere d'accordo con quanto è stato scritto nel documento. Però non posso esimermi dall'esprimere alcune perplessità. Perché sia il partito dei cittadini, è adeguata la nostra norma, secondo la quale le cariche politiche non sono retribuite? A parte che questo fa sì che chi è retribuito non abbia responsabilità politiche e dunque possa sfuggire ad ogni controllo, questa norma pare abbia come risultato che le cariche più impegnative siano accessibili solo a categorie particolari di cittadini. Infatti potrà accedere alle cariche più impegnative (e con la crescita del partito tutte le cariche diventeranno sempre più impegnative) solo che ne ha il tempo. Il che significa solo chi ha molti soldi, e può vivere di rendita o quasi, o chi ha professioni tali da permettergli di farsi gli orari da sé, in modo da conciliarli con la carica politica. Ma che tipo di partito viene fuori da un insieme di scelte di qu

esto genere? Ne esce un partito di classe, e di classe borghese.

Se tutti questi problemi non erano determinanti nel passato e non sembravano costituire degli handicap, data l'esiguità numerica del partito, che consentiva un controllo politico molto efficace del partito stesso, attraverso dei canali personali basati sull'amicizia, questi problemi sono oggi molto seri. Oggi il partito si trova a dover soddisfare delle grosse aspettative da parte del paese e ad affrontare un grosso compito politico: ha il dovere di compiere un grosso salto di qualità per mantenersi adeguato ai suoi compiti, e ha il dovere di essere sempre di più il partito dell'alternativa socialista e libertaria e sempre meno semplicemente l'antagonista. Per questo deve stare bene attento all'identità che si deve dare, e che si vuole dare.

E allora deve rimeditare le sue scelte, e confrontarsi con le scelte del resto della sinistra, confrontarsi con i motivi storici che hanno indotto la sinistra storica ad accettare il finanziamento pubblico e a teorizzare il "rivoluzionario di professione" che per noi significa poi retribuzione delle cariche.

Solo così si può prendere una decisione seria. E se non si vuole che la decisione sia quella di rinunciare a quelle nostre scelte, prendere i soldi e per giunta retribuire le cariche, adeguandoci alle scelte fatte dal resto della sinistra, magari introducendo il correttivo, tipico della tradizione libertaria, della rotazione delle cariche (decisione che comunque dobbiamo imparare a considerare senza angoscia), bisogna cercare un'alternativa seria.

Se non si vuole prendere il denaro pubblico, né venir condizionati da quello privato, bisogna che il partito non viva esclusivamente di onorevole mendicità, ma divenga anche capace di produrre in parte da sé la propria sussistenza, cioè crei delle attività economico-produttive alternative in grado di aiutare la sopravvivenza del partito stesso.

Si tratta di non venir meno alle scelte di fondo sull'autofinanziamento, evitando che queste portino velocemente il partito ad essere un partito di classe, e di classe borghese. Ma allora bisogna riconsiderare un momento quei principi di fondo e non prenderli come astratti principi ideologici, di un estremismo liberale coerente, ma in altro modo. Allora ci si può anche accorgere che quei principi sono funzionali ad un partito adeguato ad una società che non esiste. Ad una società che non abbia come primo la fine la produzione e il consumo, ma quello di lasciare alla gente il tempo per vivere e per lavorare per la gestione della vita e della società stessa: ad una società socialista e autogestita in poche parole.

Questa interpretazione di quei principi è quella che mi sembra la più coerente con la nostra tradizione. Ma allora la condizione per fare vivere il partito coerentemente sarebbe quella che il partito promuovesse degli esperimenti di società alternativa, dei nuclei di autogestione. Una rete di nuclei sociali, di unità di vita, di lavoro e di produzione autogestiti, potrebbe essere un punto di riferimento per un parziale sostentamento del partito, e dare anche la possibilità a quei militanti che non hanno la fortuna di lavorare in un modo che permetta loro di assumere notevoli impegni politici di farlo.

A questo punto è anche chiaro come si potrebbero utilizzare i fondi del finanziamento pubblico: li si potrebbe investire per promuovere la formazione di questi esperimenti di "controsocietà radicale autogestita" (che dovrà in qualche modo rimanere distinta dal partito, se non si vuole creare un'organizzazione totalitaria). Progetto realizzabile, seria sperimentazione pratica di alternativa sociale, o fantasticheria utopistica (nel senso negativo del termine)?

Onestamente, per ora non lo so. Ma per esempio bisogna esperimentare. Ad esempio la realizzazione di una rete di servizi e di comunità autogestite, autoalimentate da energia solare o eolica non è impossibile.

Io credo che questa sperimentazione, prima o poi, sarà un passaggio obbligato

Altrimenti bisogna affrontare il rischio della burocratizzazione, o dell'imborghesimento (nel senso deteriore del termine) o tutti e due in una volta.

 
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