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Archivio Partito radicale
Teodori Massimo, Ignazi Piero, Panebianco Angelo - 1 ottobre 1977
I NUOVI RADICALI: (2) La solitudine di una minoranza
di Massimo Teodori, Piero Ignazi, Angelo Panebianco

SOMMARIO: L'interpretazione storica del Partito Radicale fondata sulla ricostruzione delle diverse fasi della vicenda radicale dal 1955 al 1977.

INDICE GENERALE

"Premessa degli autori"

Parte prima

STORIA DEL PARTITO RADICALE

I Dai Vecchi ai nuovi radicali

1 Il primo Partito Radicale (1955-1962)

2 Il centro-sinistra e l'ottimismo tecnocratico del benessere

3 Le nuove opposizioni in Europa

4 L'eredità del movimento goliardico

5 La sinistra radicale

"Note"

II La solitudine di una minoranza

1 La faticosa ripresa del nuovo gruppo

2 L'»Agenzia Radicale e le sue battaglie: Eni, assistenza, scuola

3 Unità e autonomia: si configura il conflitto con la vecchia sinistra

4 I radicali di fronte alle proposte di unificazione della sinistra

5 L'isolamento di una cultura politica diversa. Verso il congresso di rifondazione (1964-1967)

"Note"

III La campagna per il divorzio

1 La nascita e lo sviluppo del movimento divorzista con la Lid

2 Il movimento popolare e l'azione di pressione sul parlamento

3 Dal divorzio al referendum

4 I radicali nel movimento divorzista: significato politico generale

"Note"

IV Un partito alla ricerca di se stesso. Dal congresso di rifondazione (1967) a quello di rilancio (1972)

1 Attraverso il sessantotto

2 Le nuove iniziative: giustizia, sessualità, Concordato, liberazione della donna

3 Con antimilitarismo e obiezione di coscienza una caratterizzata presenza militante

4 I radicali e il sistema politico dalle elezioni del '68 a quelle del '72

5 Le difficoltà del partito verso il Congresso di rilancio (Torino 1972)

"Note"

V Con i diritti civili l'opposizione al regime

1 Dopo il rilancio, si moltiplicano le iniziative con un partito assai fragile

2 Gli otto referendum e il referendum sul divorzio

3 L'estate calda del 1974: la battaglia per l'informazione porta Pannella in Tv

4 I radicali di fronte alla »questione socialista

"Note"

VI Per una rivoluzione democratica

1 Azione diretta e azione popolare per l'aborto

2 Ancora sui diritti civili prende forma il partito federale. La carta delle libertà

3 Con le elezioni del 20 giugno 1976, i radicali in Parlamento

"Note"

VII Nel paese e nel Parlamento

1 Una minoranza in Parlamento

2 Il progetto referendario come progetto alternativo

3 Il conflitto tra comunisti e radicali

4 I motivi di vent'anni di storia radicale

"Note"

Parte seconda

ELETTORATO, MILITANTI, MOVIMENTO: UNA INTERPRETAZIONE SOCIOLOGICA

I I militanti radicali: composizione sociale e atteggiamenti politici

1 Premessa

2 La composizione sociale

3 I radicali e il Partito

4 Atteggiamenti politici generali

5 Il profilo socio-politico

6 Conclusioni

"Note"

II Il voto radicale nelle elezioni del 20 giugno 1976

1 Le caratteristiche generali del voto

2 Un consenso elettorale urbano

3 Un voto d'opinione

4 Le preferenze: la concentrazione su Pannella

5 Analisi di un caso: la Toscana

6 Considerazioni conclusive

"Note"

III Dalla società corporativa ai movimenti collettivi: natura e ruolo del Partito Radicale

1 Partito politico, gruppo di pressione, movimento: l'atipicità del Pr

2 Norme, strutture, carisma: le contraddizioni

3 Aggregazioni degli interessi, controllo sociale e movimenti spontanei

4 Sistema politico e società corporativa

5 Dalla contrattazione al conflitto

"Note"

APPENDICI

I Statuto del Partito Radicale

II Gli organi centrali del Pr

III Cronistoria delle principali vicende dei movimenti federati e delle leghe

IV Fonti e orientamento bibliografico

("I NUOVI RADICALI", Storia e sociologia di un movimento politico - Massimo Teodori, Piero Ignazi, Angelo Panebianco - Arnoldo Mondadori Editore, ottobre 1977)

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II LA SOLITUDINE DI UNA MINORANZA

1. "La faticosa ripresa del nuovo gruppo"

Nell'autunno 1962, con l'abbandono, il ritiro e le dimissioni di gran parte dei suoi iscritti, il Partito Radicale restava una pura sigla della cui eredità la sinistra radicale si faceva interamente carico. Il gruppo romano, che nei tre anni precedenti aveva delineato le linee essenziali della nuova posizione, aveva pubblicato »Sinistra Radicale e si era costituito in corrente, assunse la direzione di quel poco che rimaneva del partito, ereditandone in pieno la rappresentanza politica oltre che le esili strutture materiali.

Le questioni che il nuovo gruppo dirigente radicale doveva affrontare erano assai difficili e di diverso ordine: politiche, organizzative, di rapporto con gli interlocutori e con l'opinione pubblica. Si trattava non solo di affermare una nuova linea, ma anche di far mutare l'immagine elitaria che decisamente, e a ragione, l'etichetta radicale inevitabilmente evocava. Il nuovo gruppo, pur se conservava delle parentele ideali e politiche con il vecchio, aveva tuttavia un'idea, e non solo un'idea, ma soprattutto una prassi nel rapporto con la politica, assai distante e sicuramente contrastante con l'originario gruppo dirigente. Il Partito Radicale del 1955-1958 nasceva intorno a un gruppo di prestigiosi intellettuali con alle spalle due settimanali come »Il Mondo e »L'Espresso che, pur di minoranza, ne assicuravano una piattaforma di partenza di sicuro ascolto. I nuovi radicali non erano né intellettuali di prestigio, né avevano alle spalle particolari strutture e ambienti che li sostenessero, se si fa eccezi

one per l'esperienza della politica universitaria. I vecchi radicali potevano essere messi in rapporto, non tanto in ragione della loro appartenenza sociale quanto per il modo di far politica, con la borghesia progressista e illuminata; i nuovi radicali, quale che fosse la personale estrazione sociale, individuavano nella milizia, e non già nel dibattito, il centro del loro rapporto con la politica. Ancora per anni, dal 1962 alla fine del decennio, sarebbe stata attribuita ai nuovi radicali l'immagine del vecchio partito come gruppo di borghesi illuminati, sia nella considerazione della stampa che nella valutazione della classe politica, fino a quando non si sarebbe affermata una nuova immagine più aderente alla realtà del nuovo partito radicale e del tipo di azione che esso andava svolgendo.

Le prime comunicazioni interne del nuovo partito datavano dal febbraio-marzo 1963 e portavano la firma, per la segreteria centrale, di Marco Pannella o di Massimo Teodori. Vi si parlava di »lavoro di riordinamento della situazione degli iscritti al partito e del più ampio indirizzario di simpatizzanti e amici , (1) della necessità di ricorrere a un'»intensa campagna di autofinanziamento , e vi si faceva una prospezione delle realtà locali, che ancora risultavano aderenti al partito. Nominarle qui, può dare un'idea del modo in cui dalle strutture e affiliazioni del vecchio partito si passò al nuovo, con il quasi unico elemento di continuità rappresentato dall'iniziativa del gruppo romano. Risultavano presenti all'appello un gruppo milanese facente capo a Mario e Luca Boneschi e Umberto Emiliani, mentre solo una ventina di gruppi avevano inviato i loro rappresentanti a una riunione milanese alla fine del 1962; figuravano ufficialmente non dimessi i consiglieri comunali di Genova (Balestreri), del Piemonte (Sal

za e Donadei), di Pistoia (Fedi), di Como (Ponci), dell'Aquila, di Pescara, di Varese, di Civitavecchia, e di altri centri minori. (2) Era stata nel frattempo costituita una segreteria provvisoria nazionale alla fine del 1962, con Marco Pannella (Roma), Luca Boneschi (Milano) e Vincenzo Luppi (Bologna). Questa prima circolare si concludeva con un appello che era il segno della situazione: »spero che avremo la forza di ben ricominciare . (3) Si trattava dunque, esplicitamente, di un nuovo inizio.

Una riunione nazionale sotto forma di »consiglio nazionale allargato , che si tenne il 9 e il 10 marzo 1963 a Bologna, ribadiva l'opposizione netta al modo in cui si stava realizzando l'incontro dei socialisti con i cattolici e indicava la necessità di porre in maniera diversa la questione cattolica: »I cattolici democratici devono trovare, se vogliono realmente contribuire alla creazione di uno stato democratico, la loro collocazione nella sinistra italiana. Una netta demarcazione esiste infatti anche in Italia fra le forze della conservazione e le forze del progresso . (4) Per le imminenti elezioni politiche, veniva data un'indicazione non più ancorata all'arco dei partiti della »sinistra democratica , bensì di tutta la sinistra (dal Pci al Pri, dal Psi al Psdi) definendo al tempo stesso l'obiettivo dell'»unità della sinistra italiana e della »costruzione della nuova sinistra europea . Il fatto che vi fosse in quei tempi un'indicazione di voto comunista costituiva per i radicali la vera novità politica. I

l documento poi terminava indicando »la prospettiva di una nuova sinistra, affrancata da ogni frontismo come da ogni discriminazione delle componenti della sinistra stessa, rispetto a cui il Pr riteneva di poter portare un ulteriore originale e autonomo contributo al rinnovamento della società italiana ed europea . (5)

Alle elezioni politiche del 28 aprile 1963, il cui tema centrale per le diverse componenti della sinistra era l'accettazione o il rifiuto del centro-sinistra, i radicali non parteciparono, data la precaria situazione di partito, se non con l'indicazione di voto »per uno dei quattro partiti della sinistra ; un'indicazione che nella realtà si tradusse per lo più tra i piccoli gruppi di militanti in un voto al Pci quale unica forza di opposizione, o al Psi, per rafforzare quelle correnti di sinistra che avrebbero alla fine dello stesso anno costituito il Psiup al momento dell'entrata socialista al governo. Un'iniziativa presa per l'occasione dalla segreteria provvisoria del partito fu di rivolgere quattro domande a un certo numero di personalità sul modo in cui avrebbero votato, un'iniziativa a cui risposero, tra gli altri, Elio Vittorini che nel frattempo era stato designato e aveva accettato di fare il presidente del Partito Radicale, Pier Paolo Pasolini, Leonardo Sciascia, Umberto Eco, e che fu pubblicata e

diffusa sotto il titolo di »Il voto radicale . (6) Essa assumeva un duplice significato: da un lato per il fatto che sotto l'etichetta radicale venivano raccolte dichiarazioni di voto che andavano in massima parte al Pci e al Psi e alcune, poche, al Pri; dall'altro, per la tematica originale proposta attraverso le domande. Si richiamava l'attenzione alla contrapposizione tra benessere elargito e partecipazione alla direzione della società delle classi popolari e dei ceti medi; si adottava un'ottica europea e si sottolineava la necessità di un impegno antimilitarista caratterizzante le nuove sinistre; e si poneva all'ordine del giorno la questione di Chiesa e Stato e in particolare dell'opposizione alla scuola cosiddetta libera.

La continuità del nuovo con il vecchio partito andava così sempre più dissolvendosi sia sul piano politico che su quello pratico. Alle elezioni dell'aprile 1963 alcuni dirigenti del vecchio Pr si erano non solo avvicinati ma inseriti organicamente accanto al Psi, altri nel Pri, che aveva tentato un'operazione di recupero di »radicali indipendenti nelle proprie liste, e l'ex segretario Leone Cattani si era candidato, senza successo, in un collegio senatoriale di Roma sotto il simbolo del Psdi.

I nuovi radicali si accingevano, al contrario, a cominciare o a ricominciare un nuovo corso, a costruire o a ricostruire una forza politica autonoma, se pure piccola. Le grandi difficoltà subito incontrate risedevano proprio nell'ambizione soggettiva del gruppo animatore (e si trattava di ventenni e trentenni) di non fare di quella radicale una posizione subordinata ad altre ma di esprimersi secondo linee originali. Fu così che, ben presto, dopo qualche mese dalla ripresa dell'attività, nell'estate 1963, si poneva già drammaticamente ai nuovi radicali il dilemma di essere attivamente presenti sulla scena politica o di sciogliere anche formalmente il partito. L'8 e 9 giugno fu convocato un consiglio nazionale che doveva appunto decidere intorno alla pressante alternativa: »crescita del partito o suo scioglimento . Nella lettera di convocazione si precisava: »Non v'è altra scelta seria, responsabile, possibile al di fuori di una di queste. `` Sopravvivere '' è impossibile , (7) con un'impostazione che riflette

va la volontà del gruppo di non accettare una vita da frangia marginale del sistema politico o da compagni di strada di altre più importanti forze politiche. La risposta a quella prima crisi del nuovo partito che per alcuni mesi indugiò alla ricerca di una soluzione nel modo di essere efficacemente presente nel paese oltre le limitate volontà del piccolo nucleo militante, fu trovata nei mesi successivi, con l'inizio di un'attività di agenzia stampa. »Agenzia Radicale , attraverso cui per un paio di anni passò soprattutto l'azione radicale nel paese.

2. "L'»Agenzia radicale e le sue battaglie: Eni, assistenza, scuola"

Il fatto che il gruppo centrale romano del Pr avesse deciso di dedicare la maggior parte delle proprie energie, già dopo alcuni mesi di assunzione della completa responsabilità del nuovo corso, al concepimento e alla redazione di una nutrita agenzia di stampa quotidiana, ha un suo significato che è esplicativo di molta dell'impostazione politica dei nuovi radicali.

Un piccolo gruppo politico ha la possibilità di scegliere molte strade per realizzare e affermare le proprie posizioni. Se la sua battaglia è prevalentemente teorica, si avvarrà degli strumenti dello scritto saggistico e della definizione di una piattaforma di principi. E questo fu senza dubbio quanto in Italia e in Europa andarono facendo nella prima metà degli anni sessanta i gruppi eretici del marxismo che trovarono nello scontro teorico e nella riscoperta, rivalutazione o reinterpretazione di testi di riferimento, la strada della propria realizzazione.

Se un gruppo individua in alcuni luoghi sociali le contraddizioni portanti di un determinato momento storico, esso cercherà sia di approfondirne i meccanismi che di svilupparvi una milizia politica specifica. Di questa natura fu, per esempio, l'atteggiamento che tra il 1961 e il 1964 ebbe il nucleo che dette vita, intorno a Raniero Panzieri, ai »Quaderni Rossi , con una singolare contemporaneità rispetto al nuovo corso radicale. In sede di valutazione si deve ricordare il fatto che le due esperienze, così difformi per interessi, per cultura politica e per modi di intervento, si dipanassero in parallelo quali segni diversi della medesima esigenza di scoprire, al di fuori dei canali istituzionali della sinistra, in che modo e chi rifiutasse il generale processo di integrazione sociale e politica che si andava compiendo in valori di socialismo e di libertà.

Se infine un gruppo ha fiducia nello strumento partitico, una volta proclamata una certa fede ideologica si orienta verso un lavoro di tipo organizzativo, di reclutamento e di inquadramento in microstrutture: cosa che fecero, dopo lo scoppio del dissidio cino-sovietico, i marxisti-leninisti italiani analogamente ai loro compagni europei.

Pubblicare un'agenzia di stampa risultava invece come la scelta di uno strumento funzionale agli obiettivi dell'azione che i nuovi radicali intendevano svolgere e ai metodi stessi connessi con quegli obiettivi. Si trattava, in primo luogo, del primato della politica quotidiana, e dell'aderenza a casi concreti piuttosto che alla battaglia delle idee. L'agenzia di stampa, più che il giornale o la rivista periodica, avrebbe richiesto l'individuazione continua di problemi, di modi e di posizioni da prendere e attraverso cui riflettere un'impostazione politica generale piuttosto che l'esplicazione sistematica dell'impostazione stessa. E con quell'agile e pressante strumento di comunicazione potevano essere raggiunti gli interlocutori scelti come controparte di quella fase d'azione radicale. Non si trattava genericamente della pubblica opinione e neppure di una ristretta cerchia di militanti o simpatizzanti, ma della classe dirigente politica (di sinistra) con la quale doveva essere tenuto un contatto, e dei giorn

alisti che, a loro volta, avrebbero potuto ritrasmettere il messaggio radicale attraverso i mezzi di comunicazione di massa. La questione principale che si poneva in quel momento al Pr era di uscire dall'isolamento e di far conoscere gli argomenti e la natura della propria azione, senza chiusure e affermazioni settarie.

Del resto l'agenzia di stampa rispondeva anche alle attitudini soggettive di persone che non avevano mai svolto in modo particolare un'attività politico-teorica o politico-culturale ma erano state sempre immerse nel vivo di organismi politici, universitari e associazionistici. L'aver tenuto in piedi in quel periodo il partito costituiva una sfida: esso era ormai ridotto a non più di alcune decine di persone con l'abbandono di tutti gli altri, ma continuava a volersi chiamare tale. Assumeva per ciò stesso un sapore singolare e provocatorio, che va inquadrato nel clima storico del pre '68, allorché il proclamarsi »partito da simili inusitate posizioni poteva al tempo stesso essere ridicolo e dare motivo di forza e di fascino. Ma quel »partito non poté contare su nessuno sviluppo nei primi tre anni del nuovo corso, e così le sue posizioni e battaglie passarono tutte attraverso l'agenzia di stampa che fungeva al tempo stesso da canale pubblicistico e da punto di riferimento di eventuali aggregazioni di interes

si politici intorno alle campagne condotte.

Tra le prime campagne politiche di cui fu strumento »Ar , vi fu quella indirizzata all'Eni, alla sua politica economica e al suo ruolo nella situazione italiana di quegli anni. Dal dicembre 1963 l'Agenzia fornì per alcuni anni, fino al 1966, una serie di informazioni e di dati ignoti all'opinione pubblica e a gran parte della stessa classe politica non di vertice, in base ai quali si andava delineando un'analisi del carattere negativo dell'attività dell'Eni sia in termini di scelte economiche che per l'intreccio con il potere politico di uno dei maggiori centri di potere del momento.

Le accuse radicali, documentate con la continua pubblicazione di nuovi elementi dall'Agenzia, (8) riguardavano una serie di questioni del grande Ente: in primo luogo era messa in rilievo la natura del »capitalismo di stato, con fortissime venature corporativistiche, che... è un anello essenziale della costruzione tecnocratica neocapitalistica, tendenzialmente autoritaria , difesa dalla sinistra e che invece risultava obiettivamente organica a un nuovo tipo di regime di destra. Veniva documentato inoltre »l'integrazione dell'Eni al regime doroteo con le connessioni tra l'allora presidente della repubblica Antonio Segni (che fu al centro della vicenda sul colpo di stato dell'estate 1964), i servizi segreti del Sifar facenti capo ai generali Allavena e De Lorenzo, e il vice presidente dell'Ente, Eugenio Cefis.

L'Agenzia portava un'altra linea d'attacco alla natura di gruppo di potere dell'Ente »che controlla attraverso i suoi uomini, organi di stampa (di ogni tipo), organismi di programmazione pubblica, organizzazioni e partiti di sinistra non meno di quelli di destra, che ha il potere di varare a suo beneplacito leggi e regolamenti, che fa e disfa ministri, che ha la pretesa di determinare... l'elezione del capo dello Stato, che ha rapporti strettissimi con l'alto clero, la polizia e l'esercito , documentando in particolare l'opera di corruzione nei confronti della stampa d'ogni colore con la distribuzione di 20 miliardi in alcuni anni.

L'agenzia accusava quindi la nuova politica del gruppo di »liquidare l'intero piano di insediamento nell'Europa centrale nel quadro di una politica di subordinazione oggettiva e di accordo con il cartello internazionale del petrolio , invertendo la strategia internazionale di concorrenza con le »Sette Sorelle petrolifere e, sul piano interno, di »aver trovato una situazione di equilibrio e spesso di accordo con le forze economiche private confindustriali . Infine, alla dirigenza dell'Ente veniva fatto carico, in questo quadro, di neutralizzare »ogni forma di controllo, politico, parlamentare o governativo, sindacale o amministrativo con particolare riguardo ai sindacati, in accordo con una parte della loro dirigenza addomesticata per via politica.

Questa campagna, il cui significato politico fu comunicato in partenza ad alcuni dirigenti dei grandi partiti della sinistra per cercar di coinvolgere forze maggiori di quelle di cui potevano disporre i radicali, finì al contrario per essere proprio il fatto determinante delle ragioni di ostilità al nuovo gruppo da parte delle dirigenze comunista e anche psiuppina, (9) e a provocarne il suo isolamento politico.

I radicali toccavano, con quell'iniziativa, un nodo che la sinistra tutta non poteva e non voleva attaccare: sia, come questione pratica, per il coinvolgimento degli stessi partiti di sinistra nel sostegno del centro di potere, sia anche, in termini più teorici, per il rifiuto di mettere in discussione il significato concreto dell'economia pubblica al di là degli schemi ideologici.

Nonostante l'apertura di un'inchiesta della Procura della repubblica di Roma (10) e nonostante il sostegno che dall'interno dell'Ente venne dato ai radicali da alcune forze sindacali, la campagna rimase senza seguito per il silenzio e la difesa a oltranza che forze politiche e stampa assicurarono all'Ente.

Con lo strumento dell'indagine su una specifica struttura, sulla scia del metodo che era stato proprio di Ernesto Rossi e di Gaetano Salvemini, i radicali erano riusciti a centrare l'attenzione, nella prima metà degli anni sessanta, su una delle istituzioni cruciali del nuovo assetto del potere economico e politico, e di reciproci nessi, del paese. Uno dei »mostri sacri della sinistra intera non veniva risparmiato per rispetto dottrinario (l'Eni nemica del capitalismo privato e quindi da difendere a ogni costo); e l'analisi puntuale e spregiudicata dei termini politico-strutturali, della questione permetteva di individuare il ruolo degenerativo della »razza padrona di cui in molti, a sinistra, si sarebbero accorti dieci anni più tardi. Allora si sarebbe individuato nelle partecipazioni statali uno dei principali fatti di crisi del meccanismo economico e del suo corretto rapporto con la vita democratica del paese e una delle ragioni della disgregazione istituzionale italiana degli anni settanta. Il metodo e

mpirico e la mancanza di pregiudiziali ideologiche dei radicali erano stati preveggenti.

L'altra campagna di stampa »Ar la condusse, a partire dal giugno 1965, sui temi della sicurezza sociale e dell'assistenza, con particolare riferimento all'intreccio che nella città di Roma esisteva tra potere politico e gestione degli organismi assistenziali. Scriveva in un documento riassuntivo l'»Agenzia Radicale nel 1967: »Il mondo clericale ed ecclesiastico sa di godere e gode, nel suo temporalismo di un'assoluta impunità [...] Con procedure corruttrici e spesso delinquenziali esso ha potuto realizzare, in un ventennio, un vero e proprio ``saccheggio'' in settori essenziali della vita del paese, dal ministero della Pi all'apparato poliziesco, da quello militare a quello della sicurezza sociale, che oggi costituisce il ``vero pilastro del regime'' [...] Siamo al punto in cui il voler difendere lo Stato dal clericalismo è un non-senso: in settori essenziali il clericalismo è lo Stato . (11) I radicali avevano individuato nell'esteso mondo dell'assistenza un elemento portante della costruzione del potere

politico, specialmente a Roma.

Fu messo in rilievo come i più potenti personaggi democristiani - dai sindaci Urbano Cioccetti prima e Amerigo Petrucci poi, da Clelio Darida divenuto deputato al dirigente locale Ettore Ponti - erano passati e passavano tutti obbligatoriamente attraverso funzioni di gestione dell'assistenza pubblica, le quali conferivano loro la possibilità di »conquistare le massime leve del potere della città .

Anche per questa campagna, che durò dal giugno 1965 a tutto il 1967, per mezzo della pubblicazione di una massa di materiale analitico, »Ar portò in superficie i nessi strutturali tra i vari aspetti e i vari personaggi della questione assistenziale, sia che si trattasse dell'abuso di enti laici come l'Efas, che di organismi come gli Ospedali Riuniti di Roma, sia degli innumerevoli enti ecclesiastici proliferanti intorno al »sacco dell'assistenza che del loro collegamento con grandi istituti previdenziali come l'Inps.

In particolare l'Agenzia additava nell'Onmi romana quel meccanismo che trasformava un ente pubblico in »macchina elettorale e strumento di potere , attraverso una serie di regole divenute classiche: »1) l'utilizzazione a fini elettorali, inflazionandoli, dei cosiddetti ``sussidi una tantum''; 2) la truffa all'Onmi di somme considerevoli per la concessione a trattative private di fornitura a società di esponenti e iscritti democristiani... d'accordo con Amerigo Petrucci; 3) l'inflazione degli enti religiosi cui venivano riconosciute le caratteristiche di ente assistenziale; 4) l'omissione dei controlli sulle forme di assistenza e sulle attività patrimoniali; 5) l'aumento di prestigio di esponenti Dc nei confronti dell'altro clero vaticano e della curia romana . (12)

La campagna sboccò nel giugno 1966 in una denuncia, decisa dalla direzione del Pr, al procuratore generale di Roma, a partire dalla quale fu incriminato, e anche incarcerato, il sindaco Petrucci. Quell'azione ebbe anche eco sulla stampa di sinistra - »L'Espresso , »L'Astrolabio , »Il Paese , oltre ad »ABC che si era in quel periodo avvicinato alle iniziative radicali - la quale, per la prima volta dal nuovo corso, dette spazio all'attività radicale e sortì l'effetto di sensibilizzare l'opinione pubblica e di mobilitare alcuni elementi della sinistra (per esempio, mediante interrogazioni di consiglieri comunali di Roma) sulle ragioni del dissesto della sicurezza sociale.

Nel sistema assistenziale e sociale italiano i radicali avevano individuato un altro degli aspetti strutturali in cui si manifestava il potere clericale, alla cui analisi portavano così un'originale sensibilità e una concreta attenzione nella sinistra. L'avevano scritto esplicitamente all'inizio della campagna stampa, quando »Ar aveva sostenuto: »le basi sociologiche, culturali, politiche su cui ha potuto fondarsi questa situazione sono chiare e ad esse i radicali hanno sempre guardato con particolare lucidità e consapevolezza, forse unici nella sinistra, perché hanno una visione complessiva e realistica del mondo cattolico italiano, del suo partito unico, dei suoi tenui e traditi rapporti con ogni vera religiosità, in tutte le sue componenti . (13)

3. "Unità e autonomia: si configura il conflitto con la vecchia sinistra

Il rapporto stesso con la politica da orizzonti autonomi rappresentò fin dall'inizio il tratto caratterizzante i nuovi radicali. L'agenzia di stampa, che uscì prima quotidianamente e poi periodicamente dal 1964 1967, fu uno degli strumenti del primato dell'intervento politico diretto, ma non il solo. Tutto quanto poteva essere utilizzato per dare corpo a una parte politica autonoma, per riaffermare o ricreare una posizione che, pur presente nella tradizione della sinistra liberale e socialista italiana, si era andata esaurendo, veniva sperimentato dal gruppo radicale in quella prima metà degli anni sessanta. Era questo, e sarebbe rimasto in seguito, l'elemento singolare dei nuovi radicali nei confronti dei tanti gruppi che pure potevano sembrare occupare posizioni politiche simili: e cioè la decisa volontà soggettiva di costituire ad ogni effetto una ``parte politica''.

Una tale direzione di marcia era espressa con sintetica precisione e coscienza storica del rapporto con il patrimonio del passato, in un editoriale di »Ar dell'agosto 1964, in cui, quasi a mo' di manifesto, è contenuto in nuce tutto il senso dello sviluppo politico dei nuovi radicali: »Un'intera generazione di azionisti, di democratici, di radicali non ha voluto, non ha mai tentato effettivamente, non è mai riuscita a dar corpo e forza politica alla propria opposizione. E quando l'ha tentato, ha rapidamente abbandonato il tentativo come è avvenuto per il Partito d'Azione prima, per Unità Popolare poi, per i radicali del »Mondo e dell'»Espresso infine. Di qui il costante ostracismo, di qui un atteggiamento più negativo e denunciatario che costruttivo, di qui la ricorrente tentazione a sentirsi ``coscienza della sinistra'' senza costituirsi "parte politica" della sinistra. Ciò che ci differenzia da questa generazione di democratici è proprio il fatto che ci siamo costituiti ``parte politica'', riprendendo c

on continuità quel tentativo di rottura della lunga tradizione conservatrice del nostro paese che fu operato dal Partito d'Azione nell'immediato dopoguerra e successivamente interrotto, e condannato al fallimento dalle diverse scelte compiute nel suo insieme dalle sinistre . (14)

L'autonomia della posizione politica che poteva fin da allora definirsi per i suoi riscontri internazionali come di nuova sinistra, insieme con la contestuale volontà di essere unitari e di lavorare in organizzazioni unitarie, caratterizza le iniziative radicali di quegli anni. Il rapporto con le forze della sinistra istituzionale - Pci, Psi, Psiup - si modellò proprio su tali basi: il gruppo radicale risultava quindi scomodo e anomalo rispetto all'abitudine prevalente a sinistra di sacrificare sull'altare dell'unità le peculiari caratteristiche, allorché queste entravano in contrasto con quelle delle forze maggiori, e segnatamente del Pci. E' ciò che avvenne puntualmente in tutti i casi in cui i radicali parteciparono o dettero vita a organizzazioni unitarie.

Fin dal 1962 era stato costituito il »Comitato per il Disarmo Atomico e Convenzionale dell'Area Europea (Cdacae), che aderiva all'internazionale pacifista fondata a Oxford nel gennaio 1963 ("International Confederation for Disarmament and Peace") e se collegava ai gruppi allora attivi in Europa occidentale e negli Stati Uniti. Attraverso di esso i radicali parteciparono alla Consulta Italiana della Pace, realizzando una serie di iniziative specifiche come la marcia della pace tenutasi a Roma nel 1963 e un'altra per il Vietnam nell'aprile 1965. In entrambi questi casi, come in una serie di altri episodi minori, i radicali del Cdacae si scontrarono con le posizioni del »Movimento della pace che rappresentava l'organizzazione comunista e paracomunista ispirata a una generica pace che mai doveva entrare in contrasto con la politica internazionale e le posizioni di equilibrio internazionale sostenute dall'Unione Sovietica.

Mentre i »partigiani della pace (così si chiamavano i militanti del Movimento della pace) portavano nell'organismo unitario della Consulta la linea comunista, così come si era affermata in Italia e internazionalmente, i radicali proponevano una posizione di disarmo che valesse nei confronti dei due blocchi e, in particolare, una decisa opposizione al riarmo e agli eserciti sia atomici che convenzionali in ogni regione del mondo.

Quella radicale era in Italia una linea polemica non solo nei confronti della cosiddetta azione per la pace dei comunisti, ma anche diversa dalla posizione neutralista, in quanto si indirizzava più sulle conseguenze nelle strutture nazionali delle questioni militari che non sul ruolo del neutralismo nel quadro internazionale. L'antimilitarismo radicale aveva come motivo base e come bersaglio la militarizzazione della vita civile e le conseguenze del militarismo sulle strutture interne oltre che rappresentare, sul piano internazionale, un rifiuto razionale della proliferazione atomica, sia che fosse promossa da paesi capitalisti che da paesi socialisti. (15) Tale posizione e pratica entra in contrasto sia con quella dei gruppi comunisti e filo-comunisti sia con quella dei gruppi prepolitici e umanitari che accettavano una pratica unitaria basata su piattaforme generiche.

Con il pacifismo e l'antimilitarismo i radicali si distaccavano dunque nettamente dalla pratica dalle posizioni della restante sinistra. »L'internazionalismo non può non essere anche lotta contro lo Stato nazionale anche e proprio per le forme necessarie che esso assume , affermava una nota di »Ar nel febbraio 1966: »Esercito, polizia, giustizia non autonome... industria degli armamenti, sono le ``forme'' storicamente assunte in comune da stati ``socialisti'' e stati ``borghesi''... La lotta per la pace è lotta antimilitarista, è lotta per la conversione, qui e da oggi, in strutture di servizio e di produzione civile delle strutture militari. Strano che le ``vie'' socialiste cessino di divenire `` nazionali'' solo in questo campo, solo dinnanzi alla lotta . (16) Affermazioni di questo genere erano accompagnate anche da iniziative puntuali in collegamento con quanto la politica del disarmo andava realisticamente esprimendo in Europa. Quando il senatore socialdemocratico Hans Thirring presentò in Austria un p

rogetto di disarmo e smilitarizzazione di un'area dell'Europa centrale, il Comitato per il disarmo dei radicali ne promosse il sostegno riuscendo a guadagnare alla proposta l'adesione di oltre 400 consigli comunali italiani. (17)

Con questi temi, individuati fin dal 1961 come cruciali per la costruzione di una posizione politica originale, i nuovi radicali poterono cominciare a sperimentare anche i metodi di azione diretta e nonviolenta che facevano corpo con i contenuti stessi della linea antimilitarista. Se negli organismi unitari come la Consulta, la volontà radicale di iniziative dinamiche veniva ostacolata dalla logica degli equilibri in essi dominati, al contrario con singole azioni dirette, effettuate da piccoli gruppi, si cominciò a imporre alla pubblica opinione una presenza radicale singolare non solo negli obiettivi ma anche nei metodi di far politica. Il 4 novembre 1965, in occasione della festa delle forze armate, gli studenti Lorenzo e Andrea Strik Lievers distribuivano a Milano un volantino della sezione milanese del Pr di intonazione nonviolenta e pacifista in cui si chiedeva il diritto a sostituire il servizio militare con un servizio civile alternativo. (18) Alcuni mesi dopo i due giovani furono arrestati rappresent

ando così le prime vittime dell'azione diretta nonviolenta radicale in campo antimilitarista, anche se, poi assolti in sede di processo penale.

Azioni dirette, volantinaggi, sit-in divennero in quegli anni strumenti usuali di azione politica, che trovarono un immaginativo momento di realizzazione il 24 maggio 1967 allorché si tenne una manifestazione all'interno dell'Altare della Patria di Roma insieme con un teach-in sui problemi antimilitaristi, con la deposizione di una corona con la scritta »Partito Radicale - 1917, 1967: nel Vietnam continuano ad assassinarti . La manifestazione tendeva a rivendicare il diritto civile di considerare come patrimonio di tutti i cittadini i luoghi tradizionalmente ufficiali, con la possibilità quindi di dare un'interpretazione democratica del loro simbolismo politico e civile. (19) Da tutta una serie di manifestazioni prese quindi avvio, a partire dall'estate dello stesso anno, una marcia antimilitarista nelle regioni nordorientali del paese come ricerca di un momento di mobilitazione unitaria dal basso che sarebbe poi divenuta un classico appuntamento annuale dell'antimilitarismo italiano.

Anche nel mondo della scuola, dove una qualche presenza si realizzava nello stesso periodo, autonomia e unità rendevano l'iniziativa dei gruppi radicali fonte di attriti con il resto della sinistra. Nell'associazione laica per la difesa e lo sviluppo della scuola pubblica, Adesspi, di cui i radicali animavano dal 1963 la sezione romana, il loro dinamismo politico entrava in conflitto con la pratica degli uffici scuola dei partiti laici e di sinistra, preoccupati più degli equilibri di vertice che non della vita e dell'azione di un'associazione autonoma di base. Nel corso di una stagione a Roma i radicali si facevano promotori di un convegno »scuola e pace (1963), di una »marcia della scuola con il ricorso all'azione diretta (1964), e di altre manifestazioni di borgata e di centro città con campagne di informazione su abusi e carenze della scuola pubblica. Allo stesso modo allorché il gruppo promosse nel 1964 un »Sindacato Nazionale della Scuola Pubblica (20) con l'adesione di alcune centinaia di insegnant

i di diverso orientamento di sinistra, l'iniziativa non venne incoraggiata dalla centrale sindacale Cgil a cui pur faceva riferimento, ma gli fu contrapposto un sindacato scuola Cgil, emanazione dei vertici sindacali con la riproduzione al proprio interno dei dosaggi tra le correnti partitiche, tipici dei tradizionali movimenti unitari della sinistra. (21)

Analoga contrapposizione tra il concetto di momenti unitari che nascono intorno a una struttura autonoma in cui eventualmente si confrontano dissensi e unità, e il concetto di camere di compensazione di entità partitiche che inviano propri delegati in una qualche sede istituzionale comune, si ritrova nel »Comitato per l'Unità della Sinistra Italiana (Cusi) che i radicali promossero nell'agosto 1965 come risposta al dibattito in quel momento in corso nel paese. Il Cusi, che intendeva essere »gruppo di pressione e strumento di verifica e di dibattito di una prospettiva unitaria (22) sulla base di una valutazione che »al di là dei tradizionali motivi di divisione del movimento operaio esiste(va) un immenso e ancora parzialmente inesplorato campo di ricerche, di elaborazione, e di azione comune , non riuscì mai a svolgere attività politica, paralizzato dalle preoccupazioni di equilibri tra le diverse componenti partitiche e dei loro propri ritmi politici.

Anche nei rapporti diretti con le forze della sinistra, i nuovi radicali incontrarono non minori difficoltà di quelle riscontrate negli organismi unitari. Il Pci, subito dopo il nuovo corso, aveva considerato con benevolenza lo spostamento dei nuovi radicali a sinistra rispetto al vecchio partito, tanto che era stata ventilata nelle elezioni del 1963 un eventuale inserimento di radicali in un pacchetto di indipendenti di sinistra capeggiati dall'editore Giulio Einaudi: un'operazione che non andò in porto e non interessò i radicali. Tuttavia, mano a mano che si andava chiarendo che la spinta unitaria del Partito Radicale si accompagnava a iniziative nuove sia nei contenuti che nei metodi di lotta, e che il nuovo era »un partito che si rassegnava a essere riconosciuto come interlocutore e come alleato in caso di consenso e ignorato o considerato inesistente in caso di dissenso , (23) il Pci, nei suoi organi ufficiali, assunse una dura posizione di chiusura. Così fu nel caso della campagna Eni dal 1963 in poi;

così per le posizioni antimilitariste che contrastavano con il pacifismo generico del Movimento della pace, fino a un attacco rivolto al leader Marco Pannella che aveva concesso un'intervista sui temi del rapporto con i comunisti e della politica del Pci al settimanale pacciardiano »Nuova Repubblica (24)

Nei riguardi del Psiup, il partito formatosi all'inizio del 1964 per la scissione della sinistra socialista contraria al centro-sinistra, i rapporti con i radicali, fino alle elezioni del 1968, furono impostati a un duplice motivo. Da un lato, una vicinanza per ragioni di topografia politica tra forze che in egual misura si opponevano alla Dc e al centro-sinistra, e dall'altro una conflittualità per la diversa impostazione politica tra chi si ispirava per lo più a linee ideologiche e a pratiche politiche tipiche della tradizione della sinistra socialista massimalista e frontista e chi invece tentava di proporre un rinnovamento tematico dell'intera sinistra.

Nelle elezioni amministrative del novembre 1964 il Pr dette un'indicazione prioritaria di voto al Psiup in base alla considerazione che esso sembrava »costituire il partito della sinistra che più di ogni altro afferma la volontà della contrapposizione frontale al mondo cattolico e della conservazione , (25) nonostante che nel deliberato della direzione si mettesse in rilievo che »il frontismo continua purtroppo a condizionale il comportamento dei comunisti nel rapporto con le altre forze democratiche e socialiste, si tratti del Psiup, della sinistra socialista, dei radicali o degli organismi unitari e di massa, sempre costretti a seguire il ritmo dell'evoluzione comunista e non quello delle nuove realtà oggettive che ha dinnanzi . (26) L'indicazione preferenziale verso il Psiup non impedì ai nuovi radicali di pronunciarsi nel dicembre '64 decisamente in favore (anzi, in un primo momento di tentare di promuovere un comitato di sostegno) dell'elezione di Giuseppe Saragat alla presidenza della repubblica contro

la candidatura di Fanfani che trovava nella sinistra schierati in favore proprio il Siup e l'ala ingraiana del Pci.

Nell'elezione di Saragat i radicali vedevano il risultato di uno schieramento unitario di laici e socialisti in alternativa ai cattolici e il segno del movimento del socialismo democratico largamente rappresentativo tra le masse operaie europee, verso le quali i radicali ponevano già allora la necessità di »un contatto reale, polemico, critico, ma serio... se si vuole sperare in un vero progresso sulla via dell'unità dell'alternativa socialista . (27)

Nelle successive elezioni amministrative del giugno 1966 che riguardavano alcune grandi città, dopo non facili trattative, tra la direzione del Psiup e quella del Pr fu stipulata un'alleanza nazionale per una lista comune a Roma, a Genova e in altri centri minori, sempre in base al comune atteggiamento contro la Dc e al riconoscimento da parte radicale delle ragioni della resistenza socialproletaria nei confronti delle posizioni governative assunte dal Psi. »Non ci siamo certo taciuti i disaccordi e le differenze: abbiamo solo ritenuto di amministrare così, con un'indicazione unitaria e politica le nostre diversità di compagni di lotta, e la nostra generale responsabilità rispetto ai problemi della sinistra (28) scriveva Pannella all'indomani dell'accordo, non sottacendo ancora una volta le differenze: »I compagni del Psiup sanno i nostri dubbi su una scelta organizzativa che sembra implicare strutture tradizionali, in definitiva a tendenza burocratica...; sanno la nostra deliberata sordità rispetto alle cl

assificazioni ideologiche cui riferiscono la complessa crisi della sinistra europea; sanno la nostra convinzione dell'assoluta inadeguatezza dei mutamenti in corso nella società sovietica rispetto alla motivazione socialista; sanno infine quanto il pacifismo antimilitarista e unilateralista, il laicismo anticlericale, l'ispirazione libertaria, il classismo gobettiano, il rispetto non moralistico per il movimento operaio e democratico occidentale, la convinzione federalista europea, lotte come quella divorzista, concorrano a caratterizzare il Pr . (29)

La lista Psiup-Pr di Roma, che meritò grazie ai radicali alcune pubbliche dichiarazioni di voto tra cui quelle del vecchio ex parlamentare liberale e radicale Bruno Villabruna e Ernesto Rossi (30) a pochi mesi dalla morte avvenuta nel febbraio 1967, ottenne dei risultati positivi per i candidati radicali inseriti nelle liste comunale e provinciale. (31)

Tale parziale successo della prima prova elettorale del nuovo partito si concretò malgrado il fatto che lo stesso Psiup facesse di tutto nel corso della campagna per non valorizzare l'apporto politico radicale. Si palesava così un ulteriore segno delle difficoltà per un gruppo dinamico come quello dei nuovi radicali di agire insieme a strutture della sinistra tradizionale che conservavano nei comportamenti, ancor più che nella linea, un vecchio modo di far politica che sarebbe definitivamente entrato in crisi nel 1968.

4. "I radicali di fronte alle proposte di unificazione della sinistra"

Proprio nel periodo in cui il nuovo Pr tentava di dare forma politica a un'originale posizione che entrava in conflitto con le abitudini della sinistra istituzionale, questa, nelle sue varie componenti, si misurava da posizioni di governo o di opposizione con il centro-sinistra. La nuova formula con i socialisti all'interno del governo era nata all'indomani delle elezioni politiche della primavera 1963; e nel giro di qualche anno aveva provocato una serie di reazioni nella sinistra: una scissione nel Psi con la nascita del Psiup; un'ulteriore separazione dalla maggioranza socialista autonomista dell'ala lombardiana del partito contraria al proseguimento dell'esperienza di governo; una crisi istituzionale nell'estate 1964 che aveva avuto al centro il presidente della repubblica Segni e i servizi segreti del paese; il logoramento di tutti i programmi di riforme previsti dall'ala più dinamica del centro-sinistra; e il progressivo avvicinamento del Psi al Psdi nella comune collaborazione governativa fino ad arri

vare naturalmente all'unificazione socialista tra il 1965 e il 1966.

In quella prima metà degli anni sessanta la sinistra italiana, che si era messa in movimento dopo la lunga stasi degli anni cinquanta e della guerra fredda, stava registrando complessivamente degli insuccessi sia nell'ala socialista che aveva creduto di trovare nella collaborazione governativa con la Dc la soluzione ai problemi di modernizzazione e di trasformazione del paese, sia in quella comunista i cui riferimenti internazionali sovietici erano sulla via del tramonto, sicché il Pci non sembrava in grado di uscire da una posizione di stasi.

Quanti avevano sperato in una politica di sia pur moderato riformismo, imposto del resto dagli effetti storici dello sviluppo del capitalismo italiano degli anni '50, che poggiasse le proprie basi sulle forze socialiste e laiche democratiche di tipo europeo, dovettero progressivamente perdere ogni fiducia di fronte agli eventi che erano costantemente dominati e controllati dalla volontà conservatrice della Dc.

La svolta dell'estate 1964, allorché i democristiani intorno al presidente Segni imposero l'abbandono di qualsiasi programma di riforme e la conseguente rassegnazione dei socialisti indeboliti dalla scissione a sinistra, segnò la fine di ogni speranza o illusione di un nuovo corso. Il centro-sinistra divenne quasi una soluzione obbligata e così anche l'imprigionamento in esso dei socialisti nel continuo tentativo, non riuscito, di poter modificare il corso politico dall'interno. Ne fa testo lo spirito della lettera inviata da Pietro Nenni al congresso del Psi del novembre 1965 in cui il vecchio leader spiegava l'ineluttabilità della formula in alternativa alla quale non si prospettava altro che una soluzione autoritaria di destra, e quindi il senso ormai necessario dell'unificazione con il Psdi su posizioni moderate. Nenni si proponeva di nobilitare quell'operazione a tavolino dandogli il significato di ampia mobilitazione: »L'unificazione ha un senso se nasce da un rilancio del movimento socialista, da una

mobilitazione di spiriti e di forze in tutto il paese, se si pone come obiettivo quello di rivendicare il potere per trasformare in senso socialista la società italiana, nei modi e nelle forme che le sono appropriati . (32)

Ma si trattava di un'esortazione verbale senza riscontro in alcuna iniziativa politica. Facendosi interprete di un sentimento comune a molti che avevano votato Psi nel 1963 e di ambienti che pure non erano stati pregiudizialmente contrari all'esperimento, Ernesto Rossi, con il consueto spirito caustico replicava: »Rilancio socialista... mobilitazione degli spiriti... trasformazione della società italiana... aria fritta concentrata nel vuoto. Evidentemente neppure il leader del Psi si rende conto di quanto tutti gli italiani siano stufi, arcistufi, delle parole vuote di senso, con le quali, da un ventennio, i dirigenti dei diversi partiti fanno appello ai sentimenti degli elettori. Se crede, ripetendo slogans di questo genere... di convincere l'opinione democratica socialista che sta fuori del partito, che se ne è allontanata, la sola che può dar forza e freschezza all'iniziativa, può anche risparmiarsi la fatica di scrivere. Non sappiamo che farcene delle belle parole: ci vogliono fatti. E i fatti sono tali

che non consentono più di far credito ai socialisti al governo . (33)

L'unificazione socialista, che si compì tra il luglio e l'ottobre del 1966, rappresentò così non già il momento culminante di un processo di coinvolgimento dell'opinione pubblica con alla base dei movimenti per le riforme, ma una pura semplice operazione dei vertici dei due partiti, Psi e Psdi, che si giustapponevano nel Psu. Non nasceva in Italia neppure una grande forza socialdemocratica di tipo europeo con l'ambizione strategica di passare da una collaborazione con la Dc a un'alternativa ad essa, così come era la direzione di marcia in quegli stessi anni della socialdemocrazia tedesca di Willy Brandt (in Germania: grande coalizione Spd-Cdu-Csu, dicembre 1966; coalizione Spd-Fdp a direzione di Brandt, ottobre 1969); ma si trattava di una semplice operazione di due partiti accomunati dall'inerte presenza nel governo, senza poggiare su alcun fatto sociale unificante e senza mettere in moto dinamiche di sviluppo politico.

I nuovi radicali restarono estranei a quel processo che pure li avrebbe potuti riguardare considerandosi essi nell'area delle forze di ispirazione e di pratica socialista e di tradizione democratica non leninista. Essi non furono coinvolti per due motivi che si differenziavano dall'avversione di tipo dottrinario dei psiuppini. In primo luogo si trattava della posizione politica della nuova forza che nasceva proprio in seguito alla comune collaborazione con la Dc, mentre alla base dell'analisi radicale stava la necessità di costruire un'alternativa di forze alla sinistra della Dc come unica possibilità di trasformazione democratica del paese. In secondo luogo, l'unificazione si attuava con quei metodi burocratici di intesa tra apparati che i radicali avevano rifiutato e che giudicavano uno dei fattori della sclerosi della sinistra, incapace di legarsi e di suscitare movimenti sociali in appoggio a una strategia riformatrice. Così, con l'unificazione, le strade si divaricarono nonostante che esistessero moment

i di collaborazione tra socialisti e radicali in quei settori in cui, all'interno o fuori del centro-sinistra, alcuni socialisti tentavano di operare in senso riformatore.

In un articolo apparso su »Corrispondenza Socialista del dicembre 1966, Pannella, a nome della direzione del Pr, spiegava le ragioni dell'estraneità radicale all'unificazione. Veniva sottolineata la questione del modo della partecipazione diretta alla politica avvertita dai radicali con una sensibilità che anticipava il '68: »E'in definitiva la politica stessa che emerge per la prima volta, per milioni di esseri, in tutta la sua importanza, tutta la sua intelligibilità, nella sua autonomia e nella sua forza, buona o cattiva. V'è qui in generale un fenomeno nuovo di ``partecipazione'' che cerca ed esige di esprimersi in forme istituzionali che non si trovano in questo Stato, e forse ancora meno nei partiti tradizionali così come si erano strutturati e continuavano a strutturarsi. E, qui è il punto, senza il realizzarsi della ``partecipazione'' del cittadino alla vita pubblica non si ha ``consenso'', non si ha forza ``democratica; si avranno tutt'al più seguaci e sudditi, occasionali incontri...; e alla lunga

ribellismi e rivolta . (34)

Dinnanzi alle vicende nostrane, i radicali guardavano all'Europa per cogliere indicazioni e tendenze del futuro. In particolare essi avevano già una speciale attenzione per la Francia, dove alle presidenziali del dicembre 1965 si era formata un'alleanza tra socialdemocratici e comunisti sul candidato comune François Mitterrand e riportavano sulla loro agenzia un'intervista di Guy Mollet in cui il leader socialdemocratico dichiarava superate le motivazioni della rottura tra comunisti e socialisti con la fine dello stalinismo. Ai socialisti unificati italiani nello stesso periodo i radicali contestavano di non riuscire neppure a fare quelle cose che le deprecate socialdemocrazie realizzavano e di non saper portare avanti quelle stesse riforme che i ministri Mariotti per la sanità, Mancini per l'urbanistica e il deputato Fortuna per il divorzio avevano tentato. »Ecco perché scriveva Pannella »non ci siamo, come radicali, lasciati determinare, nel nostro atteggiamento rispetto all'unificazione, dalle valutazion

i espresse dal Psiup e, in parte, dal Pci... Perché sapevamo che i due partiti che si unificavano erano entrambi, sia pure imperfettamente, socialdemocratici da sempre... Perché nella società italiana il modello socialdemocratico, se è meccanicamente ripreso... è pur sempre di fatto rivoluzionario rispetto al regime che ci governa, e comporta una rottura con il populismo e autoritarismo elettorale... Perché lo stesso modo in cui lo si è voluto far nascere, così burocraticamente, precostituendo sia il programma che è un vero ``vuoto'' programmatico di natura tipicamente trasformistica, sia la classe dirigente, ne rende vana, per eccesso, le pretese antiunitarie e di puntellamento del centro-sinistra a base clericale... Perché hanno forse ragione da una parte il Psiup, e dall'altra l'opinione qualunquistica e moderata, nel ritenere che gran parte della classe dirigente formatasi in questi anni nel Psdi e anche nel Psi... non vada molto oltre la possibilità di strappare con l'unificazione maggiori pretese contr

attuali di sottogoverno verso la Dc... . (35)

Socialisti e socialdemocratici tentavano con la giustapposizione di superare la crisi che l'immobilismo del centro-sinistra trasferiva tra le forze progressiste. I comunisti, dal canto loro, tra la fine del 1964 e i primi mesi del 1966 discussero sul cosiddetto »partito unico della classe lavoratrice , quasi a voler contrapporre specularmente alla proposta unificatrice a destra una proposta unificatrice a sinistra attraverso cui uscire dall'isolamento. L'on. Giorgio Amendola con audacia aveva lanciato su »Rinascita dell'ottobre 1964 una specie di appello all'unificazione tra comunisti, socialisti e socialdemocratici, dal momento che »nessuna delle due soluzioni prospettate negli ultimi 50 anni, la soluzione socialdemocratica e la soluzione comunista, si è rivelata fino ad ora valida al fine di realizzare una trasformazione socialista della società . (36) L'appello alla discussione fu raccolto favorevolmente dai radicali che condividevano la diagnosi dell'inadeguatezza delle proposte politiche della sinistra

storica.

Ma, in realtà, la proposta di Amendola nei suoi termini così radicali rientrò subito per lasciare invece il campo all'invito comunista »per una nuova maggioranza democratica , una formula dietro a cui si nascondeva il contrasto in atto tra chi, come Pietro Ingrao, era favorevole a una larga democratizzazione interna del partito e ad una unità di massa, con la collaborazione alla base tra le forze sociali comuniste e cattoliche (cioè una forma di dialogo con i cattolici), (37) e chi, come Giorgio Amendola, vedeva con favore un progetto di unificazione o confederazione con socialisti e con frange della sinistra laica in funzione contrapposta al blocco facente perno sulla Dc.

Anche questo dibattito sollevato dal Pci e ripreso dal Psiup che si faceva sostenitore al suo primo congresso (dicembre 1965) della necessità dell'incontro delle forze di sinistra marxiste - Pci, Psiup e sinistra del Psi - sul terreno anticapitalista della trasformazione socialista, non ebbe soluzioni che potevano interessare i radicali dal momento che vedevano in esse solo vecchie alchimie piuttosto che metodi di lotta nuovi per obiettivi di unità e di ristrutturazione della sinistre. In una risoluzione della direzione del Pr del settembre 1965, ribadendo la non estraneità al dibattito per l'unificazione e l'unità della sinistra, veniva fatto osservare che queste proposte potevano acquistare valore solo se non fossero state fotografie della situazione esistente ma si basassero su fattori di movimento verso una politica nuova di alternativa di potere al regime democristiano implicante anche la trasformazione degli apparati stessi dei partiti. Il documento concludeva: »L'unificazione socialdemocratica, ribade

ndo il carattere ormai neppure riformista ma puramente rinunciatario dell'attuale politica del Psdi e del Psi, non si pone neppure lo scopo di rafforzare le eventuali componenti progressiste all'interno dello schieramento governativo. D'altra parte la proposta di unificazione rivolta unicamente al Pci, al Psiup e ad alcune minoranze del Psi si pone come ovvio contraltare e in un certo senso meccanica imitazione dell'unificazione socialdemocratica, ed essa non pone con chiarezza né un obiettivo di tipo riformistico, come un allargamento a sinistra dell'attuale formula di governo, né un obiettivo oggettivamente rivoluzionario come un'alternativa intransigente al regime democristiano . (38)

In un'altra dichiarazione dello stesso periodo si precisava con ancor più vigore la singolarità dell'esperimento radicale e quindi la lontananza dai termini in cui era stato impostato il dibattito unitario: »Ci scrolliamo faticosamente l'eredità delle pretese ``élites'' borghesi oggi spaventate d'essere state indotte in tentazioni radicali, non meno che la soffocante ipoteca degli ``indipendenti di sinistra'', squallida categoria di reali ``dipendenti'' frontisti... Per quanto ci riguarda dobbiamo fare i conti con i nostri reali punti di partenza che sono quelli di un partito di estrema minoranza; ma le strutture e i metodi che ci siamo dati sono tali da dimostrare che non intendiamo compiacerci di questa condizione, così facilmente portata a produrre settarismo e irresponsabili astrattezze . (39) Era questa, ancora una volta, l'esplicita riaffermazione della volontà soggettiva di costruire un autonomo percorso politico senza nulla concedere alla facilità delle tendenze prevalenti del momento.

5. "L'isolamento di una cultura politica diversa. Verso il congresso di rifondazione (1964-1967)

Tra il 1964 e il 1966 la posizione dei nuovi radicali cominciava a essere riconosciuta nella sua novità; per lo meno da una parte della classe dirigente politica. Si faceva strada la nozione che il nuovo Pr aveva come caratteristiche politiche un anticlericalismo attivo diverso da un inerte laicismo, un pacifismo e antimilitarismo nella linea del radicalismo occidentale, e i diritti civili; e, come metodo politico di lotta, la concentrazione su temi specifici, spesso accompagnati dall'azione diretta nonviolenta.

Erano questi tratti che rendevano progressivamente ostile al piccolo gruppo militante la maggior parte degli apparati della sinistra tradizionale - comunisti, socialisti e anche socialproletari - in quanto sentivano che la cultura politica dei nuovi radicali aveva qualcosa di profondamente diverso e estraneo alle proprie tradizioni e abitudini. E altrettanta estraneità manifestavano gli organi di stampa e la prevalente cultura di ambienti intellettuali e giornalistici, in quanto i modi, lo stile politico e le tecniche di intervento, insieme ai nuovi contenuti radicali, si rivelavano lontani da qualsiasi tradizione legittimata nelle prevalenti pratiche politiche. Una tale estraneità pesò moltissimo negli anni della ricostruzione radicale, e avrebbe seguitato a pesare in seguito, determinando nei radicali un costante impiego di energie per rompere l'isolamento.

La cultura dei nuovi radicali coniugava elementi tutti estranei ai moduli di cultura politica esistenti nel paese; un soggettivismo di azione politica che aveva semmai gli antecedenti in una certa tradizione democratico-risorgimentale ripresa dall'antifascismo di Carlo Rosselli e di Giustizia e Libertà e dell'azionismo; un metodo d'intervento sulla scena politica basato sui piccoli gruppi ben decisi a coinvolgere più ampie sezioni di cittadini che trovava riscontro nella tradizione anglosassone, in cui la fiducia nell'azione volontaria dei cittadini fino all'uso della disobbedienza civile affondava profonde radici nel costume civile; un'attenzione all'indagine empirica su nodi ritenuti cruciali con un metodo che si potrebbe chiamare di induzione politica piuttosto che di deduzione da grandi schemi e sistemi ideologici, che aveva anch'essa parentela più con le tradizioni del radicalismo empirico anglosassone che non con quello di derivazione francese o con le grandi schematizzazioni teoriche prevalenti nel so

cialismo nostrano. I nuovi radicali, dunque, prima ancora che con l'isolamento politico, dovevano fare i conti con l'isolamento della loro cultura politica, per di più trasparente dall'azione e non esplicitamente enunciato. Anche in maniera provocatoria essi si rifiutavano di entrare nel dibattito politico-culturale, di fare, per esempio, riviste, e di teorizzare quello che andavano facendo. Tutto ciò non aveva riscontro neppure in quelle minoranze che nello stesso periodo tentavano di affermare temi nuovi e posizioni politiche eterodosse: queste in generale partivano proprio dalla »battaglia delle idee e dalla legittimazione teorica ideologica delle proposte politiche.

Del resto l'ambiente che, nella stampa e nella cultura oltre che nella politica, esprimeva i laici e i progressisti italiani, sentiva come estraneo quel tipo di attivismo politico che mirava ad ogni costo a costruire una posizione partigiana, pur se i punti di partenza erano rappresentati dai medesimi valori laici. Questa la ragione per cui proprio giornali prestigiosi che erano stati radicali (»L'espresso »Il Mondo ) tendevano a ignorare la nuova esperienza, a considerare esaurita l'espressione politica radicale e a negare qualsiasi legittimità al nuovo gruppo. I comunisti, da parte loro, non potevano accettare che posizioni unitarie a sinistra si accompagnassero a troppo forti motivi di caratterizzazione delle diversità. La cultura della nuova sinistra, che in quegli anni cominciava a trasparire dalle pagine di riviste, non riconosceva nei radicali degli interlocutori validi giacché si muoveva prevalentemente per linee di riflessione teorica e di attenzione al movimento operaio o operaistico.

I nuovi radicali, che si ponevano con i loro comportamenti come dei riformatori radicali con stile rivoluzionario, erano così isolati sia rispetto alle analisi sistematiche dei nuovi rivoluzionari, sia ai costumi accomodanti dei nuovi riformisti. E' per ciò che, in quel primo quinquennio di vita del nuovo partito, l'isolamento si manifestò con la scarsissima attenzione della stampa alle vicende e alle proposte radicali, sottostimate anche rispetto al peso che esse oggettivamente potevano avere con l'essere espressione di un gruppo di estrema minoranza. I radicali avevano coscienza della situazione e scrivevano di se stessi nel maggio 1966: »Non siamo in grado di fare previsioni su quello che accadrà della nostra iniziativa, né pretendiamo che la nostra esperienza sia di particolare valore. Siamo continuamente in grandi difficoltà, e rischiamo, con il successo, anche la sconfitta, ogni giorno . (40) E, di fronte al crescente conflitto con la sinistra, analizzavano così la propria condizione: »Negli ultimi mes

i ci accorgiamo che forse gli avversari indovinano la crescita di una rigorosa posizione nuova e diventano più duri... Si sta passando dalla congiura del silenzio alla lotta aperta ; (41) e, ancora, si era reso esplicito il senso di una necessaria battaglia preliminare: »gran parte dei nostri sforzi è concentrata ad aprire delle brecce, e a lasciarle aperte, in questo muro di silenzio . (42)

Accanto alle iniziative politiche, alla pubblicazione di »Agenzia Radicale per assicurare una presenza nella classe politica, il partito in quanto tale negli anni 1964-66 non espandeva la sua piccola organizzazione. Composto da non più di un centinaio di soci, con una presenza spesso singola in poche città, con un bilancio che nel 1965 assommava complessivamente a 8 milioni, tutti reperiti con l'autofinanziamento e di cui solo il 25% di contributi esterni, (43) il partito si poneva nel corso del 1965 il problema di ridarsi anche una nuova struttura formale accanto ai nuovi contenuti. Infatti, dopo le elezioni del 1963, anche quel poco che era rimasto del vecchio partito si era, o era stato, dissolto. L'ipotesi del gruppo romano non era l'aggregazione di un partitino (quindi: tesseramento, chiusura in se stessi, proselitismo, definizione di un programma), ma piuttosto l'appello alla »gente , affinché si facesse militante e partecipante di battaglie radicali. Era, come si è detto, una cultura politica estrane

a alle tradizioni del paese e poco recepibile anche da coloro che potevano sentirsi vicini alle istanze radicali. L'unico gruppo che in questo periodo si avvicinò al partito era quello milanese (Lorenzo Strik, Carlo Oliva) che aveva tuttavia le radici in esperienze diverse: l'essere cioè un gruppo laico della sinistra studentesca aggregatosi intorno al giornale »Libera Critica (uscito nel 1959-1961 e poi di nuovo nel 1964 come foglio filo-radicale) e al »Centro Salvemini (1959-1961 e poi nel 1964-1965). La diversità di origine dei milanesi rispetto ai romani si manifestava anche in una diversa concezione del partito corrispondente a una diversa cultura politica. Se per i romani l'ipotesi era quella di una forza animatrice dei diritti civili, per i milanesi il Partito Radicale si doveva piuttosto configurare come l'avanguardia laica e libertaria della nuova sinistra, quasi in parallelo con quello che il Psiup faceva nei confronti dei socialisti.

Il problema restava comunque la rifondazione del partito nuovo. La segreteria nazionale, che avrebbe dovuto indire il congresso nazionale per una nuova costituente, si dimise, non essendo riuscito a convocarlo per il novembre 1965. A una segreteria collegiale a tre succedette nel luglio 1966 un segretario unico, Marco Pannella, in ordinaria amministrazione, e contemporaneamente venne designata una commissione nazionale per la preparazione del congresso con il compito sia di sistemare i nuovi contenuti del partito come erano andati emergendo in quegli anni, sia di formulare un nuovo tipo di statuto per il partito. (44)

Dal settembre 1966 al maggio 1967 la commissione lavorò intensamente per fornire una comune elaborazione a quel centinaio di militanti che si ritrovavano nel partito o intorno ad esso. Infatti, se da un lato i soci formali del partito restavano pressoché immutati, dall'altra il Pr cominciava a rappresentare un punto di riferimento per alcuni ambienti particolari che si riconoscevano su specifici temi di lotta. Gli antimilitaristi e i pacifisti di diversa estrazione trovavano nelle iniziative radicali il motivo aggregante, sia che provenissero da vecchi ambienti anarchici, o da nuovi ambienti giovanili, libertari e hippy. Questi ultimi, che avevano fatto la loro apparizione anche in Italia, e specialmente a Milano attraverso i gruppi situazionisti e di »onda verde , vedevano nella politica radicale qualcosa di affine a cui potersi collegare. Fino a quando non persero corpo i movimenti del '68, figli dei fiori, hippy, capelloni e gruppetti per la rivoluzione culturale, insieme agli anarchici e libertari rivita

lizzati dalle proposte di azione diretta radicale in campo antimilitarista e antiautoritario, trovavano accoglienza nelle sedi radicali di Milano e di Roma. Parallelamente cominciava a enuclearsi un nuovo ambiente, quello dei divorzisti, per lo più composto dal piccolo ceto medio, estraneo all'impegno politico, che si riconosceva nell'iniziativa radicale sul divorzio iniziata alla fine del 1965 con il determinante contributo del settimanale »ABC in appoggio alla legge presentata in parlamento da socialista Loris Fortuna.

Queste realtà sociali, tutte estranee alla politica tradizionale dei partiti, erano i primi segni di nuovi ambienti sociali ricettivi delle proposte radicali e mobilitati da esse. Nel settembre 1966, sul primo numero del bollettino di preparazione del congresso, veniva messa in rilievo la diversità radicale e la ragione della distanza dalla sinistra tradizionale: »Se guardiamo avanti, al prossimo futuro, vediamo aumentare il rischio di un ulteriore impoverimento della sinistra, egemonizzata da due burocrazie (quella del nuovo partito unificato socialista e quella del Pci) fra loro concorrenti, ma egualmente conservatrici, egualmente incapaci di garantire al paese un'alternativa. Se ci guardiamo intorno, a quelle forze politiche minoritarie che accanto a noi dovrebbero rappresentare la componente dinamica della sinistra, vediamo accrescersi la frantumazione, la dispersione, lo scoraggimento anche da parte di coloro che hanno considerato e sminuito la nostra scelta come fallimentare e velleitaria, di fronte ad

altre più ``concrete'' e ``realistiche'', che però oggi essi stessi sono costretti a sconfessare . (45) Ed esplicitando il ruolo dei nuovi radicali, se ne delineavano i motivi di censura con i vecchi ambienti e quelli di apertura verso i gruppi emergenti: »Siamo riusciti fino a oggi ad arrestare e invertire un processo che, nelle intenzioni della nuova classe dirigente che ci ha abbandonato, avrebbe dovuto concludersi con lo scioglimento del partito; assicurandone la continuità ne abbiamo fatto, lì dove siamo riusciti a essere presenti e attivi, qualcosa di nuovo e di diverso; abbiamo rifiutato di essere frammenti di un ``vertice'' politico e sappiamo di poter costruire, oggi, l'autonoma organizzazione ``di base'' dei migliori fermenti e delle nuove esigenze della sinistra italiana . (46)

Nel mentre i nuovi radicali si avviavano al congresso di ricostruzione contornati da nuclei di nuovi ambienti sociali, essi esplicitavano la consapevolezza di aver reagito »al fallimento di un'intera classe dirigente laica . (47) E non è superfluo notare la significativa coincidenza per cui in quella stessa stagione stava chiudendo le pubblicazioni la gloriosa testata de »Il Mondo diretto da Mario Pannunzio, che di quella classe dirigente laica aveva certamente rappresentato la parte più nobile ma anche quella che più aveva incarnato la parabola e il ciclo discendente della politica dei laici tradizionali.

Nel commiato ai lettori, »Il Mondo scriveva amaramente: »Le opinioni dei partiti, dei gruppi, degli uomini disinteressati sembrano una specie di inutile gioco di gente irrequieta... in Italia il disinteresse per la cosa pubblica e per i dibattiti morali e culturali trova sempre un terreno di rifugio e di fuga... tante volte in questi lunghi anni ci siamo domandati: come mai correnti di ispirazione liberale e democratica, fedeli a una tradizione di pensiero di grande nobiltà... hanno trovato e trovano così poca udienza nel nostro paese e insieme una così unanime, agguerrita ostilità da renderle simili a pattuglie di frontiera, quasi separate dal tessuto vitale della nazione? . (48)

I lavori preparatori del congresso si svilupparono su quattro centri tematici che corrispondevano ad altrettanti momenti di iniziativa e di riflessione sviluppatisi dall'inizio degli anni sessanta. Il primo riguardava »la società laica e i diritti civili in cui vennero messi a punto proposte sulla riforma della giustizia, sulla scuola, sul divorzio, sulla condizione della famiglia e della donna, e l'obiezione di coscienza. Il secondo concerneva »istituzioni e strutture dello stato . Il terzo, che si occupava della »società laica e i rapporti internazionali , si occupò del modo in cui si poteva realizzare una »prospettiva internazionalista mediante »il superamento delle strutture nazionali della sinistra in quanto mistificatorie e strumento di integrazione nel sistema , (49) mediante il collegamento con altre forze di opposizione non nazionaliste in altri paesi, il rifiuto del mito della solidarietà nazionale e della sua variante a sinistra del fronte popolare, nonché i modi della lotta pacifista e del fede

ralismo europeo. Il quarto gruppo aveva per tema il »partito laico , il modo in cui nella realizzazione dei contenuti (socialismo e libertarismo) e nelle strutture statutarie formali (federative) poteva concepirsi un partito antitetico ai modelli socialdemocratico-burocratico e leninista-avanguardista.

Il 12 maggio 1967 si apriva a Bologna il congresso dei nuovi radicali che assumeva la numerazione di »terzo (i primi due erano stati tenuti, dal primo partito, nel 1958 e nel 1961) all'insegna di »Il Partito Radicale per l'alternativa laica così specificato ulteriormente: »tutti i lavoratori per una civiltà laica e pacifista, per un'Europa liberata dalle strutture militari, monopolistiche, autoritarie e clericali . Partecipavano all'assise un centinaio di militanti insieme con invitati e osservatori di altre forze e gruppi. Nella convocazione veniva sottolineata »la necessità di una lotta politica centrata su battaglie adeguate alla motivazione e agli obiettivi radicali e, contestualmente, la necessità di porsi il »problema delle occasioni di lotta da scegliere e da provocare . (50) Il terzo congresso che approvò un nuovo statuto segnava così il punto di arrivo di una fase di rifondazione che per il momento si concludeva formalmente non solo con l'ufficiale approvazione di nuovi contenuti, ma anche con l'

indicazione di nuove strutture formali e statutarie che volevano essere un'indicazione sperimentale del modo diverso d'essere forza politica.

"Note"

1 Cfr.: circolare multilittata Pr, sede centrale del 12-3-1963; circolare multilittata Pr, sede centrale del 27-4-1963 a firma »per la segreteria nazionale (Massimo Teodori); circolare ciclostilata Pr, sede centrale del 30-5-1963 a firma »per la segreteria (Massimo Teodori); circolare ciclostilata del 3-6-1963 a firma »per la segreteria (Marco Pannella).

2 Cfr.: circolare ciclostilata del febbraio 1963 indirizzata »a tutti gli iscritti del Pr, ai simpatizzanti e amici , a firma »per la segreteria nazionale (Marco Pannella).

3 "Ibidem".

4 Cfr. circolare multilittata del 12 marzo 1963.

5 "Ibidem".

6 "Il voto radicale", a cura di Elio Vittorini, Marco Pannella e Luca Boneschi; risposte di E. Vittorini, P. P. Pasolini, G. Gozzi, N. Risi, F. Leonetti, A. Rendi, E. N. Rogers, A. Sorrentino, R. Roversi, M. Cagli, M. Mila, S. Ceccato, A. Gaggero, M. Monteverdi, L. Sciascia, U. Eco, D. Baroncelli, M. Boneschi.

7 Cfr. circolare ciclostilata del 3-6-1963 a firma »per la segreteria (Marco Pannella).

8 Cfr. la collezione di »Agenzia Radicale a partire dal n. 1, 15 luglio 1963. I brani qui citati sono ripresi dalla sintesi effettuata in "libro bianco su il Pr e le altre organizzazioni della sinistra", bozze di stampa, a cura di A. Bandinelli, S. Pergameno, M. Teodori, ottobre 1967, edizioni radicali, pp. 35-42.

9 "Ibidem".

10 l'apertura di un procedimento nei confronti dei massimi dirigenti dell'Eni fu effettuata dai sostituti procuratori della repubblica di Roma, Saviotti e Bruno, nel maggio 1064.

11 "La peste clericale", »Agenzia Radicale , 10 agosto 1967, numero speciale »1967 - Anno Anticlericale .

12 Dall'esposto del segretario nazionale del Pr al Procuratore generale di Roma del giugno 1966, riportato in "Libro bianco, cit.", p. 55.

13 »Agenzia Radicale , n. 113, del 12 giugno 1965.

14 »Agenzia Radicale , "nota", 23 agosto 1964.

15 Cfr. "Libro bianco, cit." pp. 30-31.

16 »Agenzia Radicale , "nota", 26 febbraio 1966.

17 Comitato per il Disarmo Atomico e Convenzionale dell'Area Europea, "Appello per un'iniziativa di Pace", 1964; poi in "Libro Bianco, cit.", pp. 44-46.

18 La stampa si occupò dell'episodio abbastanza nuovo anche nella cronaca della repressione. Cfr., per esempio, »Il Giorno 1-11-1966 e »Il Corriere della Sera 26-3-1966.

19 Cfr. "Libro Bianco, cit.", p. 31.

20 Cfr. "Documento costitutivo del Comitato promotore del Sindacato Nazionale della Scuola Pubblica", a stampa, supplemento del n. di dicembre 1965 di »Libera Critica , Milano, direttore Lorenzo Strik Lievers.

21 Cfr. "Libro Bianco, cit.", p. 47.

22 Sul Cusi cfr. "Libro Bianco, cit." pp. 51-52.

23 Cfr. Memorandum, "Il Partito Radicale", ciclostilato elaborato collettivamente nel maggio 1966 e destinato a presentare il partito alla War Resisters International, organizzazione internazionale antimilitarista a cui il Pr chiedeva formale adesione.

24 Cfr. "Il Pci elemento del sistema", intervista col dott. Marco Pannella, segretario nazionale del Pr, a cura di Giano Accame, »Nuova Repubblica , n. 20, 31 luglio 1966; "Un Pannella demistificato". »L'unità , 24 agosto 1966.

25 Appello della direzione del Pr pubblicato sul numero speciale a stampa di »Agenzia Radicale , n. 103, 16-11-1964 e firmato da M. Pannella (segreteria naz.), L. Balestreri (direzione), G. Spadaccia (direzione), M. Teodori (direzione), G. Rendi (direzione), A. Bandinelli (uff. esteri), A. Rendi (uff. stampa), A. Sabatini (uff. scuola), E. Mancuso (uff. sindacale).

26 "Ibidem".

27 »Agenzia Radicale , 27 dicembre 1964, poi in "Libro bianco, cit.", p. 86.

28 Marco Pannella, "No al »colloquio , lotta", in »Ar a stampa, n. 121, 31 maggio 1966.

29 "Ibidem".

30 Ernesto Rossi: "Al Pr un voto anticlericale", in »Ar , a stampa, 31 maggio 1966.

31 Nelle elezioni comunali romane il capolista Vecchietti (Psiup) ottenne 4185 voti di preferenza, il secondo Maffioletti (Psiup) 1237, terzo risultò Pannella (Pr) con 1125 voti di preferenza. I radicali cifrarono con 6000-7000 voti il proprio apporto alla lista comune. In seguito allo svolgimento della campagna elettorale i radicali inviarono al Psiup una lettera in cui analizzavano i comportamenti di quel partito (lettera del 20 giugno 1966 firmata, per la sezione romana del Pr, Massimo Teodori, poi in "Libro bianco, cit.", pp. 81-83).

32 Stralci della lettera riportati in "Il record dell'immobilismo", di Ernesto Rossi, »L'Astrolabio , anno III, n. 15, 7-15 settembre 1965.

33 "Ibidem".

34 Marco Pannella, "I problemi della sinistra italiana", »Corrispondenza Socialista , anno VII, n. 10, ottobre 1966, pp. 505-512.

35 "Ibidem".

36 Giorgio Amendola, »Rinascita , 28 novembre 1964.

37 Cfr. intervista di Pietro Ingrao a »Rinascita , 26 settembre 1964.

38 Risoluzione politica della direzione del Pr, ciclostilato in data 22 settembre 1965.

39 Dichiarazione all'»Agenzia Montecitorio di M. Pannella, 25 settembre 1965.

40 Cfr. Memorandum per Wri, "Il Partito Radicale", cit.

41 "Ibidem".

42 "Ibidem".

43 Lettera ciclostilata a firma »il tesoriere del Pr , Andrea Torelli in data 27-12-1965.

44 il consiglio nazionale del Pr, riunito in data 3 luglio 1966 nominò una commissione per la preparazione del III congresso nazionale formata da Nina Fiore, Angiolo Bandinelli, Luigi Del Gatto, Roberto Pieraccini, Carlo Oliva, Piero Pozzoli, Claudio Lelli, Andrea Torelli, Gianfranco Spadaccia e presieduta da Sergio Stanzani.

45 "Verso il III congresso", in »Informazione per il 3· congresso , supplemento ad »Ar , ciclostilato, n. 1, 22 settembre 1966.

46 "Ibidem".

47 "Ibidem".

48 "Ai lettori", »Il Mondo , anno XVIII, n. 10, 8 marzo 1966.

49 "Prospettive di lavoro del centro di iniziativa sulla società laica e i rapporti internazionali", responsabile Carlo Oliva, in »Informazioni per il 3· congresso , ciclostilato, n. 2, 21 ottobre 1966.

50 Stampato, "3· congresso del Pr", a cura della commissione per la preparazione del 3· congresso. Vedi anche »Ar a stampa, n. 130, 6 aprile 1967.

 
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