XIX CONGRESSO PARTITO RADICALE - BOLOGNA 29, 30, 31 OTTOBRE - I NOVEMBRE 1977SOMMARIO: Denuncia il tentativo, condotto per mesi dal regime, di cancellare dalla scena politica del paese il partito radicale, la nonviolenza. "Per mesi i referendum radicali...sono stati i grandi assenti nel dibattito e nel confronto delle forze politiche,... nelle comunicazioni di massa". Ma adesso, contrariamente ai sospetti e alle ironie di Pajetta, la Corte di cassazione ha stabilito che le firme raccolte sotto i referendum sono quelle denunciate e annunciate. Gli otto referendum sono dunque una realtà, e rappresentano "un enorme potenziale alternativo". La DC ha a lungo operato con processi e dinamiche repressive per arrestare la crescita riformista, giocando "la carta del disordine e della violenza". Amendola ed altri hanno ironizzato "contro Sciascia e i pochi intellettuali non allineati, accusati di disfattismo". Oggi il PCI, con "duttilità", sembra aver cambiato strategia, ma questa politica può portare ad "assorbire" i movimenti sociali più che a cambiare il PCI. Le leggi d'emergenza rimangono.
Il problema è quello degli "sbocchi politici alternativi". I radicali hanno tentato di crearli spostando il terreno dello scontro "sui tavoli di raccolta delle firme", nel rispetto della legalità e nell'esercizio della democrazia. Ma oggi restano cento giorni o poco più per salvare questi referendum. Con la petizione contro la "legge antireferendum" del PCI, con altre petizioni e una mobilitazione continua nelle piazze sarà possibile sostenere i parlamentari radicali nelle loro iniziative, altrimenti anche loro saranno sconfitti. Sull'aborto, infatti, già sono in corso le manovre per rimettere in moto la "legge truffa" contro il referendum, nell'assenza e nel silenzio del movimento femminista. Ma lo stesso succede per gli altri referendum, sul Concordato, sui Tribunali e codici militari, sulla Legge Reale, sull'Inquirente e sulla legge manicomiale: le manovre sono a buon punto. Le uniche difficoltà gli antireferendari le incontrano in tema di Codice Rocco e finanziamento pubblico. La difesa dei referendum è
dunque affidata alla "lotta nel paese" che i radicali sapranno imporre, a partire dal Congresso. Per questo, il partito dovrà contare di più sulle realta locali e regionali, potenziandole e sviluppandole nella "pluralità delle organizzazioni e delle iniziative". Aglietta si pone quindi il problema dei rapporti con gli altri partiti, a cominciare dal PCI. Il partito radicale rivendica l'unità a sinistra, ma "nel rispetto integrale della piena attuazione della democrazia politica"; e i referendum sono parte integrante della Costituzione. A chi sostiene che ne sono stati avanzati troppi bisogna rispondere preparandone altri.
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Compagne e compagni,
per mesi siamo scomparsi dalla scena politica del paese, non perchè non esistevamo o perchè il partito si fosse improvvisamente dissolto, ma perchè le nostre iniziative, le nostre lotte, le iniziative dei nostri compagni del gruppo parlamentare venivano censurate e ignorate e, quando non potevano essere del tutto cancellate, venivano distorte da una stampa e soprattutto da una radio e da una televisione che è attenta non ai fatti della politica ma agli interessi politici dei "grandi" del regime. Si è fatto di peggio: si è fatto di tutto per infangare la nostra immagine, per metterci in contraddizione con tutta la nostra storia, per criminalizzarci, per rivolgerci contro l'attenzione dell'opinione pubblica, della gente, della classe e tentare di tramutare in sospetto, in distacco e in antipatie le speranze e le attese che in essa avevamo suscitato, e la solidarietà di massa che abbiamo sempre trovato intorno alle nostre lotte quando ad essa ci siamo rivolti. Hanno tentato di confondere e annullare il connotat
o nonviolento del Partito Radicale, connotato fondamentale e non riassorbibile della sua diversità, nel comune denominatore della violenza politica che era invece tutta dalla parte dei nostri avversari, del potere, del regime.
Ma il tempo fa giustizia di questi tentativi e di questi linciaggi. E ogni giorno che passa riemerge con la forza della verità la chiarezza delle nostre analisi, l'intransigenza delle nostre lotte, il carattere costituzionale, rigorosamente democratico e nonviolento delle nostre iniziative e dell'alternativa socialista e libertaria che tentiamo di costruire, la serietà delle prove e del confronto che abbiamo imposto al regime e la gravità delle contraddizioni che abbiamo aperto negli equilibri politici che i vertici dell'esarchia cercano di mettere al riparo da ogni turbativa fino al punto di considerare una turbativa perfino il voto dei cittadini in un turno di elezioni amministrative parziali. Per 30 anni le leggi di cui i nove referendum promossi dal Partito Radicale chiedono l'abrogazione - le leggi del vecchio stato fascista e corporativo dei Rocco e dei Bottai e quelle del nuovo fascismo istituzionale, antigarantista ed antiliberale dei Moro e dei Reale - sono stati i cadaveri nel cassetto della n
ostra democrazia repubblicana, le contraddizioni più aperte e stridenti rispetto alle ipotesi di rivoluzione democratica dello stato disegnata dalla Costituzione.
Per mesi i referendum radicali, questo programma legislativo alternativo che abbiamo promosso per la sinistra e per il paese e imposto al regime e agli attuali equilibri politici, sono stati i grandi assenti nel dibattito e nel confronto delle forze politiche, nella vita politica e parlamentare, nell'informazione e nelle comunicazioni di massa. Ormai questo non è più possibile. Il momento delle scelte si avvicina e saranno scelte importanti e determinanti per la democrazia italiana intorno alle quali sarà difficile nascondere cosa è in gioco. Ricordate, compagni, l'ironia dell'on Pajetta all'indomani della conclusione della raccolta delle firme quando insinuava il dubbio che si trattasse di un bluff e che le 700.000 firme ci fossero davvero? La Cassazione ha già ufficialmente annunciato per quattro degli otto referendum, Concordato, Codici e tribunali militari e Inquirente, che le firme raccolte sono ampiamente sufficienti, non esiste alcun dubbio sulla validità delle firme per gli altri quattro. Con bu
ona pace dell'on. Pajetta anche quest'anno come per le elezioni del 20 giugno del 1976, come nella lotta contro l'aborto clandestino e di classe nel 1975, il Partito Radicale ha raggiunto l'obiettivo che si era proposto, superando la prova più impegnativa, il progetto più ambizioso della sua storia politica. Mai come quest'anno il Partito Radicale è esistito nel paese come forza politica alternativa, come volontà politica collettiva di centinaia e centinaia di quadri e di militanti, di migliaia di altri compagni, sostenitori e simpatizzanti radicali o aderenti alle organizzazioni che hanno con noi condiviso la responsabilità della campagna, o iscritti od elettori di altri partiti della sinistra. Non c'è nessun trionfalismo. Dobbiamo essere consapevoli della forza politica che abbiamo conquistato con la campagna dei referendum, dell'enorme potenziale alternativo che con questa vittoria abbiamo immesso sotto gli equilibri politici del regime. E se la censura, la disinformazione, la mancanza di dibattito, di cu
i noi radicali siamo vittime al pari di ogni altro cittadino, comunista o democristiano, socialista o liberale, ce ne avessero fatto perdere la percezione, dobbiamo riconquistarla, anche per essere in grado di far fronte ai nuovi compiti gravi e importanti, urgenti e drammatici che la situazione ci impone.
Non ritengo perciò affatto superfluo soffermarmi brevemente in questa relazione, che è innanzitutto la relazione di un anno di attività politica del partito nell'adempimento del suo mandato congressuale, sul modo con cui ci siamo preparati e in cui abbiamo affrontato questo impegno, sulla situazione politica in cui ci siamo trovati ad agire, sul significato in gran parte nuovo e non previsto che essa è venuta assumendo, e delle adesioni e dei consensi che ha raccolto, dell'opposizione e del dissenso, ma anche delle speranze e delle volontà politiche alternative cui è riuscita a dare espressione e sbocco politico.
Si parla molto in questo periodo al nostro interno e nei nostri dibattiti di memoria storica del partito, ma io credo che la nostra memoria debba essere innanzitutto memoria dei processi politici e delle dinamiche repressive che sono state messe in moto, e delle lotte con cui le abbiamo denunciate e affrontate per tentare di arrestarle e di batterle. Come non ricordare i primi segni con cui la DC ed i corpi separati mostravano di riprendere la politica e di giocare ancora una volta la carta del disordine e della violenza per ritrovare consenso e fiducia nei ceti moderati e imporre nuove leggi autoritarie piegando la sinistra a una logica illiberale e anticostituzionale? I gravi episodi di criminalità politica e comune che dovevano giustificare il rinvio di ogni politica di riforme e creare le premesse di misure straordinarie sull'ordine pubblico; lo stillicidio delle continue evasioni dalle carceri che aumentavano il disordine e gli episodi di violenza e ponevano le basi della politica del pugno di ferr
o, della nomina del generale Dalla Chiesa, della sospensione di fatto della riforma carceraria e della limitazione dei suoi istituti, in primo luogo di quello dei permessi, della istituzione delle carceri speciali? Denunciammo tutto questo intravedendo gli sviluppi di questa logica. E lottammo contro questo ancora una volta con l'arma della nonviolenza, con un digiuno durato 73 giorni; il partito non comprese allora appieno il significato di quella lotta in cui mettevamo in gioco la salute e la vita su obiettivi apparentemente minimi e da cui siamo usciti non sconfitti anche grazie alla solidarietà dei compagni del gruppo parlamentare che non hanno esitato a mettere in gioco il loro mandato di deputati. Io gli attribuisco una grande importanza perchè è stato il tentativo anche se solo parzialmente riuscito di spezzare questa logica per contrapporvi una politica alternativa di governo, basata sulle riforme democratiche anzichè sulle misure d'emergenza e sulla repressione. E fu una lotta militante che preparò
l'impegno collettivo della raccolta delle firme.
Come non ricordare che quelli erano anche i giorni dell'esplosione della nuova contestazione giovanile dietro la quale urgevano i problemi della disoccupazione e quelli sempre più gravi del nuovo pauperismo e della emarginazione sociale. I fatti successivi sono troppo recenti perchè qualcuno possa aver dimenticato il tentativo di criminalizzare un intero movimento di opposizione e di rivolta gettando in un unico fascio Lotta Continua, Brigate Rosse, NAP e autonomi, movimento studentesco e dopo il 12 maggio persino i radicali nonviolenti, all'insegna della violenza e della criminalità politica.
Non abbiamo dimenticato le polemiche di Amendola contro Sciascia e i pochi intellettuali non allineati accusati di disfattismo e di vigliaccheria. L'Italia non è la Germania: abbiamo avuto per un periodo anche noi la nostra piccola caccia alle streghe contro i nostri Böel e Günter Grass. I referendum sono stati lo sbocco politico costituzionale e nonviolento, lo sbocco politico unificante e di massa, per il dissenso, per la rivolta sociale, per l'opposizione alternativa che si pretendeva potesse esprimersi solo attraverso la violenza.
Oggi il PCI cambia politica e come ieri ha giocato la carta della criminalizzazione e della repressione contro il movimento, oggi gioca quella del suo recupero e pone al centro di questa politica non più l'obiettivo ridicolo di una riforma universitaria che è poco più di una barzelletta, ma l'obiettivo sociale dell'occupazione e del lavoro, dell'eliminazione delle cause delle ingiustizie e dell'emarginazione della nuova povertà. Lo fece anche dopo il '68, lo ha fatto con il movimento femminista. Ogni volta che si ripristina a sinistra il dibattito e il confronto, ogni volta che il dialogo si afferma sull'intolleranza e sul settarismo si verifica sempre per noi un fatto positivo che sarebbe stupido e fazioso sottovalutare. Il PCI dà ancora una volta prova della sua duttilità e del suo realismo. Ma dobbiamo dire con chiarezza che questa politica può portare più facilmente ad assorbire i movimenti sociali nella strategia complessiva del PCI che a cambiare il PCI e la sua strategia. E il mutato clima politi
co non può farci dimenticare le conseguenze del clima politico precedente. Il clima politico è mutato ma le leggi d'emergenza, le misure anticostituzionali rimangono. E queste leggi, questi meccanismi repressivi non cesseranno comunque di operare i loro effetti, di creare nuove ingiustizie, di produrre nuovi massacri di classe contro i sottoproletari, gli emarginati, i diversi, gli insofferenti, i ribelli.
Il problema è politico. Il problema è e resta quello degli sbocchi politici alternativi. Quando ci criminalizzavano con il movimento non abbiamo mai avuto la tentazione di "egemonizzare", cosa impossibile non solo per le nostre caratteristiche di diversità ma soprattutto per la nostra concezione dei rapporti fra politica e società civile, ma non abbiamo avuto neppure quella di dissolverci nel movimento. Il nostro sforzo, anche grazie al fraterno rapporto che abbiamo stabilito con i compagni di Lotta Continua e del MLS, ai quali rivolgo qui a nome di tutto il partito il nostro saluto e ringraziamento, è stato quello di non accettare il terreno di scontro che ci volevano imporre, ma di spostarlo con i tavoli e con le firme proprio sul terreno su cui esplodono le contraddizioni del regime: quello del rispetto della legalità, della sovranità popolare, dell'esercizio della democrazia, della difesa delle garanzie costituzionali. Senza i referendum non ci sarebbe stata nessuna altra risposta politica di massa
a livello istituzionale contro i processi politici che si venivano mettendo in atto, contro gli accordi politici e programmatici di vertice, contro le nuove leggi liberticide, contro la spirale della violenza che si voleva affermare, non ci sarebbe stato nessun altro strumento alternativo. Abbiamo apparentemente pagato il prezzo, per una breve stagione, dell'isolamento, dell'emarginazione e anche quello dell'identificazione con alcune caratteristiche parole d'ordine che non solo non ci appartengono, ma alle quali siamo radicalmente estranei. Ma oggi è sempre più chiaro che ciò che si voleva colpire non era qualche frangia di opposizione sociale e politica violenta e che si spingeva sulla strada della criminalità e della violenza, ma era in gioco qualche cosa di molto più importante, perché attraverso di essa si voleva in realtà colpire la democrazia politica e la stessa Costituzione. Per noi il problema è e resta politico. Come lo scorso anno il nostro problema era quello di raccogliere le firme per i refere
ndum, così ora è quello di difendere i referendum e di lottare per impedire che siano sottratti alla democrazia e al paese. Dobbiamo essere consapevoli che se c'erano cento giorni, come avvertimmo all'inizio di settembre per salvare da un attacco tanto scandaloso, che non ha retto forse alla denuncia che se ne è fatta tempestivamente, la Costituzione, ora abbiamo davanti cento giorni o poco più per salvare i referendum.
Quando il gruppo parlamentare radicale parlava di assassinio della Costituzione si disse che erano esagerazioni radicali. Quando il partito scese con i tavoli di nuovo per le strade per raccogliere le firme su una petizione popolare contro la legge antireferendum del PCI siamo stati accusati dall'Unità e dall'on. Colonna di voler portare avanti una polemica calunniosa. Ma solo dopo il convegno di Firenze del gruppo parlamentare e solo dopo la petizione promossa dal partito è venuto ufficialmente dal Partito Comunista il chiarimento che quella legge non sarebbe stata usata contro i referendum già pendenti. Poi sono venute la scorsa settimana le importanti affermazioni dell'on. Bufalini alla recente assemblea dei segretari provinciali e regionali del PCI. E che non erano esagerazioni lo ha dimostrato del resto il Ministro degli Interni Cossiga con il tentativo di utilizzare la legge delle amministrative e quella delle elezioni europee per limitare l'esercizio del diritto al referendum. Il pericolo tuttora
esiste, ma forse il fatto stesso che siamo riusciti a imporre il dibattito su questo aspetto, rende oggi più difficile se non impossibile un tentativo così smaccatamente anticostituzionale di colpire lo stesso istituto del referendum e di modificare surrettiziamente e di vanificare l'art. 75 della Costituzione. Ma la possibilità che le elezioni europee possano essere utilizzate contro i referendum è e rimane una ipotesi da battere almeno fino a quando non saranno state date assicurazioni definitive.
Dobbiamo ribadire con fermezza che la nostra petizione sulla legge del PCI non aveva e non ha alcun carattere strumentale e calunnioso: essa riguarda essenzialmente la riforma surrettizia dell'art. 75 della Costituzione che di fatto si realizzerebbe svuotando la natura e il significato che l'istituto del referendum ha nel disegno costituzionale. Su questo il nostro dissenso con il PCI resta netto. Tuttavia proprio per evitare anche solo il sospetto di voler agitare polemiche pretestuose e poiché per la prima volta nonostante gli attacchi si è avviato un confronto, propongo al Congresso di chiudere la petizione e di consegnarla ai Presidenti della Camera e del Senato. Non propongo invece di rinunciare allo strumento delle petizioni. La nostra diffidenza verso questo strumento e la nostra riluttanza ad usarla è giustificata. Ma nella situazione attuale vorrei che i compagni riflettessero sul fatto che esso rappresenta per noi uno strumento importante di mobilitazione politica e anche di informazione nella
strategia di difesa dei referendum. Vorrei che nei lavori di commissione si discutesse di un uso articolato e continuo di questo strumento, affidato alla iniziativa e al coordinamento dei partiti regionali, e alle iniziative delle associazioni e dei singoli radicali: non un'unica petizione popolare, ma una molteplicità di iniziative, dunque, con testi diversificati a seconda dell'evolversi della situazione politica e capaci di provocare il dibattito e di coinvolgere di volta in volta ambienti diversi, le scuole, i luoghi di lavoro, le fabbriche, i comitati di quartiere, dirigenti e consiglieri comunali e circoscrizionali di altri partiti.
Non dobbiamo privarci di nessuno strumento perché non dobbiamo farci illusioni. Anche se si riuscisse ad impedire gli escamotage e gli espedienti rivolti ad abrogare con un colpo solo tutti i referendum, rimarrebbero tuttavia i tempi tecnici e politici per consentire a una volontà politica concorde dei sei partiti di abrogarli uno per uno. Potremo impedirlo sono se riusciremo ad imporre informazione, dibattito, lotta politica, altrimenti l'azione politica di difesa che potrebbero fare i nostri compagni deputati in Parlamento sarebbe probabilmente priva di speranza e di efficacia.
Sull'aborto le commissioni della Camera sono già al lavoro per rimettere in cammino la legge truffa bocciata al Senato. Bufalini ha dichiarato che il PCI non è mai stato contro il referendum sull'aborto e che esso sarebbe inevitabile se non si arrivasse ad una legge giusta. Ma quale legge giusta potrebbe mai venir fuori dalla strategia del PCI passivamente accettata dagli altri partiti laici? Nata come una cattiva legge alla Camera, peggiorata al Senato, il punto d'arrivo dell'iter legislativo non potrà che essere, attraverso ulteriori peggioramenti e cedimenti, una soluzione destinata a protrarre la piaga sociale dell'aborto clandestino. L'alternativa resta fra una pessima legge a marzo o il referendum ad aprile. La polemica secondo la quale il referendum non risolverebbe il problema creando solo depenalizzazione è davvero una polemica pretestuosa: con la forza della vittoria del referendum, per l'aborto più ancora che per il divorzio, una soluzione legislativa semplice e chiara, efficace e giusta, sa
rebbe rapida e inevitabile.
Ma su questo problema scontiamo la smobilitazione del movimento delle donne, di cui siamo anche noi, come partito, come MLD e come CISA, in parte responsabili. Ma ne sono in parte responsabili quelle componenti del femminismo che hanno dato troppo facilmente per vinta questa battaglia e si sono tanto superficialmente affrettate ad abbandonarla come superata e arretrata, con la conseguenza di lasciar occupare uno spazio di vitale importanza per le donne italiane, che continuano a soffrire il dramma dell'aborto clandestino all'UDI e alla politica del Pci. Dobbiamo preoccuparci di rovesciare questa situazione e di ricreare subito la mobilitazione senza di che la truffa si consumerà entro i primi di dicembre alla Camera e nei primi due mesi dell'anno prossimo al Senato sottraendo lo strumento del referendum alle donne e al paese.
Ma su tutti gli altri punti la situazione è analoga.
Sul Concordato, il segretario del PSI Bettino Craxi nella sua relazione al Comitato Centrale dà già per scontato che la Corte Costituzionale ne dichiarerà la inammissibilità: lo ha dichiarato con una tale sicurezza che ci sarebbe da chiedersi se è una notizia o una previsione del segretario del PSI, se non confidassimo nella autonomia della Corte Costituzionale.
Sui Tribunali e sui codici militari sembra cominci a farsi strada sotterraneamente la tesi abnorme secondo la quale non potrebbe darsi luogo ai referendum abrogativi di un intero corpo di legge quale è il codice militare di pace o di un istituto dello Stato quale è l'ordinamento giudiziario militare. Per intender la gravità basterà ricordare che nel nostro ordinamento giuridico referendum e corte costituzionale sono stati creati proprio con il compito istituzionale di creare vuoti giuridici, cioè abrogazioni di leggi e che il Parlamento esiste proprio per riempire con i propri strumenti legislativi anche di emergenza questi vuoti giuridici.
Sulla legge Reale, con criteri analoghi si arriva a sostenere che persino i recenti peggioramenti introdotti dal governo Andreotti varrebbero ad impedire il referendum per il mutamento dell'oggetto della richiesta di abrogazione, che riguarda l'intera legge.
Sull'Inquirente i partiti sono già al lavoro per concordare una nuova regolamentazione. E poiché anche la modifica della legge manicomiale non comporterebbe alcun problema tecnico, le uniche difficoltà politiche si concentrerebbero sul Codice Rocco e sul finanziamento pubblico. Ma se così andassero le cose per gli altri referendum, se gli altri fossero bloccati davanti alla Corte Costituzionale e alla Corte di Cassazione, a quel punto troverebbero certamente, e ne avrebbero la possibilità e i tempi, le soluzioni politiche e legislative per impedire anche questi ultimi due.
Il problema si ripropone negli stessi termini e con la stessa urgenza di quando due mesi fa abbiamo dovuto affrontare l'attacco portato all'istituto del referendum e all'art. 75 della Costituzione e come allora è essenziale creare un fronte politico di consensi e di dissensi su ciascun referendum. Dovremo ripetere, moltiplicando per otto, quello che abbiamo fatto su quell'unico problema.
Si parla molto di verticismo nel nostro partito, e di centralismo democratico, di indicazioni calate dall'alto, di mancanza di informazione. Ecco, siamo qui in congresso tutti assieme, compagni, a dover affrontare una situazione difficile nei prossimi cento giorni nei quali dovremo essere capaci di creare le condizioni per affrontare la lotta dei cento giorni successivi, che saranno quelli decisivi per arrivare alla campagna per il SI.
Su questo le analisi sono note, credo unanimemente condivise, le informazioni e gli elementi di valutazione non mancano e siamo tutti in grado di ottenerle giorno per giorno facilmente senza aspettare che ci siano inviate e abbiamo qui lo strumento collettivo per impostare e delineare un'azione comune articolata di difesa dei referendum. Un segretario nazionale di partito può al massimo predisporre gli strumenti giuridici di difesa dei referendum davanti alla Cassazione e alla Corte Costituzionale, ma sarebbe una difesa tecnica priva di risonanza e di credibilità se non fosse preceduta dal confronto, dal dibattito nelle sedi universitarie, sui giornali, e dalle iniziative militanti del partito o da convegni e dibattiti capaci di rimbalzare dalle diverse sedi sugli strumenti di informazione e attraverso di essi sull'opinione pubblica e sulla Corte Costituzionale, sulla Cassazione, sui vertici dei partiti politici e del parlamento.
Il gruppo parlamentare potrebbe organizzare la difesa politica in Parlamento, ma a quel punto la battaglia sarebbe già probabilmente perduta se non ci fosse stata prima lotta politica nel paese. Le truffe contro la Costituzione e contro la democrazia possono avvenire soltanto nel silenzio e nella disinformazione. E la battaglia sarà perduta se ci limitassimo a difenderci invece di attaccare per primi. E questa è una battaglia che non può essere delegata ad un solo centro di iniziativa. Mai come in questo congresso il lavoro di commissione è così importante e non può essere ridotto ad un dibattito generico.
Il progetto politico che può uscire su questo dal Congresso può prevedere alcuni strumenti comuni e alcuni elementi di coordinamento, ma per il resto non può che essere affidato ad una pluralità di iniziative e di centri di iniziativa. Dai metodi di azione diretta nonviolenta, ai programmi dei partiti regionali, ai rapporti con gli altri partiti, alle iniziative da intraprendere per coinvolgerne e informarne le basi, abbiamo davanti un ampio terreno di discussione, di progettazione, di iniziativa e di sperimentazione. Può essere per tutto il partito un momento ulteriore di crescita, di crescita della sua forza politica complessiva e delle sue componenti federative.
Consentitemi qualche riflessione necessariamente rapida su questi problemi, sui quali si è aperto un interessante dibattito che io ritengo debba trovare un punto di riflessione collettivo in un convegno teorico e organizzativo che dovrebbe essere previsto nella mozione conclusiva.
E' vero che questo è un partito statutariamente non centralistico, fatto di realtà regionali, starei a dire di nazionalità regionali, che rappresentano i momenti e le strutture centrali fortemente autonome della vita del partito. E invece gli organi nazionali sono ancora i momenti centrali e gli interlocutori principali dell'iniziativa politica radicale e gli interlocutori principali del partito ad ogni livello.
Bisogna evitare che questa contraddizione oggettiva diventi l'occasione di una falsa dialettica fra partiti regionali e associazioni locali che imputano, invece, questa situazione all'insufficiente iniziativa delle realtà associative locali e regionali. Io credo che dobbiamo guardare alla realtà oggi del partito e stare attenti nella gestione e nelle scelte politiche e organizzative a favorire la crescita del partito e dello statuto, limitando la delega e le funzioni degli organi nazionali e favorendo il decentramento e la pluralità delle iniziative.
Ma questo è necessariamente un processo graduale, la cui lentezza credo non sia imputabile nè al prepotere degli organi nazionali, nè alla scarsa iniziativa delle associazioni e dei partiti regionali.
Possiamo chiederci perchè non esistono ancora iniziative regionali che abbiano lo stesso spessore e importanza delle nostre lotte nazionali o perchè, ad esempio, non siano stati messi in atto referendum regionali che pure sono previsti già in molte regioni. Io credo che la risposta vada data e ricercata nel fatto che il partito ci ha messo 10 anni ad elaborare e a trovare gli strumenti e la forza politica per attuare la sua strategia referendaria mentre le realtà regionali del partito sono ancora allo stato nascente con dietro le spalle nei migliori dei casi due o tre anni di esperienza di vita organizzata. Ma se non stiamo attenti a questa realtà, se ci dimentichiamo che la nostra democrazia federativa è affidata alla pluralità delle organizzazioni e delle iniziative, rischiamo di produrre, magari con la migliore delle ipotesi, non il partito libertario e federativo del nostro statuto, ma un centro direzionale ancora più forte, con strutture decentrate che hanno solo l'illusione, come in tutti i partit
i tradizionali, del controllo democratico, ma che in realtà sono strutture subalterne e prive di vita autonoma.
Certo non possiamo ignorare i costi che la lotta per i referendum quest'anno ha comportato per il partito. Essa ha soffocato tutta una serie di caratteristiche che sono state sempre e sono tuttora dati di diversità del partito: le azioni dirette, lo sviluppo della sperimentazione della lotta nonviolenta e della disubbidienza civile, le lotte per la liberazione sessuale, per la droga, per il femminismo radicale, l'antimilitarismo, le azioni giudiziarie per i diritti civili, i nuovi movimenti di liberazione: penso agli handicappati e, in prospettiva, agli anziani, ai nuovi impegni per una diversa qualità della vita, per riappropriarci dell'ambiente, della città, della natura.
E tuttavia questo è rimasto il partito delle diversità e delle nuove lotte di liberazione, dell'alternativa, non solo perché i diversi erano intorno ai tavoli a raccogliere le firme, ma anche perché senza iniziative del partito e senza bisogno di mandati congressuali, nuove esperienze di lotta si sono intraprese nella vita delle associazioni o per iniziativa dei radicali. Possiamo avere la sensazione che certe caratteristiche peculiari del partito si siano attenuate con l'impatto dell'impegno politico così assorbente come è stato quello della raccolta delle firme. Ma è una sensazione sbagliata. Se vinceremo questa battaglia politica, se riusciremo a difendere questo patrimonio alternativo che ci è stato consegnato da 700.000 cittadini e con esso ad allargare gli spazi di libertà e di democrazia nel paese, avremo creato le condizioni e le premesse per lo sviluppo delle lotte alternative e di liberazione.
Altrimenti, con una sconfitta della democrazia e delle speranze alternative sarebbe di nuovo sconfitta e schiacciata quell'enorme maggioranza che è costituita dall'insieme delle minoranze e delle diversità.
C'è chi pone la domanda di quale sia il nostro rapporto con i comunisti per tacere dei molti che ci accusano di anticomunismo. Non abbiamo bisogno di ricordare che siamo l'unica forza politica che con assoluta coerenza persegue l'obiettivo della alternativa unitaria della sinistra al governo del paese. Ad un'unica condizione: il rispetto integrale della piena attuazione della democrazia politica e dei principi di sovranità popolare che sono scritti nella nostra Costituzione.
Di essa il referendum non è un elemento accessorio, ma un elemento fondamentale di controllo popolare sulla attività del Parlamento. Non è una condizione di poco conto ma è l'ipotesi libertaria di costruzione del socialismo non attraverso la presa del potere ma attraverso la diffusione della democrazia. Per questo i nove referendum sono tanto importanti. Da ciò che accadrà nei prossimi cento giorni si capirà che tipo di società avremo in Italia: se una società repressa è rigidamente controllata dall'alto o la società libera, se una democrazia costituzionale o una democrazia corporativa e protetta. E sapremo anche che tipo di sinistra avremo: se una sinistra preoccupata del potere e dei compromessi del potere o una sinistra che si affida alla democrazia per realizzare il cambiamento della società e dello Stato.
Nelle apparentemente grandi come nelle apparentemente piccole cose, i grandi assenti dai compromessi dei partiti dell'esarchia sono gli interessi della collettività, gli interessi generali del paese che coincidono con l'emancipazione delle classi subalterne. Dietro i supremi principi del laicismo e i rapporti tra Stato e Chiesa evocati dalla lettera di Berlinguer a Mons. Bettazzi e dietro la polemica che ne è seguita non ci sono questioni di filosofia politica ma c'è la vertenza della legge 382: cioè una questione di privilegi clericali e concordatari. Nella legge della caccia una corporazione potentissima di non più di 3 milioni di cacciatori si impone alle ragioni della difesa della natura e all'esercito non organizzato e privo di voce e di possibilità di espressione dei non cacciatori. Sulla questione nucleare decisioni che investono l'avvenire stesso del paese e scelte economiche destinate ad incidere anche sulle generazioni future, vengono prese sopra la testa della gente, cui si nega non solo il d
ibattito ma anche l'informazione. Sull'ordine pubblico è inutile ricordare le leggi peggiorative del Codice Rocco e della Legge Reale che sono state varate nel corso di un anno stravolgendo i principi della Costituzione. So che il partito nella grande maggioranza è contro queste leggi e per antica scelta politica dei suoi congressi o per convinzione diffusa dei suoi militanti. Ma se anche per avventura non fossimo contrari a qualcuna di queste leggi, ciascuna di esse meriterebbe comunque un referendum perché ciascuna di esse investe interessi diretti di tutti i cittadini, la loro vita, il loro habitat e il loro futuro. E in un regime fondato sul compromesso istituzionale l'unico strumento di controllo e di confronto democratico rimane il referendum. Non è una proposta formale che faccio al Congresso nella situazione attuale del partito. Non è una decisione che responsabilmente possiamo prendere qui ed oggi. Ma ritengo che il Congresso non debba precludersi questa possibilità e debba anzi valutarla attentamen
te e demandare ai partiti regionali agli organi nazionali, in primo luogo al Consiglio Federativo, il compito di approfondirla e di prendere eventualmente le relative decisioni.
La promozione di altri referendum su nuove leggi approvate dal Parlamento, o in via di approvazione, sarebbe la migliore risposta a chi ci rimprovera l'abuso di questo strumento e la dimostrazione della necessità e della rispondenza di questo istituto all'esigenza dello sviluppo della democrazia che è stata troppo a lungo paralizzata e soffocata da maggioranze autoritarie e dalla politica dei compromessi di vertice.
Come nel 74, quando in polemica con le altre forze della sinistra, anche extraparlamentare, dicevamo che si difendeva il referendum per il divorzio e se ne preparava la vittoria promuovendo altri referendum. Se il partito fosse stato in grado di realizzare quel progetto, allora oggi sarebbero diverse le condizioni della democrazia italiana. Con altri referendum difenderemmo ancora una volta l'istituto, la Costituzione, la democrazia e i referendum pendenti con la migliore arma che abbiamo a disposizione: ricercando il consenso in mezzo alla gente, nelle strade, nelle piazze, sui marciapiedi, nei luoghi di lavoro, nelle città e nei paesi. In questa politica, nelle lotte di tutti questi anni, compagne e compagni, nei nostri referendum è il nostro antifascismo: di laici e di nonviolenti che non ricercano nell'avversario il mostro o il perverso.
E' l'unica risposta che dobbiamo a chi farnetica di inquinamenti fascisti nel nostro partito.
Un nonviolento non ha paura di essere inquinato dalla violenza del potere: può esserne colpito al pari degli altri, ma può meglio disarmarla perché non vi offre coperture e giustificazioni; un partito libertario non ha paura di essere occupato, perché nessuno se ne può impossessare. Sono queste le caratteristiche del nostro partito che dobbiamo tenere gelosamente ferme per continuare ad essere come ci descriveva e come ci voleva Pasolini: "...bisogna lottare per la conservazione di tutte le forme, alterne e subalterne, di cultura. E' ciò che avete fatto voi in tutti questi anni, specialmente negli ultimi. E siete riusciti a trovare forme alterne e subalterne di cultura dappertutto: al centro delle città e negli angoli più lontani, più morti, più infrequentabili. Non avete avuto alcun rispetto umano, nessuna falsa dignità, e non siete soggiaciuti ad alcun ricatto. Non avete avuto paura nè di meretrici nè di pubblicani, e neanche - ed è tutto dire - di fascisti".