La decisione del XIX Congresso sul finanziamento pubblico Gianfranco SpadacciaSOMMARIO: Un anno e mezzo di dibattito nel partito, una decisione ribadita da quattro congressi, nessuna seria proposta alternativa: l'alienazione del finanziamento pubblico dal Partito, e la sua conseguente assegnazione al Gruppo parlamentare radicale nella sua autonoma responsabilità, stanno già dispiegando la loro carica politica di rottura, "scandalosa". Pci e Psdi danno segni di allarme; le stesse incomprensioni o strumentalizzazioni interne servono solo ad amplificare la portata di questa operazione politica di grande respiro. Resta sul Partito, in piena chiarezza, più grave che mai, il peso del deficit della campagna referendaria: per questo la mobilitazione per l'autofinanziamento decisa da Congresso deve partire immediatamente. Da oggi la continuità del partito e la difesa dei referendum dipendono dalla responsabilità di ogni compagno.
(NOTIZIE RADICALI n. 233, 18 novembre 1977)
Sono stato accusato di essere "abile" e "spregiudicato" (Lopez su "Repubblica"), di essermi comportato con l'abilità di un "politico consumato" ma poco radicale (secondo il compagno Ludovico). Si è scritto e detto anche di peggio e da compagni che mi sono cari. Sono accuse che possono ferirmi, ma che mi fanno anche sorridere. So di essere al contrario, spesso, addirittura maldestro e un po' imbranato. Se ho una forza e una capacità è quella che mi deriva dalla convinzione, quando sono convinto delle cose che ho capito. E capisco soprattutto le soluzioni semplici e chiare.
Ciò che da mesi avevo capito (era stato due mesi fa il motivo delle mie dimissioni da presidente del consiglio federativo) era che:
1) il partito non avrebbe retto un altro congelamento del finanziamento pubblico perché tale congelamento preparava di fatto l'utilizzazione diretta di quei fondi da parte del partito e a fini di partito;
2) il partito non poteva permettersi il lusso di tenere congelati quei fondi a tempo indeterminato e di non utilizzarli di fronte a fatti gravi come quelli accaduti il 12 maggio maggio e quelli che stanno accadendo nella democrazia italiana;
3) era difficile se non impossibile arrivare a una utilizzazione di quei fondi non a fini di partito, facendoli amministrare e gestire, direttamente o indirettamente, dagli organi di partito.
Questi problemi mi hanno angosciato, come hanno angosciato Paolo e Adelaide. La soluzione che ho proposto al congresso deriva da queste convinzioni. L'ho proposta perché ha il pregio della chiarezza e della linearità. Se fossero emerse proposte altrettanto semplici e chiare le avrei accettate. Ho dialogato per ore con il compagno Regazzini che proponeva la costituzione di un istituto per la democrazia diretta: era una proposta che aveva anch'essa il pregio della semplicità, ma che peccava a mio avviso anche di formalismo e di amore della simmetria oltre ad essere eccessivamente limitativa. Ma al di fuori della proposta Regazzini, le altre, tutte le altre, erano o proposte pasticcione (la fondazione affidata a terzi), che non a caso non sono arrivate in congresso, o la proposta pura e semplice dell'utilizzazione del finanziamento pubblico da parte del partito. E abbiamo visto fiorire nel giro di poche ore i progetti più disparati.
Mi sono battuto, laicamente, onestamente contro queste proposte come mi opposi a settembre all'idea che il gruppo venisse a portare al partito alcuni progetti di utilizzazione del finanziamento pubblico, sulla base di proposte che pure in gran parte condividevo: accertandole, o modificandole il congresso e il partito sarebbero divenuti responsabili di scelte che poi non avrebbero potuto gestire e controllare in prima persona.
Ribadisco qui le ragioni che fanno di questa mia proposta l'unica proposta valida, nella quale ho creduto e nella quale si è riconosciuta la maggioranza del congresso e la maggioranza qualificata del congresso federativo:
1) il gruppo è, secondo lo statuto e per prassi, un soggetto che gode piena autonomia dal partito (i suoi parlamentari non sono vincolati ad alcuna disciplina di partito);
2) per l'unità politica sostanziale che fino ad oggi nulla ha incrinato, il gruppo è il migliore garante che quei soldi saranno spesi e spesi bene, coerentemente e non in contraddizione con le proprie impostazioni di principio;
3) affidarli al gruppo perché li spenda nell'ambito delle sue funzioni legislative, di indirizzo e di controllo, a fini quindi non di partito, crea un elemento di contraddizione, ricco in prospettiva di potenzialità, all'interno del regime perché consente un confronto sul ruolo dei gruppi parlamentari negli altri partiti e sull'uso che questi partiti fanno del finanziamento pubblico. Il passo annunciato da Preti, le reazioni dell'Unità e di Paese Sera dimostrano che la pericolosità di questo confronto e di questa contraddizione è già stata avvertita.
Per il resto saranno i fatti a parlare. I compagni che ci contestano esercitano un loro diritto purché non pretendano di contestare la legittimità statutaria e la piena rappresentatività del congresso e del consiglio federativo. I nostri avversari fanno il loro mestiere nell'utilizzare le contestazioni di questi compagni. E' lo scotto che una forza alternativa come la nostra deve pagare per la sua pericolosità. Non c'è, come per il 12 maggio che affidarsi al tempo, ai fatti, alla validità, chiarezza e limpidità delle nostre scelte.
E certo una soluzione traumatica: i compagni, tutti i compagni devono rendersi conto che il nostro problema non è il finanziamento pubblico, ma l'autofinanziamento. Il nostro problema è il deficit. Per mesi questo problema è stato rimosso e ignorato. Questa soluzione congressuale del finanziamento pubblico non lo cancella, lo riporta in primo piano, come il problema reale del Partito Radicale, quello che può compromettere nei prossimi mesi la nostra organizzazione e le nostre lotte.