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Argomenti Radicali - 20 dicembre 1977
Una rivista, un partito, congresso, finanziamento pubblico

SOMMARIO: Il PR, dopo la stagione dei referendum ed il Congresso di Bologna, affronta un periodo di forte isolamento. Disagio fra "centro" e "periferia". Grava la questione finanziaria. Per questi problemi importante è il ruolo della rivista "Argomenti Radicali". E' stato difficile tenere insieme il Congresso, sia sul tema delreferendum, sia sul tema della quota di finanziamento pubblico. Espellendo dalle proprie casse la quota di 1600 milioni, il PR ha dato un esempio di diversità politica che può riqualificarlo. Inoltre "Argomenti Radicali" può risultare un rafforzamento per tutti.

(ARGOMENTI RADICALI, BIMESTRALE POLITICO PER L'ALTERNATIVA, Dicembre '77 Gennaio '78, n. 5)

Più frequentemente che ad ogni altra forza è capitato al PR di trovarsi nella necessità di ripensare compiutamente se stesso, di "rifondarsi". Glielo impone la sua stessa natura di partito privo di insediamenti sociali consolidati e di apparati burocratici permanenti, e che perciò può vivere solo sull'iniziativa, sui consensi che di volta in volta sa suscitare, senza garanzie di durata; glielo impone insomma il suo essere una forza posta strutturalmente di fronte al bivio fra il rilancio, la capacità di rinnovare i successi alzando il tiro - e la scomparsa.

Quello attuale è per i radicali appunto uno di quei momenti in cui l'incalzare drammatico della lotta politica obbliga ai bilanci; per poter poi subito ripartire, avendo lucidamente individuato le strade nuove da percorrere. Il congresso di Bologna e gli avvenimenti successivi lo hanno mostrato con chiarezza. Per parte nostra non possiamo esimerci dall'affrontare questo nodo, avviando un discorso che coinvolge naturalmente anche quello del ruolo che questa rivista vuole avere rispetto al partito e all'area radicale.

La posta in gioco

Il XIX congresso del PR di Bologna si apriva in una fase politica cruciale. Da una parte si aveva alle spalle il successo dell'impresa gigantesca, "impossibile", della raccolta delle firme; un risultato esaltante che segnava il coronamento positivo del progetto politico centrale del PR dal 1972 in avanti, e che il congresso era chiamato a celebrare per trarne le necessarie conseguenze. Dall'altro lato, invece, incombeva il pericolo che tutto si vanificasse, che con l'uno o con l'altro gioco truccato i partiti dell'esarchia trovassero il modo di non far tenere i referendum. Al di là delle singole iniziative - i progetti di modifica della legge sul referendum prima, poi i cavilli per dimostrare l'inammissibilità uno per uno dei referendum richiesti - stava, e continua a stare, il dato sempre più evidente che i partiti dell'accordo a sei non vogliono e non possono tollerare che si arrivi al voto popolare. Questo per le ragioni che anche noi abbiamo cercato di lumeggiare ormai molte volte: perché i referendum sa

rebbero un elemento grave di disturbo dell'accordo fra i partiti; ma, soprattutto, perché metterebbero in crisi il progetto-base su cui quel patto si fonda, cioè il subordinare in tutti i loro aspetti stato e società civile alla "concordia discors" lottizzatrice degli apparati di partito.

Sono questi i dati di fondo che rendono chiaro perché non possa non toccare al PR oggi il compito di farsi carico del ruolo essenziale dell'opposizione, e che cosa questo significhi. Da un lato la testimonianza della forza enorme che la proposta e i metodi radicali, e solo essi nello smilzo schieramento delle opposizioni, possono trovare nel paese; dall'altro il senso della quasi risibile debolezza del PR in quanto tale di fronte alla massa schiacciante e alla straordinaria quantità di mezzi su cui possono contare gli avversari. Dominava il congresso, così, la consapevolezza che dall'esito dell'impari battaglia sui referendum dipende la possibilità per il Partito Radicale di confermarsi o di diventare la grande forza che dall'opposizione condiziona l'intera vita politica del paese, pesa in modo determinante sui suoi sviluppi, apre la strada a una crescita di libertà e autogoverno democratico indispensabile per arrestare la degenerazione della società italiana; o al contrario il suo decadimento a gruppetto ir

rilevante, al partitino dell'un per cento, dei quattro deputati, "inutili rompiscatole". Con tutto quel che ciò comporterebbe per il paese: lo stabilirsi di una invincibile cappa di regime, la morte definitiva delle opposizioni democratiche all'interno delle istituzioni che lascerebbe il campo aperto al dilagare della risposta disperata e suicida del partito armato.

Il congresso poi si trovava di fronte anche ad altri difficili problemi, di cui era quasi un simbolo l'appena avvenuta presa di posizione del PCI e del PSI - l'unica sul contenuto dei referendum - duramente contraria alla proposta abrogativa della legge sul finanziamento pubblico ai partiti. Il PR affronta una stagione politica come l'attuale in uno stato di profondo isolamento, con un rapporto sempre più aspro con le grandi forze della sinistra; ciò che del resto costituisce un portato inevitabile del modo in cui evolve il quadro politico. Manca cioè oggi la possibilità di ristabilire quei rapporti di convergenza o transitoria alleanza con settori della sinistra storica che in passato si erano potuti costituire (sul divorzio, l'aborto, l'obiezione di coscienza, ecc.) e che avevano consentito alcune delle vittorie radicali degli anni scorsi. I congressisti sapevano che ora, più che mai, al PR tocca l'onere di "fare da sé"; e sullo sfondo aleggiava il sentimento che molti dei punti di riferimento generali cui

si era appoggiato per un quindicennio il discorso radicale sono messi in forse. Fino a che punto, in che termini rimane attuale per il PR la prospettiva dell'alternativa attraverso l'unità delle sinistre, quando il rinnovamento delle forze maggiori della sinistra stessa e l'unità che esse realizzano vanno nella direzione opposta, in gran parte, a quella sperata? Fino a che punto risulta ancora percorribile la strada dell'"area socialista" quando nel PSI si affievoliscono sempre più, sepolti nella subordinazione alla logica dell'accordo tra i partiti che reciprocamente si riconoscono come legittimi, quei caratteri che ne facevano alla fin fine e malgrado tutto il punto di riferimento dell'iniziativa radicale?

Le tensioni interne

Erano in primo luogo queste le ragioni, attinenti alla realtà con cui il partito si trovava a confrontarsi, che determinavano il clima preoccupato in cui il congresso si riuniva. Però, è inutile nasconderselo, non venivano solo da fattori esterni i motivi della tensione che lo percorreva.

Già nei precedenti congressi erano venuti alla luce dati di inquietudine e di malessere, usciti fuori come manifestazioni diffuse di dissenso per il modo di essere del partito al proprio interno. Ma le tensioni si erano poi sempre ricomposte, o ridotte a elementi marginali, per un convergere faticoso di sforzi in questo senso da ogni settore delle energie dirigenti del partito, e perché gli elementi di malcontento non avevano saputo o voluto tradursi in concrete e credibili iniziative congressuali.

A Bologna i fattori di disagio si riproponevano più forti che mai. Si configuravano come tensione tra "base" e "vertice" del partito, fra "centro" e "periferia", magari fra partito e gruppo parlamentare, fra le aspirazioni a un consolidamento del partito, della sua continuità, e le tendenze ad accentuare i caratteri di aggregazione sempre provvisoria. Ovviamente tutti questi dati di conflitto potenziale risultavano esaltati nella situazione nuova creatasi nel 1977, con una battaglia per la raccolta delle firme di cui erano stati protagonisti in primo luogo i gruppi locali e regionali, e nella quale il corpo collettivo del partito tutto intero aveva pesato di per sé, rispetto alle iniziative "di vertice", assai più che in passato.

Come mai in precedenza la "periferia" giungeva al congresso sentendosi forte, autorevole, in diritto di partecipare senza complessi di inferiorità alla determinazione delle scelte e alla direzione del partito. In molti invece - a ragione o a torto importa poco - era viva la sensazione di essere in gran parte tagliati fuori: sia per la scarsa circolazione delle informazioni all'interno del PR (il lamento ricorrente di essere costretti ad apprendere solo dai giornali che cosa fanno i radicali); sia, soprattutto, per l'esperienza di essere stati ripetutamente messi di fronte a fatti compiuti di grande rilievo, che comportavano scelte di fondo per la vita del partito e che comunque lo coinvolgevano, ad opera degli organi dirigenti o dei parlamentari, senza avere in nulla potuto contribuire alle decisioni e trovandosi solo a doverle sostenere. E alcune di queste scelte, come è ben noto, nel corso dell'anno avevano provocato forti contraccolpi non solo all'esterno, ma anche fra i radicali (gran parte dei quali, pu

ò essere il caso di ricordarlo, sono per formazione e estrazione politica, e dunque per "istinti", diversi da molti dirigenti storici del PR). Del resto sono state certo in gran parte di questo tipo le ragioni per cui centinaia, forse migliaia di persone in questi anni non hanno trovato il modo di inserirsi positivamente nel PR, sicché dopo qualche mese di militanza lo hanno abbandonato; le ragioni insomma di quel vorticoso, continuo ricambio tra gli iscritti radicali, cui si contrappone invece la solida continuità di un nucleo centrale, via via arricchito naturalmente da nuovi apporti, che rimane in ogni caso unico custode della "memoria storica" del partito.

La questione finanziaria

Da un punto di vista opposto, il congresso si trovava a fare i conti anche con un altro elemento di squilibrio. Infatti il partito, eccezionale struttura di mobilitazione nel paese, è finora risultato capace di iniziativa politica solo al centro; mentre indubbiamente la "periferia", le associazioni, i partiti regionali, non hanno mai saputo produrre molto su questo piano (non è ovviamente possibile qui analizzarne le cause). Era questa l'implicita risposta polemica, il rimprovero che il "centro" opponeva alle lamentele della periferia; ma costituiva anche, più o meno consapevolmente, una ragione di inquietudine profonda per tanti militanti della periferia, giacché è radicata e diffusa la convinzione che senza una crescita collettiva del partito, se esso non saprà diventare davvero - secondo il modello del suo statuto - il luogo di raccolta e di coordinamento di una molteplicità di centri d'iniziativa politica sorgenti dal paese, non gli sarà possibile assolvere ai compiti politici gravissimi che ricadono su

quella che è ormai quasi l'unica forza, l'unica espressione dell'opposizione.

Gravava infine sul congresso l'incubo della questione finanziaria. Restava irrisolto il problema del debito, oltre 300 milioni, accumulato nella campagna per i referendum, enorme e spropositato per una forza basata sull'autofinanziamento, tale da minacciarne la concreta paralisi. Stava poi sul tappeto, difficilmente prorogabile, la necessità di una scelta sulla destinazione della quota di finanziamento pubblico assegnata al PR; e la soluzione comportava decisioni difficili, di grande momento sia per quel che concerne la vita interna del partito, sia per la sua immagine esterna, nel momento in cui proprio il tema del finanziamento pubblico ai partiti diventava uno dei terreni più caldi di scontro con le forze maggiori della sinistra.

Questa, nell'insieme, la situazione intricata e complessa in cui il congresso si apriva; e larghi settori del gruppo dirigente ne traevano motivi di profonda preoccupazione, intravvedendo il rischio che le tensioni accumulate esplodessero, travolgendo il congresso fino a impedirgli di ritrovarsi unito a rilanciare l'iniziativa radicale in una fase politica che esige, quant'altre mai, l'unità e la compattezza del partito.

Una rivista per i radicali

Il discorso, a questo punto, si salda naturalmente con quello sul ruolo di "Argomenti Radicali". La rivista è sorta proprio dalla constatazione che i compiti sempre più gravi cui è chiamato il PR e il suo stesso gonfiamento quantitativo e la sua crescita politica determinano il bisogno di strumenti nuovi rispetto al passato. Il gruppo di compagni che ha promosso questa iniziativa politico-editoriale si è mosso dalla convinzione che la presenza radicale nel paese non potrebbe reggere a lungo in mancanza di un lavoro di approfondimento collettivo, nel partito, dei temi politici su cui esso si trova a confrontarsi; e che questo rappresenta un passaggio indispensabile perché cresca politicamente un numero sempre maggiore di radicali che, in tutte le sedi, siano capaci di operare da soggetti di iniziativa politica e non solo da esecutori di direttive decise in sede nazionale.

Promuovere le strutture, gli spazi e i canali in cui questo processo collettivo riguardante alcune o molte migliaia di persone potesse avvenire era un onere che l'organismo centrale del PR, gravato da impegni e preoccupazioni legate all'operatività dell'azione giorno per giorno, in parte non doveva e in parte non poteva né sapeva assumersi. Nello spirito autonomistico e federale dello statuto, occorreva un'iniziativa autonoma che, per il partito, in funzione del partito, riempisse questo vuoto, rivolta ai radicali del PR e a tutti i settori dell'opinione pubblica coinvolgibili nella battaglia radicale, o interessati ad essa. Così è nata la rivista: come un tentativo - efficace o no non sta a noi giudicarlo - di contribuire alla soluzione di problemi che travagliano a fondo il partito; di quei problemi appunto di cui sopra si è parlato e che al congresso sono riemersi puntualmente in tutta la loro vitale serietà.

In questo senso abbiamo operato in quest'anno di lavoro politico comune. L'impegno della rivista è stato volto in primo luogo a cercar di fornire al partito strumenti per ripensare i termini di una situazione politica in rapida e intensa evoluzione, per valutare la collocazione necessariamente nuova in essa dei temi tradizionali e delle iniziative di lotta del PR. Si è detto, talora, che possono configurarsi due diverse visioni della nostra forza politica di minoranza: l'una che, molto schematicamente, la considera un partito che nasce e muore e si rigenera radicalmente su ogni singola e specifica iniziativa; l'altra che ritiene necessaria la creazione di un filo rosso di memoria collettiva e di accumulazione politica (per tutto il partito e non solo per un gruppo ristretto), incarnato anche in istituzioni, strumenti e canali persistenti. Se questa distinzione può esser ritenuta valida, noi stiamo decisamente a favore di quest'ultimo modo di intendere il partito, proprio in rapporto con la fase di sviluppo a

ttuale della situazione politica e del ruolo del PR in essa. I radicali oggi hanno bisogno anche di irrobustirsi con le armi dell'approfondimento e della consapevolezza di sé. Con la rivista abbiamo cercato di offrire un contributo in questa direzione; e con gli stessi intenti alcuni di noi hanno pubblicato un libro sulla storia e le caratteristiche dei "nuovi radicali" che si pone come un momento dell'iniziativa politica di cui la rivista è espressione.

Ovviamente in questo stesso spirito abbiamo cercato di contribuire alla preparazione del congresso (e non solo con lo specifico documento sui problemi del partito pubblicato sul numero scorso; in fondo tutti i quattro numeri di "Argomenti Radicali" hanno avuto un significato di questo genere); come poi abbiamo partecipato ai lavori del congresso stesso - nei modi, con le iniziative e con gli esiti di cui si discorre in altra parte di questo fascicolo.

Un congresso tormentato

Il congresso, con il suo andamento, ha confermato la presenza dei dati di contraddizione di cui sopra si è parlato. L'alto numero dei partecipanti, il livello e la qualità del dibattito, hanno confermato il quadro di un partito complessivamente cresciuto e rafforzato. Si è potuto constatare che i partiti regionali cominciano a esistere davvero, che si moltiplicano le situazioni locali di presenza radicale vigorosa; che il PR ormai va configurandosi come una realtà consolidata nel paese, anche al di là delle iniziative del centro romano e del gruppo parlamentare. Ma i fattori di turbamento hanno giocato in modo pesante e grave sullo svolgimento e sull'esito dei lavori.

I timori di parte del gruppo dirigente prima ricordati, certo non ingiustificati, sono risultati però di fatto paralizzanti: la preoccupazione divenuta centrale di "tenere insieme" il congresso, di evitare i rischi di sbandamenti, hanno finito - contro le intenzioni di tutti - per compromettere lo sforzo collettivo volto a individuare i modi in cui difendere i referendum e, in generale, rispondere alle esigenze del momento politico. Lo si è visto in modo clamoroso in due episodi: quello che si è svolto intorno al contrasto fra un gruppo di redattori di "Argomenti Radicali" e un'altra parte del gruppo dirigente (circa il quale si rinvia allo scritto riportato più oltre); e quello relativo alla decisione sul finanziamento pubblico.

Nella presenza, nelle proposte portate in congresso dai compagni di "Argomenti Radicali" e da altri congressisti che le condividevano, si è temuto - probabilmente per un accumularsi di equivoci - un elemento destabilizzante, magari un possibile punto di riferimento e di aggregazione per le tensioni presenti in congresso; e si è risposto con un gesto clamoroso di rottura, ingiustificato e comunque fuori misura, con l'intento evidente di stroncare il supposto pericolo; ma con l'unico risultato di sconvolgere il clima del congresso, di creare una grave lacerazione, di scatenare proprio quei processi di cui si aveva timore, di portare in primo piano inesistenti personalismi di ogni genere e dinamiche di rissa e di fazione (per parte loro i collaboratori di "Argomenti Radicali" hanno operato per ridurre al minimo i danni, non accettando scontri su questo piano); mentre i contenuti politici del dibattito, la discussione sulle scadenze drammatiche che stanno davanti al partito passavano in secondo piano, e veniva

a mancare la possibilità di approfondirli. Esito di tutto ciò sono stati una mozione che non ha saputo raccogliere i suggerimenti provenienti da un dibattito pur ricco e variegato, risultando vaga e povera di indicazioni concrete; e una votazione che per la prima volta nella storia del PR non ha consentito che si raggiungessero i 3/4 sulla mozione politica.

In questo clima si è poi giunti a discutere la questione della destinazione della quota del finanziamento pubblico di spettanza del PR. L'atmosfera ormai dominante in congresso, la preoccupazione - ancora una volta - che non si riuscisse ad arrivare in porto con la soluzione ritenuta accettabile, hanno fatto sì che su una questione di tanta importanza, così difficile e delicata, non si riuscisse a sviluppare - come era indispensabile - un dibattito sereno e attento, ma si andasse a uno scontro confuso quanto duro e a una chiusura di ogni spazio di dialogo. La soluzione che alla fine è uscita, che senza essere l'unica ipotizzabile certamente era una delle scelte possibili, e alla quale in altre condizioni si sarebbe potuti giungere come a una decisione difficile, ma forte sia verso l'esterno, che all'interno del partito; la soluzione adottata, dicevamo, è stata in tal modo approvata da una maggioranza non ampia con lo spirito del "serrate le fila", e sentita da una grossa minoranza come un'imposizione violent

a e quasi un sopruso.

Le premesse per un rilancio

Un congresso con luci ed ombre, insomma. Da un lato l'assise più vasta e più partecipata mai tenuta dai radicali, lo specchio del consolidamento della loro forza nel paese; dall'altro un'assemblea che non ha saputo rispondere a sufficienza alle domande e alle aspettative dei partecipanti, e che ha provocato in molti amarezza, talora rivolta. Solo una visione miope però si fermerebbe qui, a un quadro tutto sommato negativo; in primo luogo perché le difficoltà sono in questo caso il frutto e la testimonianza di una maturazione, di una crescita, della ricerca di un equilibrio nuovo e più ricco. Ma una cosa soprattutto va detta: che proprio gli stessi dati di crisi hanno confermato e posto il presupposto per il rilancio del maggiore dato di forza del PR rispetto all'opinione pubblica, la sua "diversità".

Bisogna pur cogliere il valore del fatto che anche nei momenti di più acceso contrasto nessuno ha tentato di giocare nel torbido promuovendo manovre di potere travestite da battaglie ideali, come sarebbe stato facilissimo e come è pressoché di norma altrove (di qui la difficoltà per i giornalisti di capire quel che accadeva). E la stessa decisione di devolvere al gruppo parlamentare i fondi del finanziamento pubblico, che a tanti ha certamente dato l'impressione che in definitiva anche i radicali i soldi li prendono, "come gli altri", se sarà opportunamente valorizzata varrà come prova per eccellenza della "diversità" radicale. Espellendo definitivamente dalle proprie casse i 1600 milioni del finanziamento pubblico, il PR infatti ha reso più drammatico che mai, ragione davvero di vita o di morte, il proprio deficit di 330 milioni: obbligandosi a colmarlo con l'autofinanziamento o a rimanerne soffocato, e impegnandosi perciò in uno sforzo gigantesco in questo senso, il partito restituisce a se stesso il senso

pieno di quel che significhi e comporti la scelta dell'autofinanziamento e insieme rinnova nel paese la propria credibilità di forza che solo di autofinanziamento vive.

Così, anche quelli che oggi possono apparire fattori di debolezza o di incertezza possono diventare, attraverso una prassi politica di fantasia e di rigore, punti di forza per una ripresa vigorosa della presenza radicale nel paese, per le lotte di liberazione laica e libertaria.

Si tratta ora, certo, di prendere atto, da parte di tutti, che i nodi del modo d'essere del PR esistono e che non si superano se non facendosene carico in tutta la loro contraddittorietà e, contemporaneamente, ricchezza. Questo non è un proposito volontaristico ma - forse - la condizione stessa della sussistenza non meccanica di un progetto politico in atto che deve fare i conti con l'ostilità e la drammaticità del momento.

Per quel che ci riguarda direttamente - come "Argomenti Radicali" - abbiamo già ampiamente dimostrato di sapere e di potere rappresentare un rafforzamento per tutti. Ciò sia in rapporto con la capacità di farci ascoltare e di essere interlocutori in un'area più larga di quella organizzativamente inquadrata nel partito; sia anche in rapporto alla funzione di stimolo, di arricchimento e di approfondimento per i radicali del PR dai quali, sempre in misura maggiore, ci giungono inviti a continuare e migliorare il nostro lavoro nel comune interesse.

Ci pare che la richiesta emergente, nel PR e nell'area di attenzione che gli è intorno, sia quella che il progetto politico di cui siamo espressione possa costituire un punto di riferimento, nel così desolante panorama politico, affidabile e continuativo, autorevole e incisivo. E, nonostante le avverse tensioni, con la rivista ci sembra di assolvere una funzione indispensabile in questa direzione. Il rischio è che una tale funzione diventi ancor più difficile di quanto non lo sia per ragioni obiettive se non si riesce a conquistare - tutti insieme - a partire da qualsiasi attitudine o da qualsiasi posto occupato nello stesso fronte di battaglia, l'unità dei radicali senza miopie, clericalismi ed esclusivismi.

 
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