di Marco PannellaSOMMARIO: Due questioni vengono essenzialmente affrontati nel corso del convegno, quella dell'istituto del referendum che progetti di legge comunisti, socialdemocratici, democristiani sottopongono a revisioni più o meno decise e il disegno di legge governativo in tema di ordine pubblico. Questi due temi vengono affrontati in relazione ai principi stabiliti dalla Carta Costituzionale.
("REFERENDUM ORDINE PUBBLICO COSTITUZIONE", Rispondono i giuristi. Atti del convegno giuridico organizzato dal gruppo parlamentare radicale - A cura di Ernesto Bettinelli e Luca Boneschi - Tascabili Bompiani, marzo 1978)
Quasi per dovere di lealtà nei confronti dei giuristi e di tutti coloro che partecipano a questo convegno voglio loro comunicare qualcosa che può probabilmente apparire eccessivo (come spesso appaiono le nostre iniziative), ma che, a mio avviso, eccessivo non è.
Quando abbiamo cominciato a concepire questo convegno, alcuni di noi avrebbero preferito che il tema fosse: ``E' imminente l'assassinio della Costituzione?'', anche per sollecitare al massimo la critica rispetto a quello che può sembrare - se si bada all'enunciato - un dato allarmistico.
Per questo vorrei brevemente spiegare perché abbiamo deciso - proprio a fine agosto - di imporre non tanto la drammatizzazione e l'enfatizzazione di una realtà politica grave, quanto l'attenzione su un dramma che a nostro parere si sta compiendo.
A trent'anni dall'entrata in vigore della Costituzione ci troviamo a vivere in una realtà giuridica (che viene definita come ``costituzione materiale''), che rappresenta una situazione in cui i residui legislativi del passato sono tuttora operanti. Noi di questo siamo profondamente allarmati, come dimostrano gli 8 referendum proposti dal Partito radicale.
Si afferma che 8 referendum sono troppi. Ma troppi rispetto a che cosa? E' tuttora vigente una legge manicomiale del 1904, sono ancora vigenti i codici penali militari e le leggi fasciste sui tribunali militari, è vigente il codice Rocco.
Grazie non solo a Calamandrei, ma grazie anche a Terracini, grazie ai compagni comunisti e socialisti e anche ai giuristi liberali, siamo cresciuti sempre con questa indicazione: non ci può essere Repubblica, non ci può essere Costituzione, se la struttura giuridica dello Stato, caratterizzato per il 50 o per il 60 per cento da leggi quali quelle appena citate, non viene ad essere superato da leggi repubblicane.
Dobbiamo ricordare un dato: se il codice Rocco è in parte stato modificato, ciò è avvenuto per opera della Corte costituzionale, non del Parlamento. Il quadro, però, diventa sempre più fosco e non credo che possiamo oggi attenderci dalla Corte le sorprese degli anni '60, quando qualcosa si è fatto al di fuori della legalità fascista: dalla dichiarazione di illegittimità costituzionale della norma penale in materia di adulterio, fino alla pronuncia che ha liberalizzato la possibilità di informazione anticoncezionale.
Oggi sembra quasi che irresponsabilmente si creino delle situazioni di vuoto giuridico repubblicane. Ma il vuoto giuridico repubblicano non è che il ``pieno'' di legalità fascista.
Mentre la situazione sociale del nostro Paese evolve e mentre ci confrontiamo quindi con i problemi tipici di una società consumistica-industriale (le grandi concentrazioni urbane, le enormi sperequazioni); mentre cominciamo a conoscere i problemi che ancora attendono un loro Dickens moderno (che scriva di New York, di Milano o di Torino quello che di Londra, prima dell'edizione del "Manifesto", Dickens scriveva), riscontriamo delle condizioni di peggioramento rispetto all'ideologia che ispira il codice Rocco, a causa dell'approvazione delle varie leggi Reale sull'ordine pubblico. Il peggioramento appare tanto più grave se si considera che la legislazione di Rocco si presentava con una dignità tecnica e giuridica, sia pur sicuramente di classe, autoritaria, opposta alle nostre concezioni. Ma, non a caso tale normativa ha retto per 50 anni. Nel momento in cui il legislatore che dovrebbe essere repubblicano l'aggiorna con quel tipo di provvedimenti (votati nelle commissioni parlamentari in sede legislative), s
u cui ha appena riferito Bricola, pone in essere un diritto che anche tecnicamente grida vendetta. E a gridare sono gli avvocati di pretura e i magistrati che vivono nella realtà quotidiana in condizione sempre più difficili; anche in questi operatori, che magari non hanno una coscienza di classe, via via che cominciano ora ad apprendere queste novità normative, si aprono dei margini di conflitto. E si intravede quasi un tentativo di ``rivolta democratica'' del qualunquismo dinanzi all'indegnità e all'indecenza tecnica di queste norme di ``difesa pubblica'' che, con un ritmo costante, direi frenetico, ci vengono imposte. Non c'è infatti giorno in cui non veniamo a conoscere, o attraverso il Parlamento o attraverso un decreto-lege o attraverso una circolare, che vengono varate misure simili. L'iniziativa non è dei reazionari, dei Segni, dei Mazzola etc. ma del Governo!
Questi provvedimenti partono già con le stigmate di una maggioranza di ``attuazione costituzionale'' con la pretesa non casuale di definirsi in siffatto modo. In questo contesto di mistificazione costituzionale vengono meno tutte le garanzie, vengono meno gli stessi regolamenti delle Camere. Qualsiasi critica, qualsiasi momento di riflessione viene presentato come espediente ostruzionistico o, peggio, come manifestazione di ``qualunquismo paleoliberale'', come posizione reazionaria di stampa prefascista, non capace di comprendere ``il nuovo che viene innanzi''.
Che fare in questa situazione, se non sfruttare la parte attuata (anche se tecnicamente male) della Costituzione e fare dunque ricorso al referendum abrogativo?
Dopo trent'anni dall'entrata in vigore della Costituzione abbiamo la possibilità di far svolgere un solo grande referendum sostanzialmente di attuazione costituzionale per l'affossamento giuridico di tutto il ciarpame, di tutte le catene fasciste che legano il nostro diritto nei suoi gangli fondamentali. Ed è proprio in questo momento che nasce la tentazione di liquidare la parte attuata della Costituzione, il referendum, per difendere la parte non attuata: per difendere i vari codici Rocco e via di questo passo.
Noi temiamo che in modo o in un altro si voglia proprio eliminare il referendum, magari fra due mesi, con l'astensione dei compagni comunisti e socialisti. Dico tra due mesi, perché con questo convegno il dialogo può iniziare.
D'altra parte, però, si deteriora la situazione delle garanzie individuali. Sintomatico, ad esempio, è il peggioramento della condizione dei detenuti. Come è possibile che dei detenuti incarcerati a Bologna vengano trasferiti a Sassari? Nonostante la riforma carceraria, sono le circolari a prevalere, le disposizioni che consentono al generale Alberto Della Chiesa di inviare i suoi uomini in tutti gli stabilimenti penitenziari d'Italia con assoluta discrezionalità, a fronte della quale nulla possono i direttori delle carceri e nemmeno la competente direzione generale del Ministero di grazia e giustizia.
Su questo clima, sulle nuove norme dell'ordine pubblico abbiamo udito Bricola ed ora ascolteremo da altri oratori se nella sua denuncia egli cade nell'allarmismo o meno. Certo è che le cose dette da Bricola rappresentano l'assennatezza di una riflessione decennale, l'assennatezza delle battaglie precedenti condotte dai compagni comunisti e socialisti e che hanno costituito la nostra comune cultura, da cui non si immaginava nemmeno di parlare di tornare indietro.
Ma come è possibile che nel momento in cui, a partire dal 1974, in Italia si scatena il processo per il quale si vota sempre più a sinistra, ci si trova poi a un quotidiano e indecente aggravamento della logica e della metodologia giuridica del ``grande'' Alfredo Rocco? (E dico ``grande'' perché Rocco trovava la sua forza culturale nell'alta borghesia che è riuscita ad esprimere sia i Gentile che i Croce e via dicendo. Mentre oggi è la ``piccola borghesia'' marginale e frustrata - condizionata dai processi di produzione della realtà capitalistica - che, in quanto classe di governo, ci sforna un diritto che rappresenta la sua immagine negativa e sempre più corrotta.)
Sintomatico di questa situazione potrà essere anche il fatto della scarsa rilevanza che la stampa e la Rai-tv daranno a questo convegno, in cui la sinistra si trova a riflettere assieme (il che non capita spesso) i temi della Costituzione, delle leggi sull'ordine pubblico con la loro incidenza sul piano non solo sovrastrutturale, ma anche strutturale. Ben altra sarà l'attenzione che sarà dedicata ad altri convegni (di cui non si nega l'importanza) che si svolgono contemporaneamente al nostro, come quello sul problema dei giovani organizzato a Roma dal PCI. Anche il diverso modo di rendere l'informazione è un segnale importante.
Non è per indisciplina semiologica che noi radicali affermiamo che si corre il rischio, per difendere la Costituzione non attuata (e cioè per difendere il diritto fascista ancora predominante in settori fondamentali delle istituzioni), di far fuori anche la parte attuata e cioè il diritto al referendum.
Personalmente non mi scandalizzerei se udissi da alcuno dei nostri compagni giuristi sostenere che i costituenti sbagliarono nel ritenere il referendum uno dei pilastri della Costituzione e dell'organizzazione dello Stato, mentre invece la ragione stava dalla parte delle sinistre ostili all'istituto del referendum; per cui diventa ora necessario procedere a una revisione costituzionale. Invece di questo discorso legittimo e chiaro, tuttavia, si preferisce da parte di taluni sostenere che il ricorso al referendum deve essere straordinario e che il referendum stesso è uno ``strumento'' eccezionale.
Esiste in verità nella sinistra una componente giacobina e autoritaria che sta prevalendo e l'ostilità nei confronti del referendum è piuttosto emblematica e in linea con la strategia del compromesso storico.
Il discorso semplificato in altri termini è questo: ``nel frangente in cui noi scegliamo la strategia del compromesso storico (una strategia pacifica che ripudia e quindi rifiuta gli scontri per il potere), non vogliamo consentire - il giorno in cui noi arrivassimo alla direzione dello Stato - agli interessi contrapposti di usare continuamente il referendum per sabotare lo sforzo di riedificazione della società. E nel momento in cui siamo chiamati non solo a gestire la crisi della società capitalistica, ma dobbiamo uscire da questa crisi con posizione di potere, ecco allora che anche le norme del codice Rocco ci potranno essere utili, anzi essenziali; ed è per questo che non disarmiamo l'apparato autoritario-giacobino e borghese dello Stato, altrimenti sarà la borghesia a farci fuori''.
E, in effetti, questa può essere l'unica spiegazione dell'insensibilità con cui la sinistra in trent'anni non ha esercitato nemmeno per un minuto l'ostruzionismo necessario per attuare la Costituzione in questi settori così fondamentali dello Stato.
Voglio concludere invitando quanti meglio di noi possono ``dare'' a se stessi e agli altri a fornire una risposta se davvero ritengono che non esista il rischio nelle prossime settimane che una sinistra così armata (o così disarmata, a seconda dei punti di vista) venga a trovarsi, per furbizia di alcuni o per convinzione e buona fede di altri (ed anche per incapacità e debolezza di altri ancora), ad essere coinvolta in una iniziativa di liquidazione pratica dei referendum. Liquidazione che non passerebbe attraverso la via maestra della revisione costituzionale, ma per altre vie più quotidiane; quelle vie che permettono di legiferare in materia elettorale con i decreti-legge con l'assenso unanime della sinistra ufficiale. In questo quadro tutto diviene possibile, anche la proposta sulle elezioni dell'Assemblea parlamentare europea con il ``codicillo'' che prevede il rinvio dei referendum.
Se si liquida il referendum, e su questo è d'accordo anche Terracini, si elimina una parte essenziale della Costituzione, proprio grazie alla quale molti di noi hanno fatto da vent'anni la scelta alternativa dell'unità della sinistra. Proprio perché eravamo consapevoli che con il referendum avremmo potuto contenere i demoni giacobini, nella misura in cui gli stessi nostri avversari di classe avrebbero avuto a disposizione un mezzo per un controllo politico e costante contro le nostre tentazioni di percorrere scorciatoie autoritarie e contro le nostre stesse illusioni autoritarie nella realizzazione di quel tipo di società che assieme cerchiamo probabilmente di prefigurare e in cui speriamo.
Queste mie preoccupazioni vorrei che venissero raccolte: c'è il rischio dell'assassinio della Costituzione?
Coloro che sanno parlare con toni più cauti, con linguaggio più sfumato e più ricco quindi del nostro, non possono eludere questo interrogativo. Coloro che ``sanno'' hanno delle responsabilità maggiori di coloro che non sono iniziati, come le relazioni che abbiamo ascoltato in questa prima fase del convegno dimostrano. Infatti, tranne qualche eccezione, gli stessi contenuti non riescono ad esprimersi all'interno del Parlamento o nei mass-media, perché, se qualcosa passa costantemente nella stampa di partito o meno, si tratta delle posizioni più corrive, più machiavelliche, più giustificazioniste. Quelle che sono le più illuse o le più illusorie sull'eccessivo carattere rivoluzionario delle leggi.
Io credo che se qualcosa non muterà (magari in seguito a questo stesso convegno) noi avremo forse solo 100 giorni per salvare la Costituzione, perché è in questi tre mesi che si risolverà il tentativo di far fuori il referendum e quindi gli otto referendum. In una simile evenienza diventerebbe a mio avviso grottesco, ridicolo e menzognero parlare ancora di attuazione costituzionale. Non ci sarà più nulla da attuare, quando, dopo trent'anni dall'entrata in vigore della Costituzione, dopo aver salvato dal voto popolare tutta la legislazione fascista, si sarà eliminato anche l'istituto democratico del referendum.
A questo punto porre il problema se siamo entrati nella seconda repubblica e parlare ancora di libertà repubblicana sarebbe una provocazione. E soprattutto sarebbe una provocazione continuare a parlare di ``arco costituzionale'': lo si chiami ``arco rivoluzionario'', ``arco comunista'' o come altrimenti si preferisce. Ma, davvero, non mi pare in quel caso proprio tollerabile che si insista ad adoperare l'espressione ``arco costituzionale''.