Interventi degli Onn. Renato Ballardini (PSI), Aldo Bozzi (PLI), Franco Mazzola (DC), Marco Pannella (PR) e dei Senn. Ugo Spagnoli (PCI), Agostino Viviani (PSI)SOMMARIO: Due questioni vengono essenzialmente affrontati nel corso del convegno, quella dell'istituto del referendum che progetti di legge comunisti, socialdemocratici, democristiani sottopongono a revisioni più o meno decise e il disegno di legge governativo in tema di ordine pubblico. Questi due temi vengono affrontati in relazione ai principi stabiliti dalla Carta Costituzionale.
("REFERENDUM ORDINE PUBBLICO COSTITUZIONE", Rispondono i giuristi. Atti del convegno giuridico organizzato dal gruppo parlamentare radicale - A cura di Ernesto Bettinelli e Luca Boneschi - Tascabili Bompiani, marzo 1978)
Renato Ballardini
Sarebbe facile su questi argomenti adeguarsi allo spirito dominante del dibattito al quale ho assistito questa mattina, ma non credo dobbiamo andare alla ricerca di facili applausi, perché gli argomenti attorno a cui discutiamo sono di grande importanza, molto seri, perciò dobbiamo fare uno sforzo di sincerità tutti quanti. Comincio col dire che secondo me il titolo di questa tavola rotonda è per lo meno esagerato. Infatti vi sono stati in questi trenta anni di storia della nostra Repubblica momenti in cui la Costituzione è stata molto più minacciata che non adesso e i partiti storici della sinistra hanno rappresentato in quelle occasioni le forze determinanti per lottare perché la Costituzione venisse difesa e gradualmente attuata. Anche in questi giorni del resto attraverso la legge n. 382 si sta dando una spallata notevole alla organizzazione statuale come era prima, in contrasto con la previsione della nostra Costituzione sull'attuazione dell'ordinamento decentrato e regionale del nostro Stato. Perciò mi
pare che questo titolo sia esagerato anche se riconosco l'utilità di una certa enfatizzazione. Il Partito radicale svolge una utile funzione in questo senso. Non v'è dubbio, è necessario alimentare sempre uno spirito critico, tenerlo costantemente desto perché i pericoli di una deviazione ci sono sempre in una società come la nostra. Non voglio riprendere il tema che è stato lungamente dibattuto questa mattina e andare a vedere se il referendum nel nostro ordinamento deve essere antagonistico al potere parlamentare oppure se deve avere un carattere eccezionali. Io direi che queste definizioni in fondo mi lasciano abbastanza indifferente. Direi che la funzione parlamentare è una funzione prevista nel nostro ordinamento; la funzione che consiste nell'esprimere la volontà popolare attraverso il referendum è un'altra funzione, che può essere eccezionale, può essere frequentemente utilizzato, può avere una funzione di stimolo del Parlamento, può avere anche un significato polemico nei confronti del Parlamento. I
o direi che tutte queste finalità del referendum sono perfettamente legittime nel nostro ordinamento. L'unica cosa che non è possibile fare è che una funzione soverchi l'altra, che cioè il Parlamento adotti delle norme di attuazione del diritto del referendum tali da sopprimere praticamente il diritto stesso o da limitarlo talmente da renderlo irrilevante o scarsamente utilizzabile, o, viceversa, tali che l'uso del referendum sia così generalizzato da modificare il funzionamento del nostro ordinamento. Le proposte di modifica della legge sul referendum, che sono alla base di questo convegno, indubbiamente hanno un carattere limitativo del diritto di referendum, però sono forse anche il risultato di un uso smodato della iniziativa di referendum. E' cioè un problema di opportunità politica. Il fatto che si attivino contemporaneamente otto referendum, non su questioni singole, ma su corpi legislativi, anche se certamente meritevoli di essere sottoposti a una valutazione circa la suscettibilità di una loro abrog
azione, suscita una questione di opportunità. Il fatto che ci siano molte norme che meriterebbero di essere modificate non giustifica sul piano appunto della opportunità che si attivi un fronte di iniziative referendarie tali da usurpare di fatto la funzione, che è una funzione tipica del Parlamento, dell'indirizzo legislativo, della direzione generale della politica del Paese. Non è una questione giuridica o di limiti costituzionali, questa che pongo, ma di pura opportunità. Io credo che l'inflazione delle iniziative di referendum ha provocato quale reazione politica le proposte che prevedono modalità di attuazione dei referendum indubbiamente più limitative delle attuali. Io credo però che di per sé questo fatto non rappresenti allo stato attuale e neanche in prospettiva una minaccia alla Costituzione, un pericolo reale di ``Costituzione alla deriva'', giacché nessuno di questo progetti, penso, potrà essere approvato prima dei referendum in programma e, anche se potessero essere approvati, dubito che possa
no avere un'applicazione retroattiva, neppure per le fasi procedurali finali. Per quanto riguarda il merito, dirò subito subito che non sono d'accordo su tutti i contenuti di queste proposte, ma solo su alcuni. Se sarà il caso potremo esaminare nel dettaglio questo aspetto. Per esempio credo che l'aggiornamento del numero di firme necessarie da 500 mila a un altro numero (una specie di rivalutazione) non sia una cosa scandalosa; forse la cifra di un milione è eccessiva perché non è neanche giustificata dall'incremento del corpo elettorale; comunque non è una proposta così grave da essere presentata come un vulnere a un istituto costituzionale. Né la proposta di stabilire un differimento triennale o biennale del referendum abrogativo di una legge appena promulgata non trovo che sia incostituzionale. Anch'io ebbi a presentare qualche anno fa una proposta di legge in questo senso, anche il collega Bozzi mi pare la propose ai tempi del referendum sul divorzio. Non reputo che una proposta debba essere ritenuta va
lida solo se serve contro un referendum e non più valida se serve nei confronti di un altro. Il caso del divorzio direi che dimostra in modo particolare la validità della motivazione che sta alla base di questa proposta. Una legge nuova, prima di essere messa al vaglio del giudizio popolare deve avere un periodo di sperimentazione e la legge sul divorzio dimostra quanto sia valida questa osservazione, giacché se molti potevano avere il sospetto, prima dell'emanazione della legge Fortuna, che la stessa avrebbe determinato il franamento delle famiglia, oggi, alcuni anni dopo la sua applicazione, è dimostrato che un simile timore era assolutamente infondato. Questo è il risultato di una sperimentazione di una legge che può benissimo provocare un mutamento di opinioni da parte del corpo elettorale. Quindi, secondo me, questa proposta conserva una sua validità e sicuramente non è contro la Costituzione. Probabilmente merita una regolamentazione legislativa il problema della abrogazione. La legge attuale stabilisc
e che il referendum non ha luogo se il Parlamento abroga la legge sulla quale il referendum è chiesto. Questa norma fa sorgere una quantità enorme di problemi assai complessi e si propone ora una procedura per stabilire quando una legge si deve intendere abrogata, se cioè debba essere una abrogazione sostanziale, una abrogazione formale, parziale, totale. Nella replica di Onida si era suggerita l'opportunità che solo l'abrogazione formale comporti questo effetto anche se, diceva Onida, il Parlamento potrebbe il giorno dopo rifare la stessa legge. Mi pare che questa sia una concezione poco realistica, alquanto improbabile. Credere che ciò possa avvenire vuol dire supporre che tra Parlamento e corpo elettorale vi sia un rapporto di reciproco inganno. Può darsi che una parte del Parlamento sia mossa da propositi di inganno, ma che il Parlamento nel suo complesso possa essere considerato un istituto che ha queste caratteristiche mi sembra eccessivo, mentre è molto più probabile il caso che una legge sulla quale
si decide l'abrogazione attraverso il referendum possa essere oggetto di modifiche da parte del Parlamento. Ora, valutare se queste modifiche costituiscono abrogazione o meno delle norme, oggetto della richiesta di referendum è una questione che può avere una reale, concreta importanza. Allora il problema è quello di studiare un meccanismo che dia la garanzia di assoluta obiettività, il che può essere benissimo un giudizio devoluto alla Corte costituzionale con possibilità di contraddittorio tra tutte le parti interessate. Altra questione che ha suscitato molto interesse è, sempre nella proposta comunista di legge ordinaria, il problema della maggioranza necessaria perché il voto referendario sia efficace. Non sono d'accordo su quanto propongono i colleghi comunisti su questo tema, perché mi sembra che la maggioranza qualificata da essi proposta sia eccessiva, e non si giustifica neanche nel nostro ordinamento costituzionale. Semmai si potrebbe adottare lo stesso principio dell'art. 64 della nostra Costituzi
one, che dispone per le votazione delle Camere, che le delibere siano adottate a maggioranza dei presenti. Alla stessa stregua si potrebbe dire che le decisioni referendarie sono adottate a maggioranza dei votanti; sarebbe questo un modo per stabilire un parallelismo fra le due sedi, equiparando i votanti con i presenti e assumendo due nozioni abbastanza simili: fissando così una analogia fra il corpo dei deleganti e il corpo dei delegati. Sulle altre proposte io sono nettamente contrario e vi tornerò, se sarà necessario, in sede di replica.
Vorrei un momento dedicarmi al problema molto più grave, più serio, più inquietante dell'ordine pubblico e vorrei prendere le mosse da ciò che stamattina è stato detto a questo proposito. Non entrerò nella discussione tecnica, che si è svolta a un livello così elevato questa mattina e nelle prime ore del pomeriggio tra uomini che a una vivissima sensibilità democratica, costituzionale e libertaria hanno unito anche una notevolissima capacità tecnica. Io non ritorno sugli aspetti tecnici anche perché moltissime delle cose che sono state dette sono certamente vere. Vorrei introdurre una considerazione politica di carattere più generale. Intendiamoci, questa mattina si è parlato anche di politica, non solo di tecnica, ma, in modo particolare, c'è stato Pecorella che ha ripreso una parte di discorso di Neppi Modona, invitando a considerare questi fenomeni non solo dal punto di vista tecnico, ma anche nel quadro politico generale. Nessuno ha contestato che esiste un problema di ordine pubblico come tale, ma io vo
rrei approfondire un po' l'analisi su questo punto, perché non è un problema di ordine pubblico qualsiasi. Vi è anche un'enfatizzazione (i mass media, la stampa, la televisione che amplificano questi episodi), però è dal '69 che siamo vittime della strategia della tensione che è un fatto politico, che mira ad ottenere risultati ben precisi. Attraverso il terrorismo, il disordine, il regista di questa tensione mira a spaventare l'opinione pubblica, a seminare il panico, gettare il seme purché lieviti un bisogno di sicurezza, di tranquillità. Quando le Brigate rosse o i NAP scelgono la strategia dell'attacco alla società lo fanno in virtù di una valutazione che è politica, non sono semplicemente compagni che sbagliano (anzi sbagliano certamente dal mio punto di vista) ma la loro linea politica ha una motivazione complessiva che è di un rigore logico eccezionale. Direi che anche dal punto di vista umano meritano rispetto, perché in fondo pagano e rischiano di persona. Ma costoro di proposito vogliono provocare
il manifestarsi della virtualità autoritaria e repressiva che è sempre presente in ciascuno Stato. Ogni ordinamento statuale ha in sé, anche il più democratico e libertario, un embrione, un nucleo, una virtualità autoritaria repressiva. Non c'è dubbio che questa tenaglia che ha strozzato l'Italia in questi anni è riuscita a ottenere una parte dei suoi risultati e ne ventre molle del corpo nazionale indubbiamente questa paura esiste. Concludendo: voi non potete ignorare che i partiti storici, i partiti di massa, che hanno bisogno del consenso di massa sono fortemente condizionati da questa realtà e in altre situazioni una crisi di tensione come quella che c'è stata in Italia in questi anni avrebbe provocato la germanizzazione del nostro Paese. In altre situazioni è nato il nazismo. Questa è una valutazione dalla quale non possiamo prescindere. Se voi tenete presente questo quadro, e supponete che sia soltanto la DC a poter decidere in questa situazione (ebbene oggi noi abbiamo discusso attorno ai limiti di co
stituzionalità di queste misure, della legge Reale o non Reale) allora oggi ci sarebbe la pena di morte, ci sarebbe una legislazione ben peggiore di quella esistente. Questo per sottolineare che bisogna prendere atto che i partiti della sinistra sono stati posti in una posizione difensiva. Mi pare che sia stato Bricola a dire che bisogna distinguere tra l'analisi razionale e le reazioni emotive e siamo perfettamente d'accordo; però la politica di massa è fatta anche di reazioni emotive. Anche le emozioni di massa sono un fatto politico del quale bisogna tener conto e di cui devono tener conto i partiti di massa che hanno bisogno di questo consenso di massa.
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Aldo Bozzi
In un articolo di Marco Pannella, pubblicato mi pare su "Lotta Continua" del mese di settembre, è stato scritto, nella forma che gli è consueta, sempre molto vivace e colorita, che c'erano cento giorni ancora per evitare l'assassinio della Costituzione. Ora ne restano una quarantina, per cui siamo tutti preoccupati di fare il nostro dovere di salvataggio. Voglio subito dire che anch'io ho qualche inquietudine; vi sono sintomi, non già di assassinio, che è un atto violento e istantaneo, ma d'una malattia che, alimentata da veleni somministrati a dosi lente e apparentemente indolori, corrode la Costituzione e può portarla a sconvolgimenti.
Parliamo un po' del referendum. Io non ho avuto il piacere di ascoltare questa mattina il dibattito fra i professori. Certo, il referendum è un istituto importante. Non voglio fare graduatorie. Il referendum è la voce diretta del corpo elettorale, ma giuridicamente l'atto referendario di abrogazione non è sovraordinato a quello del Parlamento. Sbaglia chi dice che esso è un istituto anomalo, sbaglia secondo me chi afferma che è un istituto eccezionale. Son d'accordo con l'amico Ballardini: è un istituto di cui politicamente bisogna saper far uso al momento opportuno, nelle condizioni giuste. Si tratta d'una valutazione di opportunità politica, d'una scelta che va operata con ponderazione. Sotto questo profilo, e lo dico anche se non susciterò molti entusiasmi in questa sala, i referendum a cascata di Marco Pannella non mi piacciono, perché egli li considera come "un" mezzo di lotta politica, anzi, addirittura come "il" mezzo di tale lotta: li ha chiamati il ``pane''. Diciamo, Marco, che il referendum può ess
ere il companatico, ma proprio che sia il pane del nostro regime democratico non mi sentirei di dirlo.
La nostra Costituzione non ha dato al referendum il carattere di controforza, di contropotere, volto alla polemica e alla contestazione, di mezzo istituzionalmente antagonistico nei confronti del Parlamento. E' piuttosto un modo per sincerarsi se permanga sintonia fra la democrazia indiretta (che s'incentra nel Parlamento) e il corpo elettorale, depositario della sovranità. Quindi, uno strumento di verifica, e anche di stimolo. Voglio dara atto al Partito radicale della utilità di talune sue iniziative. Ha agitato temi che erano sopiti. Il Parlamento su tanti problemi era ed è ancora assente e latitante e così il Governo. Ma questa cascata di referendum, questa azione massiccia può aver l'attitudine a provocare effetti distorsivi; anch'essa potrebbe iniettare una dose di veleno per mandare alla deriva la Costituzione, determinando una sorta di disaffezione del popolo chiamato troppo spesso alle urne, e facendo prevalere la passionalità, che è insita nella risposta referendaria (un sì o un no), sulla meditazi
one più attenta e anche sul giusto mezzo che in talune materie è preferibile o necessario adottare. Infatti, la via dell'incontro e della mediazione si rivela spesso più consona con le strutture della società pluralistica. In una società pluralistica e conflittuale come quella italiana i problemi non sempre si risolvono con un verdetto, ma cercando di conciliare opposti pareri, trovando punti di equilibrio che soddisfino le minoranze. Ecco perché di ogni referendum bisogna sempre studiare attentamente l'opportunità, valutarne la materia. Ed è necessario che il quesito referendario sia chiaro. Volete, ad esempio abrogare la legge Reale: si sa che cosa essa è, quale ne è il contenuto; qualunque cittadino ne ha nozione, o è facile dargliela.
Ma quando ponete il corpo elettorale dinanzi alla seguente formulazione: ``Volete voi l'abrogazione degli articoli 1, 2, 3 e 3 bis della legge 14 febbraio 1904 n. 36: Disposizioni sui manicomi e sugli alienati e successive modificazioni'', io temo che larghe zone dell'elettorato non sappiano di che cosa si tratti. Questi problemi delicati, che la massa non può conoscere, non possono essere rimessi alla sua passionalità. La raffica di referendum si risolverebbe in un voto meramente ``contro'' (contro il Governo o la maggioranza che lo appoggia, contro il ``potere'' in genere): un atto continuato e univoco di protesta generale, uno sviamento palese nell'uso del referendum. Io sono favorevole al referendum, ma appunto per ciò non voglio che sia sciupato da forme irrazionali di verdetti. Non è chiara, poi, la richiesta di abrogazione della legge sul finanziamento ai partiti. Nel libretto dei radicali che illustra le ragioni degli otto referendum si legge che il partito è contrario al finanziamento in forma diret
ta da parte dello Stato ma è favorevole a modalità indirette di aiuto pubblico ai partiti. Insomma, volete il finanziamento, ma in forma diversa; ammettere il principio, non condividere le modalità operative. Se così è, come è, è ragionevole il ricorso al referdnum o non è, piuttosto, preferibile una iniziativa parlamentare modificativa della legge vigente?
Quanto alle proposte dei comunisti, dirò che esse mi preoccupano non poco. Mi preoccupano nel loro insieme, per il significato che esprimono. Si è detto che esse costituiscono una forma di reazione all'eccesso degli otto referendum; comunque, è una brutta reazione, perché si possono combattere gli otto referendum (così come ora sto facendo io) ammettendone alcuni, criticandone altri; ma stabilire un congegno che rende al limite impossibile l'uso referendario è veramente cosa che non va. Devo dare atto che i comunisti hanno fatto un po' di marcia indietro. Hanno detto: ``ma per carità, la nostra proposta non si riferisce ai referendum in corso'', è poi soltanto un'``ipotesi di lavoro'', si può discuterla e modificarla. Ma tale ipotesi rivela la tendenza ad accentrare iniziative e decisioni esclusivamente nel Parlamento, cioè in definitiva nei partiti; è un tassello che s'inserisce nel disegno politico dei comunisti che mira alla consociazione, all'unità attraverso il compromesso. Il referendum è un assolo che
disturba tale politica corale; ma l'assolo, il dissenso, concorre a formare la linfa della democrazia.
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Franco Mazzola
Vorrei partire da una considerazione molto simile a quella fatta dall'on. Ballardini. Io non credo che sia esatto parlare di Costituzione alla deriva. Si tratta di vedere in che misura le forze politiche debbono operare per far sì che eventuali rischi di Costituzione alla deriva possano essere evitati. Non credo che obiettivamente si possa affermare che questo è un Paese che marcia sulla strada della repressione, dell'autoritarismo di Stato o della negazione della libertà. Se ognuno di noi si chiede onestamente se il tasso di libertà di cui gode questo Paese è inferiore a quello delle altre democrazie occidentali e se è inferiore a quello che godeva quando la Costituzione è entrata in vigore, non potrà rispondere a questo quesito in modo positivo.
Questa è una cosa che credo fermamente. Credo che il nostro Paese sia oggi molto più libero di quando è entrata in vigore la Costituzione e che sia uno dei più liberi, se non il più libero, nell'arco dei Paesi del mondo occidentale. Ve lo dimostra il fatto che queste cose vengano fuori, perché in un paese dove non fosse ammesso alle forze di opposizione di sviluppare in tutti i modi la loro battaglia, nel quale non fosse consentita la più libera dialettica, tale dibattito non potrebbe svolgersi. Quindi ritengo che occorre soltanto che le forze politiche operino in modo da evitare che una simile situazione in prospettiva possa verificarsi. Io non penso che il modo giusto sia quello di ritenere che le cose nelle quali non si crede, o che si ritengono sbagliate dal proprio punto di vista politico, debbano automaticamente essere classificate come cose che vanno contro la Costituzione. Ad esempio il discorso dell'ordine pubblico. Riconosco a chiunque il diritto di fare le più ampie critiche alle norme che sono em
erse dall'accordo dei sei partiti; però vorrei che questo discorso fosse fatto in termini politici, non in termini di diritto costituzionale perché una critica in quest'ultimo senso diventa speciosa. Non credo, infatti, che l'arresto preventivo sia tacciabile di incostituzionalità. Esiste una norma precisa della Costituzione che riguarda i casi in cui un cittadino, può essere privato della libertà. Io penso che si sia fatto lo sforzo massimo per collocare nell'ambito dell'art. 13 della Costituzione la normativa prevista: identificando l'immediata esigenza di intervento del magistrato, identificando l'area di utilizzo, che è chiaramente delimitata ad alcune fattispecie di reato, identificando i comportamenti che sono ben precisi perché si fa riferimento non a una generica azione criminosa, ma ad una fattispecie di atti che si potrebbero definire prepreparatori, che sono cioè l'anticamera del tentativo previsto dall'art. 56 del codice penale. Lo stesso discorso vale per le intercettazioni telefoniche; anche in
questo caso non è vero che le intercettazioni siano, di per sé, vietate dalla Costituzione. Noi abbiamo infatti rispettato le garanzie costituzionali demandando al magistrato la decisione su questo tipo di intercettazione, anche quando questa interviene non in presenza di un reato commesso, ma in presenza di atti preparatori di un reato. Il problema è eventualmente quello di accertare se in passato alcuni poteri siano stati male gestiti. Il problema è dunque della gestione, non è della sostanza di questi poteri. Riguarda innanzi tutto, quindi, l'eccezionalità della situazione; e c'è una ragione per la quale la DC - e ci tengo a dirlo - ha voluto non che vi fosse una generica previsione di legare queste norme a un periodo di tempo di eccezionalità (cioè non abbiamo voluto dire le norme staranno in vigore finché non entrerà in funzione il nuovo codice di procedura penale, in quanto sappiamo benissimo che all'entrata in vigore del nuovo codice di procedura penale ostano problemi di natura strutturale e che qui
ndi vi è il pericolo che possa slittare ulteriormente). E' per questo che noi abbiamo detto ``"e comunque non oltre due anni"'', facendo con questo un atto di fede nella capacità della democrazia italiana di uscire dalla crisi in cui si trova e di ristabilire un clima di convivenza civile. Esiste poi un problema di controllo nella gestione di queste norme e il controllo riguarda non soltanto le forze politiche che hanno partecipato all'accordo, ma anche le altre, quelle che sono in Parlamento e quelle che non sono in Parlamento. Bisogna poi rispondere a una domanda: ``Noi dobbiamo difendere la libertà di tutti nei confronti di coloro che usano la violenza come mezzo di lotta politica, oppure dobbiamo consentire che minoranze di violenti impediscano di fatto le libertà costituzionali e la libertà di tutti?''
Noi siamo contro la violenza e mi dispiace che Ballardini abbia detto che se ci fosse stata solo la DC avremmo avuto la pena di morte. In verità noi, per primi, quando è stata ventilata l'ipotesi, da parte del presidente del Consiglio, di infliggere l'ergastolo nel caso di sequestro di persona qualora intervenisse la morte del sequestrato, abbiamo contribuito a bloccare questa ipotesi, proprio perché la DC, e le nuove forze che stanno facendo una battaglia nella DC per modificare dall'interno il partito, credono che il ruolo principale della DC sia quello di rappresentare una forza garante delle libertà civili in questo Paese. E questo noi l'abbiamo dimostrato adottando provvedimenti precisi: non è un caso se abbiamo affrontato in modo concreto il problema della riforma degli agenti di custodia, già nella primavera di quest'anno e continueremo a portare avanti questo discorso. Bisogna riformare il corpo degli agenti di custodia perché non si può pensare che essi subiscano il trattamento per il recupero dei d
etenuti. Essi non sono preparati culturalmente, non sono pagati sufficientemente, non hanno strutture per svolgere i loro compiti.
Io sono reduce dal seminario parlamentare della DC dove ho tenuto una relazione sulla riforma dell'ordinamento giudiziario. Abbiamo lanciato il tema di una magistratura onoraria che consenta una partecipazione alla gestione della giustizia. Poi abbiamo affrontato il tema della depenalizzazione, previsto dall'accordo e che è stato concretizzato nella presentazione del disegno di legge Bonifacio che io ritengo carente per difetto, non per eccesso. E affermo anche che noi saremo i primi ad affrontare la battaglia per allargare la portata della depenalizzazione in Commissione giustizia, alla Camera e al Senato.
Le proposte del PCI in materia di referendum non mi trovano consenziente in blocco. Io accetto il discorso che è alla base della proposta di legge Bianco della DC, cioè che sia necessario operare sul numero di firme necessarie per indire un referendum, se non altro per adeguare il numero di firme previste dalla Costituzione all'aumento della popolazione. Non mi trovano invece consenziente altre forme che tendono a ingabbiare il referendum con dei marchingegni legislativi. Io considero sbagliato il modo in cui il Partito radicale ha usato il referendum. Lo considero provocatorio nei confronti del Parlamento e, in una certa misura, addirittura una confisca di diritti e doveri del Parlamento. Ritengo, però, che sarebbe altrettanto sbagliato rispondere con tesi che sarebbero di altrettanta confisca dei diritti degli elettori e dei cittadini. Quindi non sono d'accordo che, se una Camera sta discutendo un tema sul quale è indetto un referendum, ci debba essere la sospensione per sei mesi. Al limite potrei essere d
'accordo se almeno una delle due Camere avesse già approvato la modifica; ma, altrimenti, andremmo, non contro la lettera, ma sicuramente contro lo spirito della Costituzione.
Attraverso il confronto su questi temi si può garantire che il Paese continui sulla strada del pluralismo, della libertà civile, del diritto al dissenso. Penso al Codice penale, ai reati di opinione e di vilipendio, penso alle pene alternative, e Neppi Modona e Spagnoli possono dire se noi non abbiamo tentato si dal '73-'74 in commissione (quando si discuteva sul libro 1· del codice penale) di fare il discorso delle pene alternative. Discorso che si è arenato per un complesso di circostanze, ma non certo per nostra colpa. Occorre controllare la gestione dell'accordi a sei perché potrebbe nascondere anche dei pericoli. C'è infatti il rischio che tale gestione conduca al regime delle forze dell'arco costituzionale. Io credo che, nell'ambito dell'accordo a sei, sia interesse di tutte le forze democratiche mantenere aperte le prospettive dell'alternanza al potere nel nostro Paese. Io accetto in pieno il discorso di Rodotà della prova di forza fra la sinistra e le forze che non sono di sinistra in questo Paese, s
empre sul piano democratico. Noi non dobbiamo andare verso modelli consociativi che distorcerebbero il pluralismo costituzionale e avvierebbero sostanzialmente il Paese sulla strada dei regimi. Reputo, per questo, che ci si debba avviare sulla strada del confronto alla fine della quale c'è sicuramente l'alternanza delle forze al potere. E questa è una delle ragioni che mi fanno essere critico nei confronti del rinvio delle elezioni amministrative (è vero che tale rinvio l'ha chiesto il mio partito ma io sono stato critico all'interno e continuo ad esserlo anche ora). Se questo rinvio porta solo a razionalizzare le elezioni (è cioè un fatto transitorio), allora le mie preoccupazioni non sussistono, ma se questo rinvio avesse l'obiettivo di non turbare le acque politiche di questo Paese, di consentire che certi modelli consociativi camminino, che si perdano le differenze fra le forze democratiche, ebbene allora io sarei contro, perché in questo modo noi rischieremmo di portare il Paese su una strada diversa da
quella sulla quale deve procedere per crescere in modo civile e democratico.
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Ugo Spagnoli
Riallacciandomi all'intervento di Ballardini, ritengo anch'io che i toni e i contenuti del dibattito che si è svolto ieri e stamattina hanno smentito un'impostazione politica che si intendeva dare al convegno, nel segno della ``Costituzione alla deriva'' o peggio dell'``Assassinio della Costituzione''. Le enfatizzazioni cui i radicali sono soliti fare uso, finiscono di diventare negative e pericolose quando vi si ricorre - come in questa occasione - in modo sprovveduto e irresponsabile, al di là di ogni margine di credibilità. Non vorrei che per questo aspetto il Partito radicale seguisse la sorte non felice di certi personaggi italo-francesi che, scesi a Bologna a parlare di repressione, furono clamorosamente smentiti.
Il dibattito, sereno anche se critico, ha respinto il tentativo di creare una aggregazione su una linea di drammatizzazione su problemi che debbono essere affrontati su ben altri terreni e in modo diverso. Certo esistono ancora parti del progetto costituzionale che non hanno trovato attuazione, ma queste riguardano soprattutto gli indirizzi stabiliti dall'art. 3, sui quali deve essere fondata una democrazia che non si limiti agli aspetti garantistici, pure essenziali.
I tentativi di assassinio della Costituzione vi sono stati davvero nel nostro Paese, e Barile nella sua replica li ha ricordati. Occorre stare attenti al malvezzo di gettarsi la storia dietro le spalle e di non voler ricordare quanto gravi e pericolosi siano stati gli attentati alla Costituzione nel corso dei trent'anni della sua esistenza, e come questi furono battuti dalla lotta e dall'impegno della sinistra ed in modo particolare del movimento operaio organizzato, grazie al quale tanti spazi di libertà sono stati salvaguardati e ampliati.
Venendo ai temi più specifici del convegno, e innanzitutto alla questione del progetto di legge presentato dal mio partito sul referendum, intendo innanzitutto sgomberare, una volta per tutte, il campo da equivoci che sono riemersi ancora nel corso del dibattito. La nostra proposta di legge non vuole in alcun modo incidere sugli otto referendum, non vuole avere efficacia retroattiva sotto nessun aspetto. Né, a mio avviso, i referendum debbono slittare per la contemporaneità con le elezioni amministrative o con le elezioni del Parlamento europeo, mentre sono recisamente contrario ad ogni ipotesi di scioglimento anticipato delle Camere. Si facciano pure i referendum legittimi, e cioè quelli che saranno ritenuti tali per il numero di sottoscrittori, perché riferentisi a leggi non abrogate o non oggetto di riforma legislativa o non incidenti sulle materie che per la Costituzione non possono essere oggetto di referendum.
Perché, dunque, la nostra proposta di legge? Occorre innanzitutto ricordare che essa non è di oggi, l'abbiamo presentata alcuni anni fa e ora l'abbiamo riproposta. Essa cerca di porre rimedio ai rischi che possono derivare allo stesso istituto del referendum da abusi che ne svalutino la portata, per evitare che il ricorso smodato a questo istituto - che la Costituzione ha voluto e che ha un suo profondo valore, anche se respingiamo talune interpretazioni esasperate che pure qui sono emerse -, finisca di stroncarlo e di svuotarlo. Non vogliamo che l'inflazione dei referendum venga a determinare, nel corpo elettorale, una crisi di rigetto, o che possa causare conseguenze pesanti sul retto funzionamento della democrazia. Tutti coloro che sono intervenuti sinora nel dibattito (Bozzi, Ballardini, Mazzola) hanno denunciato l'assurdo di sottoporre al giudizio del corpo elettorale una congerie di quesiti su materie tra loro profondamente diverse. Stiamo attenti ai rischi di affastellare domande tra loro così eteroge
nee, e nello stesso tempo così scarsamente comprensibili. Stiamo attenti alle conseguenze: se la risposta del corpo elettorale dovesse essere negativa, si ritarderebbero o si comprometterebbero soluzioni legislative; se dovesse essere positiva, se dovessero essere abrogate parti rilevanti del nostro ordinamento, si creerebbe un pauroso vuoto legislativo, per colmare il quali il Parlamento dovrebbe per lungo tempo accantonare i drammatici problemi connessi ai nodi della situazione economica e sociale del Paese. Questa è dunque la ragione profonda della nostra iniziativa legislativa, che è aperta al confronto e ai contributi di altre forze politiche e del mondo della cultura. Certo, nella nostra proposta alcune soluzioni possono apparire discutibili e modificabili, mentre le critiche rivolte ed altre proposte di modifica della legge sul referendum, mi paiono infondate. Così, ad esempio mi paiono i rilievi mossi alla disposizione che vieterebbe di sottoporre a referendum le leggi prima del decorso di tre anni d
alla loro entrata in vigore. Io ricordo infatti che analogo progetto fu presentato anni fa, dopo la legge sul divorzio, dai compagni socialisti e fu allora una bandiera per la sinistra, che riteneva, giustamente, che si dovesse consentire un periodo di sperimentazione alla legge prima di sottoporla a referendum per la sua abrogazione. Nello stesso periodo, occorre ricordarlo, Eugenio Scalfari presentò un'altra proposta che era giustamente limitativa delle materie da sottoporsi a referendum in quanto escludeva le leggi che riguardavano diritti di libertà. Ricordo anche una polemica tra Scalfari e Malagugini, che aveva sollevato qualche dubbio sulla opportunità concreta della iniziativa; Scalfari in quella occasione non resistette ad un rigurgito anticomunista e affermò che i comunisti non si erano mai impegnati sul terreno delle grandi battaglie laiche e democratiche, con un giudizio che era già stato smentito dalla storia e che poco dopo, sarebbe stato smentito dal contributo determinante dato dalla forza e
dalla organizzazione del nostro partito alla vittoria nel referendum sul divorzio. E allora smettiamola con i sospetti, gli equivoci e misuriamoci seriamente sui problemi che debbono essere affrontati, con la nostra proposta o con altre, ma che debbono trovare una soluzione.
Lo stesso discorso vale per l'ordine pubblico. Anche su questa questione come per il referendum sono aleggiati sospetti, si sono mosse accuse assurde. Per la proposta relativa alla legge sul referendum si giunge ora persino a parlare di assassinio della Costituzione, ad affermare che si intenderebbe conferire al sistema dei partiti una estensione totalizzante, che non si vogliono lasciare spazi alle forze sociali che emergono nel Paese e che non si riconoscono nei partiti dell'arco costituzionale.
Per l'ordine pubblico si continua a parlare di criminalizzazione del dissenso, di vocazione all'intolleranza e all'autoritarismo da parte della classe operaia, una volta giunta alla direzione politica del Paese. Ancora una volta si tende a stravolgere le cose per motivi polemici, a dimenticare la storia, anche la più recente del movimento operaio italiano, la sua strategia, la scelta del terreno della democrazia, il nesso tra democrazia e socialismo. Davvero si può affermare, come ha fatto Rodotà, che le battaglie di libertà condotte dal movimento operaio erano connesse al suo ruolo di opposizione, e che ora si assisterebbe ad un riflusso, ad una minore sensibilità e attenzione ai problemi della libertà? E' fondato sostenere l'esistenza di una antinomia tra libertà civili e democrazia di massa, tra le esigenze di ricomposizione della società e il mantenimento di spazi di libertà anche per le minoranze e i dissenzienti?
Il dibattito su questi temi è certo aperto nel Paese, ma occorre affrontarlo con serietà, rifuggendo il più possibile da posizioni strumentali e di anticomunismo preconcetto (che richiamano alla mente ricordi neppure troppo antichi) e soprattutto guardando da una parte alla nostra strategia, a tutta la nostra ispirazione culturale, alla nostra storia, e, dall'altra, alla situazione concreta nella quale questi problemi vengono a porsi. Il fatto è che le polemiche appaiono sempre più connesse, talora in modo chiaramente strumentale (talora sottintendendo sincere preoccupazioni) al processo di avvicinamento dei partiti che sono più direttamente espressione del movimento operaio organizzato - e in particolare del Partito comunista - alla direzione politica del Paese. L'aspetto più contraddittorio è che si vorrebbe che il movimento operaio rimanesse permanentemente all'opposizione, con una funzione di guarentigia della libertà, mentre nello stesso tempo si afferma, e giustamente, che le tendenze autoritarie sono
insite nel meccanismo e nella violenza della società capitalistica. Ma se è vero che queste tendenze nascono dalle strutture e dalle organizzazioni produttive di un certo tipo di società tardo-capitalistica, non è forse altrettanto vero che esse possono essere contrastate operando per modificarle, per costruire un diverso meccanismo di sviluppo, e operando dall'interno, al governo e non rimanendo soltanto all'opposizione? La problematica della libertà investe il governo dell'economia e tutti i momenti istituzionali attraverso i quali si può incidere sull'intervento dello Stato nell'economia. E non è forse rilevante, sotto questo aspetto, la lotto contro il sistema di potere della Democrazia cristiana, che stiamo portando avanti sia con l'azione politica concreta, sia con la ricerca e la individuazione di meccanismi istituzionali adatti a far saltare le logiche sulle quali tali sistemi si sono costruiti? E non è altrettanto rilevante il fatto che per la prima volta due ministri siano stati sottoposti al giudi
zio della Corte costituzionale, e che stiano saltando posizioni di potere nell'apparato economico dello Stato che sembravano intoccabili?
Ma si afferma - e lo ha scritto Rodotà recentemente - che le sinistre avrebbero ridato fiato alla strategia istituzionale della DC, rivolta a dominare certi processi sociali attraverso la costante riserva di strumenti autoritari. E Rodotà indica, quale momento di partenza di questo preteso arretramento delle sinistre, il 1974. Ancora una volta, il difetto è quello di non cogliere il dato storico, la complessità delle situazioni con le quali la strategia politica e istituzionale delle sinistre si è misurata. Se questo sforzo si fosse fatto, non sarebbe sfuggito il significato decisivo, determinante, che ha avuto dopo il 1970, ma soprattutto dopo il 1974 l'avanzata delle sinistre, la crescita della società, l'avvicinamento dei partiti - che rappresentano tante parti del mondo del lavoro - alla direzione politica del Paese. Un fatto straordinario con riflessi europei, e che ha significato la fine della emarginazione, la rottura della ``conventio ad excludendum'', su cui si è retto il regime politico italiano e
non solo italiano, per trent'anni, e da cui sono derivate tante distorsioni e tanti guasti.
La strategia della tensione, e poi quella del terrore hanno mirato e mirano a bloccare questo processo, a impedire che si rafforzi il tessuto unitario su cui esso si è fondato. Il terrorismo, quali ne siano le matrici, le ispirazioni o le protezioni, tende a questo: vuole colpire la scelta che la classe operaia ha fatto di avanzare sul terreno della democrazia e dell'unità tra le forze popolari; una scelta che si è rivelata vincente. Di qui nasce l'attacco qualitativamente nuovo allo Stato democratico, ai suoi centri di difesa, alla convivenza civile. Di qui scaturisce la teoria e la prassi diretta a colpire contemporaneamente lo Stato operaio e le organizzazioni dei lavoratori. Ci si rende conto del significato che può avere, per un regime democratico, l'attacco al movimento operaio, alle sue organizzazioni? E' possibile che non si voglia comprendere, o si voglia minimizzare, il rischio di lasciare crescere la spirale violenza-repressione, di provocare lo scontro frontale, la militarizzazione dello Stato, e
cioè una situazione dalla quale non deriverebbe nessuna palingenesi sociale, ma solo restrizione degli spazi di libertà e di democrazia?
Non basta davvero limitarsi ad affermare - in modo generico e quasi rituale - la propria contrarietà o condanna del terrorismo, senza poi tracciare una strategia democratica che sia nel contempo di difesa dello Stato democratico e di rinnovamento e di riforma dei suoi ordinamenti e delle sue strutture. Ancora una volta il punto di riferimento è la Costituzione, sia per la valutazione della congruenza ad essa delle misure di difesa, sia per la realizzazione di riforme che attuino e portino avanti il progetto costituzionali. Noi riteniamo che le misure di prevenzione e di difesa dell'ordine democratico previste dagli accordi programmatici siano pienamente costituzionali. Riteniamo che esse possono essere efficaci nel prevenire gravissimi reati. Potranno anche non corrispondere a determinati indirizzi della dottrina penalistica; ma non si può discutere seriamente della legittimità delle misure di prevenzione, e nell'ambito di queste, di misure che ripudiano il sospetto e sono improntate a dati oggettivi e final
izzati a procedimenti giurisdizionali. E, d'altra parte, nessuna soluzione diversa è stata indicata di fronte a un problema di cui nessuno contesta la gravità. Questo sta a significare che il problema viene affrontato solo con misure di ordine pubblico e che tutto si risolva nella individuazione delle categorie degli ``atti preparatori''? No davvero, il discorso è molto più complesso, e l'impegno è molto più vasto.
Noi valutiamo fino in fondo le ragioni del disagio, delle tensioni sociali, del malessere, la crisi di credibilità dello Stato democratico rispetto a consistenti strati di giovani. E la risposta ai quesiti che sorgono da queste situazioni deve essere data sul terreno delle grandi riforme sociali; di un diverso sviluppo economico del Paese, e, soprattutto, della democratizzazione dello Stato. A proposito della quale io respingo la teoria dei due tempi: il tempo dell'ordine pubblico e quello del risanamento e delle riforme. Una teoria che equivarrebbe davvero al cedimento. No, i tempi sono unici: difesa e democratizzazione dello Stato debbono essere insieme coniugati. Ed è questo terreno, che, nella sua complessità e organicità, deve essere valutato l'accordo a sei.
E' sbagliato perciò rinchiudersi e polemizzare con un aspetto dell'accordo e rinunziare alla lotta per l'applicazione di tutto il potenziale riformatore che in esso è contenuto. Una lotta che richiede l'apporto di tutte le componenti democratiche e soprattutto delle sinistre, perché nessuno ci regalerà nulla, perché le resistenze sono forti. Occorre perciò superare questa condizione di sospetto, e in taluni casi di lacerazione. Abbiamo già fatto parecchia strada sul terreno della democratizzazione dello Stato, sol che si pensi alla legge n. 382 e alla riforma dei servizi di sicurezza. Ma vi sono ancora obiettivi rilevanti che debbono essere conquistati: la riforma di polizia, l'ordinamento giudiziario, una nuova giustizia penale. E' su questi obiettivi che le forze democratiche debbono misurarsi, per portare avanti, con tenacia, un processo di rinnovamento così difficile, e il cui successo è condizionato dalla nostra capacità di coinvolgere l'impegno e la partecipazione delle masse popolari.
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Agostino Viviani
Io non rappresento nessuno perché per il PSI ha già parlato l'amico e compagno Ballardini. Io vi esporrò il mio pensiero. A me il titolo della tavola rotonda non ha fatto molta impressione. Intanto è così moderato da enunciare: ``Perché si parla di Costituzione alla deriva?'' Non è detto neppure che ci siano degli elementi che potrebbero fa credere questo; e un collega della saggezza dell'onorevole Bozzi ha affermato: assassinata no, ma malata di un male grave e lento che la porta a predizione sì. Quindi, qualcosa di importante e di grave ci deve pur essere. Io vedo per esempio in questo tentativo (lasciamo da parte il dubbio sulla buona fede) di ostacolare il referendum un colpo gravissimo alla Costituzione in quanto la nostra democrazia non è una democrazia qualunque, non è una democrazia liberal-democratica. La nostra Costituzione è sorta in antitesi, giustamente violenta, contro il fascismo; ma è sorta anche in polemica nei confronti delle Stato liberal-democratico; perché a quella democrazia ``formale''
che aprì, forse anche consenziente, le porte al fascismo, volle sostituire una democrazia sostanziale. Per far questo ha creato nei poteri un certo bilanciamento. Abbiamo il Parlamento, un Parlamento sovrano; che nella nostra Costituzione è però un sovrano condizionato perché abbiamo il Presidente della repubblica che ha certi determinati poteri, abbiamo la Corte costituzionale che può dichiarare l'illegittimità della legge e quindi, in un certo senso, condiziona il Parlamento. E il costituente non si fermò qui. Non si è fidato del Parlamento. Il costituente ritenne che bisognasse creare un qualcosa per cui non ci fosse una distinzione, una divisione, una separazione tra il Paese reale ed il Paese legale e per questo ha istituzionalizzato i partiti (art. 49), ha proclamato la piena libertà di organizzazione sindacale (art. 39) e poi ha creato altri istituti: la petizione, l'iniziativa legislativa popolare e, soprattutto, i referendum. Quindi il referendum è un istituto di bilanciamento nei confronti degli a
ltri poteri, per cui esso può - nel disegno costituzionale - essere modificato e migliorato, ma non ucciso. Il mio compagno e amico Spagnoli sostiene che bisogna stare attenti a non cadere in abusi. Ed io sono d'accordo con lui; però non vorrei che per non creare abusi si distruggesse il referendum. Ma nella proposta comunista, pura ipotesi di lavoro (ci ha detto Spagnoli e meno male che è così!), la situazione è tale per cui io ho fatto questo conto: per effettuare un referendum, se il diavolo ci mette la coda (e il diavolo può essere anche la divina provvidenza) occorrono 6 anni, cioè c'è tutto il tempo possibile perché cambi anche la legislatura. Questo non è accettabile; noi dobbiamo star bene attenti a non fare passi indietro, dopo aver vissuto trenta anni in bilico tra il rinnovamento e la continuità: il rinnovamento voluto dalla Costituzione e la continuità imposta invece dalle forze reazionarie e conservatrici che - non se ne dispiaccia l'onorevole Mazzola - trovarono la loro consacrazione elettorale
il 18 aprile del 1948. In quella che fu una grande vittoria della DC sta il segreto di ciò che è avvenuto dopo. Certo (è stato osservato giustamente) la Costituzione in questi trenta anni ha corso dei rischi; ed io non sono del parere che la difesa più efficace sia venuta dalla DC. Quei rischi si evitarono perché avemmo una sinistra unitaria nel difendere la Costituzione. Questo è il punto. Nella difesa della Costituzione, abbiamo ancora una sinistra unita? Lo speriamo. Però da un pezzo in qua che cosa è successo? E' successo che abbiamo avuto la legge Reale, abbiamo avuto la pratica abolizione dei termini di carcerazione preventiva, abbiamo avuto una riforma di alcune norme del codice di procedura penale, riforma contro la quale il Gruppo socialista ha votato, perché è così aberrante da consentire che il cittadino possa arrivare alla condanna senza saper nulla del processo; una riforma che, anche dal punto di vista tecnico, è obbrobriosa. Ora si arriverà all'arresto provvisorio.
Ma, dice il compagno Spagnoli, con la sua solita abilità e saggezza, le cose vanno viste su di un piano generale; e abbiamo sentito l'elenco, indubbiamente esatto, di provvedimenti positivi che ha fatto: il segreto istruttorio, il sistema di Governo, la riforma della polizia; la legge n. 382. Tuttavia io devo fare una dichiarazione di principio, che può essere condivisa o meno. Mi dispiace, ma certi diritti di libertà, di uguaglianza, di giustizia non hanno prezzo; non li baratto con nulla. Se si comincia a scivolare sul piano inclinato della eccezionalità non si sa più dove si arriva. Si arriva anche a decisioni aberranti, come quella di rinviare le elezioni. Per quale ragione? Ma che ci venite a raccontare! Che sono state rinviate per un criterio di razionalizzazione?! Qui siamo tutti maggiorenni e vaccinati. Le elezioni sono state rinviate, come del resto tutta la stampa ha detto e ripetuto, per la cosiddetta ``ragione di Stato''. In pratica perché l'accordo tra i partiti potesse reggere. Un accordo che n
on mi piace perché somiglia troppo ai programmi del centro-sinistra (e mi dispiace ricordarlo): si promettono tante cose e se ne concludono poche.
In base all'accordo programmatico, in materia economica che cosa è stato fatto? La legge sul cumulo delle pensioni, precipitosamente ritirata. Ma di concreto in questi accordi c'è una sola cosa: la normativa relativa all'ordine pubblico. Ora anche in questo campo l'eccezionalità non mi convince, non solo per quello che ho detto, ma anche per l'esperienza vissuta. Quando parlavamo contro la legge Reale facevamo una previsione facile, semplice, che tutti capivano: ``Guardate - avvertivamo - che non serve a nulla; ossia servirà a insanguinare le strade, magari di diciassettenni innocenti, questo sì, ma ad altro non servirà.'' E così è avvenuto. Lo stesso diciamo per l'arresto provvisorio (non arresto preventivo, come lo chiama l'onorevole Mazzola). In sostanza si tratta di un fermo di polizia al quale si è furbescamente cambiato nome. Questo arresto provvisorio quando lo si può effettuare? Ascoltate: allorché vi siano atti preparatori che mirano al conseguimento di certi gravissimi delitti. Allora vuol dire che
siamo in presenza di atti diretti in modo non equivoco, e cioè in modo univoco, a commettere un certo delitto. Se così fosse, la norma è inutile perché nel nostro sistema l'istituto del fermo di indiziati di reato c'è già. L'articolo 238 del codice di procedura penale lo prevede. Tale norma si riferiva all'esistenza di gravi indizi ma - in questo scivolamento che stiamo facendo - modificammo i gravi in ``sufficienti indizi''. Dunque, bastano sufficienti indizi di delitto di una certa gravità perché possa effettuarsi il fermo. Allora l'espressione ``atti preparatori'' indicata per l'arresto provvisorio non può volere dire ``atti diretti in modo non equivoco a un certo delitto'', perché - se così fosse - sarebbe una inutile ripetizione. Non può quindi voler dire che una cosa: ``atti che vengono prima dell'atto diretto in modo univoco''. Ma, se questo atto preparatorio viene prima, è un atto equivoco, cioè un atto che non può essere diretto al compimento di uno specifico reato. E allora questo significa attrib
uire alla polizia un potere che non le spetta. Se la polizia avesse questo potere, purtroppo questa legge a un certo momento sarà usata proprio contro le sinistre. E nella previsione legislativa l'arresto provvisorio non è diretto necessariamente a sboccare in un processo ma può condurre a un semplice provvedimento di polizia, che in genere consiste in quel famoso domicilio coatto, ben noto per essere riuscito a diffondere la mafia in tutta Italia. Questa legge, dunque, va combattuta.
Allora lasciamo andare se la Costituzione è alla deriva o meno. Speriamo che non lo sia; anzi ho fede che non lo sia perché ho fede nei giovani, negli operai, negli intellettuali. Ho fede nella sinistra che - qualunque siano le direttive dei partiti - formerà una massa che saprà opporsi ad ogni ingiustizia per la libertà e l'uguaglianza.
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Marco Pannella
Ho ascoltato anch'io, come l'amico Spagnoli, questi due giorni di lavori del convegno, con tanta maggiore attenzione in quanto, essendo un convegno promosso dal nostro gruppo, abbiamo sentito non il dovere, ma l'opportunità, la convenienza di quasi tacere durante di esso. Parlando gli altri, è evidente che l'attenzione era più facile. Ho ascoltato con molto interesse gli interventi dei compagni e degli amici che mi hanno preceduto, perché di occasioni di dialogo, e non di insulti, come deputati radicali, ne abbiamo pochissime. Quindi dobbiamo dare atto e ringraziare perché un fatto nuovo accade, quando vediamo attorno a questo tavolo Bozzi, Ballardini, Viviani, Mazzola, Spagnoli. E' un dibattito nel quale ciascuno di noi ha fiducia; altrimenti perché saremmo qui?
In un certo senso questo convegno potrebbe subito essere utilizzato dall'amico Mazzola per dire (come avete appena sentito): vedere quanta libertà c'è in Italia? Certo, il lavoro di questo convegno è forse servito a tutti i non radicali (il 99 per cento cioè degli intervenuti nel convegno) a fare per un momento un'esperienza radicale. C'era, se non il meglio, molto del meglio dei costituzionalisti, dei giuristi, venuti - liberi - a esprimere le loro posizioni, che certo non avevamo né l'intenzione né la possibilità di verificare a priori.
Ciononostante la stampa, ancora una volta, ha disertato i suoi doveri di informazione. Tranne l'eccezione un po' misera, e imbecille sotto il piano professionale, della "Nazione", nessun quotidiano d'Italia ha infatti registrato gli effetti di questa libertà di riunione. Non un solo rigo è stato scritto (forse qualche giornale mi è sfuggito; sì, ecco 7 righe sul "Corriere della Sera"). Ma democrazia è comunicazione, è informazione e giudizio: la democrazia è, innanzi tutto, ``conoscere per deliberare'', conoscere per giudicare. Però, siccome eravamo riuniti in una sede radicale (cioè in sede "tabù"), anche se è la scienza che parla, si esprime, dà un contributo dialettico, profondo, con angolazioni le più diverse, di tutto questo l'opinione pubblica deve essere defraudata. Invece, e molto giustamente il convegno sui giovani (che però è un dibattito di ogni giorno) organizzato nei pressi di Roma dal solo Partito comunista (che è la maggiore forza democratica) ha egemonizzato la radio, le televisioni e la stam
pa borghese e non borghese. Bisogna osservare queste cose per capire quanto il pluralismo è effettivamente laico e democratico.
Questo è in effetti un pluralismo lottizzatore. Grazie al quale, se compaio io per trenta secondi alla televisione è a causa di un bollettino medico del dottor Boglino che dice che io forse sono a dodici ore dal coma o che sto per essere arrestato al processo Margherito. Ma quando - mi chiedo - possiamo servire la democrazia, facendo passare nelle informazioni quotidiane la nostra riflessione, la nostra serietà, la nostra quotidianità, le nostre tensioni, i nostri errori, i nostri giudizi, perché gli altri li accolgano o li respingano? E' una forma di criminalizzazione sottile: più di ogni altra, più di quella tedesca. E' la vecchia storia, ora conosciuta perché usata in Russia, di far comparire idiota l'oppositore. E, in quei limiti, c'è anche benevolenza. Nei villaggi d'Abruzzo, all'idiota del villaggio dicono: ``Sì, sì, hai ragione, basta che non rompi.'' Questo è, quindi, un po' quello che è accaduto; questa è la situazione nella quale ci muoviamo. Devo dire che per noi è stata una sorpresa ascoltare il
senatore Agostino Viviani - anche presidente della Commissione giustizia del Senato - il quale qui parla per sé, non rappresenta la Commissione giustizia, e non ha bisogno di rappresentare nessuno, perché affida alle cose che pensa la comunicazione con gli altri. L'avete sentito spesso alla radio, alla televisione, sui giornali, il senatore, presidente Viviani? E come mai? Anche Ballardini, che ha la sua austera, severa, lunga serietà, lo conosciamo poco. E non è che ci sia discriminazione contro i socialisti; in effetti altri di loro non subiscono questo trattamento. Che cosa è quindi che nel pluralismo ha libera circolazione, quali "parti delle parti"?
Subiamo accuse per il nostro cattivo gusto. Con continua, affettuosa, fraterna attenzione, Bozzi ci dice: ``E' problema di serietà. C'è un modo, uno stile, bisogna stare attenti, sembra eccessivo parlare di assassinio''; però, poi, afferma che la Costituzione è gravemente malata. Da parte sua il severo, austero, essenziale, roccioso Ballardini dice: ``Alla deriva? Ma chi lo dice...'' Be', vorrei dire che forse è bene che noi non parliamo. Non passiamo nella comunicazione, perché usiamo un linguaggio che voi ritenete eccessivo; ma se foste davvero sicuri che il nostro linguaggio è eccessivo, lo lascereste passare, perché i linguaggi eccessivi sono condannati da chi li ascolta. E' un linguaggio che ha invece una diversa proprietà, che cioè fa passare l'idea che le Istituzioni sono concepite, nascono, crescono, cadono malate, continuano a vivere e possono morire. Certo, io direi al prof. Barile, che forse ho fatto male a dire ``assassinata'' nella mia difesa in favore delle Costituzione. Forse ``assassinata'' p
resume un dolo. Diciamo, magari: ``uccisa''. Una costituzione che dopo trent'anni, per il cinquanta per cento almeno delle strutture giuridiche dello Stato (dal codice penale all'organizzazione dello Stato) resta immutata, è più in pericolo della Costituzione che nel '52 Scelba cercò in un modo o in un altro di colpire. Perché c'è il pericolo della morte fisiologica.
E poi ci parlate di Costituzione materiale, vivente! La materialità della Costituzione è quella dello statuto del SID. Vedete, quindi, che non è tanto ozioso il nostro procedere, che non è tanto superfluo. Ci avete - voi - insegnato che si deve essere, si può essere socialisti, anche perché non esiste altra possibilità di realizzare le idealità della rivoluzione borghese con le libertà liberali se non nel quadro dell'umanesimo socialista, della sua razionalità.
Certo, sono troppi i referendum (otto) e, giustamente ha detto Ballardini, potrebbero essere di più. Ma davvero sono troppi questi referendum abrogativi davanti alla vacanza di legge repubblicana, cioè i referendum abrogativi delle leggi antirepubblicane e anticostituzionali, che da trent'anni in Parlamento non si cerca di far fuori, nemmeno con un minuto di ostruzionismo! Da trent'anni, il tempo di due generazioni! Ci dicono: ``aspettate''. Perché dunque non li avete minacciati voi i referendum alla DC in questi quindici anni? Perché non li avete convocati? Perché la vostra forza deve essere in corridoio, perché la vostra forza deve essere quella della contrattazione oligarchica? La vostra forza, se è democratica, popolare, se è non violenta, consiste nel numero in quanto è dalla vostra parte.
Bisogna spazzare via le vacanze giuridiche repubblicane: di questo si tratta. Gli articoli del codice Rocco che noi cerchiamo di abrogare sono la testimonianza viva di una occupazione di suolo repubblicano, che consente la vacanza di concretezza giuridica repubblicana. Avendo, invece, sottovalutato questo momento della sovrastruttura giuridica e la sua dinamica storica, vi siete trovati oggi a dovervi difendere dalla necessità di razionalizzare, adeguandola alla società del '77, le splendide norme giuridiche della borghesia fascista e di Alfredo Rocco. Ma avete dovuto accettare di farlo, attraverso un'immonda interpretazione di leggi. Non c'è la pena di morte? Ma anche su questo tema andiamo alla sostanza, Mazzola, perché oggi la sinistra non consente di approfondire le vostre contraddizioni, perché non vi incalza. Nei paesi dove c'è ufficialmente la pena di morte ci sono due tre esecuzioni l'anno. Da noi non c'è la pena di morte? Da noi le esecuzioni sono trecento, tra poliziotti e ragazzi che fuggono e alt
ra gente. Avrei preferito la pena di morte in queste condizioni, piuttosto che l'istigazione all'assassinio, contenuta nella legge Reale, che ha creato il terrore del poliziotto, per cui il rapinatore terrorizzato dalle nuove norme, sparerà per prima perché dirà: ``tanto la tariffa è sempre la stessa, che io vada con una specie di scacciacani o con un mitra, che spari o no... '' Non è come una volta, con il diritto di fuga, che si lasci il malloppo o no. Questa è una società nella quale la pena di morte è realizzata, Mazzola, in una misura incredibile. In nessuna statistica in Inghilterra, in Germania, dove abbiamo questo terrorismo fanatico disperato, anche distruttore, c'è nemmeno lontanamente la percentuale di morti ammazzati che abbiamo registrato negli ultimi tre anni in Italia. E' vero che non c'è quella repressione alla tedesca di cui parlavano i compagni Guattari e gli altri, ma per chi non c'è? Scusate: per Pinelli, capperi, se c'è la repressione! Per il capo del SID, di cui abbiamo visto in tutta l
'Italia la fotografia lordata di sangue, non c'è repressione; non c'è repressione per i vostri ministri che mentono adesso accusandosi l'un l'altro.
Tu, Spagnoli, hai parlato di Watergate italiano: io direi una Watergate ``all'italiana'', con Tanassi (il ladro di polli messo lì) con Gui, forse innocente, al posto di Rumor; ma l'associazione a delinquere che non avete contestato, nell'arco dei quindici ani passati, era nel seno delle istituzioni. La vostra è la logica di chi difende già l'istituzione essendo vertice dell'istituzione. E non lo siete, per fortuna.
Ma una Costituzione, per il quaranta per cento inattuata in trent'anni, ha come unica caratteristica per garantire l'alternanza, il referendum.
I codici militari: ma vi rendete conto che in Italia ogni golpe può essere legale perché l'utilizzazione morotea del Ministero della giustizia, della riforma dei tribunali militari, è tale che legalmente i nostri tribunali militari possono giudicare in qualsiasi momento qualsiasi cittadino italiano che abbia prestato giuramento? Perché manteniamo il serbatoio di una legalità fascista, golpista?
Lo confermo: ci sono cento giorni (ora non più) per salvare la Costituzione. Ci dicono i compagni comunisti che loro, per carità, non avevano mai pensato di utilizzare la loro legge contro gli otto referendum. Va bene, ne prendiamo atto; speriamo che tutti i compagni comunisti non ci abbiano mai pensato. Ci si dice, ``avevamo presentato un simile progetto già un'altra volta, negli anni precedenti''. Certo, Spagnoli, ti ricordi che canaio venne fuori quando Alberto Malagugini, depositò quelle proposte? Per aperta che sia, quella proposta significa che si può chiedere un referendum e magari attenderne lo svolgimento dopo sei anni. La caratteristica del referendum è quella dell'immediatezza. Dicono: bisognerebbe provare una legge per due o tre anni, prima di farla giudicare al popolo. E perché il popolo dovrebbe essere meno assennato dei parlamentari? Perché dovrebbe sopportare per tre anni una legge magari sbagliata e dagli effetti disastrosi? In effetti questa proposta è chiaramente indicativa di una posizion
e gravissima, che è esattamente all'opposto di quella di Terracini.
Bozzi ha detto giustamente che non tutti, anzi pochi, conoscono veramente l'oggetto dei referendum. Durante la campagna per i referendum abbiamo fatto di tutto perché gli organi di stampa e la Rai parlassero dei temi del referendum! Ci hanno sempre risposto di no, perché era pubblicità. Adesso abbiamo chiesto il dibattito e sapete come ci avete risposto? Una unica tribuna libera, con gli undici partiti contrari ai nostro referendum e noi che ci dividiamo il tempo: 2 minuti noi, 22 gli altri. Questo ci dispiace, ma è fascismo. Noi abbiamo il dovere di chiedere alla più grande delle nostre forze, il partito comunista, patrimonio di tutta la democrazia e di tutto il socialismo italiano, abbiamo il diritto di chiedere ai compagni comunisti, se vogliono comportarsi sul referendum come hanno fatto sulla legge Reale: prima costringendo gli allocchi compagni socialisti, che non la volevano, a votarla, per poi, loro, votare contro.
Allora, compagni comunisti, non potere dire che quella proposta adesso non c'entra più, che è un progetto aperto. Dovete dirci se lo fate passare o no. Difenderete la legalità repubblicana e costituzionale contro uno dei democristiani che amate più di tutti: Cossiga, questo Ministro degli interni che ha sempre agito facendo pensare che quello che fa, lo fa d'accordo con voi?
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Renato Ballardini
Pannella lamentava che di questo convegno la stampa parla poco e denunciava giustamente che i sistemi di informazione favoriscono le grandi quantità e sacrificano la qualità. Indubbiamente questo convegno era di qualità tale che meritava di essere valorizzato. Purtroppo questa è una regola costante. In politica, in democrazia, conta assai poco la qualità, conta la quantità. E non è un fatto che scopriamo adesso. E' giusto protestare contro questo costume, ma è una realtà che purtroppo esiste. Prima Rodotà sosteneva giustamente che c'è sempre stata sul problema dell'ordine pubblico una ricca proposta di soluzioni in positivo del problema. E' verissimo, ma non bastano le proposte in positivo, bisogna avere la forza per imporre queste soluzioni. Purtroppo i problemi non sono fatti di pura razionalità, ma per essere risolti presuppongono un rapporto di forza. Ora, proprio a proposito del metodo radicale di risolvere i problemi attraverso i referendum, mi pare sia giusto dire che è un metodo molte volte illusorio
. Facciamo l'ipotesi che si riesca a fare ed a vincere il referendum abrogativo del Concordato: ebbene, ciò non toglierebbe nulla alla presenza del potere temporale della chiesa nella società italiana.
Facciamo l'ipotesi che venga approvato il referendum abrogativo della legge manicomiale: ebbene, ciò non risolve il problema dei manicomi, che restano tali e quali. Il problema dei manicomi si risolve con una reale riforma sanitaria. Il problema è molto più duro di quello che sembra. Io sono d'accordo con molto di quello che ha detto Spagnoli, anche se preferisco sottolineare un suo momento di perplessità: forse - egli ha detto - non abbiamo lavorato ad una strategia giusta per capire che cosa c'è in questa società, per stabilire dei collegamenti, per stabilire un rapporto di comunità reale con le masse. Certo, probabilmente vi è un difetto di strategia, ed è la strategia del compromesso storico. La classe operaia è oggi in una condizione di resistenza, le sinistre storiche hanno compiuto un grande lavoro di difesa. L'importante, adesso, è trasformare questo atteggiamento di resistenza in una strategia di attacco e non può essere una strategia di attacco quella che punta su una collaborazione con la DC. Biso
gna indicare ai giovani, alle donne, alle masse una prospettiva nuova, far maturare l'idea dell'alternativa. Legarla agli obiettivi concreti ed attuali con essa coerenti.
In questo momento uno dei punti decisivi è già ricordato stamane da Federico Mancini è quello della contestualità delle misure sull'ordine pubblico con la sindacalizzazione della polizia. Non risolve tutti i problemi, ma in questo momento è un elemento veramente essenziale. E' importante enunciare la linea generale, ma lo è altrettanto compiere ogni giorno un passo avanti.
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Aldo Bozzi
Vorrei dire al collega Ballardini che sono d'accordo con lui che la politica è fatta di rapporti di forza; però che il diritto all'informazione, che è diritto del cittadino, sia legato a tale rapporto di forza, questo non mi convince. Dobbiamo combattere le deviazioni che possono portare all'informazione di regime, al conformismo, alla sclerosi del dissenso. Vorrei rivolgere, poi, un'osservazione al senatore Viviani. Tu, caro Viviani, anche se nella foga del discorso, hai criticato la Corte costituzionale. Ora, credo che nell'ordinamento italiano uno degli istituti che resiste allo sfacelo è proprio la Corte costituzionale; certo, avrà potuto anch'essa commettere errori (io stesso in Parlamento ho criticato una recente sentenza che attribuisce alla Corte dei conti poteri che questa non ha). Che però la Corte costituzionale abbia inserito nel circuito dell'ordinamento giuridico italiano - un ordinamento stratificato (alcune norme ancora vigenti sono anteriori al 1865) - la linfa e i valori della Costituzione,
questo è vero. Ha annullato tante norme fasciste, soprattutto in materia di procedura penale. Se mettiamo in discussione anche la Corte costituzionale allora la Costituzione è già assassinata, facciamole i funerali e non se ne parla più.
Vorrei infine rivolgermi a Spagnoli. Spagnoli, mi sei sembrato in posizione difensiva. Da un po' di tempo a questa parte il Partito comunista lo vedo in posizione difensiva e accomodante; ti dirò che nel tuo discorso ho avvertito un taglio di tono moroteo (guarda che è cosa piuttosto grave!): un discorso fluido, gassoso. Ed io che sono in fondo un uomo semplice e guardo le cose come sono nella realtà, quando sento che tu giustifichi l'attuale politica compromissoria (più di governo che di lotta) del PCI, in quanto il partito si avvicina, come hai detto, alla direzione politica del Paese, vorrei dirti: attenzione, non conosci bene la DC! Il suo abbraccio è fatale. E tale avvicinamento del PCI alla direzione politica del Paese spiegherebbe la ``politica delle masse'' di cui ha teorizzato in un recente libro il presidente Ingrao? Domando: quali sono i segni concreti di tale politica? Sono il rinvio delle elezioni; la vanificazione del referendum? Il rinvio delle elezioni segna una brutta pagina, a cui segue l'`
`ipotesi'' di vanificare il referendum.
O forse la politica delle masse si risolve nella politica dei vertici oligarchici? Vi sono sintomi concreti che non mi lasciano tranquillo.
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Franco Mazzola
Certo se dovessi prendere per buona l'affermazione di Bozzi, che cioè Spagnoli parla con linguaggio moroteo, mi sentirei in grave difficoltà a dire a Spagnoli alcune cose che invece vorrei comunicargli. Io capisco l'esigenza che Spagnoli ha rappresentato in modo appassionato e convinto della unità delle forze democratiche contro la crisi economica, per uscire dai problemi che il Paese sta attraversando. Quello che io non condivido è l'interpretazione che Spagnoli lascia intendere, cioè il considerare questa fase come molto lunga nel tempo, in uno sviluppo strategico nel quale l'unità, che è una delle ricorrenti tematiche del Partito comunista (ieri l'unità antifascista, oggi l'unità contro la crisi) porti ad una situazione nella quale la sinistra egemonizzata dal Partito comunista tenda a creare un modello consociativo, nel quale verrebbero a stemperarsi le differenze tra le forze politiche e s affermerebbe un certo tipo di stato nel quale io non credo, ma nei confronti del quale credo che anche molti dei pr
esenti abbiano delle perplessità.
Quindi io accetto il discorso dell'accordo a sei con un taglio politico diverso. E' un discorso che va gestito correttamente, che serve a superare un momento difficile, ma che, a mio avviso, per noi non rappresenta una fase di passaggio a una nuova unità, ma deve rappresentare una fase che mantiene, anzi evidenzia, le differenze esistenti tra le varie posizioni.
Al senatore Viviani voglio replicare che non è verso che abbiamo fatto un codice di procedura penale che potrebbe portare qualcuno ad essere condannato senza neppure aver avuto un processo. Non è vero, perché, quando si dice che il primo atto è la elezione di domicilio dell'indiziato di reato (il quale, se poi non provvede a cambiarlo, non ha più notizie) si afferma in pratica che il primo atto è la comunicazione giudiziaria. L'indiziato sa quindi che ha un procedimento e se cambia domicilio senza farsi carico di notificarlo questa è sua responsabilità. Abbiamo adottato questa misura per consentire che finalmente in questo Paese si comincino a fare i processi. E poi, se mi consente, anch'io sono dell'idea che certi diritti di libertà non hanno prezzo e non possono essere barattati; con una sola eccezione, che possono essere barattati quando questi diritti di libertà vanno a ledere le libertà di altri. E in questo consiste la convivenza civile. La limitazione della libertà di ognuno è la garanzia della libert
à degli altri.
Un'altra cosa voglio aggiungere. Dietro questi accordi non c'è nessun protocollo segreto, non c'è nessun patto aggiuntivo o intesa sotterranea. Analogo discorso riguarda il sindacato di polizia sul quale non ci sono stati accordi e si è convenuto, su questo piano, che la soluzione venisse demandata al Parlamento con l'intesa che, quale che fosse stata la decisione che il Parlamento con l'intesa che, quale che fosse stata la decisione che il Parlamento avesse adottato, si sarebbe accettata, senza che avesse conseguenze negative sul pacchetto di norme dell'accordo fra i sei. Sul problema del referendum, come sul sindacato di polizia, come su tutta una serie di altri problemi (che sono la maggior parte, perché l'accordo riguarda una piccola parte dei problemi che sono sul tappeto) vi sarà in Parlamento un libero confronto democratico fra le forze politiche e si affermerà così nei fatti, e non soltanto a parole una volta tanto, la centralità del Parlamento.
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Ugo Spagnoli
Vorrei rispondere alla battuta di Bozzi con una affermazione: la nostra è una posizione di intransigente difesa dello Stato democratico. Con tutti i difetti, con tutti i guasti che pure sono stati creati in questi trent'anni, e che debbono essere risanati, noi riteniamo che lo Stato democratico debba essere difeso e che occorra procedere, nel contempo, sul terreno del suo rinnovamento. Questa è la nostra scelta di fondo, che abbiamo seguito anche negli anni difficili, quando lo Stato, il governo, nel quale eravate voi liberali, spianava contro di noi le armi della repressione più illiberale. Anche allora noi non abbiamo mai scelto la strada della disgregazione dello Stato, ma quella della sua democratizzazione. Il fatto è che è finita l'epoca in cui il terreno della democrazia era solo quello delle classi borghesi, sono finiti i tempi in cui la classe operaia doveva sempre stare all'opposizione, essere sempre emarginata. Il terreno della democrazia è quello su cui la classe operaia avanza per la direzione po
litica del Paese. Ed è per questo che tanta gente cerca di contrastarci, dai Montanelli agli estremisti di varia natura. Questo è il primo dato reale. Il secondo è quello della scelta unitaria, anch'essa vincente, e anch'essa, perciò, tanto contrastata.
E' sbagliato affermare che il nostro partito, avvicinandosi all'area del potere, dimostra minore sensibilità ai problemi della libertà. L'ho già detto, ma voglio ribadirlo. Con questo non contesto che su taluni terreni vi siano stati ritardi o inerzie, che in parte discendono anche dalla storia, dal modo di formazione del movimento operaio. Si è detto che all'interno del movimento operaio convivono due momenti, due ``stati d'animo'': quello garantista e quello repressivo. Se ciò fosse vero, occorre superare una divaricazione che potrebbe essere preoccupante, e giungere alla precisazione di una strategia unificante su tutti i problemi dell'ordine democratico. Ma questo processo non è davvero aiutato dal referendum. Non è eliminando talune norme, o interi sistemi di leggi, creando il vuoto, paralizzando le istituzioni, che cresce una politica istituzionale unitaria e avanzata, la quale richiede riflessioni serie e non risposte emotive. L'accordo a sei, pur con tutti i suoi limiti, si muove nella direzione gius
ta: ma occorre lottare per realizzarlo, portando avanti i processi unitari, stimolando l'impegno di tutte le forze politiche che l'hanno sottoscritto e soprattutto della Democrazia cristiana.
Mazzola afferma che è necessario uno sforzo comune per uscire dalla situazione difficile nella quale ci troviamo, e che tuttavia la strategia della DC non è quella del compromesso storico. Sta bene, battiamoci insieme per risolvere i problemi drammatici del Paese, ma facciamolo sul serio. Quanto alla strategia, chi ha più filo tesserà. Noi continueremo a batterci sul terreni dell'unità, nell'interesse non solo dei lavoratori ma del Paese.
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Agostino Viviani
Voglio rispondere innanzi tutto all'onorevole Bozzi. Il suo ragionamento è stato questo: non dir male della Corte costituzionale, perché altrimenti va tutto in sfascio. Ma questo non è un argomento. Tu, Bozzi, mi devi dimostrare che la Corte costituzionale ha ben funzionato. Ed allora, a questo proposito, io ti dico che in materia di diritti civili ha ben funzionato; in materia sociale ha fato di tutto perché il regime capitalista si rafforzasse. Tu lo sai meglio di me e conosci meglio di me le sentenze relative.
E passo all'onorevole Mazzola. Il quale ha detto che io ho fatto della demagogia dicendo che un cittadino può essere condannato senza che ne sappia nulla. Non so se ho fatto della demagogia; se la verità è demagogia allora ho fatto della demagogia. Egli, però, non si è attenuto certamente né alla parola né allo spirito delle modifiche apportate al codice di procedura penale. Intanto cominciamo da un punto pacifico. Il regime delle notifiche nel processo penale, regalatoci dal Parlamento della repubblica italiana, è meno garantista del codice Rocco. Perché il codice Rocco diceva e dice questo: quando un imputato non si trova (che cosa si fa? Ma guarda un po' che strano) ...si cerca! Il codice Rocco affermava questo principio e dava incombenza al giudice di far ricercare l'imputato particolarmente nel luogo dell'ultima dimora ed in quello di nascita; dopo di che, se non lo si rintracciava, veniva dichiarato irreperibile. Ma siccome i fascisti erano duri e non volevano che nessuno disobbedisse, allora avevano f
atto una eccezione che si riflette in una norma (l'onorevole Mazzola se ne deve essere dimenticato) nella quale era scritto: se un imputato regolarmente citato non si presenta all'interrogatorio, e cioè è renitente, allora si presume irreperibile. La cosa non era logica, perché se io imputato non mi presento mi puoi punire, ma non puoi dire che sono irreperibile se, invece, cercandomi, mi puoi trovare. Ed ecco allora che è intervenuta la Corte costituzionale (così cara all'onorevole Mazzola) che ha rilevato come questa norma sia incostituzionale, perché si può punire chi non si presenta, ma non si può dire che è irreperibile chi si può trovare. Questa era la situazione prima del disegno di legge ora sopraggiunto. In questo progetto che cosa si dice? (E badate bene qui non c'è da invocare il famoso ordine pubblico - che i nostri contraddittori si guardano bene dal chiamare ordine democratico, e non a torto perché di democratico non ha proprio nulla - in quanto si tratta di imputati di reati minori, altrimenti
sarebbero detenuti.) Si afferma che la polizia giudiziaria (basta il poliziotto dunque) nel primo atto, compiuto con l'intervento dell'indiziato o dell'imputato, lo invita a dichiarare uno dei luoghi indicati nella prima parte dell'articolo 169 o ad eleggere domicilio per le notificazioni. Ora rendiamoci conto della situazione. Uno è indiziato di reato (guardate, neppure imputato); sa cioè che intorno ad un certo fatto che più o meno lo riguarda si fanno indagini. Viene convocato dalla polizia e gli chiedono: dove ha lei il domicilio o dove lo vuole eleggere? Lui magari risponde: presso l'avvocato Viviani (che per l'appunto è vecchio e quindi è ben disposto a morire). L'avvocato Viviani muore. Oppure potrei fare anche l'esempio del poliziotto in mala fede, che sbaglia intenzionalmente, o anche senza volontà l'indicazione del domicilio e magari sbaglia solo il numero dell'abitazione. L'ufficiale giudiziario va a notificare nel luogo indicato e non trova né il ricercato né la persona presso la quale è stato e
letto domicilio. Può anche darsi che quest'ultima se ne sia andata, oppure neghi addirittura l'elezione di domicilio. Che cosa dovrebbe succedere secondo la logica? Che cosa succedeva secondo lo stesso codice fascista? Si facevano indagini - come ho già detto - particolarmente presso il luogo dell'ultima dimora e presso il luogo di nascita del ricercato e se le indagini erano negative, non è vero che non si facesse il processo (ma chi l'ha mai dette queste storie?); si dichiarava semplicemente irreperibile l'imputato e si seguiva la via delle notifiche agli irreperibili.
Secondo la nuova normativa, invece, se non lo si trova, chi se ne frega! Si presume irreperibile e tale lo si dichiara, seguendo la procedura degli irreperibili, senza fare alcuna indagine. Sapete che cosa significa seguire la procedura degli irreperibili? Il cancelliere va dall'ufficiale giudiziario e gli dice: senti, notificami questo atto; e lui immediatamente gli scrive: notificato al signor pincopallino ai sensi dell'articolo 170 del codice di procedura penale. Il cancelliere riprende l'atto lo mette nel fascicolo e... arrivederci e grazie. Ecco, questa è la garanzia che è data al cittadino dalla innovazione. Non solo, ma per non avere ulteriori disturbi, si è aggiunta un'altra norma, per la quale questa determinazione del domicilio legale vale per tutto il corso del procedimento. Proprio a differenza di quanto stabiliva per gli irreperibili il codice fascista, giacché, ai sensi dell'ultimo comma dell'articolo 170, il decreto di irreperibilità valeva per un solo grado di giudizio. Il presunto irreperibi
le, dunque, non sa più nulla, fino a che non vanno a catturarlo per l'esecuzione della pena; allora sanno dove trovarlo. Ed io in aula, al Senato, ho fatto al ministro Bonifacio questo esempio: va l'ufficiale giudiziario per la notifica, trova una casa crollata; che cosa fa? Il ministro ha risposto si applica la procedura degli irreperibili, perché anche in questo caso l'interessato deve comunicare il cambiamento di indirizzo. Quindi, non cerchiamo, secondo il solito, di nasconderci dietro paraventi più o meno ipocriti. Diciamo le cose come stanno: abbiamo creato un sistema secondo il quale il cittadino può essere condannato senza che sappia nulla del processo. Il che non era riuscito a fare, e non aveva fatto, neppure il fascismo. Colpa di tutti se volete. Io credo che se ci troviamo in questa situazione è proprio perché c'è chi la vuole esaminare nella sua ``globalità'', come sostiene il amico e compagno Spagnoli. E' una visione esatta? Certo, quando Spagnoli parla così bene, vi dico la verità: quasi quasi
mi convince. Ma poi sento venir fuori Mazzola che gli dice: ``senti caro, (perché non gliele mandano mica a dire dietro) non ti fare tante illusioni, finché ci fai comodo ti teniamo e poi ti molliamo''. Perché questo ha in sostanza dichiarato Mazzola nel suo intervento. E Spagnoli risponde: vedremo chi ha più tela da tessere e..., intanto, la DC interpreta l'accordo a modo suo.
A questo punto io mi domando: il riferimento di Spagnoli alla forza del PCI è convincente? E' vero, il PCI ha avuto (e aggiungo meritatamente) grandi consensi, ma fino a quando li ha avuti? Finché era su un'altra posizione, finché era sulla posizione di lotta; prima, non dopo, il 20 giugno. Speriamo li ottenga ancora, perché il PCI è un parafulmine, quindi mi sta bene. Però la lotta non è finita e quando si comincia con la teoria dell'astensione non si sa come si va a finire. L'astensione è un brutto strumento perché, senza dartene i vantaggi, ti dà tutti i danni della maggioranza. Sentiamo quello che i democristiani dicono ai partiti della astensione: siete voi a sorreggere il Governo!
Ed è così, anche se a ben guardare, l'astensione è una beffa. Per avere la maggioranza ci vuole la metà più uno, con l'astensione non è così. Ipotizziamo un Paese con Camera unica (che non abbia la velleità di sperperare quattrini con il bicameralismo) con 600 parlamentari: 580 si astengono, 20 votano a favore. In una simile ipotesi ha la maggioranza un tale Governo? Ma che cosa mi venite a raccontare! Io mi auguro di sbagliare (e andrò sempre a sentire l'amico Spagnoli per trovare un po' di conforto), ma secondo me il nostro errore comincia con l'astensione. Si era detto: ci asteniamo per un piccolo periodo di tempo. (Ed io comunque mi chiedevo: perché anche per un piccolo periodo di tempo bisogna dar fiato alla DC che ne ha buscate? Ma, sì, diamole fiato per un piccolo periodo di tempo). Ma ora di tempo ne è passato! E continuiamo attraverso l'astensione a sorreggere un Governo che non ha un programma, che non ha una linea né politica, né sociale, né economica. Vive alla giornata, saltellando ora a destra
ora a sinistra; ora facendo un discorso contro le sinistre ora contro le destre. In questo modo non si fa politica; in questo modo temo che non riusciremo più a galvanizzare le masse per la lotta: le addormentiamo, le allontaniamo da quello che dovrebbe essere il nostro traguardo, da quello che dovrebbe essere un miglioramento capace di condurre a un maggiore livello di civiltà.
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Marco Pannella
Per terminare voglio ringraziare tutti gli amici e compagni che in questi due giorni hanno consentito un dialogo abbastanza raro. Un dialogo (come tutti i dialoghi troppo rari) che rischia di avere dei momenti in cui ci si fa male, in cui si sospetta nell'altro la gratuità e magari la cattiveria, l'eccesso. E' una situazione dalla quale dobbiamo certamente guardarci perché anch'io sono, come Viviani, tra quelli che stanno tentando da molti anni di criticare, con tutta la drammaticità che ritengo necessaria, una linea della sinistra che ritengo onestamente sbagliata. Onestamente nei due sensi: quando in passato certi compagni parlavano di linee tradite, o di traditori, o di tradimenti, c'era qualcosa che mi si ribellava, e dicevo anche: ``magari''. Io so benissimo, invece, che il dramma della sinistra è non nel tradimento, che è cosa in fondo sempre marginale, ma nell'errore.
Spagnoli mi può rendere atto che alla Camera, ogni volta che siamo costretti (e ciò avviene ogni due giorni) a votare contro qualcosa, noi ci auguriamo che i compagni del Partito comunista abbiano ragione e noi torto, perché se loro hanno ragione ne beneficeremo tutti. Se, per disgrazia, il Partito comunista e il Partito socialista sbagliassero e noi avessimo ragione, certo potremmo dire ``siamo stati testimoni di verità''; ma, siccome l'idea di essere testimoni non ci interessa e la figura di martiri non ci attira particolarmente, è evidente che in pratica ci rimarrebbe solo il danno provocato dall'errore compiuto dagli altri partiti della sinistra storica. Se sbagliano, si perde tutti quanti. Ma resta il fatto che la lotta politica è dialogo e il dialogo significa superamento delle parzialità storiche di ciascuno, significa superamento della parzialità della verità anche di chi ha ragione. L'unità non si trova attraverso la compromissione e la correità, ma attraverso anche quei compromessi creativi che son
o sempre il frutto di un dialogo drammatico, di uno sforzo d'attenzione molto grosso.
Un momento fa sentivo affiorare una punta di disagio. Non capivo di che si trattava. Era che, mentre parlava l'on. Bozzi, mi mettevo un po' nei panni di Spagnoli, il quale in effetti si è trovato al centro di fuochi incrociati; e chi crede (e Spagnoli crede) alla bontà delle proprie posizioni, di quelle del proprio partito, certo rischia sempre di avvertire con sofferenza (anche se non pensa alla malafede da parte degli altri) l'incapacità di comprensione da parte degli altri. Vorrei ora che Spagnoli, dopo questa esperienza, provasse a capire in quali condizioni, giorno dopo giorno, oro dopo ora, chi è, per esempio, radicale è portato e costretto a combattere la sua lotta non solo per le strade, sui marciapiedi, ai tavolini ecc. ma anche in Parlamento. Nel novanta per cento dei casi chi è radicale sa che non sarà nemmeno ascoltato, e nel 99 per cento dei casi sa che, anche se sarà da qualcuno ascoltato così, come una ghigliottina il tempo parlamentare scandirà - dopo 5 minuti - il voto quasi unanime della Ca
mera contro qualsiasi invito alla riflessione, al ripensamento. E solo pochi incontrano dei compagni che ti riconoscono una funzione quanto meno di ``stimolo''.