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Billi Massimo, Gaudioso Mimmo - 7 aprile 1978
L'ANTAGONISTA RADICALE: (8) Problemi e prospettive della crescita della struttura libertaria e federativa
di Massimo Billi e Mimmo Gaudioso

SOMMARIO: Gli atti del convegno sullo statuto e sull'esperienza del Parito radicale che si è svolto a Roma all'Hotel Parco dei Principi nei giorni 5, 6 e 7 aprile 1978.

("L'ANTAGONISTA RADICALE" - La teoria e la prassi del partito nuovo, socialista e libertario; e lo statuto e l'esperienza del PR nella società e nelle istituzioni - Convegno del consiglio federativo del Partito Radicale - Roma, aprile 1978)

Massimo Billi / Mimmo Gaudioso

PROBLEMI E PROSPETTIVE DELLA CRESCITA DELLA STRUTTURA LIBERTARIA E FEDERATIVA

In questo breve intervento vorremmo sottoporre all'attenzione del convegno alcune questioni relative alla crescita libertaria e federativa del Partito, avendo come riferimento da una parte lo Statuto, dall'altra l'attuale situazione politica.

Pensiamo che, questo abbia una certa importanza, anche perché molto spesso nell'analisi dell'insufficiente realizzazione dello Statuto, ci si è limitati ad un palleggio di responsabilità tra la ``base'' e i ``vertici'', senza considerare i vincoli impostici dall'esterno.

La politica radicale si è snodata in questi anni tra due poli:

a) l'attenzione verso le richieste della società, l'intuizione che non deve essere il partito a organizzare dall'alto le spinte sociali, ma sono queste a dover costituire il partito libertario;

b) la capacità di intervento a livello delle istituzioni per mezzo delle intuizioni di un'analisi politica che arriva a conoscerei perfezione la logica e i meccanismi del regime.

Questi due aspetti sono sostanzialmente complementari; essi sono riusciti a dare ai movimenti spontanei uno sbocco politico senza del quale questi non potrebbero sopravvivere a lungo.

Ciò è stato possibile per un certo periodo, quando certi spazi erano lasciati ancora aperti da un regime che non si era ancora definitivamente consolidato; in questa situazione bastavano atti esemplari come il gesto di Pannella di fumare pubblicamente hashish per imporre all'attenzione della società civile da un lato, e dall'altro della classe politica e delle istituzioni il problema della droga.

Questo modello è entrato già da un certo tempo in crisi, una crisi che ha raggiunto il suo culmine in occasione del digiuno di 70 giorni di Aglietta e Spadaccia per la riforma carceraria, e successivamente nella vicenda dei referendum.

In questa occsione il PR, che aveva concepito questa iniziativa anche per dare sbocco a lotte civili e democratiche che rappresentavano la maggioranza della popolazione, ha dovuto a poco a poco trasformare la sua mobilitazione nella difesa dell'istituto stesso del referendum, incalzato come era dalla politica convergente dei partiti di regime, che mirava a rinchiudere esclusivamente al proprio interno le contraddizioni e le spinte della società.

E' quindi evidente che, di fronte ad una situazione in cui gli spazi di democrazia si vanno gradualmente ristringendo è necessaria una strategia difensiva di salvaguardia della Costituzione, che riesca a mobilitare tutte quelle forze che, nel paese, sono ancora interessate all'esistenza della dialettica democratica.

Tale azione deve puntare soprattutto sul problema dell'ordine pubblico e la gestione che, attraverso gli organi di informazione, è stata fatta di questo tema per non affrontare la reale emergenza del paese, e non mettere in crisi quegli strumenti clientelari che per 30 anni sono stati il fondamento del regime democristiano, che ora le sinistre si apprestano a cogestire.

Non bisogna però nascondersi la possibilità che la necessità di un grosso scontro a livello delle istituzioni si traduca in una liquidazione del patrimonio libertario e federativo che il partito era andato in questi anni accumulando.

Purtroppo la situazione politica, come essa si viene man mano configurando, non permette di dare una efficace risposta a livello delle istituzioni alle spinte che vengono dal basso; bisogna prevedere, per il futuro, forme di chiusura analoghe a quelle che si sono verificate sul tema dell'aborto e delle lotte antinucleari.

La funzione del PR può quindi essere soltanto quella di garantire l'esistenza e la capacità di espressione dei movimenti, difendendoli nei confronti delle tentazioni di ripiegamento ``corporativo'' che in questa situazione non tarderebbero a manifestarsi.

E' compito quindi del partito quello di aprire un ampio dibattito che si contrapponga a quei fenomeni di emarginazione al nostro stesso interno delle tematiche dei movimenti (femminista, di liberazione sessuale, antimilitarista, ecologico), permettendo anzi che queste diventino patrimonio del corpo radicale e dell'intera sinistra, facendo altresì uscire certe lotte come quella antinucleare da un ambito talmente ristretto da votarle a sicura sconfitta.

Per questo, potrebbero essere utili dei convegni aperti come quello previsto dalla mozione di Bologna su liberazione sessuale e scelta nonviolenta, e quello per la formulazione di uno Statuto dei diritti dell'ambiente intorno al quale chiamare a raccolta tutto il movimento ecologico, per evitare che l'isolamento politico e la frammentazione interna portino, come in Francia, al suo esaurimento; senza contare che questo convegno sul Partito apre tutta una tematica sulla rifondazione dell'intera sinistra alla quale non soltanto noi siamo interessati, e che andrà senz'altro approfondita.

Le stesse ragioni che rendono difficile, a breve scadenza, una rapida crescita politica dei movimenti federati, non consentono a nostro parere di illudersi troppo sulla possibilità di dare vita, attualmente, a partiti regionali ed associazioni radicali che siano davvero, come vuole lo Statuto, dei centri di autonoma iniziativa politica.

Ciò che non è stato possibile in passato, sull'onda di grandi mobilitazioni, non può certamente esserlo oggi, anche a causa della mancanza di strumenti di informazione capaci di tenere vivo il dibattito interno al partito; senza di questi, non può esservi crescita politica, mallo chiusura dei singoli gruppi su se stessi.

Abbiamo cercato fin qui di tratteggiare alcune delle difficoltà che la situazione esterna oppone alla crescita dell'associazionismo radicale; non vorremmo però che altre ne nascessero dal nostro stesso interno.

A questo proposito, non ci sentiamo di essere d'accordo con chi ha definito il PR come ``un partito di iscritti'' traendone la logica conseguenza che i delegati al congresso nazionale debbano essere designati non dalle associazioni, ma da assemblee degli iscritti.

In realtà, e lo Statuto a questo proposito parla abbastanza chiaramente, ``il Partito Radicale è un organismo politico, costituito dagli iscritti al partito, dagli iscritti nelle associazioni non radicali aderenti a livello regionale, dalle associazioni radicali, dai partiti radicali regionali, dalle associazioni o gruppi aderenti a livello regionale, dalle associazioni o gruppi aderenti a livello federale''.

Se in questo quadro si parla di delegati delle associazioni al congresso nazionale, non è perché essi rappresentino in qualche modo la ``base'' degli iscritti ma perché parlino al congresso come rappresentanti di quelle lotte sulle quali le associazioni radicali si costituiscono e si federano.

Certo, esistono dei problemi, con quello che, con un delato per associazione, si corre il rischio di soprarappresentare delle realtà, e di sottorappresentarne delle altre, ci sembra, però, che una modifica di questo punto dello Statuto non vada nel senso di uno sviluppo delle realtà politiche di base, perché potrebbe portare ad una marginalizzazione delle associazioni dalla vita del Partito, e all'acuirsi di quella sensazione di impotenza che prende soprattutto coloro che sono appena entrati nel Partito.

Per finire, vorremmo osservare che, nel campo locale, c'è sempre il rischio che un'azione politica non sufficientemente appoggiata dai cittadini porti i gruppi radicali a rimanere invischiati nella gestione consociativa che i partiti di regime attuano delle autonomie locali come ulteriori strumenti per allargare il consenso al le loro scelte politiche.

Quindi, se i radicali vorranno davvero impegnarsi in battaglie di interesse locale, essi dovranno prima verificare la possibilità di offrire degli strumenti alternativi alla partecipazione della gente; questo ad esempio utilizzando l'istituto della petizione popolare, facendo inserire negli statuti regionali l'istituto del referendum e promuovendone, ma anche difendendo questi strumenti con degli interventi sui contenuti portati avanti (un buon esempio è stato quello della battaglia condotta a Trieste contro il trattato di Osimo).

Ove questo non fosse realizzato, non resterebbe ai radicali che occupare il loro posto di partitino dell'1,1% (o al limite del 3%) nella grande spartizione che è in atto, ad ogni livello, ad opera dei partiti di regime.

 
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