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Negri Giovanni - 7 aprile 1978
L'ANTAGONISTA RADICALE: (9) La diffusione del partito nel paese e la formazione dei partiti regionali
di Giovanni Negri

SOMMARIO: Gli atti del convegno sullo statuto e sull'esperienza del Parito radicale che si è svolto a Roma all'Hotel Parco dei Principi nei giorni 5, 6 e 7 aprile 1978.

("L'ANTAGONISTA RADICALE" - La teoria e la prassi del partito nuovo, socialista e libertario; e lo statuto e l'esperienza del PR nella società e nelle istituzioni - Convegno del consiglio federativo del Partito Radicale - Roma, aprile 1978)

Giovanni Negri

LA DIFFUSIONE DEL PARTITO NEL PAESE E LA FORMAZIONE DEI PARTITI REGIONALI *

Il tema della formazione e della nascita dell'associazionismo radicale nel paese, più ancora che quello della nascita degli stessi ``partiti regionali'', è tema d'attualità soprattutto alla luce di questo momento politico e della crisi che attraversa il Partito Radicale, dalla cessazione dell'attività degli organi nazionali in poi.

Esaminiamo innanzitutto il problema da un punto di vista strettamente statutario: i partiti e le associazioni radicali, cioè il presupposto modello di associazionismo politico locale che viene prefigurato dal nostro statuto, sono entità che perseguono finalità autonomamente determinate e finanziate, unicamente vincolate, nello svolgimento delle proprie iniziative ed attività, alle deliberazioni del Congresso federale.

Essi sono composti da cittadini iscrittisi, che avendo scelto di associarsi hanno contemporaneamente accettato di (sempre da un punto di vista prettamente statutario e purtroppo ancora lontano dalla realtà dei fatti) aderire o costituire associazioni radicali secondo i propri interessi politici, culturali, sindacali. Asociazioni e partiti regionali non hanno statutariamente una competenza territoriale e sono liberi di intraprendere iniziative politiche non locali o regionali, quindi ``nazionali'' o addirittura internazionali.

Come l'intera carta statutaria radicale, questa visione dell'ente politico locale è impregnata di uno spirito autonomistico, pragmatico e partecipazionistico sinora sconosciuto. Autonomistico poiché le associazioni, se capaci di autonoma iniziativa politica non sono a nulla e da nulla limitate, pragmatico poiché il gruppo di militanti radicali è svincolato da qualsivoglia enunciato o dottrina teorico-ideologica salvo che dalle deliberazioni di quel Congresso al quale il gruppo stesso partecipa e il cui svolgimento rappresenta l'unica ragione del proprio essere e dirsi ``radicale''. Pragmatico e quindi non leninista e antileninista, pur essendo continuamente, l'associazione di radicali, protesa al porsi la domanda leninista del ``che fare?'', e avendo dunque abbandonato la tanto comoda quanto velleitaria strada delle interpretazioni idealistiche della realtà e privilegiato quella ad essa alternativa e meno facile, cioè quella di misurare se stessi e la propria capacità di lotta con la realtà. Partecipazionist

ico infine poiché la partecipazione e il ruolo di ``soggetto non passivo'' e di militante (nelle svariate forme esistenti di militanza), assegnato all'iscritto dallo Statuto, che come prima si diceva impegna l'iscritto ad aderire o a costituire associazioni radicali, teorizzano e prefigurano anche una società basata sulla partecipazione reale e, quando possibile, diretta di tutti i cittadini, oltre che individuare la partecipazione come presupposto indispensabile per qualsiasi processo di liberazione e come primo passo verso forme di autogestione e autogoverno diffusi. Per nulla marginale, concludendo un primo possibile e superficiale esame della visione statutaria dell'ente politico locale radicale, l'accenno statutario all'autofinanziamento, che è inteso come dato fortemente politico e non meramente finanziario e cioè come ulteriore garanzia di un'autonomia non formale, libera dal condizionamento - anche economico - di un eventuale struttura centrale di partito.

Nella realtà però questo modello di associazionismo non trova riscontro, anche se a volte si è proceduto nelle battaglie politiche nella comune convinzione che come era presente e incidente nel nostro paese un ``partito nazionale'', così lo erano anche una serie di associazioni e partiti regionali radicali. Questo purtroppo non era e non è vero in quanto sino ad oggi sono esistiti associazioni e partiti regionali che hanno esercitato in sostanza un ruolo simile a quello delle tradizionali federazioni provinciali delle altre forze politiche... In altre parole hanno rappresentato l'incarnazione militante e operativa delle lotte derivanti dal cosiddetto gruppo fondatore-dirigente ``centrale'', ``romano''.

Laddove lotte autonome si sono sviluppate esse rientravano comunque nell'ambito di lotte nazionali già collaudate, o erano ad esse collaterali, e quando riuscivano a innestare contraddizioni o ad essere dirompenti lo erano solo grazie a quanto capitalizzato in precedenza sulla battaglia portante, poiché senza lo spessore e i contenuti di quella, localmente e autonomamente non si sarebbero riusciti a ottenere gli scopi poi raggiunti...

Prima di cercare di capire il perché e come le lotte radicali possano essere riconvertite dal partito nazionale ai partiti regionali e dunque dati associativi locali debbano essere creati, credo sia necessario far cadere uno schematismo che in passato ha imprigionato qualsiasi forma di dibattito costruttivo su questo argomento, in numerose occasioni. Uno schematismo che vedeva contrapposti chi da un canto teorizzava l'impossibilità della formazione di un associazionismo autonomo a causa dell'egemonia soffocante del partito nazionale e chi dall'altro rovesciava su partiti regionali e associazioni critiche di inerzia e immobilismo, per sfogare in realtà un sentimento di impotenza frustrata...

La cessazione dell'attività degli organi nazionali del partito può contribuire alla caduta di uno schematismo che potrebbe rivelarsi come un freno pericoloso e deteriore. La verità è che per la mancata attuazione statutaria che sino ad oggi dobbiamo registrare non vi sono colpe e responsabilità, e che per oggettiva volontà e convinzione politica di tutti i radicali i partiti regionali e le associazioni locali dovevano essere attrezzati ad un certo tipo di scontro, per poter portare l'attacco al regime, e in un certo modo essi sono stati costruiti e strutturati. Nell'ambito dunque di una certa visione dell'azione politica radicale, che deve essere superata, si può dire che il ruolo di partiti regionali e associazioni è stato determinante e indispensabile, e non poteva essere di altro tipo se realmente si intendeva incidere sugli equilibri politici generali. Come alcune volte è stato detto i radicali hanno fatto cento volte di più di quanto loro spettava, nell'ambito della sinistra italiana. Il nodo del proble

ma è però che l'eventuale conservazione di quell'attrezzatura di partito e di quel ruolo sarebbe per noi una mossa suicida oltre che un enorme favore al rgime.

E' venuto a cadere il presupposto di quell'attrezzatura e di quel ruolo: e cioè che a livello centrale ci fosse la possibilità di aggredire, frontalmente, il regime. Sino ad oggi un gruppo militante centrale, mi riferisco sempre a quello ``storico'', capace di muoversi su obiettivi specifici, parziali, magari anche minimi ma emblematici, il cui raggiungimento era però dirompente e accelerava contraddizioni aprendo i varchi per altre decine e decine di lotte, ha colto alcune volte di sorpresa il regime, riuscendo a scuoterlo. Ma ora quel gruppo militante, quel partito nazionale guerrigliero-nonviolento non è più in grado di agire: le sue armi sono spuntate, i muri del Palazzo sono di gomma, ogni freccia mal usata può trasformarsi in un boomerang temibile. Continuare a far esistere quel partito nazionale - si è detto - sarebbe per noi l'illusione di esistere, oltre che l'alibi per il regime, che ci utilizzerebbe come testimonianza della sua democraticità e tolleranza. Il regime, di quel gruppo militante, e qui

ndi di riflesso di tutti noi, ormai conosce la tecnica, gli strumenti, la metodologia. Di fronte a dinamiche di regime è chiaro che è indispensabile un partito nuovo e diverso, la cui costruzione non può che passare attraverso un salto qualitativo deli'associazionismo radicale nel paese, moltiplicando i centri di iniziativa... Salto qualitativo ci potrà essere solo nella lotta: non con i programmi tracciati a tavolino, ma con i tavolini ricchi di programmi, di iniziative, di contatto e colloquio continuo con l'opinione pubblica. Queste e non altre sono le fondamenta dei dati associativi nuovi, e corrispondenti al modello statutario. Il salto qualitativo che il partito necessita è stato paragonato a quello realizzato nel 1971-1972, quando i radicali pur uscendo da una vittoria enorme come quella del divorzio constatarono di non essere cresciuti nel paese e si fissarono l'obiettivo dei mille iscritti, individuati come soglia minima quantitativa indispensabile per non cessare le attività, per poter continuare a

sperare e a tentare di costruire il partito dell'alternativa. Il paragone è calzante: oggi come allora se si raggiunge l'obiettivo che ci proponiamo ci saremo semplicemente riguadagnati il diritto a un'opposizione reale e lo spazio necessario per questa, ma, se non lo si raggiunge l'unico spazio disponibile sarà quello dell'``opposizione di sua maestà'', peraltro sempre più destinato ad essere occupato, ed egregiamente occupato, dalla Castellina e dai suoi colleghi. La differenza, non irrilevante, rispetto al 1971, a parte le condizioni politiche esterne sta nel fatto che quello era un salto essenzialmente quantitativo, questo del 1978 o sarà salto qualitativo, e quindi non quantizzabile e identificabile con una cifra o uno slogan, o non sarà. Non si tratta di avere 1000 o diecimila iscritti, ma di essere anche solo in 80/100 in dieci città del paese, consci di ciò che si vuole e di ciò che è realmente ottenibile, capaci di aggregare sulla base di precisi progetti e di costruire dunque dati associativi auto

nomi in grado di far attestare il partito su una adeguata posizione di scontro con il regime...

Si può tentare di individuare alcuni dei punti che sono essenziali per la formazione dei nuovi dati associativi, a partire dalla considerazione che deve essere smantellata una certa ``mitologia'' del partito facile o del partito dalle vittorie poco sudate e comodamente raggiunte, ed esaminare piuttosto il processo di formazione dell'unico punto di riferimento del quale disponiamo, e cioè quello relativo alla nascita del cosiddetto gruppo ``romano'' o centrale. Innanzitutto sono stati indispensabili dei requisiti soggettivi, e quindi la creazione di un gruppo dirigente. Per nulla determinante il numero dei militanti che lo compongono, purché dotato di capacità di promozione dell'iniziativa politica e dell'organizzazione del partito... Altri requisiti soggettivi importanti sono evidentemente la capacità di autonomia di valutazione e azione politica e la conoscenza approfondita della strategia e dell'arma della nonviolenza. Per quanto riguarda poi i contenuti di lotta la salvaguardia di alcune condizioni minime

di democrazia e il vincolare il regime al loro rispetto, penso debbano costituire uno dei maggiori impegni dei radicali. Nel medio periodo diventeranno invece determinanti le lotte antimilitariste e antinucleari, avendo il regime imboccato la strada militare e nucleare per difendersi e autogarantirsi e dovendo sempre più propagare, una volta innestata questa spirale, nella società il proprio equilibrio.

Ma per riuscire a costruire progetti politici capaci di un'incidenza reale è necessario farli maturare nel vivo della lotta: questi debbono essere parziali, in quanto realisticamente raggiungibili da un gruppo anche minimo di militanti, ed emblematici, significativi, cioè capaci, se raggiunti, di scatenare contraddizioni.

Il superamento del ghetto politico ``locale'' e provinciale nel quale il regime tende irrimediabilmente a cacciare qualsiasi cittadino di qualsivoglia matrice politica, è indispensabile. L'associazione radicale che improntasse la propria iniziativa politica esclusivamente sul terreno locale delegando inevitabilmente ad altri, e alla luce della cessazione delle attività del partito nazionale questi ``altri'' non sarebbero che i vertici e gli apparati degli altri partiti, la ``politica nazionale'', sarebbe quanto di più funzionale ci potrebbe essere per il regime nei prossimi mesi-anni. Pensiamo invece ad un vero e proprio partito, autonomo e bene organizzato, ricco di iniziative ``nazionali'' o internazionali, capace di dispiegare le proprie iniziative in una sola, anche in una sola, regione. In Italia oggi sarebbe un fatto dirompente la sua sola esistenza, e anche se questo partito non fosse ``radicale'', ma per esempio autenticamente comunista o cattolico. La strada che dobbiamo imboccare è questa...

Dati associativi e partiti regionali non esisteranno sino a che non ci saremo dotati di piccoli, ma costruiti in proprio, strumenti di lavoro: l'esempio potrà sembrare banale ma è quello degli indirizzari, che hanno rappresentato e rappresentano un patrimonio vero e proprio da investire; e sino a quando non saranno lanciate iniziative progettuali sulla base di assunzioni di responsabilità politiche e organizzative di alcuni partiti regionali o alcune associazioni: per esempio una ipotizzabile campagna referendaria...

I rischi e le possibili scorciatoie, nella costruzione dei nuovi dati associativi, non sono pochi e indifferenti. Non è facile rompere con gli schemi che il regime vuole, ha voluto e saputo imporre sinora. E noi questi rischi non li possiamo sottovalutare o ignorare, anche perché in tutta franchezza ci bussano alla porta e lo testimoniano i compagni che in questi giorni hanno presentato I iste radicali per quel sondaggio Gallup pagato dallo Stato e voluto dal regime che sarà la prossima tornata di elezioni amministrative del 14 di maggio. Come altri rischi sono quelli di identificare il fine della riconversione delle lotte radicali non nella diffusione dell'iniziativa politica ma nel rafforzamento organizzativo, sul territorio, delle attuali associazioni o partiti regionali, sulla base delle lotte sinora condotte, che rappresentano un capitale da investire e non una rendita da consumare; oppure ancora l'autoaffossamento nelle cosiddette ``strutture di base'', consigli di quartiere o di circoscrizione, che so

no ormai o saranno sempre più strutture di regime offerte dal regime ai cittadini come valvola di sfogo, come momento di loro possibile partecipazione e incidenza politica. E' chiaro che da queste forme di ``oppio di regime'' è bene guardarsi, come è insensato il tentare di immettere taluni compagni nelle assemblee elettive locali senza che localmente esista, e non ne esistono, dati associativi così come essi sono statutariamente prefigurati. Solo nel momento in cui esisteranno, saranno possibili valutazioni in tal senso, ammesso che questo possa essere utile nell'economia generale della lotta politica. Anche perché oggi appare più chiaro che mai che la rappresentanza istituzionale radicale non ha un senso se non esiste il partito radicato nel paese.

Come la lotta per l'abrogazione delle leggi fasciste e borboniche, per l'affermazione di valori semplicemente liberali si è rivelata ben più rivoluzionaria e dirompente di qualsiasi programma o ambizione o fuga teorica in avanti in senso ``rivoluzionario'', così in una società destinata ad essere sempre più centralista, con un regime che non esita a usare ancor più la forza per tutelarsi, la sola esistenza, non diciamo la esplosione, ma la sola esistenza di partiti regionali così come essi sono concepiti dallo statuto, è un fatto profondamente rivoluzionario, una spina nel fianco e un punto di riferimento che può far sì che i radicali, nelle istituzioni e nel paese possano continuare ad operare efficacemente e non marginalmente.

 
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