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Vattimo Gianni - 7 aprile 1978
L'ANTAGONISTA RADICALE: (14) Personale e politico
replica di Gianni Vattimo

SOMMARIO: Gli atti del convegno sullo statuto e sull'esperienza del Parito radicale che si è svolto a Roma all'Hotel Parco dei Principi nei giorni 5, 6 e 7 aprile 1978.

("L'ANTAGONISTA RADICALE" - La teoria e la prassi del partito nuovo, socialista e libertario; e lo statuto e l'esperienza del PR nella società e nelle istituzioni - Convegno del consiglio federativo del Partito Radicale - Roma, aprile 1978)

Gianni Vattimo (Replica) *

Ho rovesciato problemi teorici personali contro il mio predecessore alla tribuna, e adesso la polemica minaccia di trascinarsi per tutto il giorno. Ridimensiono: chiaro, può darsi che il discorso di Taschera non fosse cosi pieno di turpitudini come io ho fatto credere, ma era un'occasione polemica; forse ho sottolineato troppi collegamenti polemici. Però riconfermo che secondo me la questione è come l'ho posta ieri, cioè ho chiamato ideologico quel discorso, perché secondo me era troppo subalterno ad una teoria della totalità realizzabile a breve scadenza. Quando si dice che la politica fallisce se non traduce totalmente il personale in politico, e non si pone il problema se questa traducibilità sia reale, cioè se ci sia una traducibilità completa, secondo me si sfugge davanti a problemi reali.

Laura ha detto che non bisogna sfuggire, nascondersi; benissimo, sono del tutto d'accordo, ma il problema cui non bisogna sfuggire è: siamo sicuri dello schema (diciamo, per intenderci, marcusiano-schilleriano classico), della possibilità di una traduzione totale del privato nel politico e quindi di una soluzione politica dei conflitti privati; soluzione e risoluzione (``sto male, m i crogiolo perché la società non va bene e solo per questo'')? Due: tutti i miei crogiolamenti e le mie rivolte di riforma interiore, eccetera, hanno successo soltanto se si risolvono totalmente in modificazioni istituzionali.

Questi due dogmi - marcusiani ed hegeliani - secondo me sono quelli con cui noi dobbiamo cominciare a fare i conti. Cioè, c'è un privato che non si traduce immediatamente nel politico: il processo di presa di coscienza, di trasformazione del soggetto che io sono ben lontano dal negare, che voglio operare anzitutto su di me, ma sugli altri insieme a me, non si risolve, non sbocca totalmente in istituzione; le istituzioni hanno il compito di aprire degli spazi per questo lavoro, ma questo lavoro è indefinito, è infinito. Ci sono dei momenti di separazione, di divergenza, di differenza.

Se volete, naturalmente, questo discorso è occasionato anche dai problemi del terrorismo. Secondo me l'ideologia totalizzante si risolve coerentemente nell'azione violenta, in questo momento. Altrimenti si oppone all'azione violenta soltanto un richiamo etico generico, come anche osservava Bandinelli ieri pomeriggio: ``non bisogna ucciderlo perché in fondo è una vita''. Ma si riconosce, con questa specie di appello agli ultimi valori ideologici della sopravvivenza, che l'ideologia potrebbe condurre anche lì, anzi coerentemente conduce lì, non ci sono argomenti ideologici interni contro questo sbocco, se non di carattere tattico: non è bene farlo adesso, la violenza è migliore se è di massa, dunque invece di uno, almeno cinquemila morti e allora diventa legittima dal punto di vista ideologico. Ieri sono stato cosi violento, nell'intervento, perché è un problema che sento Molto come problema teorico; recalcitro duramente al disconoscimento della differenza, cioè al disconoscimento che lo schema marcusiano non

sta in piedi teoricamente.

La difficoltà nasce tutta da queste implicazioni teoriche; o noi immaginiamo la totalità armoniosa della vita privata e sociale e politica realizzabile a portata di mano, oppure riconosciamo - e qui faccio il nome di Adorno - che proprio l'idea di questa totalità è ideologia, e che anche il presentarla come a portata di mano e come criterio applicabile quotidianamente per giudicare la nostra azione politica e ideologica ci frega, ci dà o delle soluzioni violente o delle posizioni frustrate: abbiamo fallito tutto, il privato non si traduce... ecc. No! il privato è privato in certi aspetti e il politico è l'apertura istituzionale di spazi dove il privato si possa sviluppare. Ma se penso alla traducibilità totale, sono condotto veramente o alla frustrazione, o alla violenza.

 
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