di Adelaide AgliettaSOMMARIO: Gli atti del convegno sullo statuto e sull'esperienza del Parito radicale che si è svolto a Roma all'Hotel Parco dei Principi nei giorni 5, 6 e 7 aprile 1978.
("L'ANTAGONISTA RADICALE" - La teoria e la prassi del partito nuovo, socialista e libertario; e lo statuto e l'esperienza del PR nella società e nelle istituzioni - Convegno del consiglio federativo del Partito Radicale - Roma, aprile 1978)
INTERVENTI CONCLUSIVI
Adelaide Aglietta
IL PREZZO DELLA VIOLENZA
Sono, come sapete, quasi completamente presa in questo periodola un compito, quello di giudice popolare al processo di Torino delle Brigate Rosse, che non avevo né previsto né voluto. Partecipo quindi ad ogni attività politica del partito, anche a quella limitata che mi è consentita con i compagni di Torino, in una condizione dimezzata, scissa, quasi schizofrenica. Potete facilmente immaginare con quale stato d'animo segua ogni giorno le lotterei compagni, e i problemi con cui fino a ieri mi dovevo confrontare come militante e come segretario del partito.
Credo che sarebbe sbagliato fingere che tutto ciò non esista in questa che è una delle poche pause che mi sono concesse, una delle poche occasioni di incontrarmi con voi. Il migliore contributo che posso dare al vostro dibattito, non avendo avuto la possibilità di prepararne e di darne altri, è quello di comunicarvi alcune emozioni e alcune impressioni.
Ho letto su ``Lotta Continua'', prima di venire al convegno, la tragica lettera del compagno Valitutti, che ha deciso di lasciarsi morire in carcere. Mi sono chiesta se ce la faremo a strapparlo alla morte o se siamo già nella condizione di assistere impotenti al compiersi di questi crimini, all'annientamento scientifico e legale di una persona. E mi sono chiesta cosa non avremmo fatto noi, quanti cortei non avrebbero organizzato gli extraparlamentari, cosa non avrebbe fatto la stessa ``Lotta Continua'' se avessimo ricevuto e letto questa lettera un anno fa o anche solo alcuni mesi fa.
Poi sono venuta al convegno e vi ho ritrovato le facce conosciute e care di tante persone di Roma e di altre città, con le quali percorriamo ormai a anni, giorno dietro giorno, lo stesso itinerario. Anche se per intenderci fra noi lo abbiamo chiamato ampollosamente ``convegno teorico'', siamo riusciti a non farne una riunione da addetti ai lavori, ma qualcosa che assomiglia, pur nel dibattito impegnativo, fatto di riflessioni e di approfondimenti per noi ormai importanti ed essenziali, ai nostri tradizionali appuntamenti. Eppure avevo la sensazione che ci fosse qualcosa che mancava, che lo rendeva differente dalle nostre altre riunioni.
Poi ho capito che cosa rendeva così facili, cosi ordinati i nostri lavori: non era il contenuto del convegno, non era il carattere del dibattito, ma era l'assenza di un certo tipo di personaggi che hanno sempre contrassegnato i nostri congressi, i nostri convegni, le nostre iniziative pubbliche, rendendole spesso difficili e creano doci dei problemi. Non parlo di Appignani che se non fosse in carcere non mancherebbe, ma di persone come Tom, come il feddayn Maisto di Bologna, come Claudio Mattei, per citare solo i più noti, forse quelli con maggiori problemi, forse i più esibizionisti di una schiera di umili e di emarginati che fra noi pretendevano di trovare il loro posto o la loro tribuna e che rappresentavano il nostro problema non risolto, a volte una nostra sconfitta, e comunque sempre un momento di verità. La loro presenza fra noi non era certo la soluzione e il superamento del problema dell'emarginazione, ma costituiva almeno un segno di speranza. E la loro assenza oggi, lungi dal produrmi un sollievo
liberatorio, mi ha suscitato una preoccupazione, mi ha indotto a pormi un interrogativo: se non sia una conseguenza del fatto che i recenti episodi di violenza, il crescere della spirale di violenza, non abbia ormai messo in crisi il modello della disubbidienza civile e non-violenta, e se ad esso non si sono già sostituiti altri modelli.
Ma se è così questi assenti non troveranno posto negli altri modelli, quelli proposti dai nuovi chierici, dai depositari esclusivi, freddi e spietati, della rivoluzione violenta e del partito armato: per essi sarà solo il massacro di classe, quel massacro che ci è annunciato dalla lettera di Valitutti e che riguarda i mille Valitutti dal volto e dal nome sconosciuti che già oggi sono vittime della illegalità e della violenza.
Sono emozioni, ma emozioni che danno una terribile e drammatica concretezza all'ostruzionismo dei nostri deputati contro le nuove leggi speciali, contro le violazioni dei regolamenti e della Costituzione, contro la messa in mora dei diritti del Parlamento, alle conseguenze traumatiche che si intravvedono dietro il caso Moro; alla nostra decisione di sospendere le attività nazionali del partito con la gravissima motivazione che non sia più possibile ormai esercitare una opposizione democratica e costituzionale nelle forme che ci erano state possibili nel passato, quando pure eravamo più deboli e non rappresentati in Parlamento; al prossimo scontro referendario che speriamo possa avvenire non soltanto sul finanziamento pubblico ma anche sulla legge Reale, al mio stesso essere giudice popolare a Torino a rappresentare visibilmente e simbolicamente la nostra contraddizione di non-violenti, di cui non potevo non farmi carico.
Neppure per un minuto dobbiamo dimenticare che tutto questo è in gioco, in termini di umanità, di possibilità di convivenza civile, di diritti umani, dietro le nostre analisi, le nostre denunce, le nostre lotte, le nostre possibilità di sconfitta o di vittoria. Tutto ciò è in gioco dietro al tentativo di negarci il diritto all'informazione, alla conoscenza, al dibattito con il quale si pretende di cancellarci come opposizione non-violenta cancellando e abrogando la nostre identità di antagonisti e perfino di interlocutori, il nostro diritto di essere conosciuti per ciò che siamo e ciò che rappresentiamo.
Proprio in questi momenti di difficoltà e di crisi, quando tutto sembra perduto, il compito di una forza davvero alternativa è quello di avere il coraggio della verità, di non nascondersela, di non consentire che il potere possa nasconderla, di non accettare il ruolo che il regime e gli avversari vorrebbero assegnarle. E poiché abbiamo avuto questo coraggio della verità, credo che anche con questo convegno stiamo creando le premesse per poter organizzare e riconquistare nel paese, nella società civile, nelle regioni e nelle città quella opposizione radicale, quella alternativa non-violenta che ci è vietata e negata nelle istituzioni, alla RAI-TV, negli organi di informazione.