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Archivio Partito radicale
Zeno Vincenzo - 1 maggio 1978
(4)"Caratteri originali della organizzazione e della iniziativa del partito radicale e dei movimenti federati nella lotta politica italiana (1959-1976)"
Tesi di laurea in Storia dei partiti e movimenti politici

di Vincenzo Zeno Zancovich

CAPITOLO IV

SOMMARIO: Le "concezioni assolutamente originali" messe in atto dai radicali trovano la loro "formulazione normativa" nello Statuto approvato nel maggio 1967 a Bologna, al III Congresso nazionale. Lo statuto viene dunque preso in esame sotto i seguenti aspetti: 1) Differenze con gli statuti degli altri partiti, 2)Composizione del partito; 3) Obblighi dell'iscritto; 4) L'associazione; 5) Il partito regionale; 6) La struttura indiretta; 7) I poteri decisionali; 8) Il Congresso; 9) Il segretario; 10) Il consiglio federativo; 11) Il tesoriere; 12) L'autofinanziamento; 13) Il rapporto con gli eletti.

(UNIVERSITA' DEGLI STUDI DI ROMA, FACOLTA' DI SCIENZE POLITICHE, tesi di laurea di Vincenzo Zeno Zancovich, RELATORE: Prof. Carlo Vallauri, Anno Accademico 1977-1978)

Le "concezioni assolutamente originali" che si sono cercate di individuare ed esporre nel capitolo precedente trovano la loro formulazione normativa nello Stato del Partito Radicale approvato nel maggio del 1967 a Bologna durante il III Congresso nazionale del PR (il primo dalla `rifondazione'). Esso verrà esaminato qui in maniera analitica, prendendo in considerazione i seguenti aspetti:

1) Le differenze di fondo con gli statuti degli altri partiti

2) Composizione del partito

3) Quali sono gli obblighi dell'iscritto

4) L'associazione

5) Il partito regionale

6) La struttura indiretta

7) Poteri decisionali

8) Il congresso

9) Il segretario

10) Il Consiglio federativo

11) Il tesoriere

12) L'autofinanziamento

13) Il rapporto con gli eletti

Le differenze di fondo

Nelle tavole sinottiche che seguono si è cercato di confrontare gli aspetti più rilevanti dello stato del Partito Radicale con i corrispettivi degli statuti di altri partiti `laici': PCI, PSI, PRI. Gli argomenti di confronto riguardano l'iscrizione, i doveri e i diritti dell'iscritto, la sua eleggibilità, gli organi nazionali, le strutture, dirette e indirette e collaterali, la disciplina di partito e le relative sanzioni, il congresso o i suoi poteri, la designazione dei candidati al Parlamento e il rapporto con gli eletti.

ARGOMENTO PR PCI PSI PRI

CHI SI PUO' Chiunque, anche non Sopra i 18 anni Sopra i 18 anni Sopra i 18 anni

ISCRIVERE cittadino italiano Richiesta onestà (art. 4) Richiesta incensurabile condotta

(art. 2.1.1.) politica e morale morale, civile e politica

(art. 2) (art. 1)

CONDIZIONI Accettazione statuto Accettazione programma Impegno ad adempiere Rispetto statuto

PER Versamento quote politico doveri inerenti ad (art. 1)

ISCRIZIONE Impegno a costituire Impegno ad attuarlo appartenenza a partito

associazione Rispetto statuto (art. 4)

(art. 2.1.1.) Lavorare in organizzazione

di partito

Pagare quote

Contribuire a stampa di

partito

(art. 2)

PROCEDURA Pagamento quota Domanda presentata da Decisione spetta a sezione Domanda presentata da due soci

PER di iscrizione iscritto garante Automatica dopo un mese Decisione spetta a sezione

ISCRIZIONE Decisione presa da di attesa Automatica dopo un mese di attesa

cellula o sezione Norme particolari per ex Norme particolari per ex dirigenti

Norme particolari per ex dirigenti di altri partiti di altri partiti ed iscritti già

dirigenti di altri partiti e iscritti già espulsi espulsi

ed iscritti già espulsi (art. 5) (artt. 3/4)

(artt. 2/3)

DOVERI Partecipare a riunioni Partecipare ad elaborazione Osservare delibere e regolamenti

ISCRITTO e attività linea politica Partecipazione a vita di partito

Approfondire propria Attuare politica del Pagare quote

conoscenza partito e sua partito Sostenere finanziariamente il partito

dottrina Partecipare ad assemblee e (art. 1 e 8)

Fare opera di proselitismo attività

Diffondere stampa Attenersi a decisioni

Osservare disciplina di maggioranza

partito (art. 3)

Essere franco e leale

Essere cittadino esemplare

Esercitare critica ed

autocritica

Difendere partito da

attacchi

Non divulgare questioni

riservate

Iscriversi ad

organizzazioni sindacali

Rispettare autonomia

organizzazioni di massa

(art. [??])

DIRITTI Eleggere organismi dirigenti Eleggere organismi Essere elettori o eleggibili

ISCRITTO ed esservi eletto dirigenti ed esservi a tutte le cariche sociali

Contribuire a elaborazione eletto (art. 1)

linea politica Esercitare critica

Conoscere rilievi mossi Partecipare votazioni

a sua attività Partecipare a iniziative

Diritto di appello contro esterne al partito,

sanzioni a titolo personale,

Rivolgere critiche, esprimendovi posizioni

segnalare errori non difformi da quelle

Esercitare ricerca del partito

scientifica e culturale (artt. 3 e 6)

Dimettersi

(art. 6)

ELEGGIBILITA' Per C.D. sezione: 1 anno Per C.D. sezione: 1 anno

A ORGANI Per probiviri sezione: Per C.D. federazione

IN BASE A 2 anni 2 anni

ANZIANITA' Per Comitato federale: Per organi nazionali:

D'ISCRIZIONE 2 anni 5 anni

Per Comm. Fed. Controllo: Direzione può derogare

4 anni a queste norme

Per Comitato centrale: (art. 6)

8 anni Per Collegio provinciale

Per Comm. Centrale probiviri: 5 anni

Controllo 10 anni Per Collegio nazionale

Sono compresi gli anni probiviri: 7 anni

di iscrizione alla FGCI Per candidatura a enti

(art. 33) locali: 2 anni

Per candidatura a

parlamento: 5 anni

Direzione può derogare

(art. [??])

ORGANI Congresso Congresso Congresso Congresso

NAZIONALI Consiglio federativo Comitato centrale Comitato centrale Consiglio nazionale

Segreteria e giunta Direzione Direzione Direzione

Tesoriere Commissione centrale Segretario Segretario politico

Collegio dei revisori di controllo Collegio nazionale (art. 32)

dei conti Collegio centrale dei probiviri Collegio nazionale probiviri

(art. 1.1.1.) sindaci (artt. 25, 27/30) (art. 61)

(artt. 29/31, 42/43)

STRUTTURE Associazione Cellula NAS Sezione

Partito regionale Sezione Sezione Unioni comunali

(artt. 2.2 e 2.3) Federazione Federazione provinciale Consociazioni locali

- comitati comunali - commissione comunale Federazioni regionali

- comitati cittadini - comitati di zona (art. 9)

- comitati di zona Comitato regionale

Comitati regionali (artt. 8, 11/14, 20)

(artt. 7/9, 11/13, 16)

STRUTTURE Associazioni non Associazioni autonome

INDIRETTE radicali possono possono collegarsi a

aderire a livello tutti i livelli periferici

regionale o federale (artt. 13, 24, 29)

(art. 3.1.)

MODALITA' Adesione associazione Adesione associazione comporta

PARTECIPAZIONE non comporta iscrizione iscrizione a partito di suoi membri

ASSOCIAZIONI a partito loro membri Modalità partecipazione fissate da

ADERENTI A livello regionale Consiglio nazionale su proposta

associazione aderente direzione

nomina propri rappresentanti (art. 13)

in consiglio federativo

regionale e invia delegati

a congressi regionale e

nazionale

A livello federale

associazione aderente nomina

propri rappresentanti in

consiglio federativo

nazionale

(art. 3)

ORGANIZZAZIONI FGCI. (art. 18) FGSI (art. 42) MFR (art. 50)

COLLATERALI Commissioni femminili Circoli giovanili (art. 51)

DIPENDENTI (art. 41)

DISCIPLINA Mozione approvata a Subordinazione minoranza Attenersi a decisioni Osservanza delibere, direttive,

maggioranza di 3/4 da a maggioranza, singolo maggioranza regolamenti approvati da assemblee,

congresso federale a organizzazione, (art. 3 [??]) congressi e altri organismi competenti

vincolante per associazioni organizzazione inferiore (art. 2)

e partiti regionali a superiore

(art. 4.1.2.) (artt. 9 e 19)

Mozione approvata a

maggioranza 3/4 da

congresso regionale

vincolante per associazione

(art. 2.2.1)

SANZIONI Per i singoli Per i singoli: Per i singoli:

- richiamo orale - richiamo - richiamo

- biasimo scritto - deplorazione - deplorazione

- destituzione da carica - rimozione da incarichi e - sospensione fino a 6 mesi

- sospensione da 1 a 6 mesi invito da dimettersi da - espulsione

- radiazione cariche Per organismi:

- espulsione - sospensione organo superiore può sciogliere

Per organismi: - espulsione quello inferiore

scioglimento di: Per organismi: (artt. 58 e 63)

- cellula scioglimento di:

- sezione - sezione

- comitato di cellula - direttivo di NAS o sezione

o sezione - direttivo di federazione

- comitato federale (artt. [??])

(artt. [??])

FUNZIONI Fissa obiettivi e Fissa linea politica Stabilisce linea politica Delibera indirizzi politici

E POTERI settori di attività Elegge: Elegge Comitato centrale Elegge Consiglio nazionale

DEL del partito - Comitato centrale (artt. 25/26) (art. 33)

CONGRESSO Elegge: - Commissione centrale di Modifica statuto Modifica statuto

- segretario controllo (art. 48) (art. 68)

- tesoriere - Collegio centrale dei

- collegio dei revisori sindaci

dei conti Modifica statuto

- quota (1/4) consiglio (art. 42)

federativo

Ratifica giunta di

segreteria

(art. 4.1.3)

SCADENZA Ogni anno la prima Ogni 4 anni Ogni 2 anni Ogni 2 anni

CONGRESSO settimana di novembre (art. 42) (art. 25) (art. 34)

(art. 4.1.1.)

CONGRESSO Convocato da: Convocato per: Convocato per delibera Convocato su:

STRAORDINARIO - segretario - richiesta 1/3 federazioni direzione su iniziativa - richiesta:

- Consiglio federativo a - delibera comitato centrale propria o per richiesta - 5 direzioni regionali

maggioranza assoluta (art. 29) di C.D. di 40 federazioni - direzioni di consociazioni

- 1/3 iscritti (art. 25) che rappresentino 1/5 iscritti

- delibera consiglio nazionale

(art. [??])

DESIGNAZIONE Scelti e presentati Proposti da organizzazioni Lista formata da direttivo Liste formate da comitati

CANDIDATI AL da partiti regionali di partito nella di federazione secondo elettorali circoscrizionali,

PARLAMENTO (art. 2.3.2.) circoscrizione o collegio indicazioni sezioni sentita direzione, secondo

Scelti e designati da Comitato centrale decide criteri fissati da consiglio nazionale

comitato federale e da ordine di lista e (art. 55)

commissione federale di ratifica le liste

controllo, sentito il (art. 35)

comitato regionale

Ratificati da comitato

centrale e commissione

centrale di controllo

(art. 47)

RAPPORTO Nessun vincolo di mandato Disciplina fissata da Disciplina fissata da Eletti devono rispettare

CON GLI o di disciplina di gruppo gruppo parlamentare gruppo parlamentare disciplina di partito

ELETTI (art. 5.1.) (art. 48) (art. 35) (art. 54)

-----------------------------------------------------------

Legenda: [??] = numero non comprensibile nel dattiloscritto

-----------------------------------------------------------

Ma il confronto sinottico prima compiuto rende solo parzialmente l'idea delle differenze fra lo statuto del PR e quelli degli altri. V'è infatti una differenza di fondo che lo rende idealmente e strutturalmente diverso; "Questo statuto - dirà Spadaccia a pochi mesi dalla sua approvazione - ...non è un insieme di norme che devono regolare la vita di strutture organizzative già realizzate; è ancora un insieme di direttive di azione, di obiettivi di organizzazione politica che devono essere raggiunti" (2). E undici anni più tardi confermerà questa definizione: "Nel 1967 il PR ha prodotto uno stato che sarebbe stato inconcepibile per un partito che era allora composto nei momenti migliori da non più di 200 iscritti, se ci fossimo proposti soltanto la regolamentazione dei rapporti interni dei radicali che allora facevano parte del partito. In realtà, quello statuto era una proiezione futura, un modello e un programma di organizzazione politica per un partito da costruire, che consideravamo validi e proponevamo no

n solo per il partito radicale, ma per l'intera sinistra" (3). E Pannella, in proposito, ricorda: "Quando abbiamo approvato lo statuto era il maggio del 1967. Il partito era composto da non più di 70/80 radicali, per metterci dentro anche i malati e i dormienti" (4). Un'altra conferma di questo fatto viene dalle pagine di `Notizie Radicali': "I poco più di 200 iscritti che costituivano allora il partito non si preoccuparono di fare uno statuto che regolasse la convivenza interna di quel fragile ed esiguo dato associativo, quanto di prefigurare uno statuto, un tipo di organizzazione, diversi e alternativi rispetto a quelli sperimentati dalla sinistra, cioè di prefigurare un partito diverso e alternativo che doveva essere e ancora deve essere costruito. Lo statuto fu, quindi, nel momento della sua elaborazione e approvazione, soprattutto uno sforzo teorico di capire la realtà politica del paese e il modo d'essere e le strutture della sinistra, e di prospettare una soluzione alternativa" (5).

Lo statuto, l'organizzazione diventa così fine politico, un progetto politico, importante quanto, se non di più, della strategia politica. Ne viene conferma dagli stessi atti di quel III Congresso i cui risultati furono, appunto, una brevissima (ma densissima) mozione politica (31 righe di cui 8 dedicate alla nuova `carta') e lo statuto, la cui definizione e stesura finale era stata preceduta da quasi nove mesi di intenso dibattito. E in quelle otto righe si affermava: "Il Congresso sottolinea l'importanza che rappresenta nella vita del partito, più in generale nell'organizzazione della vita politica italiana l'approvazione del nuovo statuto fondato sulla articolazione federativa in autonomi partiti regionali, sull'autofinanziamento da parte dei militanti; sulla pubblicità dei bilanci e sull'autonomia delle organizzazioni di base. Il partito intende così realizzare nella propria organizzazione le aspirazioni libertarie dei cittadini e dei lavoratori che intendono partecipare attivamente, come protagonisti al

la lotta politica e sociale" (6).

Così, mentre gli altri statuti hanno la funzione di regolare rapporti e istituti già esistenti, quello radicale diventa una carta programmatica che può essere attuata solo nella misura in cui vengono creati, `ex nihilo', i rapporti e gli istituti cui si riferisce. Ne consegue una necessaria inattuazione dello statuto radicale in suoi aspetti, generali e particolari, di grande importanza, quali la concezione del partito come federazione di partiti regionali, la base associazionistica, il congresso per delegati.

Se "sul piano delle norme, della `costituzione formale'.. non sembrano esserci dubbi che il PR è una delle poche formazioni `socialiste' che più ha cercato di avvicinarsi all'obiettivo adeguamento della organizzazione al progetto" (7), sul piano della `costituzione materiale' i radicali sono sempre stati assillati dal problema della sua aderenza allo statuto. Ne è una prova la decisione presa nel novembre del '71 di sciogliersi se non avessero raggiunto entro l'anno successivo il numero di mille iscritti, ritenendo questa cifra il minimo indispensabile perché lo statuto (e il partito) potesse avere un senso.

Questa differenza di fondo ha come conseguenza più diretta una formulazione assai più sintetica rispetto agli statuti degli altri partiti: mentre questi sono composti almeno da una cinquantina di articoli, e sovente da molti di più, quello radicale è costituito solo da una ventina di proposizioni.

Ma c'è anche un'altra differenza: quella sulla natura di uno statuto: "Cosa è, cosa deve essere uno statuto organizzativo, per non cadere nella trappola delle burocrazie? - domanda Stanzani - Proprio, e semplicemente, la `carta' di un accordo, un pragmatico `trattato', che regoli i rapporti reciproci di persone che intendono, e finché intendono, collaborare per determinati fini. Se questo è il punto di partenza, è evidente che questa carta deve essere congegnata in modo che nessuno possa farsene padrone: il cosiddetto `gruppo egemone', con la sua `ideologia', e i poteri per giudicare chi la interpreta `correttamente' e chi, invece, è `eretico', e va, magari, espulso. Allora, per modificarla, deve essere sufficiente la volontà della maggioranza" (8). Lo statuto, così importante per i radicali, si trova, in questo modo, tutelato da una maggioranza semplice, anziché da una qualificata (come avviene in altri partiti, e come fanno i radicali per la mozione congressuale). E' lo statuto per chi vuole stare assieme,

associarsi, per conseguire degli obiettivi che costituiscono il minimo comune denominatore di tutti i soci.

Nel momento in cui un consistente numero di assi non è più d'accordo sui modi dello `stare assieme', non ha senso costringerli in una unità fittizia, unanimistica. Le norme, in una libera associazione, non possono imporre dei comportamenti che non sono sentiti profondamente: è sono appunto `comportamenti' quelli che vengono chiesti dallo statuto e dalle mozioni del PR.

Dirà Pannella a dieci anni dalla approvazione di questa `carta': "Lo statuto di un partito è un progetto e un programma di società e di comportamenti" (9). E' la laicità come l'avevano intesa i giovani dell'UGI, come era stata espressa 25 anni prima da Adriano Vanzetti: "Noi non portiamo un'ideologia, ma un metodo. E la nostra validità sta nell'aver preso coscienza di questo metodo, e il nostro dovere è di applicarlo, e di renderne partecipi gli altri" (10).

Teoricamente è una via che può facilmente portare alle scissioni multiple; a giudicare dai fatti sembra, invece, ragionevole ipotizzare che è proprio la fragilità formale dell'unità del partito a generare una maggiore consapevolezza della sua importanza e della necessità politica del suo consolidamento non attraverso vincoli sanzionatori (come avviene negli altri partiti), bensì attraverso la costante riscoperta dei motivi più profondi e unificanti dello `stare insieme' dei radicali in un partito. "Per un partito politico - scrivevano i giovani radicali nel novembre del '61, durante la grave crisi che poi portò alla fine del `vecchio' PR - e specialmente per un partito come il nostro, è una grave deficienza non voler discutere questi problemi per paura di dividerci. Dividiamoci, non c'è niente di male; chi sa rispettare le regole del gioco democratico sa che si può rimanere in minoranza" (11). E' un richiamo a quella concezione anglosassone della democrazia e a quella necessaria alternanza fra maggioranza e

opposizione che porta la prima a "non fare all'altra ciò che non vorrebbe fosse fatto a se stessa", perché sa di potersi trovare, in un domani, dall'altra parte.

Composizione del partito

In base all'articolo 1.1.1. "il Partito Radicale è un organismo politico costituito dagli iscritti al partito, dagli iscritti nelle associazioni non radicali aderenti a livello regionale, dalle associazioni radicali, dei partiti radicali regionali, dalle associazioni o gruppi aderenti a livello regionale, dalle associazioni o gruppi aderenti a livello federale".

Si possono distinguere, così, due tipi di `componenti' il partito: individui e gruppi, secondo il seguente schema:

COMPONENTI IL PARTITO RADICALE

INDIVIDUI GRUPPI

singoli iscritti associazioni

al partito radicale radicali

partiti radicali

regionali

singoli iscritti nelle associazioni o gruppi

associazioni non non radicali aderenti

radicali aderenti a a livello regionale DIRITTI

livello regionale E

DOVERI

associazioni o gruppi AFFIEVOLITI

non radicali aderenti

a livello nazionale

Si ha, cioè, un partito a struttura diretta e, nello stesso tempo, indiretta. C'è da notare, però, che in base all'art. 3.1., l'adesione di associazioni o gruppi non radicali non comporta automaticamente l'iscrizione al Partito Radicale dei loro iscritti o aderenti. Come partecipano, allora, questi iscritti, indicati dall'art. 1.1.1. alla vita del partito? Attraverso una forma affievolita, consistente nel loro diritto a eleggere propri delegati sia al congresso del partito regionale che a quello nazionale, in questo ultimo caso versando una quota pari alla metà di quella fissata per gli iscritti radicali (art. 3.3.).

Come si vedrà successivamente, a ciascuno dei componenti il partito spettano modi di partecipazione differenti rispetto alle funzioni deliberative ed esecutive.

L'iscritto

In base all'art. 2.1.1., "può iscriversi al Partito Radicale chiunque, anche non cittadino italiano". "Le iscrizioni sono accolte dalla segreteria del partito federale, direttamente o tramite le associazioni radicali, o i partiti regionali".

L'elemento più interessante di questo articolo sta nel "chiunque". E' una disposizione che fa da `pendant' all'assenza nello statuto di organi di giustizia interna. Essa ha la sua origine nel dibattito svoltosi negli anni '50 nell'UGI sul concetto di associazione, nel quale la posizione `radicale' può essere ritrovata in quella già citata relazione di Adriano Vanzetti al congresso UGI del 1953. "Ogni individuo autonomo - diceva Vanzetti - di onestà di intenti e di buona volontà, di qualsiasi colore politico esso sia, deve trovare il proprio posto fra noi. E costituirà con noi l'Associazione, e ci migliorerà con il suo contributo, e sarà da noi migliorato" (12).

E' un "chiunque" in contrasto con le formule in uso negli altri partiti che consentono l'iscrizione solo a individui di "incensurabile condotta morale, civile e politica" (statuto del PRI), comportando così un previo esame della vita dell'iscritto, la presentazione da parte di altri iscritti e così via dicendo. Il partito non è una comunità totalizzante, come s'è visto nel capitolo precedente. Non spetta al partito dettare norme di comportamento etico-morali (la cosiddetta moralità socialista). E' l'iscritto che è responsabile di fronte a se stesso dei propri comportamenti: se commetterà illeciti penali, il loro accertamento e conseguente repressione spetta allo stato con il quale partito non si identifica e al quale non si sostituisce; se violerà le norme non scritte della `civile convivenza' compito del partito è, casomai, individuarne le cause e proporre rimedi, ma non ergersi a giudice di coscienza.

Nel "chiunque" sono inclusi anche gli iscritti ad altro partito. Poiché "l'iscrizione al PR non significa adesione fideistica a decisioni e linee politiche già determinate o imposte dal `comitato centrale', ma bensì l'adesione annuale... solo alle delibere approvate con la maggioranza di 3/4 del congresso degli iscritti e dei gruppi federati" (13), è naturale che si possa iscrivere al PR se si condivide il progetto annuale del PR (o parte di esso) e si vuole contribuire a realizzarlo, se lo si ritiene non contrastante con i fini del proprio partito, liberi di rescindere dall'associazione, una volta conseguito l'obiettivo. "Non ci interessa sapere se chi chiede la tessera radicale ne abbia anche altre: questo è un suo problema che probabilmente non può che trovare quotidiana soluzione. Chi scrive sarebbe, anzi, piuttosto portato a ritenere che, nell'attuale situazione italiana, più tessere sarebbero necessarie e logiche che impossibili e contraddittorie" (14). E' evidente che l'attuazione pratica della teoria

della `doppia tessera' dipende molto dai rapporti che si intrattengono con gli altri partiti: non è causale che questa pratica si sia sviluppata al suo massimo nel periodo 1967/1974 (nel 1972 un quarto degli iscritti aveva in tasca un'altra tessera) quando maggiori erano i possibili punti d'accordo, mentre sia calata verticalmente con il progressivo divergere fra PR e sinistra tradizionale. Ma al di là di queste contingenze, l'essenza della `doppia tessera' sta nella demitizzazione dell'adesione partitica, nel sollecitare una unità della sinistra intorno a progetti precisi e comuni, piuttosto che una divisione sulle diverse concezioni del `sol dell'avvenire' il cui sorgere si annuncia assai lontano.

V'è infine un'ultima considerazione sulla `doppia tessera': essa corrisponde a quello `split vote' non infrequente nell'ambito della sinistra in occasione delle elezioni politiche (voto a un partito per la Camera, a un altro per il Senato) oppure, ancor di più, quando queste coincidono con le elezioni amministrative. Se questa duplice (e talvolta multipla) adesione a diversi partiti è praticata nella `società civile', perché - si domandano i radicali - non estenderla dal voto alla tessera? L'aver compreso il significato di questo fenomeno fu determinante nelle elezioni del 20 giugno 1976 per conseguire a Roma il `quorum' che portò quattro deputati radicali in Parlamento; vi fu, infatti, una intensa campagna verso l'elettorato non radicale, ma solo genericamente simpatizzante, perché desse alle liste del PR per la Camera uno dei quattro voti disponibili (Camera, Senato, Comune, Provincia).

Il "chiunque" dell'art. 2.1.1. ha anche un'altra conseguenza: quella della cosiddetta `sede aperta'. `Aperta' fisicamente e politicamente: "L'esperimento della `sede aperta' - si dirà nel '69 - che è stata tra le ipotesi di ripresa del lavoro dei radicali romani, alcuni anni or sono, si è dimostrata politicamente valida, seppure è giunto il momento di valutare l'esperienza in tutti i suoi aspetti. La `sede aperta' si è dimostrata positiva sotto almeno due aspetti:

a) l'aver costituito un punto di riferimento nella città per una larga gamma di fenomeni, azioni, iniziative o gruppi a sinistra...

b) l'aver rotto in concreto... lo stalinismo imperante nelle organizzazioni di sinistra, con il mettere a disposizione di numerosi nuovi gruppi politici strumenti e condizioni di lavoro seppure minimi" (15).

Mauro Mellini spiegava la Congresso di Milano del '69 il significato di questa scelta: "Il PR ha cercato sempre di mettere a disposizione di tutti i gruppi, che vorrei chiamare della `sinistra povera', i suoi mezzi modesti. Se nelle nostre sedi hanno trovato ospitalità il movimento studentesco, gruppi libertari, trotzchisti, marx-leninisti ecc., gruppi, cioè, anche indifferenti e talvolta molto ideologicamente ostili al partito, non è stato certo per caso, né per mero spirito di cortesia. Anche nei confronti dei gruppi ideologicamente più chiusi, noi sentiamo di dover essere al servizio della sinistra, evitando preclusioni ideologiche o semplicemente preclusioni di qualsiasi genere, anche nei confronti di chi lo pratica nei nostri confronti" (16).

L'art. 2.1.1. indica anche le `condizioni' per iscriversi al partito. Esse sono:

1) L'accettazione dello statuto

2) Il versamento delle quote individuali al partito federale nella misura stabilita dal congresso

3) L'impegno ad aderire o a costituire associazioni radicali secondo i propri interessi politici, culturali, sindacali, o altri.

Per il primo punto, si tratta di una accettazione del `metodo' di associazione, delle `regole del gioco' che, se si vorrà, potranno successivamente essere modificate a maggioranza semplice.

Sul secondo punto, al convegno di Faenza si spiegò che "per gli iscritti come per le associazioni aderenti, essenziale deve essere ritenuto il pagamento delle quote, sia perché le prestazioni patrimoniali (e personali) rappresentano la misura del concreto interesse che l'iscritto mette alla vita del partito, sia perché il partito deve fondarsi sul principio dell'autofinanziamento" (17). Si tornerà su questo punto parlando dell'autofinanziamento; occorre aggiungere che "lo statuto del PR non prevede la figura dell'iscritto moroso". Conseguentemente, come venne precisato al congresso di Milano del '69, "non deve destare sorpresa se questa tesoreria ha già provveduto a sancire la decadenza di una fortissima quota di iscritti che tali non sono più" (18). E' il criterio dell'automaticità - non discrezionalità della sanzione: l'iscritto non in regola con le quote non gode dei diritti elettorali e, conversamente, l'iscritto che non desidera più esserlo non ha nemmeno bisogno di notificarlo: è sufficiente il non pag

amento delle quote dovute.

Sta nel terzo punto l'aspetto più originale: concepito in una situazione nella quale la mancanza di associazionismo era (e rimane) uno degli aspetti più negativi della società italiana, lo statuto radicale si proponeva di contribuire al superamento di questo problema. Una fitta rete di associazioni, operanti sui più disperati argomenti, avrebbe costituito la trama di una democrazia di base cui il PR avrebbe potuto dare sbocchi politici istituzionali per alcune, almeno, delle iniziative intraprese e, comunque, avrebbe costituito, di per sé - secondo i radicali - un elemento profondamente innovatore nella vita politica italiana.

Per ultimo va fatto un accenno alle modalità dell'iscrizione: essa, come s'è visto, passa attraverso le associazioni e i partiti radicali regionali oppure è direttamente accolta dalla segreteria: era una risposta a quei fenomeni di `mafia delle tessere', consistenti o nel tesseramento di iscritti inesistenti o nel rifiuto di consegnare la tessera a simpatizzanti di `correnti' avversarie. D'altronde sull'argomento si era anche sviluppata, a quei tempi, una pubblicistica giuridica sostenente il dovere dei partiti ad ammettere i cittadini che ne facessero richiesta (19).

L'associazione

L'elemento basilare del partito è l'associazione. Ad essa si riferiscono gli artt. 2.2.1. e 2.2.2. Queste le sue caratteristiche:

1) E' composta da iscritti del PR che si associano "con riferimento territoriale comune, per conseguire finalità politiche, culturali, sindacali".

2) Essa si fissa da sé gli obiettivi della propria azione.

3) I suoi vincoli sono: a) il rispetto del proprio statuto che ricalca quello del partito federale; b) l'attuazione della mozione del partito regionale cui è federata; c) l'attuazione del partito federale.

4) Essa invia direttamente i propri delegati sia al congresso regionale che a quello nazionale.

L'idea che sta al fondo di questa impostazione è che l'associazione non sia il mini-rappresentante del partito in un ristretto ambito territoriale, sul modello delle tradizionali sezioni, che a loro volta si rifanno ai vetusti criteri di decentramento amministrativo statale, bensì l'aggregazione di più radicali intenzionati a realizzare una propria iniziativa politica, culturale, sindacale ecc. Ne consegue che nello stesso ambito territoriale possono coesistere più associazioni, ciascuna con propri obiettivi. E' il tentativo di costituire "non associazioni di partito, ma un partito di associazioni" (20).

Contemporaneamente, l'associazione determina il volto del partito; un volto estremamente `variopinto' poiché, in base ai deliberati del IV Congresso, per cercare di creare "un'unità articolata che esaltasse le differenze, la peculiarità di ciascuna delle sue componenti" (21), si fissò a dieci il numero minimo di iscritti per costituire un'associazione. Essa, da un lato, invia direttamente i propri delegati al Congresso nazionale (in base all'art. 4.1.1. è garantito almeno un rappresentante per ogni associazione), dall'altro, federandosi ad altre associazioni, costituisce il partito regionale, ne nomina in congresso l'esecutivo, ne determina nella stessa sede la mozione. I radicali volevano in questa maniera "dare una presenza istituzionale non solo al singolo iscritto, ma anche ad associazioni che perseguono finalità determinate, sono portatrici di determinate esigenze, di determinate battaglie, altrimenti il singolo sarà sempre inerme di fronte all'apparato" (22).

Si crea così un processo ciclico di interdipendenza al cui centro si trova l'associazione, secondo questo schema:

CONGRESSO CONGRESSO

REGIONALE NAZIONALE

A S S O C I A Z I O N E

MOZIONE MOZIONE

REGIONALE NAZIONALE

I partiti regionali

La dimensione regionale fu scelta dai radicali per i `partiti' che avrebbero dovuto costituire il `partito' per due ordini di motivi: la regione era un'entità sostanzialmente unitaria dal punto di vista economico e culturale e, comunque, certamente meno fittizia della provincia. Vi era poi la tradizione del regionalismo federalista e una battaglia tuttora in corso negli anni '60 fra `moderati' e `progressisti' per l'attuazione degli articoli della Costituzione relativi alle Regioni a statuto ordinario.

Per il congresso di Firenze del '67 "la regione è l'unità strutturale operativa dell'economia industriale attuale, sufficientemente ampia e funzionale per poter resistere alle tendenze centralizzatrici dello Stato" (23).

Secondo le intenzioni dei radicali, il partito regionale avrebbe dovuto essere il vero `Partito Radicale' che, confederandosi a altri `partiti radicali', avrebbe dato vita a un `partito federale', concepito come struttura esecutiva e di servizio a livello nazionale. La gracilità dei partiti regionali ha finora impedito che questo disegno si realizzasse provocando una serie di scompensi nei quali il PR tuttora si dibatte.

Ad ogni modo, l'art. 2.3.1. delinea un partito del tutto autonomo con due soli vincoli: il rispetto dello statuto e l'attuazione della mozione nazionale. Per il resto, costituito dalla federazione di più associazioni (con un minimo complessivo di 100 iscritti), esso dispone di proprio congresso, segretario, tesoriere, consiglio federativo; si autofinanzia, stabilisce le proprie finalità; sceglie e presenta i candidati alle elezioni regionali e politiche, mentre per le elezioni comunali e provinciali la decisione spetta a `comitati ad hoc' fra le associazioni territorialmente interessate (art. 2.2.2.).

La struttura indiretta

Si è vista l'importanza avuta dai `movimenti federati' nella vita del PR. Lo statuto, all'art. 3.1., delinea così il principio della federazione: "Associazioni e gruppi non radicali che perseguono proprie finalità politiche, culturali, sindacali e altre possono aderire, in quanto tali, al Partito Radicale. L'adesione di tali associazioni o gruppi non comporta l'iscrizione al partito dei loro iscritti o aderenti. Il periodo di adesione può essere anche limitato nel tempo, e prefissato".

Con l'accenno al limite del periodo di adesione si intende sollecitare la federazione non su generiche affinità, bensì su un progetto comune che, partendo dall'associazione o gruppo non radicale, coinvolga su di esso le energie del partito. "Occorre rovesciare un atteggiamento che è stato caratteristico delle organizzazioni unitarie nel periodo frontista - scriveva Pergameno nel '67: quello per il quale gli aderenti a queste organizzazioni si sentivano prima di tutto rappresentanti del loro partito. Se si tratta di organizzazioni di base che nascono da esigenze reali e autonome, l'atteggiamento deve essere rovesciato: sono i militanti di queste organizzazioni che devono farsi portatori di quelle esigenze verso il proprio partito e non viceversa" (24).

Vi sono due livelli di federazione, come indicati dagli artt. 3.2. e 3.3.:

1) Federale. Esso comporta:

a) accordi fra organismi direttivi nazionali

b) un contributo finanziario al partito federale

c) la nomina da 1 a 3 rappresentanti dell'associazione nel consiglio federativo del partito federale

2) Regionale. Esso comporta:

a) accordi fra organi regionali

b) un contributo finanziario al partito regionale

c) la nomina di almeno 1 rappresentante dell'associazione nel consiglio federativo del partito regionale

d) la partecipazione dell'associazione con propri delegati, eletti dai propri iscritti, ai congressi del partito regionale e federale.

Come si vede, conformemente alla maggiore importanza attribuita dallo statuto al partito regionale, la federazione a livello regionale è più estesa di quella a livello federale. Ciò risponde anche all'esigenza di privilegiare le forme di unità di base, anziché quelle ai vertici.

Nel complesso, esaminando quanto s'è visto finora della struttura statutaria radicale si possono fare le seguenti osservazioni:

Essa ricalca assai da vicino la struttura del partito laburista britannico il quale è composto dalla federazione di partiti laburisti circoscrizionali (Divisional Labour Parties), di associazioni socialiste (Socialist Societies), come la `Fabian Society', con attività prevalentemente culturale, di organizzazioni sindacali (Trade Unions) e di associazioni cooperative (Co-operative Societies). A loro volta i Divisional Labour Parties sono composti dalla federazione di partiti laburisti locali (di quartiere o zona rurale), organizzazioni sindacali periferiche, organizzazioni cooperative e associazioni socialiste locali (25).

Altri modelli sono l'UGI e l'UNURI: il primo, come risulta chiaramente dagli artt. 1 e 2 del suo statuto (26) è un organismo interamente a struttura indiretta: vi si fa parte solo attraverso gli organismi di base, nelle proprie facoltà o università. D'altra parte, agli `organismi tecnici' dell'UNURI, come il CUS (sport), il CUC (cinema), CUT (teatro), CUM (musica), CRUE (relazioni con l'estero), proprio per la loro operatività su specifici settori della vita associativa, si possono, in una certa misura, collegare i `movimenti federati' radicali (27).

"Si tratta - rileva in proposito Panebianco - dal punto di vista della struttura normativa, di un esperimento politico nuovo, poiché strutture decentrate e federative hanno fino ad oggi contraddistinto soprattutto i partiti di notabili orientati alla difesa dello `status quo' e solo raramente i partiti innovatori o modernizzanti" (28).

Poteri decisionali

L'art. 1.1.1., al suo secondo comma, indica cinque organi del Partito Radicale: il congresso, il consiglio federativo, il segretario e la sua giunta, il tesoriere, il collegio dei revisori dei conti. La ripartizione dei poteri e delle funzioni fra questi organi è rigida: "Una precisa delimitazione delle responsabilità dei gruppi dirigenti, una effettiva autonomia delle organizzazioni di base e una effettiva apertura del partito ad organizzazioni nuove; una effettiva libertà non solo di opinione, ma anche di iniziativa riconosciuta agli iscritti, su tutte le questioni per le quali non sia congressualmente definita ed esplicitamente specificata la disciplina di partito, esplicito e rigoroso rispetto dell'autonomia delle organizzazioni non partitiche, sindacali o di altro tipo: questi - afferma Spadaccia al convegno di Faenza - sono i primi problemi a cui dobbiamo dare una risposta" (29). Responsabilità ed autonomia, dunque, per conseguire le quali i radicali sceglievano un modello di divisione dei poteri di ti

po federale, secondo questo schema:

ORGANI ORGANI ORGANI DI

ESECUTIVI DELIBERATIVI CONTROLLO

LIVELLO segretario congresso collegio

FEDERALE dei revisori

dei conti

tesoriere consiglio

federativo

LIVELLO segretario congresso

REGIONALE regionale

(le frecce indicano il potere di nomina)

Come si può vedere dalla direzione delle frecce, al Congresso (in base allo statuto composto dai delegati, ma per una norma transitoria finora composto da tutti gli iscritti) spetta ogni nomina, tranne che per il consiglio federativo il quale è composto da tutti i segretari dei partiti regionali e da un ridotto numero di membri (pari a un terzo dei segretari) eletti dal Congresso.

Anche qui si possono indicare dei modelli teorici: ad esempio il sistema federale americano. Se negli USA è il corpo elettorale che elegge il presidente, qui è il congresso (in teoria un corpo elettorale di II grado, nei fatti, finora, di I grado) che elegge il segretario. Se lì una Camera è eletta dagli stati (due rappresentanti per ogni stato) e l'altra dagli elettori, qui c'è una `Camera' sola (il consiglio federativo) di cui una parte (circa i 3/4) è eletta dai partiti regionali (il segretario di ogni PR regionale) e la rimanenza dal corpo elettorale (cioè il congresso).

Secondo lo statuto, quindi, "chi" decide è il congresso e, fra un congresso e l'altro, il consiglio federativo. Lo strumento tecnico-politico per contenere entro i suoi limiti l'esecutivo è la mozione: essa è, nei fatti, il maggiore potere che ha il Congresso; a seconda della sua natura può rendere fortissimo un esecutivo debole o debolissimo un esecutivo `forte'. E' evidente che se all'esecutivo viene affidata l'attuazione di una mozione vaga ed omnicoprensiva, esso, attraverso le sue "delibere di attuazione", ha in mano tutta l'attività e l'iniziativa politica.

Vi sono però delle altre considerazioni extra-statutarie da fare: l'influenza dell'esecutivo trova un limite, oltre che nella mozione, nella rappresentatività del consiglio federativo, nei quali sono presenti, a maggioranza, i partiti regionali attraverso i loro segretari: è evidente che in un sistema federale l'equilibrio esiste se gli associati hanno una propria vita e una forza propria; finché questa condizione viene a mancare, l'esecutivo non può che essere preponderante. D'altra parte, finché i radicali mantengono la loro caratteristica `progettuale', a nulla servirebbe una preponderanza dell'esecutivo se i progetti da esso decisi non trovassero il consenso degli iscritti. In termini concreti, l'esecutivo troverebbe vantaggi nella sua preponderanza se si ponesse obiettivi esclusivamente elettorali, non certo nei settori tradizionalmente radicali come l'indicazione di un referendum o una campagna di disobbedienza civile.

Si comprende, quindi, l'importanza del "che cosa" viene deciso; se vengono a mancare i progetti concreti e ben definiti, lo statuto non si `lievita' e l'unità del partito diventa nonostante tutti gli sforzi in contrario, un'unità semplicemente ideologica.

Dalla polemica di stampo michelsiano condotta dai radicali verso le degenerazioni burocratiche non potevano non derivare disposizioni statutarie. Infatti, partendo dall'assunto del sociologo tedesco che "uno stretto rapporto di dipendenza finanziaria ha spesso anche una ripercussione psicologica" (30), come scrive Alain Touraine, che "coloro che ricevono i mezzi di esistenza dal partito tendono a identificarlo col fine della loro azione" (31), al convegno di Faenza si rilevava che "la costituzione di una élite di amministratori del pubblico potere, non facilmente sottoponibili a controllo popolare, rappresenta la possibilità non remota del costituirsi di una oligarchia di fatto, o meglio di una tecnocrazia in cui i tecnici del potere sono fuori da ogni possibilità nonché di essere controllati e guidati dalla base popolare, semplicemente di essere individuati e riconosciuti in quanto tali" (32).

Ne conseguiva la disposizione dell'art. 1.2.1.: "Il partito non ammette cariche retribuite". La rigidità di tale norma ha, nei fatti, impedito il formarsi di quel che comunemente viene definito `burocrazia di partito'. D'altra parte la prassi dei `rimborsi spese', limitata sia in termini finanziari (nel bilancio dal 1975 la voce `rimborsi spese' è stata pari al 4,8% delle uscite e l'anno successivo al 4,9%) che per il numero di persone interessate, non ha consentito che si realizzasse, se non entro certi limiti, l'obiettivo del partito federale come `struttura di servizio' per i partiti regionali e i movimenti federati. Dalla constatazione di questo fatto sono nate varie proposte di riforma, le quali, partendo dal principio che "non devono esistere cariche ma incarichi a tempo, affidati su precise assunzioni di responsabilità e di lavoro politico e misurati sui risultati" (33), prospettano ipotesi di `contratti a termine', non rinnovabili, legati a singole iniziative (34).

Dallo schema rappresentato prima, risulta l'assenza di un organo di giustizia interna. L'unico organo di controllo è infatti costituito dal collegio dei revisori dei conti il quale ha i poteri di revisione e ispezione contabile indicati dall'art. 4.5.1. Il progetto dello statuto prevedeva un organo di tipo probovirale; ma, come risulta dagli atti della `Commissione statuto' del III Congresso, "da varie parti è stato fatto rilevare che un partito ispirato a concezioni libertarie non poteva prevedere tra i propri istituti un organo con funzioni disciplinari, per l'adozione di provvedimenti disciplinari. La commissione ha accettato tale punto di vista ed ha conseguentemente deciso di sopprimere il collegio dei probiviri" (35). Come s'è detto, l'assenza di probiviri è il `pendant' del non-controllo sugli iscritti: "Non prevediamo nessuna possibilità di espulsione perché non accettiamo che il partito assuma in alcun caso la veste del giudice o del poliziotto e perché in politica non esistono `indegnità' (concetto

moralistico e morale) ma solo dissensi, errori, opposizioni" (36).

In effetti, a giudicare dalle esperienze degli altri partiti, sembra di poter affermare che gli organi di giustizia interna o non hanno funzionato (intenzionalmente) o hanno prodotto una giustizia troppo `sui generis'. Secondo le parole di Vallauri, "vi è un'area nella quale le garanzie democratiche sono rimesse al beneplacito dei dirigenti dei partiti o all'equilibrio tra i dirigenti" (37).

Secondo i radicali, i tentativi di `infiltrazione' o di `scalata al potere' (peraltro di nessuna entità, finora, nella storia del partito, non potevano avere alcun successo o utilità in un partito libertario. Non essendovi `segreti' da scoprire, con una prassi rigorosamente nonviolenta, con nessun `potere' se non quello derivante dalla autorevolezza, l'infiltrato - dicevano i giornali - non ha spazio per le sue `provocazioni' come invece avviene in certi movimenti `rivoluzionari' della nuova sinistra; l'`entrista', anche se conquistasse posizioni di rilievo nel partito, non potrebbe reggersi senza il consenso dei militanti cui spetta l'iniziativa e l'attività politica.

Gli "errori, dissensi, opposizioni" - concludevano - potevano essere risolti solo trasformando i contrasti in confronto politico, in dibattito sul metodo di `stare assieme', per trovare, al di là delle divergenze, i motivi di più profonda unità.

Il congresso

Secondo l'art. 4.1.1., il congresso "è l'organo deliberativo del partito, di cui stabilisce gli orientamenti e l'indirizzo politico, fissandone gli specifici obiettivi e precisandone i settori di attività. Il congresso ordinario ha luogo ogni anno, nella prima settimana di novembre, ed è obbligatoriamente convocato dal segretario del partito federale entro il 30 settembre; il congresso straordinario può essere convocato dal segretario del partito federale, dal consiglio federativo del partito federale con la maggioranza assoluta dei suoi membri, da un terzo degli iscritti da almeno sei mesi al partito".

La scadenza annuale del congresso deriva dallo statuto dell'UGI (38) mentre la data fissa deriva dallo statuto laburista (il cui congresso si svolge nella settimana di Pentecoste e sempre nella stessa località: Blackpool).

"Il congresso annuale - secondo i radicali - si rende necessario nel momento in cui si vuole realizzare un partito di militanti, nel quale la base decide i propri obiettivi politici" (39). E' chiaro che in un partito che si fonda su progetti, il congresso annuale non è solo utile, ma addirittura indispensabile perché consente di fare un bilancio dell'attività svolta e trarne, con rapidità, le conseguenze. Se si tiene poi conto dell'assenza di legami verticali (non solo nel senso di gerarchie ma anche di strumenti, come giornali e circolari) si comprende l'importanza del congresso per stabilire legami, rafforzare la `memoria collettiva', responsabilizzare il maggior numero di iscritti. In un partito prevalentemente fondato, invece, su una solida burocrazia il congresso, con le sue procedure e i suoi preparativi, blocca per un tempo considerevole il normale andamento della `macchina'.

Si è già indicato nella mozione il maggiore potere del Congresso. La sua particolarità, oltre che nei contenuti di carattere operativo-programmatico, sta nella eccezionale maggioranza richiesta perché con la sua approvazione diventi vincolante per tutte le associazioni e i partiti regionali: la maggioranza dei 3/4. Il precedente materiale della norma è, ancora una volta, lo statuto dell'UNURI nel quale per l'elezione della giunta nazionale dell'Unione era necessaria la maggioranza dei 3/5 (una disposizione tesa a costringere alla collaborazione le due componenti maggiori, l'UGI e l'Intesa). Dal punto di vista teorico la norma nasce dalla considerazione che "i momenti operativi unitari dovessero essere forti, anche se forti democraticamente e non burocraticamente" (40).

Ma se "i deliberati del congresso sulle precise iniziative stabilite debbono vincolare tutto il partito" (41), è necessario che queste iniziative raccolgano un consenso reale e non puramente formale. A che servirebbe - si chiedevano i radicali - approvare una mozione, anche la più bella di questo mondo, se intorno ad essa v'è solo il consenso di poco più della metà del partito? In un partito in cui il successo delle iniziative è affidato all'impegno di ogni singolo militante sarebbe una vittoria di Pirro, perché mancherebbero, in sede di attuazione, le energie per realizzare gli obiettivi prefissati. La richiesta maggioranza dei 3/4 è quindi una spinta a cercare la massima unità interna sul progetto per l'anno a venire, progetto che rappresenta il minimo comune denominatore di tutti i radicali.

Lo statuto, al punto 4.1.2., prevede una `prova d'appello' per la mozione approvata a maggioranza semplice, cioè la possibilità che essa venga ad essere vincolante se approvata successivamente, a maggioranza di 2/3, dal consiglio federativo. Occorre dire, però, che questa procedura è stata attuata una sola volta in 10 anni di congressi, e precisamente per la mozione del XIX Congresso a Bologna nel novembre del '77.

Quanto sia importante il congresso nello statuto radicale è confermato dalla disposizione, sopra trascritta, che, oltre al congresso annuale, consente la convocazione di congressi straordinari. E' una norma che dalla `rifondazione' del partito nel '67 è stata applicata ben cinque volte: nel '70, per proporre al PSI un accordo elettorale nelle consultazioni regionali; nel '71 per stabilire iniziative anticoncordatarie assieme alla LIAC (Lega italiana per l'abrogazione del concordato); nel '73 per lanciare la prima campagna degli `8 referendum' e il quotidiano radicale `Liberazione'; nel '76, dopo le elezioni del 20 giugno, per un bilancio dei risultati elettorali e una decisione sul finanziamento dei partiti; nel '77, nel pieno della campagna per gli `8 referendum', per risolvere i problemi di autofinanziamento.

Lo statuto prevede un congresso per delegati, ma in base a una norma transitoria, da sempre, vi partecipano tutti gli iscritti. Vi sono una serie di ragioni per questo mutamento: lo statuto fu concepito dai radicali come un modello per tutta la sinistra, come modello per un grande partito della sinistra unita; il congresso per delegati costituiva, quindi, una necessità pratica; finché lo statuto era applicato al solo partito radicale le sue dimensioni rendevano i delegati inutili se non ridicoli. Ma non era solo questione di dimensioni; infatti, in partiti e organizzazioni di grandezza simile vige il principio e la pratica del congresso per delegati (ad es. PDUP, AO, MLS). Attraverso la riflessione sulla loro prassi, i radicali affermavano che "il PR, proprio perché partito di militanti, ha voluto una articolazione nettamente opposta a quella del centralismo democratico; e proprio per questo ha voluto portare direttamente i militanti al congresso. Ma è chiaro che essi ci debbono arrivare non quali portatori

delle loro peculiarità individuali, come tanti momenti slegati, ma viceversa proprio attraverso un processo di maturazione politica nelle associazioni e nei partiti regionali" (42).

Congressisti non `rappresentanti', quindi, bensì `rappresentativi'. D'altronde, se la struttura ideata venisse integralmente applicata, i momenti centrali della vita del partito sarebbero i congressi regionali, nei quali la presenza fisica di tutti i militanti potrebbe essere garantita senza eccessiva difficoltà, mentre il congresso nazionale diverrebbe il momento unificatore di queste volontà federali attorno ad un progetto comune che, proprio perché risultante dai singoli progetti regionali, potrebbe, senza cadere in contraddizione, essere elaborato da delegati dei partiti regionali.

Occorre far notare l'importanza che ha la posizione cronologica del congresso regionale rispetto a quello federale: se quest'ultimo si svolge antecedentemente al primo, a questo nome rimane (per via del vincolo della mozione congressuale) che ricercarsi piccoli spazi autonomi di iniziativa non contrastanti con la mozione nazionale. Se invece il congresso regionale si tiene prima di quello federale, la mozione regionale determinerà il contenuto di quella nazionale. Solo in questo caso, dunque, si può parlare di struttura federativa; nel primo si tratta di semplice `autonomia regionale'.

Come, accanto alla norma dell'`iscrizione libera', si è sviluppata la prassi della `sede aperta', così, accanto al `congresso di militanti', si è consolidata la prassi del `congresso aperto': il cui successo, cioè, è consentito anche ai non-iscritti, simpatizzanti o osservatori, costoro godono del diritto di parola e di voto sulle questioni procedurali, non sulle mozioni e sull'elezione degli organi. La consuetudine nasce dal IV Congresso (Firenze, novembre '67) al quale, in conformità con il tema dell'assemblea, `la sinistra contro il regime', furono invitati come relatori gli onn. Renato Ballardini (PSU) e Arrigo Boldrini (PCI) e il sen. Ferruccio Parri.

L'unico potere che non spetta interamente al Congresso è la nomina dei membri del Consiglio federativo: esso ne elegge solo una quota, pari al 1/3 dei segretari regionali, i quali rappresentano l'altra quota del CF. Anche questa disposizione è tratta dallo statuto dell'UNURI che stabiliva analogamente la composizione del suo Consiglio nazionale: la maggioranza, 45, `consiglieri di sede' eletti dagli organismi rappresentativi di ogni ateneo, i restanti, i cosiddetti `ventuno', eletti dal congresso biennale.

Il Consiglio federativo

Il paragrafo più esteso dello statuto radicale è dedicato al Consiglio federativo. Se ciò non fosse sufficiente prova della sua importanza, si possono enumerare i suoi numerosi poteri:

a) potere vincolante

b) potere di coordinamento

c) potere di federazione

d) potere regolamentare

Il CF è composto (art. 4.2.1.), oltre che dai membri eletti dal congresso e dai segretari regionali, dai delegati `movimenti federati'. Vi partecipano, senza diritto di voto, il segretario nazionale e la sua giunta.

I suoi poteri vincolanti sono:

1) rendere vincolanti, approvando a maggioranza di 2/3, le mozioni approvate con la maggioranza semplice dal congresso, oppure le iniziative non affrontate dallo stesso congresso.

2) rendere vincolanti per l'esecutivo, approvandole all'unanimità, le iniziative respinte dal congresso.

Il potere di coordinamento consiste nel coordinare "la politica del partito federale con quella dei partiti regionali", fungendo, quindi, da raccordo fra l'uno e gli altri.

Il CF esercita il suo potere di federazione quando "delibera a maggioranza semplice sull'adesione di associazioni o gruppi che aderiscono a livello federale".

Il suo potere regolamentare consiste, `last but not least', nell'approvare il regolamento e l'ordine del giorno del congresso.

Il segretario

Il significativo contrasto con l'estensione delle norme sul CF, è la brevità di quella sul segretario. Vi si afferma (art. 4.3.1.) che egli "è responsabile della attuazione della politica del partito federale, secondo le direttive fissate dal congresso e le pronunce del consiglio federativo". Statutariamente i suoi unici poteri sono quelli di emanare direttive per l'attuazione delle delibere congressuali e di convocare il congresso straordinario. In realtà il potere del segretario sta nella sua autorevolezza derivante dall'elezione in congresso, cioè direttamente dai militanti. Oltre che nelle sue capacità personali di `rappresentare' all'esterno l'immagine del partito, la sua forza sta nella `giunta di segreteria', da lui proposta e ratificata dal congresso, che, nel numero di sette, riunisce i suoi diretti collaboratori, e nel buon rapporto intrattenuto con il consiglio federativo; una ostilità di quest'ultimo renderebbe assai problematica la realizzazione di qualsiasi sua iniziativa.

Il tesoriere

Il tesoriere può essere considerato, soprattutto per quanto verrà detto successivamente in tema di autofinanziamento, il `N. 2' del partito. Egli, infatti, secondo lo statuto (art. 4.4.1.), "amministra i fondi a disposizione del partito federale ed è responsabile della loro gestione". Ne consegue la sua possibilità di porre il veto ad ogni iniziativa non prevista dalla mozione congressuale o eccedente i limiti di spesa ricopribili attraverso l'autofinanziamento. Ma il tesoriere non è un amministratore o, peggio, un `cassiere'. Secondo i radicali, "il segretario nazionale, il tesoriere... non hanno prioritariamente il compito di `amministrare' questo patrimonio politico ed organizzativo, ma quello di precisare gli obiettivi e gli strumenti di lavoro omogenei alla attuazione dei mandati congressuali. La ripresa e lo sviluppo di questo patrimonio politico ed organizzativo è compito del partito nel suo complesso, dei suoi gruppi e militanti" (43). Nella fattispecie, al tesoriere spetta il compito di individuare

e di proporre le iniziative finanziarie necessarie per autofinanziare sia i singoli progetti che l'intera gestione del partito. E' evidente, infatti, che le sole quote d'iscrizione non sono assolutamente sufficienti allo scopo.

L'autofinanziamento

L'importanza che i radicali attribuivano ai problemi del finanziamento del loro partito la si può constatare anche dal posto occupato da questo tema nello statuto: subito dopo la `definizione' del PR.

In base all'art. 1.2.1., i finanziamenti del partito federale provengono:

1) dalle quote degli iscritti

2) dalle quote delle associazioni aderenti a livello federale

3) da altri contributi individuali a favore di precise iniziative

4) dai proventi di pubbliche iniziative di autofinanziamento.

Lo stesso articolo dispone che i bilanci siano compilati "con criteri di analiticità" e siano pubblici.

Il principio dell'autofinanziamento è indissolubile dalla concezione che i radicali avevano del partito: "un partito di militanti, un partito nel quale tutto fosse rimesso all'iscritto e a chi comunque lavorava per il partito... pagava di persona per il partito, faceva sacrifici finanziari per esso" (44). Invece, negli anni '60, "i partiti di apparato volgevano sempre di più verso forme di finanziamento legate ad attività economiche di partito o vicine al partito, o mediate dallo `spoil system', ovvero caricate direttamente sul bilancio dello stato, distruggendo in tal modo la caratteristica del partito di massa... (quella) di essere i militanti stessi, in quanto associati ed operanti insieme e quindi con le proprie forze e i propri mezzi finanziari" (45). I radicali si rifacevano ai tempi del socialismo `romantico', quando erano gli operai e i braccianti a pagare di tasca propria le `case del popolo' e le `camere del lavoro': era anche questa una posizione chiaramente polemica nei confronti di un PSI ormai

invischiato nel sotto-governo del centro-sinistra e di un PCI dai poco chiari legami con i paesi dell'Est e con il sistema cooperativo. Ma vi era anche una considerazione di carattere psicologico: la politica è impegno e responsabilità, è il risultato dell'attività del cittadino per e nella sua `polis'. Ciò che avviene senza la sua partecipazione può essere definito, tutt'al più, amministrazione; un partito, dunque, che non si regge sugli sforzi (o sui proventi degli sforzi) dei suoi membri se ne estranea, si isola, amministra potere anziché avviluppare partecipazione.

Si aggiunga a ciò la fondamentale esigenza di autonomia dei radicali; e l'autonomia doveva essere necessariamente anche finanziaria, soprattutto se si volevano condurre delle battaglie `antiregime'; lo avevano constatato `de facto' durante la loro campagna contro le manovre monopolizzatrici e corruttrici dell'ENI: tutta (o quasi) la stampa, anche di sinistra, tacque o li tacciò di `scandalismo'. Le ragioni di questo comportamento si compresero quando saltarono fuori le fotocopie degli assegni dell'ENI ad un arco di giornali che andava dallo `Specchio', alla `Voce Repubblicana', fino a `Paese Sera' (46).

L'autofinanziamento si rivelava, così, l'unico modo per essere davvero "un partito della società e non un partito dello stato" (47). Per i radicali, con questo criterio di autofinanziamento, "sempre di più si realizzano... due caratteristiche peculiari del PR:

1) non è la struttura centrale, burocratica che crea (promuovendo attività con la sua erogazione di fondi, i suoi finanziamenti, le sue scelte) i militanti, più o meno destinati ad essere funzionari della politica del centro... Sono invece i militanti, coloro che versano soldi al partito, iscritti o no, a determinare o, concreto il partito, le sue scelte, a fare il partito quello che è, quando fa molto, come quando poco riesce a fare.

2) ... si verifica la caratteristica del PR come partito aperto, l'appartenenza al quale è determinata solo dalla volontà di sostenere le concrete campagne, le concrete lotte e non in base ad una totale quanto generica delega di responsabilità al partito" (48).

Si giunge così al tema del finanziamento pubblico. Se si considera che su questo tema i radicali hanno richiesto un referendum abrogativo e, nella relativa consultazione, praticamente, hanno sfiorato l'obiettivo, raccogliendo il consenso del 43% dei votanti alla loro proposta, si comprende bene quale importanza la questione abbia nella teoria e nella strategia radicale. Il rifiuto radicale dell'attuale legge sul finanziamento pubblico dei partiti deriva da quelle considerazioni sulla natura del partito che si sono cercate di esporre nel capitolo III e che sarebbe pleonastico riportare in questa sede, dove si considererà la questione dal punto di vista dei rapporti finanziamento-autofinanziamento. Il punto centrale della opposizione radicale sta nella considerazione che "il diritto dei cittadini di organizzarsi in forze politiche fosse sì, in base all'art. 49 della Costituzione, da tutelarsi economicamente, ma non con l'equazione pura e semplice: attività politica = partito = apparato burocratico centrale" (4

9). Conseguentemente "lo stato deve agevolare le volontà di espressione politica che si manifestino nella società attraverso la messa a disposizione gratuita o la riduzione dei costi per tutta una serie di servizi e dei beni; luoghi pubblici di riunione, trasporti, tipografie e materiali per la stampa. Sosteniamo, insomma, che solo un ampio sistema di agevolazioni in natura, di carattere indiscriminato, a tutti i partiti ed altre forme di organizzazione politica, può realizzare in modo pieno questo diritto della comunità" (50).

Ma il primo servizio dello stato ai cittadini per garantirne la partecipazione è - secondo i radicali - l'informazione. "Non c'è finanziamento adeguato ai costi dell'informazione, se si pensa che con 800 milioni (l'ammontare del contributo annuo dello stato al PR, ndr) si potrebbero pubblicare annunci a pagamento su tutti i quotidiani italiani per una sola settimana" (51). E, si aggiunga, diretti a una fascia di soli 5 milioni di cittadini.

Dai loro bilanci erano pienamente a conoscenza del fatto che la fetta maggiore delle uscite (39% nel '75 e 50% nel '76) era destinata all'informazione sull'iniziativa del PR. E tutto questo perché, a loro avviso, gli strumenti pubblici di comunicazione di massa, come la Rai-Tv, non assolvevano i compiti istituzionali e costituzionali di informatori "liberi, onesti e imparziali". Garantita questa esigenze democratica, assicurati servizi di base all'attività politica dei cittadini, partitica ed extrapartitica, al partiti restavano le spese per il suo apparato e l'organizzazione della propria attività: e qui non poteva non valere il principio dell'autofinanziamento; se il partito non riusciva a raccogliere un'adesione un tantino più consistente del semplice voto era segno che non svolgeva le sue funzioni di tramite fra società e istituzioni, che mancava di un reale sostegno di massa. Come scrive Federico Stame, "da strumento di immissione nello stato dei bisogni della società civile... il Partito diviene strume

nto dello Stato per ridurre a obbedienza la società civile stessa. Il Partito è articolazione costituzionale dello Stato per il controllo dell'antagonismo sociale; lo Stato dei Partiti, appunto" (52).

Accanto all'autofinanziamento, lo statuto radicale sancisce, come s'è visto, l'analiticità e la pubblicità dei bilanci. Al congresso di Milano del '69, la relazione dell'esecutivo uscente affermava: "Questa tesoreria può affermare di essere riuscita, per la prima volta, credo, nella vita di un partito italiano, a fornire ai militanti tutti e ai congressisti un quadro completo ed esatto della gestione finanziaria di quest'anno. E non si dica ironizzando che il compito era facile per un partito minoritario e di scarse risorse finanziarie (9 milioni di bilancio annuo, ndr). La situazione in cui abbiamo lavorato... ha reso piuttosto faticoso il compito" (53). "Qui, di fronte ad amici o avversari, siamo pronti a dare piena cognizione di fonti di finanziamento e di spese di gestione, a discutere anche di come sono state ripartite ed erogate poche o molte migliaia di lire" (54). Il motivo dell'analiticità è duplice: da una parte una elementare chiarezza contabile, dall'altra l'esigenza di ripartire i contributi, in

particolare dei non iscritti, fra le iniziative cui erano intenzionalmente destinati, secondo l'invito del PR a sostenere non la sua struttura o la sua organizzazione, bensì le sue concrete battaglie. Di qui l'esigenza "di una rigida ripartizione delle spese, mantenendo ciascun capitolo distinto dagli altri. Il problema è politico: in questo modo, e solo in questo modo, potremo dire di aver rispettato la volontà di quanti, attraverso il contributo, di fatto determinano e vogliono determinare le scelte politiche dell'iniziativa del partito" (55). Così, nel bilancio del '76 si trovano oltre 70 voci fra entrate e uscite. E a questa meticolosità si aggiunga il voluminoso fascicolo contenente l'elenco completo alfabetico di tutti i sottoscrittori (con relativa somma) per l'anno trascorso, consegnato agli iscritti durante il congresso nazionale.

Il rapporto con gli eletti

La crisi dell'istituto parlamentare e della funzione del parlamentare in sé non è l'oggetto di questa tesi; ma essa è indissolubilmente legata alla contemporanea crisi dei rapporti fra società civile e società politica, all'ingigantimento delle funzioni del `moderno principe', il partito, alla `presa di coscienza' di larghissime masse di cittadini, all'estensione della `politicità' delle decisioni in tutti i settori della vita organizzata.

Studiano questi problemi e sforzandosi di dare ad essi una propria, originale, soluzione, i radicali teorizzarono e cercarono di porre le basi per quel `partito nuovo' di cui si sono illustrate, nelle pagine precedenti, le caratteristiche. Il loro statuto si è proposto di fornire una risposta diversa a due aspetti del `problema Parlamento': i criteri di scelta dei candidati e la posizione dell'eletto rispetto al suo partito.

Coerentemente con l'impostazione federalista, l'art. 2.3.2. dispone che siano i partiti radicali regionali a scegliere e presentare i candidati alla Camera e al Senato. Se ancora non è accolta la proposta di elezioni `primarie' fra gli iscritti per la scelta dei candidati (avanzata già da diverse parti), questa è sottratta all'`impimatur' dei vertici nazionali (direzione nella DC, comitato centrale in PSI e PCI).

Ma l'elemento più interessante è la statuizione sul rapporto eletti-partito. L'art. 5.1. dispone: "Gli eletti, nell'esercizio della loro attività rappresentativa, non sono vincolati da mandati né da alcuna disciplina. La libertà di voto non è limitata da deliberazioni dei gruppi degli eletti, deliberazioni che hanno valore indicativo". Questa norma è in linea con lo spirito di tutto lo statuto che non prevede organi di controllo e di sanzione verso l'iscritto. Con l'art. 5.1. non si fa che estendere il principio al radicale parlamentare. D'altronde, non diversamente dispone la Costituzione quando, al suo art. 67, afferma che "ogni membro del Parlamento rappresenta la Nazione ed esercita le sue funzioni senza vincolo di mandato". Una norma che viene palesemente violata dalla prassi della `disciplina di voto' fatta rigorosamente rispettare dagli altri partiti.

Ma la scelta dei radicali va al di là della posizione del singolo deputato e senatore e punta sul funzionamento dell'intero istituto parlamentare. Se il Parlamento è ridotto a `camera di registrazione', di decisioni prese altrove, se la sua principale e paralizzante attività è l'approvazione di migliaia di `leggine' mediocri e scialacquatrici ciò è dovuto - secondo i radicali - in gran parte all'incontro tra interessi corporativi e ideologia totalizzante.

Restituire al parlamentare indipendenza di giudizio e di voto, sottrarlo al ricatto della non-rielezione, significa stimolarlo ad esercitare le sue funzioni con maggiore responsabilità e creatività, ad essere più `rappresentante del popolo' che `rappresentante di partito'.

E' in base a queste premesse che dopo le elezioni del 20 giugno 1976 gli eletti radicali che ricoprivano incarichi nel partito, Adele Faccio (presidente), Roberto Cicciomessere (vice-segretario), Emma Bonino (giunta), Franco De Cataldo (presidente del CF) li hanno lasciati, e il gruppo parlamentare radicale ha dichiarato la propria autonomia dal partito.

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Note al CAPITOLO IV

1) Gli statuti consultati sono pubblicati in:

- "Il partito dell'autogestione socialista e libertaria: le lotte radicali attraverso i documenti congressuali e lo statuto", op. cit.

- Statuto del Partito comunista italiano - XIII Congresso del PCI, Milano 13/17 marzo 1972

- Statuto del Partito socialista italiano - con le modifiche apportate dal 39· Congresso (Genova 1972)

- Statuto del Partito repubblicano italiano elaborato dal Consiglio Nazionale e approvato con referendum dagli iscritti al Partito sulla base dell'apposita delega del XXX Congresso nazionale, Milano 7/10 novembre 1968

2) Gf. Spadaccia - Relazione al IV congresso del PR - op. cit.

3) Gf. Spadaccia - Introduzione al convegno "La teoria e la pratica ecc." - op. cit.

4) M. Pannella - Intervento al convegno "La teoria e la pratica ecc." - op. cit.

5) `Notizie Radicali' - 5/8/1976 - "Documento post-congressuale della segreteria sullo stato del partito"

6) Mozione del II Congresso del PR - Bologna, maggio 1976, in "Il partito dell'autogestione socialista e libertaria - Le lotte radicali attraverso i documenti congressuali e lo statuto" - Roma 1976 [AGORA' TELEMATICA - ARCHIVIO PR - testo n. 114]

7) A. Panebianco, in M. Teodori e altri, op. cit. pag. 297

8) S. Stanzani, in `Prova Radicale' n. 4, dicembre 1976, op. cit.

9) M. Pannella, intervento al convegno "La teoria e la pratica ecc.", op. cit.

10) cit. in G. Urbani, "Politica e universitari", op. cit., pag. 135

11) `Sinistra Radicale', n. 2 novembre '61 - "Crisi nella direzione", pag. 2 [AGORA' TELEMATICA - ARCHIVIO PR - testo n. 3673]

12) cit. in G. Urbani, op. cit. pag. 127

13) R. Cicciomessere, "Perché iscriversi", in `Notizie Radicali', del 15/10/1970 [AGORA' TELEMATICA - ARCHIVIO PR - testo n. 2725]

14) `Notizie Radicali' del 15/9/1069, "Verso il VI Congresso"

15) Verbali della riunione della direzione nazionale del PR - 1/2/1969 - ciclostilato [AGORA' TELEMATICA - ARCHIVIO PR - testo n. 2789]

16) M. Mellini - relazione al VI congresso del PR, in `Notizie Radicali' del 19/11/1969 [AGORA' TELEMATICA - ARCHIVIO PR - testo n. 1594]

17) `Informazioni per il Congresso' del 9/2/1967 [AGORA' TELEMATICA - ARCHIVIO PR - testi n. 2018 2019]

18) M. Mellini, relazione al VI Congresso - op. cit. [AGORA' TELEMATICA - ARCHIVIO PR - testo n. 1594]

19) v. A. Bardusco, "L'ammissione del cittadino ai partiti, Milano 1967

20) `Informazioni per il Congresso', 9/2/1967

21) S. Pergameno - S. Stanzani, op. cit., pag. 11

22) "Rapporto della III Commissione del III Congresso del PR", a cura di S. Pergameno - ciclostilato

24) S. Pergameno - intervento al convegno "La società laica ecc." op. cit.

25) v. J. Parker, "Labour marches on", Penguin Books 1947 - opp. J. Lees, "Political parties in modern Britain", Routledge Kegan Paul 1972

26) v. statuto dell'UGI - pubblicato in G. Urbani - op. cit. pag. 258

27) v. G. Urgani, op. cit. pag. 35

28) A. Panebianco, in M. Teodori e altri, op. cit. pag. 299

29) Gf. Spadaccia, intervento al convegno "La società laica ecc.", op. cit.

30) R. Michels, "La sociologia del partito politico" op. cit. pag. 175

31) A. Touraine, "Evoluzione dei partiti di massa", in G. Sivini, op. cit., pag. 273

32) L. Del Gatto - C. Oliva, op. cit.

33) `Notizie Radicali' del 5/8/1976, op. cit.

34) v. il dibattito precongressuale pubblicato sul numero 3/4 di `Argomenti Radicali'

35) "Rapporto della III Commissione ecc." op. cit.

36) `Notizie Radicali' del 15/9/1969, op. cit.

37) C. Vallauri (a cura di) "La ricostruzione ecc." op. cit. pag. 43

38) v. art. 11

39) "Rapporto della III Commissione ecc." op. cit.

40) S. Pergameno - S. Stanzani, op. cit. pag. 18

41) `Informazioni per il congresso' del 9/2/1967

42) S. Pergameno - S. Stanzani, op. cit. pag. 20

43) `Notizie Radicali' del 29/12/1968 - "Documento della Direzione del PR".

44) S. Pergameno - S. Stanzani, op. cit. pag. 9

45) ibidem, pag. 7

46) v. "Libro bianco sul Partito Radicale e le organizzazioni della sinistra", Roma 1967 pagg. 35 e segg. [AGORA' TELEMATICA - ARCHIVIO PR - testi n. 1759>1764]

47) Gf. Spadaccia, relazione al IV Congresso del PR, op. cit.

48) M. Mellini, op. cit.

49) L. Radiconcini - Sircana - P. Vigevano - relazione al convegno "La teoria e la pratica ecc." - ciclostilato

50) V. Tapparnone, "No al finanziamento dei partiti", in `La Prova Radicale' n. 1 autunno 1971, pag. 7 [AGORA' TELEMATICA - ARCHIVIO PR - testo n. 2553]

51) L. Radiconcini - Sircana - P. Vigevano, op. cit.

52) F. Stame - "Referendum e antipolitica" "Argomenti Radicali, n. 6 febbraio-marzo 1978 [AGORA' TELEMATICA - ARCHIVIO PR - testo n. 1393]

53) M. Mellini op. cit.

54) ibidem

55) ibidem

 
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