Tesi di laurea in Storia dei partiti e movimenti politicidi Vincenzo Zeno Zancovich
OSSERVAZIONI CONCLUSIVE
SOMMARIO: Nelle "Osservazioni conclusive", l'a. lamenta la scarsezza di studi scientifici e politologici sul partito, nonostante le "provocazioni" di P.P. Pasolini dalle colonne del "Corriere della Sera", ecc. Dopo aver segnalato la ricerca di D. Cofrancesco, l'a. avverte come questa carenza di studi venga falsamente attribuita a certe caratteristiche (di "chiassosità") del partito pannelliano, caratteristiche che non avrebbero invogliato quanti, studiosi e ricercatori, apprezzavano il "perbenismo" dei primi - e sempre lodati - radicali. La giustificazione non regge, perché anche gli studi sul partito di Pannunzio e Rossi sono del tutto carenti, così come carente è la ricerca scientifica, tranne poche eccezioni, sulla problematica radicale postunitaria (e si ricorda , come eccezione, lo studio di Alessandro Galante Garrone). Il vero motivo di questa assenza di studi è il fatto che le "prevalenti subculture cattolica e marxista-socialista" tendono ad "ignorare" fenomeni che sono loro estranei o appaiono anta
gonisti.
(UNIVERSITA' DEGLI STUDI DI ROMA, FACOLTA' DI SCIENZE POLITICHE, tesi di laurea di Vincenzo Zeno Zancovich, RELATORE: Prof. Carlo Vallauri, Anno Accademico 1977-1978)
Se tali sono i "caratteri originali" del Partito Radicale e in questa sede si ritiene di aver portato prova che essi sono né pochi, né irrilevanti, viene da chiedersi come mai essi siano passati inosservati all'esterno del PR.
Risulta infatti evidente dalle note ai capitoli precedenti e dall'appendice bibliografica la pressoché totale assenza di studi scientifici sul Partito Radicale, tanto più se lo si confronta con i lavori storici e sociologici su altri partiti o sui movimenti della `nuova sinistra'.
E' merito di Pier Paolo Pasolini (né storico, né `politologo') avere per primo colto alcuni degli elementi essenziali della `diversità' radicale, indicandoli pubblicamente sulle colonne del `Corriere della Sera', del `Mondo' e di `Tempo' (1). suscitando polemiche intorno ai suoi giudizi e all'oggetto di esso, costringendo altri a prendere posizione.
E' sulla scia della polemica pasoliniana che appaiono i tre saggi di Dino Cofrancesco sulla `libertà radicale', tuttora l'unica analisi sociologica del PR fatta dal suo esterno. Tre anni dopo un libro, soprattutto di cronaca, di Fabio Morabito. In più qualche articolo di giornale, qualche brevissimo commento pubblicato, da un anno a questa parte, su `Argomenti radicali'. E poi nulla.
Per un partito che agisce nella vita politica italiana da 23 anni, influendovi, soprattutto negli ultimi anni, in maniera non marginale, si tratta di una pubblicistica quantitativamente davvero irrisoria. E ciò riguarda non solo i protagonisti attuali delle battaglie radicali, ma ancor più quelli che le condussero tra la fondazione del partito nel 1955 e il 1962. Perché, benché non manchino coloro i quali solitamente contrappongono i `nuovi' radicali ai `vecchi' rilevando la `chiassosità' dei primi contrastante con il `perbenismo' dei secondi, su quella generazione di radicali è stato scritto praticamente nulla, se si esclude un libro, di Paolo Bonetti, incentrato, però sull'esperienza giornalistica del `Mondo'.
La contrapposizione si dimostra pertanto una polemica a fini esclusivamente politici, un contrapporre ciò che si ritiene morto e lontano a quel che si vede vivo e vicino.
Il problema `non - degnità' del Partito Radicale di essere oggetto di studi storici e scientifici non è quindi esclusivamente collegabile alla posizione di `uno contro tutti' sostenuta oggi dal PR, ma, più in generale, riguarda ogni esperienza politica `radicale' svoltasi in Italia. V'è, dunque, un elemento aggiuntivo di continuità non solo all'interno del Partito Radicale del secondo dopoguerra, ma anche fra questo e quei radicali che operarono nel trentennio che va dalla presa di Roma alla crisi istituzionale di fine secolo e ai quali non si potrà certo negare consistenza parlamentare, organizzativa e intellettuale. Se non fosse per l'impegno solitario di due storici, Raffaele Colapietra e Alessandro Galante Garrone (2) (e, in aggiunta, un libro di Giovanni Spadolini), c'è da dubitare che si avrebbe di questo importante movimento altro che un'immagine oleografica. E che dire, poi, del caso di Romolo Murri, di cui si sono scritti volumi interi (ed è giusto che sia così) come fondatore della `Democrazia Cris
tiana', ma quasi nella come `leader' radicale?
Queste osservazioni intendono, perciò, rilevare come gli indirizzi storiografici dominanti tendano ad ignorare fenomeni che esorbitano dalle prevalenti subculture cattolica e marxista-socialista. E' questo il motivo principale che ha impedito che venissero colti all'esterno le novità della proposta radicale di organizzazione politica e che impedisce tuttora che si affermi una teoria e una prassi del partito politico più adeguata ad una moderna democrazia che abbia le sue fondamenta nella partecipazione, nella responsabilità e nel potere decisionale effettivo dei cittadini.
E per uscire dalla crisi della democrazia e a proporre soluzioni efficaci non giovano certo preconcetti ideologici o, peggio ancora, ostracismi storico-politici.
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Note alle CONSIDERAZIONI CONCLUSIVE
1) V. in particolare, "Apriamo un dibattito sul caso Pannella" in "Corriere della sera" del 16/7/1974 / recensione a "Underground o pugno chiuso" di A. Valcarenghi, in "Scritti corsari", Garzanti 1976 / "Intervento al Congresso del Partito Radicale", in "Lettere Luterane", Einaudi, 1976
2) V. in particolare: A. Galante Garrone, "I radicali in Italia 1949-1925", Garzanti 1973 / dello stesso autore: "Felice Cavallotti", UTET 1976 / G. Spadolini: "I radicali nell'Ottocento", La Nuova Italia 1972