di Gf.S.SOMMARIO: Diversi sono i motivi per la non presentazione di liste radicali alle elezioni amministrative parziali del 14 maggio. Il primo è di carattere generale: i radicali hanno atteso vent'anni per entrare in Parlamento, e nel 1976 il loro slogan fu "andiamo in Parlamento per farlo cambiare, non per esserne cambiati". Nelle assemblee elettive bisogna andarci sull'onda di lotte che possano legittimamente far sperare nel cambiamento di equilibri politici. Non esistono scorciatoie elettoralistiche rispetto alla necessità di affrontare con la nonviolenza e con azioni dirette capaci di coinvolgere la gente la lotta contro le diramazioni del potere nelle amministrazioni regionali e nelle città. Nello specifico, queste elezioni rappresentavano un test politico importante, nel quale il Pr non avrebbe avuto i mezzi per concorrere alla pari, con il rischio di consegnare alla gente l'immagine dell'ennesimo partitino di regime, partito di candidati e di consiglieri, partito perdente. L'unica associazione a non raccogl
iere queste motivazioni è stata quella di Pavia, che ha presentato liste, perdendo lo 0.2% rispetto alle politiche e non ottenendo nessun consigliere. Nel Pr, partito libertario, nessun organo nazionale ha poteri in tema di elezioni amministrative; ma il libertarismo esige un alto senso della responsabilità collettiva, e ogni associazione o partito regionale deve sapere che nella sua autonomia può difendere e rafforzare, ovvero disperdere, una speranza collettiva, cioè di tutti i radicali.
(NOTIZIE RADICALI N. 119, 26 maggio 1978)
Le liste radicali e il simbolo della "rosa nel pugno" sono stati assenti dalle elezioni parziali del 14 maggio.
Il Consiglio federativo ha infatti invitato tutte le associazioni e i partiti regionali a non presentare liste radicali.
Ci sono diversi motivi che ci hanno suggerito questa scelta. Uno di carattere generale: i radicali hanno atteso venti anni per presentarsi alle elezioni politiche e lo hanno fatto dopo una serie di lotte extraparlamentari condotte fuori delle istituzioni e conclusesi vittoriosamente. Prima del 20 giugno 1976 il nostro slogan fu: "andiamo in Parlamento per cambiarlo, non per farci cambiare". Non possiamo certo affermare che i nostri deputati sono riusciti, in quattro, a cambiare il Parlamento, ma nessuno potrebbe affermare che se ne sono fatti cambiare e che hanno fatto cambiare il partito. Lo stesso metodo, la stessa impostazione vale per le altre assemblee elettive: bisogna andarci dopo lotte extraparlamentari che possano far sperare legittimamente in un cambiamento delle situazioni regionali e locali, in una profonda modificazione degli equilibri politici e dei programmi. Non esistono scorciatoie elettoralistiche rispetto a questa necessità di affrontare con la non-violenza e con azioni dirette, capaci di
coinvolgere la gente intorno ad obiettivi di una politica democratica alternativa, la lotta contro le molte diramazioni del potere nelle amministrazioni regionali e nelle città.
Esistono poi motivi specifici alla situazione politica attuale che rendono queste elezioni amministrative parziali un terreno sfavorevole per il Partito Radicale. Erano le prime elezioni che si svolgevano dopo il 20 giugno, e rappresentavano quindi per tutti i partiti un test politico importante. Ognuno dei partiti del regime vi si è gettato realizzando una vera e propria caccia all'ultimo voto. In questa bagarre non avevamo né mezzi né la possibilità per imporre ed impedire che fossero annullate le nostre caratteristiche di diversità e di radicale alternativa. L'immagine che avremmo consegnato agli elettori durante la campagna e alla opinione pubblica dopo il voto sarebbe stata quella di un altro partitino: l'ennesimo partito del regime, un partito di candidati e di consiglieri comunali; e per di più l'immagine di un partito perdente. Anche una vittoria locale si sarebbe trasformata, nei dati complessivi forniti dal ministero degli interni, in una sconfitta. E ciò che è accaduto per le liste di estrema sini
stra che pure hanno ottenuto dove si sono presentati lusinghieri risultati ma che, nei dati complessivi, hanno impresso nell'opinione pubblica l'idea di un regresso generale. Le successive polemiche e precisazioni, le analisi del voto, parlano per una ristretta minoranza di italiani. Per la grande maggioranza ciò che resta è l'impressione di un regresso e di una sconfitta.
L'associazione di Pavia è stata l'unica in tutta l'Italia che non ha raccolto l'invito del consiglio federativo nazionale e di quello regionale del Partito radicale della Lombardia a non presentare liste: ha così raccolto l'1,7 per cento dei voti, senza ottenere neppure un consigliere, e perdendo lo 0,2 per cento rispetto al 20 giugno 1976. Il fatto di rappresentare una eccezione isolata ha fortunatamente limitato i danni.
Siamo un partito libertario. Nessun organo nazionale ha poteri in tema di elezioni amministrative. Molto limitati sono anche i poteri dei partiti regionali. Ma il libertarismo non esclude anzi esige un alto senso di responsabilità collettiva. Ci sono dei momenti nei quali ogni radicale, ogni associazione, ogni partito regionale e ogni movimento, deve sapere che, nella sua autonomia, gestisce e difende, può rafforzare o disperdere, un patrimonio e una speranza collettiva, cioè di tutti i radicali.