Regolamenti: liberali quando non servonodi Roberto Cicciomessere
SOMMARIO: Il regolamento "liberale" della Camera che andava bene finchè l'opposizione era stata solo formale e di facciata, diviene, nelle mani di una rigorosa sebbene piccola opposizione, uno strumento che può dare molte seccature ad una maggioranza decisa a muoversi fuori dalle sedi istituzionali e delle norme costituzionali. Se ne sono avuti numerosi esempi nella discussione della legge Reale-bis e del decreto antiterrorismo. Le violazioni regolamentari di Ingrao, presidente non della Camera ma della maggioranza, teso a difendere quanto il Pci aveva ottenuto con gli accordi governativi, e cioè l'abrogazione dei referendum radicali. Negata la pubblicità dei lavori delle Commissioni. I radicali esclusi violando il regolamento dai lavori delle Commissioni e costretti all'ostruzionismo: Pannella si fa espellere. Ulteriore violazione del regolamento: si vota contemporaneamente in Aula, e in Commissione in sede legislativa. Mentre Moro è ancora nelle mani delle Br, il Parlamento è espropriato dei suoi diritti e
doveri di controllo e indirizzo dell'esecutivo. Da quanto sta accadendo in Parlamento, è chiaro che la richiesta di attuazione della Costituzione e dei regolamenti, la difesa dello Stato di diritto, sono oggi momenti di lotta rivoluzionaria contro chi, per affermare la propria logica illiberale, fa strage di leggi, di Costituzione, di regolamenti; ed è tragicamente dimostrato che a queste segue sempre la strage di vite umane, l'indifferenza e la sfiducia dei cittadini nell'agibilità democratica degli strumenti istituzionali.
(NOTIZIE RADICALI N. 119, 26 maggio 1978)
Il regolamento "liberale" della Camera, che andava bene, finché, per questi trent'anni, l'opposizione era stata solo formale e di facciata, diviene ora, nelle mani di una rigorosa sebbene piccola opposizione, un'arma capace di provocare seccature ad una maggioranza decisa a muoversi al di fuori delle sedi istituzionali e di ogni norma costituzionale.
In quest'ultimo mese, la maggioranza guidata dal PCI, ha usato tante violenze contro la opposizione di quattro deputati quante non sono state neppure tentate in trent'anni dalla Democrazia Cristiana contro la opposizione comunista, rivelatasi così chiaramente puramente formale.
La vicenda della legge Reale-bis ha visto il Presidente della Camera comportarsi come presidente della maggioranza, teso a difendere quanto il PCI aveva ottenuto con gli accordi governativi, e cioè l'abrogazione dei referendum radicali, anche a costo di calpestare le norme più elementari e fondamentali del regolamento.
L'assegnazione della legge Reale-bis alla Commissione Giustizia in sede legislativa è stata la prima mossa di Ingrao, in seguito al fallimento dei tentativi di "programmazione" dell'opposizione radicale, proponendoci contropartite in cambio della rinuncia all'ostruzionismo. Il regolamento e la Costituzione consentono infatti l'assegnazione in sede legislativa delle leggi che riguardino "questioni che non hanno speciale rilevanza di ordine generale" e che "rivestano particolare urgenza". Certo è indubbia la rilevanza di questo provvedimento, come è indubbia la sua gravità: ma è evidente che la sua urgenza non è determinata da necessità oggettive, ma da quelle soggettive di una maggioranza che vuole evitare il referendum.
Inutilmente abbiamo chiesto che la legge Reale-bis fosse almeno assegnata congiuntamente alle commissioni Giustizia e Interni, come del resto era accaduto nel '75: anche in questo caso il Presidente ha fatto valere le sue prerogative per impedire anche solo una possibilità di allungamento dei tempi del dibattito conseguente ad una discussione congiunta di due commissioni.
Ma questa seconda violazione regolamentare, apparentemente inadeguata ai fini della speditezza dei lavori, ne preparava una ancora più consistente: alcuni giorni dopo, infatti, Ingrao assegnava alla Commissione Interni in esclusiva il cosiddetto decreto-legge contro il terrorismo, nonostante il fatto che questo provvedimento coinvolga modifiche del Codice di procedura penale, come gli aumenti di pena (cioè materie di stretta competenza della Commissione Giustizia). In nome delle ragioni di maggioranza ancora una volta Ingrao si prestava a violazioni che perfino molti democristiani e socialisti criticavano apertamente in aula, votando a favore della nostra richiesta di assegnazione del decreto alle commissioni congiunte Interni e Giustizia.
Sistemato quindi il problema della contemporaneità delle due discussioni in commissione, si poneva ora quello di stroncare l'opposizione radicale sulla Reale-bis. Per prima cosa era quindi necessario impedire la pubblicità dei lavori di commissione affinché i cittadini, ed in particolare gli elettori comunisti e socialisti fossero tenuti all'oscuro dei contenuti della legge truffa e dei motivi della nostra opposizione.
Ma l'art. 65 del regolamento è chiaro in proposito: prevede infatti il diritto della stampa e del pubblico di seguire lo svolgimento delle sedute in separati locali attraverso impianti audiovisivi a circuito chiuso.
Nonostante le migliaia di richieste di giornalisti e cittadini per la pubblicazione dei lavori, Ingrao non consente la trasmissione delle sedute attraverso gli impianti audiovisivi a disposizione della Camera, violando così ancora una volta le disposizioni del regolamento.
Il secondo ostacolo per la maggioranza era rappresentato dalla pattuglia radicale, intenzionata a partecipare a tutti i lavori della Commissione Giustizia, così come previsto dall'art. 38 del regolamento che sancisce il diritto di ogni deputato a "partecipare, senza diritto di voto, alle sedute di commissioni diverse da quella alla quale appartiene, previa comunicazione al Presidente della Commissione stessa da parte del gruppo di appartenenza".
Per tutta risposta, Ingrao decreta con apposita circolare che i deputati non appartenenti alla Commissione Giustizia potevano assistere, nel senso di ascoltare e guardare, ma non parlare, nemmeno per illustrare i propri emendamenti. Su questa ennesima violazione regolarmente Pannella si fa espellere dalla Commissione, per sottolineare il nostro preciso dovere di disobbedire alle violenze patenti della Presidenza.
Mellini, membro effettivo della Commissione, viene quindi costretto a parlare giorno e notte per sedute ininterrotte.
A questo punto rimaneva il problema dei possibili "disturbi" che la discussione in aula sulla riforma dell'Inquirente (si doveva discutere in aula perché evidentemente tutte le altre sedi erano occupate dalle altre leggi truffa) poteva provocare alla Commissione. Ancora una volta Ingrao supera il problema con disinvoltura, autorizzando la contemporaneità delle due discussioni. Rimaneva però, anche in questo modo, un'ultima difficoltà: è ovvio, oltre che consolidato dalla prassi di trent'anni, che non è possibile votare due leggi contemporaneamente in aula e in commissione. In questo caso, infatti, il deputato si troverebbe privato di un solo diritto-dovere fondamentale, quello di partecipare non solamente al processo formativo di una decisione, ma anche al momento del voto su una legge. In questo caso, dunque, sarebbe costretto a scegliere tra il voto in aula e quello in commissione.
Incredibile ma vero, ancora una volta Ingrao ritiene che non ci sia niente di male se le votazioni in aula e in commissione avvengono contemporaneamente: decide dunque di non sospendere i lavori della commissione giustizia, neanche nel caso di votazioni in aula. Non servono a farlo ritornare sulle sue decisioni le proteste dei deputati radicali, l'esibizione di circolari presidenziali degli anni precedenti in cui si dichiarava la nullità dei lavori di commissioni in sede legislativa convocate contemporaneamente ai lavori legislativi d'aula, la denuncia della condizione a cui viene costretto non tanto il deputato d'opposizione, ma il deputato di maggioranza che deve votare come una pecora provvedimenti diversi senza neppure conoscere l'oggetto della votazione e aver ascoltato i pareri diversi dei suoi colleghi, costretto ad obbedire solamente alle indicazioni del capogruppo.
Tutto ciò avviene mentre Moro è nelle mani delle Brigate Rosse: ancora, il Parlamento viene espropriato dei suoi diritti e doveri di indirizzo e di controllo dell'esecutivo. Alle richieste quotidiane dei deputati radicali di aprire alla Camera il dibattito necessario per esplorare tutte le strade che potessero impedire l'assassinio del Presidente della Democrazia Cristiana, la maggioranza opponeva la forza del numero, la violenza anticostituzionale, l'esproprio del Parlamento. E naturalmente Ingrao, cultore della centralità del Parlamento, rimaneva impassibile.
Da quanto è accaduto e sta accadendo oggi in Parlamento è chiaro che la richiesta di attuazione della Costituzione e dei regolamenti, la difesa dello Stato di diritto, sono oggi momenti di lotta rivoluzionaria contro chi, per affermare la propria logica illiberale e anticostituzionale, continua a far strage di leggi, costituzione, regolamenti, a cui, come è tragicamente dimostrato dagli ultimi avvenimenti, segue sempre la strage di vite umane, l'indifferenza e la sfiducia dei cittadini nell'agibilità democratica degli strumenti istituzionali.
Il fatto che cinque deputati siano riusciti a costringere la maggioranza a chiedere, per la prima volta in assoluto dopo trent'anni, un voto di fiducia sul decreto antiterrorismo per stroncare la loro opposizione, costituisce certamente una grossa e inaspettata vittoria.
Ma questo non è evidentemente sufficiente: solo la partecipazione dei cittadini può consentire anche a minime opposizioni parlamentari di esprimere con forza la volontà di maggioranze esistenti nel paese che, oggi, non trovano certamente rappresentanza e sbocco politico diretto nei partiti storici della sinistra.