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Pannella Marco - 6 giugno 1978
Povertà come forza
Intervista a Marco Pannella

SOMMARIO: Alla vigilia del voto sui referendum indetti dal Partito radicale (abrogazione del finanziamento pubblico dei partiti e legge Reale), Marco Pannella indica le ragioni di questa iniziativa: "un partito vive e cresce solo se vive e cresce il consenso sia politico che finanziario degli iscritti. Se col finanziamento pubblico il vertice trova che può vivere lo stesso, il consenso non gli è più necessario e può esistere anche contro di esso".

(O.P., 6 giugno 1978)

Parlando con Pannella, l'impressione costante è che si tratti di persona completamente diversa da quella che emerge dagli articoli dei giornali. Si arriva a dubitare che i giornalisti lo abbiano mai visto, che gli abbiano parlato o ne abbiano ascoltato attentamente le parole. Niente irruenza, nessun fuoco d'artificio verbale, invettive zero. Forse il Pannella di oggi è mutato. Parla in toni pacati, rifiuta sollecitazioni disgreganti, esprime giudizi più che miti sugli avversari dei radicali. E' come se il politico irruente di un tempo, patrono di ogni causa rifiutata da altri, abbia subìto una metamorfosi globale: da tribuno di gruppuscoli particolari a portavoce di una minoranza, più vasta di quel che appare; da suscitatore di illimitate fantasie a gestore realistico di prossime realtà. Da uomo politico a uomo di Stato, al cui potere morale corrisponde sempre più un potere effettivo.

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"D.: A dieci giorni dal referendum, il Partito radicale come sente il polso del pubblico? Come voterà la gente sulla legge del finanziamento ai partiti?"

R.: Due anni fa, la Demoscopea fece un sondaggio da cui risultò che il 91% degli interpellati era contrario. Ma oggi non si riesce più a capire come la gente pensi. Dubito perfino che abbia capito a tutt'oggi che si tratta della stessa legge. Il blocco dell'informazione imposto dalle forze politiche ai nostri danni non ci permette di sentire nessun poso. Quello che sentiamo è soltanto questa rapina della verità.

"D.: Il popolo probabilmente ha capito questo e l'11 giugno, votando, potrebbe avere reazioni inattese."

R.: Noi lottiamo in questo senso, altrimenti perché lotteremmo? Per sconfiggere questo metodo antidemocratico e per vincere su ogni punto. La Rai-tv non ha voluto fare nemmeno un contraddittorio, né un dibattito o una conferenza stampa. Ci sarebbe ancora tempo per fare in tv due contraddittori sul finanziamento pubblico e il referendum sarebbe vinto.

"D.: I giornali come vi trattano?"

R.: Non c'è un solo quotidiano che mostri verso di noi un atteggiamento d'imparzialità e di rispetto, non dico d'amicizia. Tanto meno, uno su cui possiamo avere una tribuna libera e aperta. La repubblica, che passa per socialista, radicale ecc., è quello che ci lincia continuamente.

"D.: Qual è il giudizio radicale sul comportamento delle forze politiche maggiori?"

R.: Per definirli tutti allo stesso modo occorre un minimo di violenza, che potrebbe anche esser lecita, visto come si comportano tutti. Tendono a non far sapere certe cose: una è che i soldi rifiutati da un partito vengono ridistribuiti fra gli altri partiti, non restano cioè nelle casse dello Stato. Per sottrarli a questa spartizione, noi li abbiamo presi ma rifiutiamo di usarli. I comunisti sono pieni di rabbia per questo e ora si sono messi a dire che si ha il diritto d'essere contro il finanziamento pubblico soltanto se non lo si è accettato.

"D.: Perché i radicali sono contrari al finanziamento?"

R.: Perché seguiamo il principio democratico. La democrazia è uguaglianza dei punti di partenza e non di arrivo. Il finanziamento dato ai partiti in base alla loro grossezza, anziché alla loro grandezza, cioè soltanto in proporzione dei voti e dei seggi, crea un'ulteriore discriminazione. E' lo stesso principio che dà a Pajetta un'ora in tv e dieci minuti a Pannella. Premia i grossi e penalizza i piccoli. Noi, lasciando inutilizzati i soldi del finanziamento, rifiutiamo di subire un'ulteriore penalizzazione. Il nostro rigorismo del rifiuto ci ha costretti a sospendere da mesi ogni attività di partito. Abbiamo accumulato debiti per 400/500 milioni, esattamente quanti ne sono usciti dalle tasche dei contribuenti radicali per pagare i tavoli, le schede e i cancellieri durante la raccolta delle firme per i referendum. Abbiamo pagato noi un servizio reso a tutti i cittadini. Ma il nostro è stato l'investimento di chi crede che la politica abbia i tempi lunghi. Censura e disinformazione possono ammazzarci giorno d

opo giorno, ma il tempo alla fine può essere galantuomo.

"D.: Perché i comunisti ce l'hanno con voi?"

R.: Fino al 1974 il pci era contrarissimo a questo tipo di finanziamento. Dovrebbe esserlo anche oggi, se fosse una forza politica interessata a mettere i suoi cunei nella società. Evidentemente non lo è, e lascia che i cunei nella società sia lo Stato a metterli al suo posto.

"D.: E' giusto che cittadini apartitici siano obbligati a finanziare i partiti?"

R.: E' ingiusto e pericoloso. In Germania lo stato preleva dai membri praticanti e volontari delle chiese le quote contributive che passa poi alle chiese. Si presta cioè a far da esattore. In Italia lo stato dovrebbe far lo stesso per i partiti ma limitatamente agli iscritti o ai simpatizzanti che accettino di contribuire spontaneamente. Il pericolo del finanziamento pubblico è gravissimo, perché rende il partito indipendente anche da chi vi milita e paga la sua quota. Un partito vive e cresce solo se vive e cresce il consenso sia politico che finanziario degli iscritti. Se col finanziamento pubblico il vertice trova che può vivere lo stesso, il consenso non gli è più necessario e può esistere anche contro di esso. Il Pci vuole poter arrivare a vivere contro il consenso dei comunisti.

"D.: Non ci sono soltanto i comunisti, ma anche altri partiti."

R.: Sono tempi di assassinio. Siamo partiti con nove referendum e siamo arrivati con due. Gli altri sette sono diventati bottino di regime e della sua violenza di ogni tipo e natura. La Corte Costituzionale per eliminare quattro si è autoproclamata "Assemblea Costituente" e ha rifatto la Costituzione anziché interpretarla e difenderla. Stampa e Rai-tv hanno presentato i referendum radicali come lacerazioni e operazioni anticostituzionali. Ma i comitati dei referendum, pur essendo poteri dello Stato, non hanno mai avuto diritto di replica e di rettifica giudiziaria. Ma si accusa di essere enfatico, ma se uno rapina 50 milioni a una banca, i 50 milioni si chiamano bottino. I partiti hanno rapinato il popolo di sette referendum. Ma anche così, noi possiamo dire in realtà che gli unici legislatori siamo noi, quattro deputati radicali, perché abbiamo costretto il parlamento a fare leggi, anche se cattive, autentiche mine vaganti contro lo Stato: le leggi sull'inquirente, sull'aborto e sui manicomi. Negli ultimi m

esi i partiti non hanno fatto niente altro, solo ostruzionismo. Quindi i veri legislatori sono i quattro radicali "ostruzionisti" che hanno fatto l'ostruzionismo contro l'ostruzionismo del parlamento, messo in mora per poter far fuori non le Brigate Rosse, ma il nemico numero uno che sarà il popolo, i referendum e noi. Quindi abbiamo costretto il parlamento a votare tre leggi. E ne avrebbero votata una quarta, la Reale-bis, ma a questo punto hanno capito la lezione.

"D.: Quale lezione?"

R.: Io credo che d'ora in poi, nel parlamento italiano, fino a quando uno solo di noi quattro ci sarà, nessuna maggioranza, nemmeno del 98%, oserà più fare quello che gli pare e piace. Non ci proverà più. Quanto è successo è un dato pedagogico. Erano venuti al completo, perché qualcuno aveva alzato il telefono e ordinato che in tanti giorni si facessero tante leggi. Noi abbiamo risposto che non ci sono diritti della maggioranza o della minoranza ma quelli del parlamentare che costituisce il parlamento. E abbiamo detto che non eravamo d'accordo con questa offesa al parlamento che nessuno, alzando un telefono, può trattare come una "squillo". Gli abbiamo fatto capire che nel parlamento, finché ci sarà un solo deputato radicale, questo non lo potranno fare mai più.

"D.: I missini vi hanno dato una mano."

R.: Per motivi loro, opposti ai nostri. Ma era logico. Dal momento in cui Berlinguer e il Pci passano armi e bagagli a difendere leggi fasciste, lo spazio fascista si congestiona e quindi un opportunista come Almirante non può non cercarsi un altro spazio, trovandolo dove si è creato un vuoto, il vuoto antifascista e di sinistra creato dal Pci. In tal modo Almirante si è trovato a sinistra del partito comunista.

"D.: C'è stato il voto di fiducia."

R.: I governi chiedono tradizionalmente la fiducia quando temono che si stia creando una maggioranza contraria che potrebbe metterlo in minoranza se il voto avvenisse a scrutinio segreto. Il governo Andreotti ha chiesto la fiducia contro quattro poveri deputati radicali soltanto, lontanissimi dall'essere maggioranza. Evidentemente era un'altra la maggioranza che temeva, quella che avrebbe potuto emergere dallo scrutinio segreto.

"D.: I comunisti hanno fato un manifesto con Pannella e Almirante che imbavagliano il parlamento."

R.: Come la violenza, anche la protervia è di chi ha paura. Il vertice comunista ha paura perché ha scoperto che in questi vent'anni i radicali sono rimasti sempre l'unica forza unitaria delle sinistre. Tutte le nostre battaglie sono state battaglie di aggregazione vincenti per la sinistra; sanno che la maggior parte della gente di sinistra ci considera dei compagni; il 90% dei comunisti sa che noi diamo molto più corpo di quanto non faccia il loro vertice alle speranze e al loro modo di vivere. Abbiamo dimostrato che oltre a essere di buona fede siamo anche capaci. Non abbiamo mai promesso la luna ma fatto sempre il passo che la nostra gamba ci consentiva di fare. Per questo il vertice del Pci ha paura del piccolo nucleo radicale.

"D.: Come vede l'esito del referendum?"

R.: Abbiamo già vinto in un certo senso, costringendo il 90% della classe politica ostile al referendum ad arrivare a questa scadenza. In ogni caso non ci potremo considerare degli sconfitti, perché noi neghiamo la democraticità di questa prova. Il bavaglio significa questo. Quale che sia il risultato, i giochi sono truccati. Se mi siedo al tavolo di un baro e lo so e poi perdo, divento comunque suo complice e connivente. Se non otterremo un cambiamento nei tempi radiotv, contesteremo la democraticità del referendum dei e risultati.

"D.: Molti voteranno "sì" per dispetto agli altri partiti."

R.: Chi voterà contro il finanziamento ai partiti non ha bisogno del valore aggiunto di dire no ai partiti. Una legge inutile è sempre dannosa perché è come ti drogasse, dandoti l'impressione di avere uno strumento che invece non hai. Certo si può votare contro per disperazione o per nausea, ma è assurdo farlo quando c'è un'alternativa diversa da scegliere, ed essa viene sottratta alla conoscenza di chi deve scegliere. Non ci sarebbe la ferocia della censura che c'è sull'informazione radicale, se le forze politiche non temessero che le parole radicali, conosciute dalla gente, potrebbero creare un casino. Per questo hanno fatto bottino e strage di tutto. Se pensassero che i radicali non fossero all'unisono col popolo, ci lascerebbero parlare tranquillamente.

"D.: Che dire alla gente che andrà a votare?"

R.: Questo: uccidere nel popolo e nei giovani la fiducia e la speranza nel gioco democratico è più grave che ammazzare Moro, perché è uccidere la speranza nel futuro di intere generazioni.

"D.: Quali forze politiche hanno fatto questo?"

R.: Tutte, non per cattiveria, ma perché sono forse della doppia verità. Credono che c'è una verità per gli eletti e una per il popolo; inventano per se stessi il compito di proteggere il popolo dal demone del falso sapere, cioè dal demone della verità che può accecarlo o fuorviarlo. Per ragioni di stato di chiesa e di partito mescolano verità e menzogna a uso dei "buoni selvaggi" che siamo no, affinché non veniamo sedotti dalle verità, turbati dalle evidenze e attratti dalle speranze eccessive, cioè dal desiderio di poter trovare a questo mondo un po' più di felicità.

"D.: In quale misura oggi il partito radicale continua a identificarsi con le sinistre?"

R.: L'unica differenza fra noi e il vertice comunista è che noi crediamo sempre di più alle tradizioni culturali della sinistra socialista, umanistica, laica e antigiacobina, mentre loro ci credono sempre di meno. Noi apparteniamo a quella corrente socialista, liberale e anche comunisto-utupistica la quale sa che un uovo non può prendere il potere ma può essere preso dal potere. Noi pensiamo che l'uomo quando impara a dire "sì" non diventa uomo ma cessa di esserlo. Per diventare un'altra cosa.

 
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