di Paolo VigevanoSOMMARIO: Dal febbraio del 1975, facendo parte di una tesoreria collegiale con altri compagni, e poi a partire dal Congresso di Firenze nel novembre dello stesso anno, Paolo Vigevano è responsabile dell'autofinanziamento del Partito. Le dimissioni sono la presa d'atto di un'inadempienza rispetto agli obiettivi delle campagne di autofinanziamento di volta in volta decisi da Congressi o Consigli federativi; successi magari parziali, e quindi, in termini finanziari, sconfitte. Invitato dal Consiglio federativo a rinunciare alle dimissioni, Vigevano sente che questo comporterebbe un avallo alla deresponsabilizzazione di tutto il Partito: al contrario, solo l'assunzione diretta di responsabilità sul tema dell'auto-finanziamento, da parte dei partiti regionali, del Cf e dei singoli compagni può ridurre il distacco tra le esigenze nazionali del partito, ivi compreso il ripianamento del deficit, da un lato, e le esigenze dei partiti regionali dall'altro. Segue alla lettera di Vigevano, una risposta e un commento di
Gianfranco Spadaccia: ripercorrendo le vicende radicali a partire dal 1975, si evidenzia che in tre anni il Partito radicale, che non aveva mai superato i cento milioni di bilancio, è giunto a oltre settecento milioni, senza contraddire la scelta dell'autofinanziamento e sempre mantenendo le spese ordinarie e di gestione in una proporzione minima rispetto alle spese di investimento e iniziativa politica. I problemi che Paolo Vigevano pone sono problemi reali e politici, che non è possibile superare senza l'impegno di tutti.
(NOTIZIE RADICALI N. 120, 28 luglio 1978)
Compagne e compagni,
ho annunciato nell'ultimo consiglio federativo la mia intenzione di rassegnare le dimissioni dall'incarico di tesoriere con tre mesi di anticipo sulla scadenza congressuale, mi sembra doveroso darne una spiegazione la più ampia possibile.
Dal febbraio del 1975 prima come membro della tesoreria collegiale di Angiolo Bandinelli, e di Valter Baldassarri, poi, dal congresso di Firenze, con la pienezza di responsabilità che prevede lo statuto, mi è stato affidato dal congresso l'incarico di tesoriere di partito. Sono stati tre anni, durante i quali, le lotte affrontate: dal referendum sull'aborto, alla campagna elettorale del '76, la campagna per la raccolta delle firme per gli otto referendum, la campagna referendaria di quest'anno hanno portato anche l'attività della tesoreria a dimensioni, e ampiezza di compiti maggiori che nel passato.
Durante questo arco di tempo, ma soprattutto negli ultimi due anni caratteristica costante della politica finanziaria del partito, degli obiettivi che insieme sceglievamo, della campagna di autofinanziamento che insieme abbiamo deciso nei congressi e nei consigli federativi è stata però quella dell'inadempienza degli impegni assunti, di una serie magari di successi parziali, ma un continuo di obiettivi non raggiunti, di impegni non assolti. E questo in termini finanziari vuol dire sconfitte.
Ho provato in questi giorni ricostruire la serie degli impegni assunti negli ultimi due anni dal partito in questo senso. Febbraio 1977, campagna di raccolta firme per i referendum. Viene lanciata una sottoscrizione con l'obiettivo 70 milioni da raccogliere in un mese, per l'avvio della campagna di raccolta delle firme. I milioni raccolti saranno 40 ma nell'arco di oltre due mesi. Maggio 77, Roma Congresso straordinario. La Mozione congressuale fissa un'obiettivo di 300 milioni da raccogliere entro la fine di giugno. Vengono raccolti entro quel termine 150 milioni. Luglio 77: Il consiglio federativo per ripianare il deficit prodotto dalla campagna dei referendum che è di circa 220 milioni stabilisce l'autotassazione degli iscritti. Vengono raccolti poco più di 20 milioni; il 10 per cento dell'obiettivo fissato. Bologna 77, Congresso ordinario del partito: la mozione stabilisce che il deficit di oltre 340 milioni venga ripianato attraverso l'autotassazione degli iscritti. Dopo due mesi vengono raccolti 120 m
ilioni, ma nei mesi successivi la sottoscrizione si arresta e in circa sei mesi arrivano poco più di venti milioni. Da gennaio ad oggi non so più quante volte, tra consigli federativi, conferenze organizzative, si sia deciso di rilanciare la sottoscrizione senza poi dare seguito agli impegni assunti.
Di fronte a situazioni di questo tipo, fin dall'anno scorso quando era evidente l'impossibilità di attuare la mozione del congresso straordinario avevo cercato di dimettermi, ma ero stato invitato dal consiglio federativo che si era assunto la responsabilità di deliberare un aumento del prestito, a ritornare sulla decisione.
Oggi però non me la sento di avvallare con la mia presenza una situazione di deresponsabilizzazione del partito, di paralisi dell'attività finanziaria, di inadempimento degli impegni assunti. Solo attraverso una assunzione diretta di responsabilità da parte dei partiti regionali, da parte del consiglio federativo, può essere ridotto il distacco tra le esigenze nazionali del partito da un lato, e quindi il ripianamento del deficit, e la attività finanziaria dei partiti regionali dall'altro.
Su questa base mi impegno a garantire da qui al congresso ordinario di Novembre l'adempimento dei soli compiti di bilancio, dell'attività centrale. Per il resto chiedo che si cerchino nuovi strumenti, nuove assunzioni di responsabilità individuali. Mi impegno sin da ora a garantire ai compagni che assumeranno questo incarico il minimo della collaborazione.
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"Quando Paolo Vigevano, parlando del periodo in cui ha assolto le responsabilità di tesoriere nazionale, dice che si è trovato in questo campo ad affrontare problemi "maggiori che nel passato" usa in realtà una espressione modesta che potrebbe apparire, a chi non lo conosce, addirittura un euforismo. Paolo assunse questo incarico nel giugno del 1975, sostituendo Baldassarri che era passato a dirigere l'agenzia Notizie Radicali, all'interno formalmente di una tesoreria collegiale (in realtà come prima Baldassarri, fu il vero e unico tesoriere del partito). Era l'anno del referendum dell'aborto. L'anno successivo fu quello delle elezioni e del raggiungimento del quorum (e affrontammo le elezioni, con una spesa di oltre 200 milioni, senza una lira in cassa, sulla fiducia e sul credito dei fornitori). Il '77 è stato l'anno degli otto referendum, e i problemi sono troppo vicini perché debbano essere ricordati. In questi tre anni, un partito che non aveva mai superato i cento milioni di bilancio, è passato ad aver
e bilanci di centinaia di milioni (oltre settecento lo scorso anno), senza mai contraddire la scelta statutaria dell'autofinanziamento e mantenendo le spese ordinarie e di gestione in una proporzione nettamente minoritaria (per non dire minima) rispetto alle spese di investimento e di iniziativa politica, mantenendo quindi all'organizzazione del partito quelle caratteristiche di autogestione libertaria e militante che ha sempre avuto.
Non c'era bisogno di dire ai compagni quali capacità manageriali, quale impegno politico e morale Paolo ha messo al servizio del partito. I compagni lo sanno, e ne sono testimonianze sufficiente i bilanci che ha consegnato ai congressi annuali: non credo che nessuna organizzazione pubblica o privata in Italia, abbia bilanci altrettanto chiari, leggibili, e tecnicamente perfetti.
I problemi che Paolo pone con le sue dimissioni sono problemi reali: ogni scelta politica, quando si trattava di affrontare gli impegni congressuali, ricorrendo a una politica debitoria, è stata una scelta collettiva del partito. Ma poi le responsabilità gravavano su di lui per tacere dei problemi aggiuntivi rappresentati dal finanziamento pubblico. Le sue stesse capacità e il suo stesso impegno erano un elemento di fiducia collettiva che induceva tutti noi alla delega.
E tuttavia Paolo sa bene che il deficit che è stato uno dei maggiori problemi del partito nell'ultimo anno e mezzo è esso stesso l'indice di quella sproporzione fra forze e impegni che il partito si è trovato ad affrontare. Non lo dico per giustificare a posteriori e mettere la sordina su questi problemi. Ma, temo, nessun volontarismo era in grado di risolverli. Senza deleghe ed errori avremmo solo potuto attenuarli.
Geppi Rippa assume quindi il compito non facile, del quale dobbiamo essergli grati, come sanno i compagni che hanno partecipato al consiglio federativo che ha discusso le dimissioni di Paolo, e come gli altri compagni possono immaginare, essendo questo un partito che dà incarichi e non cariche, oneri e non onori, in cui le responsabilità spingono tutti noi più a ritirarsi e a fuggire che a farsi avanti e ad assumersele. Credo che sia stato saggio dare al piano di finanziamento del congresso e al tesseramento una impostazione realistica, basata sulle effettive potenzialità di associazioni e partiti (nell'ipotesi di un ripianamento triennale del deficit). Proprio per questo rispettare e attuarlo è per tutti noi un impegno importante, un indice veritiero dello stato di salute del partito che non consente alibi."
Gianfranco Spadaccia