di Massimo TeodoriSOMMARIO: La svolta del PSI riguarda battaglie care al PR. E' un'azione contro la mezzadria DC-PCI in cui il PSI ha svolto un'opera di mobilitazione. Sono molte le contraddizioni del PSI (es. i diritti civili). Il PSI dovrebbe diventare partito d'opposizione. Il PR deve rimanere polo autonomo. I socialisti devono fare il salto verso le istanze umanistiche e libertarie della società.
(ARGOMENTI RADICALI, BIMESTRALE POLITICO PER L'ALTERNATIVA, Giugno-Settembre 1978, n. 8-9)
1. - Chi può negare che il fuoco d'artificio craxiano di mezza estate abbia costituito il fatto nuovo nella politica italiana? E che, pur se a colpi di citazioni, si è rianimata una scena politica impantanata tra i "quadri" e gli "equilibri"? E' vero quel che ci confidava un intellettuale che ha avuto una parte non secondaria nelle polemiche socialiste: che solo in una situazione di astrattezza politico-culturale come quella italiana alcune frasi di Proudhon possono suscitare un tale scompiglio. Ma è altresì vero che la polemica socialdemocrazia/leninismo risulta pregnante non già al fine di stabilire se Carlo Rosselli sia più importante di Carlo Marx per capire e trasformare la realtà d'oggi, ma in quanto attraverso di essa - cioè attraverso il suo uso strumentale - stanno cambiando, o sembra che stiano cambiando i termini del nostro panorama politico.
Non discutiamo sulla disputa ideologica
2. - Non discutiamo sulla disputa ideologica. Non ha senso. Anche se quello che è stato portato così brutalmente all'attenzione della pubblica opinione - l'esistenza di due grandi filoni contrapposti (il riformatore-libertario e il leninista-rivoluzionario) come mezzi e come fini nel perseguimento del socialismo - è una delle maggiori ovvietà che è dato sentire. Ma, volenti o nolenti, ormai lo si sa: quello che conta sono i "mass media", come certi messaggi vengono trasmessi, chi li trasmette, in quale contesto si situano, e dove vanno a parare. Non ci attardiamo perciò a fare l'esegesi dei testi in discussione giacché da parte nostra - radicale - quella contrapposizione che si è voluta evidenziare con richiami dottrinari era da tempo scontata.
Chi ha fatto fare passi avanti al socialismo libertario?
3. - Vale la pena, invece, ricordare di passaggio che del filone socialista e libertario i radicali sono stati sostenitori e interpreti fin da quando, dall'inizio degli anni sessanta, solitariamente, hanno dato corpo a un nuovo corso di battaglie, azioni e posizioni; e che la polemica anti-giacobina, anticentralista e anti-avanguardistica in nome della difesa della società civile e di forme di organizzazione politica e sociale fondate sulle diversità e sulle autonomie ha sostanziato costantemente il socialismo dei radicali in teoria e nella prassi. Da parte dei socialisti del PR da tempo sono stati recuperati i valori delle tradizioni pre-marxiste e non riconducibili al socialismo cosiddetto scientifico: fin da quando cioè negli anni '50 i socialisti del PSI sembravano aver dimenticato un così ricco e originale patrimonio da essi considerato "ottocentesco".
Ma quel che ci interessa non è tanto il rivendicare primogeniture (un mestiere che lasciamo volentieri ai La Malfa), quanto invece il richiamare l'attenzione sul fatto che a quegli ideali recentemente riscoperti i radicali hanno dato corpo nel fuoco di dure e difficili campagne in mezzo a un ambiente politico anche socialista sordo e ostile, senza perciò sentire le necessità di ricorrere a richiami dottrinari. Le vicende di tre lustri stanno a documentare che il PR ha fatto fare qualche passo avanti in maniera concreta ai grandi ideali del socialismo libertario piuttosto che attardarsi in polemiche enunciative.
Il valore positivo dello scontro contro la mezzadria DC-PCI
4. - Ma, ciò detto, resta la questione politica di fondo sulla quale occorre esprimersi. Il dato positivo del nuovo corso craxiano risiede essenzialmente in due elementi che stanno sconvolgendo - anche se, fino ad ora, più nell'immagine che nella realtà - il panorama politico italiano. Si tratta della "reintroduzione dello scontro come categoria politica e del rifiuto della inevitabilità della grande mezzadria tra DC e PCI" che sembrava, ancora all'inizio del 1978, il tratto saliente del nuovo regime in via di sperimentazione e di attuazione.
In una situazione come quella attuale, nella quale impera il negoziato a ogni costo, e in cui i partiti progressivamente si appiattiscono fino a divenire, nei loro tratti caratterizzanti, assai simili lo scontro di posizioni di idee e di visioni - ancorché non si traduca in scontro di soluzioni - acquista un valore positivo che rompe quella logica della mediazione alla cui insegna si è andato compiendo l'incontro tra cultura cattolica e cultura comunista, auspice Franco Rodano e la sua filosofia della politica.
Non c'è dubbio che da qualche mese a questa parte per iniziativa socialista, a partire da posizioni effettivamente conflittuali o sulla base di mosse strumentali, il dibattito tra i partiti si è rianimato e le posizioni conflittuali emerse hanno rotto la stagnazione del cosiddetto "quadro" politico ricreando una situazione di movimento. Non si tratta di affermare qui il valore assoluto della conflittualità, bensì di richiamare l'attenzione solo sul fatto che anche lavorare per un'ipotesi di "unità a sinistra" (una categoria divenuta, per l'egemonia concettuale e culturale del PCI, valore in sé e sinonimo di intangibilità critica della politica dei comunisti) ha un senso positivo solo se lo si fa a partire dalla riaffermazione delle diversità ideali e politiche delle rispettive componenti, e non già come fatto "frontista" o difensivamente "quietista".
Il PSI non si sta accontentando della nicchia che, nel sistema politico, le due forze dominanti gli avevamo riservato come partner minore e subordinato nella fondazione di quel nuovo ordine ("costituzionale"?) secondo il quale la legittimità democratica doveva necessariamente coincidere con il consenso, la critica e la dialettica politica venivano assimilate alla "destabilizzazione", e il dissenso sociale all'attività ("criminale") fuori legge. Rompendo tale scenario, i socialisti paiono introdurre un elemento nuovo nell'orizzonte politico italiano ancora prima che scalzare i suoi dati materiali: insomma il PSI sembra riacquistare fiducia in se stesso, nella propria autonoma funzione politica, quindi nella propria identità. Ed appaiono a dir poco ridicoli i rilievi di un De Martino sul deperimento del tasso di marxismo nel PSI: di quel De Martino (definito, a ragione, del livello di un "dottrinario bulgaro") che ha rappresentato sul mercato italiano il migliore esempio di come si possa coniugare il verbalism
o rivoluzionario marxista con il trasformismo nella pratica, riducendo così il PSI a partito minore subordinato, teoricamente e politicamente, a due padroni.
Le gravi e irrisolte contraddizioni del PSI
5. - Le positive novità introdotte nel sistema politico e nei rapporti interpartitici, non possono tuttavia far dimenticare le contraddizioni - non piccole né marginali - tuttora irrisolte del PSI anche se paiono messe in ombra dal clamore dell'attacco craxiano. Esse risiedono nel "modo stesso di essere del PSI", nell'intreccio assai stretto tra partito e "uso del potere ai margini dello Stato", e nei "comportamenti politici" d'ogni giorno.
Dietro la riaffermazione delle istanze libertarie e liberali del socialismo autonomistico vive un corpo politico del PSI cresciuto e consolidatosi nelle strutture portanti dei quadri centrali e intermedi, con salde incrostazioni nelle pratiche della lottizzazione e dell'uso disinvolto dell'apparato pubblico ai fini partitici. Cosa è mutato nel rapporto tra PSI e partecipazioni statali? Qual è la politica nel campo cruciale dell'informazione? Come operano le migliaia di assessori, consiglieri comunali e regionali socialisti ispirandosi ad una maniera "alternativa" che li possa rendere concretamente diversi da quelli della DC e del PCI con i quali, nella maggior parte dei casi, essi collaborano nell'occupazione della cosa pubblica? Quali azioni nel campo dei diritti civili e più in generale, contro la "società corporata" hanno promosso i socialisti negli ultimi mesi dietro le enunciazioni anti-centralistiche?
Questi sono alcuni degli interrogativi di fondo; e solo da un positivo scioglimento di tali nodi può venire un cambiamento profondo del modo di essere e di agire del PSI che trasformi una certa immagine oggi emergente in una realtà non fittizia. E ancora c'è da chiedersi: di che tipo sono i rapporti con i movimenti di libertà e di liberazione emergenti - con la società civile? E come sono raccolte e utilizzate le spinte extraistituzionali rispetto alle quali, in teoria, il PSI rifiuta la logica della riduzione unitaria e avanguardistica di partito proprie del leninismo?
Non basta strizzare l'occhio alla nuova sinistra e usare alcuni suoi quadri per incorporare il patrimonio di novità, di spinte innovatrici e di bisogni politici e sociali che essa ha espresso dal '68 in poi. E non si può pretendere, per fare alcuni riferimenti puntuali, di stabilire un positivo rapporto con il movimento delle donne e poi votare una legge come quella sull'aborto al fine di impedire il referendum; oppure adeguarsi al "no" del club dei partiti della maggioranza ai due referendum di giugno e poi ammiccare a un voto in senso contrario per catturare le simpatie di tendenze profonde del paese.
Una politica dei diritti civili, oggi, non può ridursi a pura proposizione ma deve attuarsi con la promozione di lotte anche se queste entrano in contraddizione con i riflussi condizionati (materiali e culturali) di un partito troppo cresciuto sulla "gestione" e sull'occupazione dell'enorme area pubblica e parapubblica.
PSI partito alternativo nel regime, non partito alternativo al regime
6 - Certo, non si sta qui discutendo con la pretesa che il PSI diventi il Partito Radicale. Tuttavia ci sembra che sia possibile essere partito "alternativo" - indipendentemente dalla collocazione al governo o all'opposizione - con il modo di comportarsi e di porsi di fronte ai grandi nodi del momento. E siffatto partito - che, allora sì, avrebbe ben altra sostanza la polemica anti-DC e anti-PCI - il PSI oggi non lo è, o ancora, a essere fiduciosi, non lo può essere.
Il partito craxiano sta dimostrando di essere un partito distinto e distante dalla DC e dal PCI, e in conflitto con essi per maggiori spazi all'interno della consociazione partitica, e come tale comincia a essere avvertito; ma resta tuttora un membro di quel "club dei partiti" rispetto a cui una non piccola parte dell'opinione pubblica si sente aliena (vedi la questione del "neoqualunquismo") perché lo ritiene tutto in blocco, responsabile della non soluzione dei problemi cruciali del paese. Il PSI rifondato si sta facendo partito alternativo all'interno del club dei partiti-Stato ma non assume nessun tratto e non compie nessuna lotta che possa farlo divenire partito alternativo della società.
Mantenere fermo il polo radicale
7 - E' per queste ragioni, di fronte alle esplicite dichiarazioni di alcuni esponenti socialisti di volere "occupare" lo spazio radicale (si può in politica "occupare" altro spazio che non sia quello del potere e sottopotere?) che è necessario ancora oggi per i radicali, mantenere fermissima la presenza di un polo politico autonomo. Esso ha costituito e costituisce fattore soggettivo della ricostruzione di una politica carica di "alterità" e stimolo determinante nella crescita di quegli orientamenti di opinione pubblica a partire dai quali si rende anche possibile quella trasformazione del PSI ancora tutta in potenza.
La funzione radicale è stata ed è proprio quella di avere dato corpo a una diffusa esigenza di una politica diversa - e così non meno importante, di averne innalzata la bandiera - capace di suscitare speranze e talora entusiasmi. Né il dibattito sulla egemonia, né la polemica sul leninismo, e neppure quella sui legami con l'URSS, sono sufficienti a ricostruire la realtà e l'immagine di un socialismo libertario capace di rispondere alla domanda di tensione ideale e di dialettica politica che l'appiattimento dei partiti ha provocato.
Il dilemma socialista: guardare al passato o al futuro?
8. - In verità il punto è che il socialismo è incalzato da nuove questioni che non si risolvono ponendosi all'interno della tradizione "europea" riformatrice o libertaria, autonomistica e anti-leninista. Sono quelle che riguardano l'accettazione o meno del ruolo dello Stato interventista e dei postulati che da sempre accomunano anche un certo patrimonio democratico e socialista con quello comunista-leninista e cioè la "fiducia nel progresso, nello sviluppo nel benessere e nella razionalizzazione".
Tutto ciò non ha nulla a che fare con la bolsa polemica di chi usa il termine "socialdemocratico" come invettiva. La socialdemocrazia è una risposta politica specifica legata a una concreta esperienza storica che si basa su alcune condizioni strutturali in Italia assolutamente assenti. Lo ha chiarito recentemente il nostro confratello socialista francese Jacques Julliard: "La socialdemocrazia suppone l'esistenza... di una triplice rete di istituzioni operaie di massa che siano state capaci di svilupparsi nel sistema capitalistico componendosi con esso: il partito, il sindacato e le cooperative. Il suo oggetto è di organizzare la vita del mondo del lavoro in un quadro il più coerente e più largo possibile: si tratta di rappresentarlo nel dominio politico, di difenderlo sui luoghi del lavoro, e per quel che è possibile, di utilizzare grazie all'associazionismo il suo potenziale di produzione e di consumo per dei fini autonomi; la socialdemocrazia è il socialismo delle istituzioni operaie" ("Social-democratie e
t socialismo", "Le Nouvel Observateur" 18/9/1978).
Le forze socialiste che non vogliono solo discettare del passato ma scegliere anche per il futuro devono allora misurarsi su una visione delle nostre società occidentali - accettandole o rifiutandole senza equivoci - che ha al suo centro il progresso basato sullo sviluppo indefinito, e cioè affrontare le questioni del rapporto tra uomo e natura, tra uomo e habitat, della "crescita distruttiva o decrescita produttiva" (vedi il saggio pubblicato più avanti), del consumo, delle diverse energie possibili.
Non si tratta più, per dei democratici e dei socialisti, di avere fiducia nella mano pubblica piuttosto che in quella privata, di pensare cioè che una formula del tipo "energia nucleare più democrazia rappresentativa" (come già quella soviettista era "soviet più elettrificazione") possa risolvere il "caso italiano" conciliando i grandi valori liberaldemocratici e i diritti civili con il fatto di portare l'Italia a livello europeo: infatti l'assetto che comporta il primo termine delle formule (centralizzazione, militarizzazione della società, estensione di controlli) è in profonda contraddizione con le esigenze del secondo.
Questo è il punto, qui il PSI deve saltare. Forse un po' più di Andrè Gorz, di Ivan Illich e di Sicco Mansholt servirebbe meglio di un Proudhon.
Ed ancora, occorre che i socialisti facciano davvero i conti con chi è portatore nei nostri giorni delle grandi istanze umanistiche socialiste e libertarie e che divengono capaci di immettere nel quadro del ribadito valore non strumentale delle istituzioni liberaldemocratiche e dello Stato di diritto quelle spinte di massa; che sono le sole in grado di provocare l'attuazione di radicali contenuti alternativi all'ordine esistente: l'antinuclearismo, il regionalismo etnico l'ecologismo, l'autonomismo pluralistico della società civile, il femminismo...
E' possibile una nuova grande forza socialista e libertaria?
9. - Su questo terreno auspichiamo che il PSI sciolga le sue contraddizioni e trasformi la sua realtà. Non sappiamo se esso sia in grado di farlo, né come, né quando. E non sono certo le preoccupazioni circolanti in queste settimane quelle che hanno un senso reale e che più ci inquietano: "Craxi fa il gioco dei tedeschi perché prende soldi", "il PSI diviene socialdemocratico", "si va verso un nuovo centro-sinistra", "è una manovra antiunitaria e [perciò] anticomunista".
No, vorremmo al contrario porre alcuni nostri quesiti come esemplificativi del necessario livello di discorso: "Che cosa pensa il PSI della questione nucleare?", "Cosa propone per costruire un partito che non riproduca, mascherato, il centralismo burocratico?". "Alle partecipazioni statali e alla RAI-TV, quale è un'impostazione democratica alternativa alla pratica lottizzatrice?"... Molti altri quesiti si potrebbero sollevare, ma bastano questi per dare il senso di quei problemi che ci paiono reali.
Come abbiamo già affermato tante volte e in tante occasioni in passato, quando ancora non era all'orizzonte il nuovo corso, la ricostruzione di una grande forza socialista, autonomistica, antigiacobina, libertaria, riformatrice, laica, è una questione essenziale per la democrazia del paese e condizione necessaria per qualsiasi ipotesi di una sua trasformazione. Ed è una questione al cui interno i radicali hanno agito e tuttora si pongono a pieno titolo, senza rivendicare quei meriti che pure potrebbero pretendere per sé. Al di fuori di interessi tattici e di quelle furbizie da politicanti che servono a fare qualche titolo di quotidiano ci sembra di avere qui esposto la nostra posizione. E di potere, in fine, affermare che se saranno fatti dal PSI concreti passi avanti nel trasformare il suo modo di essere e nel promuovere attivamente quelle battaglie per i diritti civili che oggi esso proclama teoricamente di sostenere, allora sarà naturale la convergenza fra socialisti e radicali del PR e radicali e sociali
sti del PSI in qualcosa di nuovo tutto da inventare che deve nascere dal fuoco delle lotte.