di Ruggero OrfeiSOMMARIO: Un saggio sulla natura e le radici storiche del nuovo radicalismo e un confronto sulla questione radicale con interventi di: Baget-Bozzo, Galli, Ciafaloni, Tarizzo, Galli della Loggia, Lalonde, Alfassio Grimaldi, Are, Asor Rosa, Corvisieri, Orfei, Cotta, Stame, Ungari, Amato, Mussi, Savelli.
(SAVELLI editore, ottobre 1978)
Indice:
Parte prima
I Politica e società (1376)
II Radicali sotto accusa (1377)
III Il Pr come partito bifronte (1378)
IV Radicalismo e socialismo (1379)
V Radicalismo o marxismo, convivialità o tecnofascismo (1380)
Parte seconda
Un confronto sulla questione radicale (1381 - 1397)
Osservazioni sulla obiezione radicalsocialista
di Ruggero Orfei
(»Mensile , n. 10, febbraio 1978)
Vi sono parole che in breve tempo possono assumere o perdere i loro significati, ritenuti ovvi fino a una certa data. E' il caso del »compromesso storico , che cessa di essere qualcosa di »compromettente soltanto perché indicato come storico. Fu il caso delle »convergenze parallele che, se pure in qualche modo giustificabili in una geometria non euclidea, portavano a render diverso un significato corrente delle parallele che per definizione non convergono mai, altrimenti si incontrano.
Durante il fascismo, specialmente nelle scuole, qualche insegnante, quando non riusciva a tener più la disciplina, arrivava a indicare i reprobi come »bolscevici , evocando subito scene di strage e di terrorismo. Altri tempi, altre egemonie verbali.
Facendo queste osservazioni non si scopre naturalmente nulla che non si sappia già, per esperienza quotidiana e per cultura. Tuttavia il richiamo è necessario, perché le parole costituiscono formule e contenuti che finiscono per sostituire vere conoscenze. Dal concetto cioè, si degrada verso un banale buonsenso, determinato con opportune operazioni che passano comunemente attraverso i mass-media, che oggi non sono più altoparlanti, predicatori di grido o giornali, ma ben più penetranti macchine elettroniche.
E' così che si sente il bisogno di fare qualche rilievo sulla qualifica di »radicale , che diventa ancora più complessa qualora la si estenda come »radicalsocialista .
Il problema non sarebbe rilevante se a portare il nome fosse soltanto un partito che, per quanto minuscolo, possiede comunque un suo diritto di cittadinanza politica. In realtà, con i termini ricordati, si indica un atteggiamento, una cultura, una società. Delle diverse versioni del termine abbiamo oggi in uso quelle accreditate da Baget-Bozzo, da Rodano, nonché dagli stessi radicali dichiarati come tali.
In sostanza emerge un paradosso: mentre da varie parti ormai si indica l'egemonia del radicalismo (senza cercar qui di capire quale), il termine »radicale o »radicalsocialista viene usato come un'imputazione, se non proprio un'accusa infamante, da diverse parti. Non mancano casi assai gustosi di personaggi e gruppi che si rinfacciano reciprocamente e con accanimento l'accusa di cui si parla. Così Baget-Bozzo accusa i democristiani di aver istituito una forma originale di società radicale. Padre Sorge si leva contro le deformazioni della cultura radicale, poi sopraggiunge Franco Rodano che trova una »oggettiva cincidenda delle posizioni del padre gesuita con quelle dei radicalsocialisti.
Tale uso così estensivo di una parola chiave pone qualche interrogativo, perché pare di trovarsi davanti a una manifestazione di quella pseudoscienza chiamata politica, che ha una base fortissima di sostegno non tanto in ciò che è ovvio, ma in ciò che è creduto ovvio o è fatto ritener tale. Gli interrogativi sorgono nel momento in cui la parola sostituisce l'argomento, per cui vien meno ogni necessità di spiegazione. Dopodiché non sarebbe difficile compiere una vilissima ritorsione da parte di chi non accetta questo modo di procedere ma accetta quella parte di critica alla società radicale, secondo cui ogni cosa debba in essa perdere significato. O acquistare troppo a causa della pubblicità e del consumismo. Vi è una scuola pubblicitaria che si basa sul principio che »basta la parola , e una pillola lassativa insiste esplicitamente su questo assioma per diffondere il suo prezioso prodotto. Una specie di riflesso di Pavlov visto dall'altra parte.
Sebbene nessuno pare intenda fare riferimento al passato del radicalismo per render chiaro il pensiero (sarebbe forse troppo facile), non si vede come si possa introdurre un concetto così fine prescindendo dalla nozione storica dei fatti che l'hanno in qualche modo costituito.
In un certo senso questo lo si deve capire, perché riferirsi ai Sacchi o ai Credaro, e magari anche a Cavallotti, può risultare scomodo quanto in Francia riferirsi a Combes, a Ferry e agli altri. Andando su questa strada sarebbe persino inevitabile stabilire qualche parentela con Bismarck e il suo "Kulturkampf". C'è da sperare, però, che non sia altrettanto scomodo riferirsi a quei radicali e socialisti francesi che, nell'ultima decade del secolo scorso, dovettero battersi duramente per Dreyfus, sul cui capo si era scaricato intero il peso di forze reazionarie d'ogni tipo e risma.
Così per l'Italia non dovrebbe essere considerato peccaminoso il ricordo non solo dei radicali dichiarati, ma anche di quelli che possono essere considerati tali, in base all'estensività del termine attuale, e che pure qualcosa hanno meritato dalla patria, come si legge nei monumenti e sulle lapidi tanto diffuse in ogni angolo del paese per celebrare qualche partecipazione al risorgimento nazionale. Venendo subito a uno dei nodi della questione così leggermente sollevata, si potrebbe osservare che, aprendo questo »fronte sul radicalismo, una certa cultura comunista e cattolica, non si avvede che rischia - come si suol dire - di gettar via il bambino con l'acqua sporca. Almeno occorrerebbe riconoscere qualche merito a una tendenza la quale sul piano politico ha tentato di reagire, senza cercar di uscire dagli argini teorici, a una concezione soffocante dello stato di emanazione hegeliana. Il radicalismo aveva sì una sua componente anticlericale, che era una specie di ragione sociale di presenza e di vita, ma
non si può assumere questo carattere come esclusivo. E d'altronde, non si può neppure enfatizzare un antihegelismo spinto, che in maniera esplicita e consapevole non ci fu. Antonio Labriola, peraltro, fu radicale e pose per primo, forse, il problema reale di una distinzione tra democrazia borghese e rivoluzione proletaria.
In concreto, è possibile, anche per la nostra non brillante storia politica fino al 1914, trascurare la componente radicale anche soltanto per la formulazione della legislazione sociale? Probabilmente un'operazione di questo tipo non è possibile e se è necessario distinguere tra le espressioni presenti di radicalismo dichiarato, la questione della distinzione non si pone più, almeno in queste condizioni riduttive, quando si passa a parlare di radicalismo come di una idea chiara e distinta. In realtà si è davanti a una idea tanto poco chiara e distinta, che può essere invocata per coprire esperienze e atteggiamenti diversi, come all'inizio si è ricordato.
Così se è abbastanza sicuro che non si possa amputare il radicalismo dalla storia del nostro paese, senza amputare anche una espressione della sua società, non è altrettanto sicuro un riferimento a una categoria politica assunta come categoria culturale e persino etica.
In pratica, se Rodano può dire a padre Sorge che è come i radicalsocialisti, e se Baget-Bozzo può dire che la Dc ha istituito la società radicale (proprio quella anticristiana in radice), ci si può porre almeno due problemi. Uno è quello della delimitazione concettuale. L'altro è quello della indistinzione e della conseguente controindicazione di movimenti politici, rispetto a certi risultati.
La cosa appare ancor più grave se si tengono presenti i rapporti di forza politici esistenti, perché in ogni caso appare chiaro che sul terreno istituzionale e partitico la società radicale non ha espressione. Vale a dire che se la società radicale è egemone in termini di valori diffusi nell'opinione pubblica, essa poi non trasferisce le sue istanze a livello politico statuale, se non indirettamente. Vale a dire facendo passare attraverso i partiti non radicali istanze radicali, oppure dando ampio mandato a iniziative di tipo referendario che vanno intese non tanto nelle loro specifiche dimensioni quantitative, quanto piuttosto come porzione visibile di un "iceberg" profondo. Così se la Dc e il Pc sono deliberatamente contrari alla società radicale, di fatto dovrebbero quotidianamente sottomettersi a una volontà che va in quella direzione, senza il quale piegamento non arriverebbe più consenso.
Le interpretazioni di Rodano e di Baget-BozIzo sembrano collimare sino a un certo punto, ma poi debbono necessariamente fermarsi. Il primo, infatti, non può far propria l'idea che tutta la società sia egemonizzata dal radicalismo, fino a parlare di »società radicale . Il secondo invece ritiene che la »società radicale esista e sia estesa, tanto da mettere in difficoltà non solo la Dc, ma anche il Pci. Anzi proprio perché la società radicale si estende anche al Pci, sorgono difficoltà per il Psi che stenta a trovare una propria identità. Ancora, per Baget-Bozzo la situazione è tale che la chiesa cattolica stessa deve ormai rassegnarsi a non avere più un braccio secolare costituito da uno stato da lei garantito, oltre che istituito attraverso una forza politica »cristiana . Gli effetti di questa situazione sarebbero andati già tanto oltre che oggi l'esser fedele cristiano è diventato un elemento di difformità e non di conformismo. Anche se non siamo del tutto a questo punto, si può ammettere che vi si è assai
vicini e ciò non deve dispiacere il credente. E per quanto riguarda il discorso che stiamo qui facendo la difformità del cristiano andrebbe poi analizzata per suo conto, perché essa, per resistere storicamente e quotidianamente, non può non assumere certi caratteri propri della società radicale, cioè il valore assoluto della sfera individuale che in certi casi è la sola molla di scatto quando si sia fuori fisicamente dall'ambito della comunità religiosa.
Ma ciò che sembra impensierire sia Rodano che Baget-Bozzo è il rapporto col Pci e qui forse le posizioni divergono tra loro irrimediabilmente perché se avesse ragione il secondo non sarebbe proponibile più il compromesso storico. Rodano su questo punto è fermissimo e deve continuare a fare cauzioni alla laicità della Dc, proprio per difenderla da ritorni »integralistici , mentre quella laicità per Baget-Bozzo altro non sarebbe che distacco da una matrice ideale e cedimento a una moralità che egli non esita a definire pagana.
Così il rapporto col Pci per Baget-Bozzo si pone seriamente, ma tra l'intera società italiana e un indirizzo che potrebbe, grazie alla forza politica che possiede, riaccorpare quel che il radicalismo ha disgregato. In tal senso anche Baget-Bozzo propone un compromesso storico che potrebbe però avvenire tra il Pci (e soltanto lui) e quelli che egli riuscirebbe a rappresentare. Non a caso Baget-Bozzo ha rifiutato la nostra interpretazione della lettera di Berlinguer a Bettazzi, assumendosi egli il ruolo di interlocutore. Almeno di diritto, per occupazione della funzione. Anche se si tratta di elementi che attendono conferme, risulta una differenza non lieve su una questione politica che però non pregiudica un giudizio profondamente negativo sul radicalismo, come qualcosa che raccoglie tutta la negatività di secoli di storia. Una specie di sentina storica.
Mentre il discorso va avanti, è inevitabile tenere la mente orientata verso quel che si ha sotto gli occhi: il radicalismo nostrano di questi anni. Sarebbe privo di senso evitare la questione. Questa però non merita particolari acrobazie interpretative. Tuttavia esistono diversi risvolti del radicalismo di oggi che vanno presi in considerazione.
Uno è la presenza di un leader come Marco Pannella, capace, a quel che pare, di provocare tanto grandi consensi quanto aspre e sprezzanti reazioni di rigetto. E' questa la sua forza. Ma Pannella è proprio una espressione adeguata, politicamente parlando, del radicalismo? Probabilmente no. Egli è un personaggio e spesso assume colorazioni propriamente divistiche, per cui gli aspetti culturali e politici vengono messi da parte a vantaggio di vere e proprie esibizioni di »abilità personale che stanno raggiungendo livelli di saturazione rispetto alle possibilità di assorbimento dell'opinione pubblica. Tuttavia disarticolare Marco Pannella dal radicalismo può essere facile; nel suo stesso partito si è aperto un contenzioso nei suoi confronti, basato talora su accuse pesanti e comunque poco pertinenti i destini futuri del paese. Tale disarticolazione rivela che Pannella è, o è stato, una specie di antenna rispetto a una domanda pubblica di un maggior collegamento tra società civile e società politica, a prescinde
re dalla sua fortuna politica. Rivela anche che il discorso sulla società radicale, come viene esposto dagli esperti e come viene assunto dalla stampa, va assai oltre la presenza di certi personaggi.
Se si cerca di cogliere qualche carattere del radicalismo di oggi, rappresentato da Pannella, si trova che indubbiamente il motivo anticlericale è pressoché fondante come ragione di essere. Si può aggiungere però che con Pannella è ritornata esplicita una opposizione al cattolicesimo come tale, o almeno ad alcune ragioni di fondo dell'esser cattolici. Tale predominanza però non è solo del personaggio di cui si parla, ma anche di altri. Se si legge l'intervento del professore Nicola Matteucci su »Mondoperaio (n. 12, dicembre 1977, p. 91), si individua una ostilità che va assai al di là delle valutazioni politiche, Matteucci non è un radicale nel senso partitico, ma un liberal-repubblicano, profondamente crociano, il quale ritiene di dover diffidare dei cattolici come persone, ovunque militino, perché »inguaribilmente cattolici e quindi integralisti e tante altre cose malvage.
La predominanza dell'ostilità all'esser cattolici e probabilmente all'esser religiosi non restringe la caratterizzazione radicale, ma la allarga, perché essa viene declinata in varie forme in tutti in partiti politici (Dc compresa), offrendo elementi di differenziazione soltanto nelle trovate tattiche. Si va dalla sollecitazione a privatizzare al massimo la professione di fede, o a renderla del tutto evanescente per ciò che concerne il suo peso sociale (non sociologico), vale a dire per ciò che concerne il peso della fede nelle opzioni politiche. Oppure a far cadere la politica al di fuori di ogni valutazione di principio, auspicando una laicizzazione assoluta che è, oltre che inaccettabile, impossibile perché anche colui che volesse essere o apparire privo di principi, non potrebbe fare a meno di qualche criterio basilare di comportamento etico, anche quando questo viene bollato di pragmatismo. In politica il pragmatismo significa sfiducia nella storia, nella capacità creativa dell'uomo nell'assumersi ruoli
paternalistici e superiori, significa pratica giacobina, anche senza aver nessun presupposto illuminista e così via. E', insomma e in ogni caso, una visione »di principio della storia.
Proprio nell'articolo con cui Franco Rodano polemizza con padre Sorge vi sono tratti illuminanti: da una parte viene rimproverato al padre gesuita di voler un Pci senza principi, dall'altro si invoca una Dc del tutto deideologizzata (cioè senza principi, anche se il termine ideologia è negativo).
Di fatto il radicalismo di contenuto, come fastidio per un'impostazione che discenda da principi, è riscontrabile nella stessa Dc, la quale non ha mai tenuto in conto l'insegnamento sociale della chiesa, al quale ha dichiarato spesso di rifarsi, per calarsi in un tipo di prassi politica che aveva le sue ragioni in un keynesismo ritoccato per la politica sociale e nel liberalismo di destra per la politica istituzionale.
Dato però che il termine radicale è associato sempre più regolarmente al termine socialista, nella formula corrente di »radicalsocialismo , varrebbe la pena di esaminare in dettaglio la combinazione. Nei limiti di questo discorso, si può osservare che l'associazione è abbastanza fondata per ragioni tutto sommato occasionali, dato che il socialismo, come osserva Baget-Bozzo, non è conciliabile con un'esasperazione individualistica. Ma il punto nodale per cui tra il radicalismo e il socialismo non può esservi connubio, almeno durevole, sta nel fatto, tutto storico e culturale ma anche di base reale, della sussistenza di una divaricazione storica originaria. Cioè il radicalismo nasce come sinistra, anche estrema, della borghesia. Il socialismo nasce come espressione politica del proletariato. Andando più avanti si può osservare che tutto l'insieme politico-culturale del socialismo risale a tradizioni ove il marxismo ha avuto e ha ancora un peso grandissimo, mentre esso è estraneo alla tradizione radicale. Ciò v
ale anche se non sarebbe difficile mostra un Marx giovane più radicale che socialista sotto molti punti di vista.
L'elemento che consente di individuare un radicalismo diffuso nei vari partiti politici riguarda quella che si chiama »sovrastruttura , cioè un'idea esasperatamente laicistica, che va oltre il semplice volere un'autonomia dello Stato rispetto alla istituzione Chiesa. Vale a dire che esiste un movimento politico complessivo che non solo sta emarginando la Chiesa-istituzione da ogni influenza sulla vita dello Stato ma sta emarginando anche la Chiesa-comunità, cioè il ruolo dei fedeli confessanti la propria fede, dalla vita pubblica. I cattolici che riescono ad avere sicuro diritto di cittadinanza sono quelli che fanno pesare di più un ruolo politico, fatto intendere implicitamente e raramente esplicitamente, come un elemento essenziale di affermazione religiosa. Con ciò non si intende mettere in questione il ruolo politico della fede, ma soltanto la sua declinazione in termini di potere.
Qui sta la ragione per cui è potuta sorgere una »questione cattolica impostata come mero fatto di schieramento.
In questo senso il radicalismo di fondo coinvolge le diverse forze politiche. Crea un caso particolare nel Psi perché, nella »zona franca e leggermente cinica di questo partito, si è potuta notare una capacità di ascolto del messaggio radicale, fino a far sembrare il Partito radicale una sottosezione del partito socialista stesso. Sarebbe però un dato contingente e legato alla difficoltà di gestione di uno spazio da »terzo incomodo tra i due colossi (Dc e Pci), del bipolarismo cui spinge l'evoluzione della situazione politica. Una connessione con i radicali fa ritenere pagante ai più sprovveduti dei socialisti un legame che in termini di forza politica è pressoché nullo. Ed è nullo proprio perché il costo di un simile legame non ha nessun compenso, perché manca l'esclusiva, dato che gli elementi di radicalismo sono ovunque diffusi. Una "chance" per il Psi potrebbe essere quella di riesaminare a fondo tale questione, cercando una caratterizzazione in termini politici che porti chiarezza sui principi, che ri
fiuti l'impostazione teorica della »questione cattolica come dato di schieramento (tanto cara invece ai comunisti) e di compiere uno sforzo per tentare di capire le ragioni di una professione di fede nel suo intrinseco valore, senza cercare misture ideologiche e conciliatorismi impossibili. Ciò comporta l'assunzione da parte del Psi di un ruolo diverso rispetto agli altri partiti: cioè accettare di essere un elemento esecutivo rispetto a una domanda politica che può venire dalla società civile e non un marchingegno (tipico dei partiti fortemente ideologizzati) per far scendere una direttiva e un orientamento dall'alto in basso.
In ogni caso la »questione anticlericale , pure avendo un ruolo pratico immediato e vistoso, non è quella più caratterizzante rispetto alla »partecipazione di vita alla cultura radicale. L'elemento portante di questa è l'individualismo detto libertario, che si potrebbe riassumere nel goliardico »è vietato vietare piuttosto che in complicati argomenti di difficile decifrazione.
Può essere di qualche utilità osservare che, in una società ove tra persone che si accordino fra di loro costituiscono una corporazione con potere di veto o di pressione sulle decisioni collettive, o dove si va diffondendo l'iniziativa dannunziana della bomba facile e talora assai sanguinosa, sostenere ciò sia un po' come fare dell'umorismo a un funerale.
Così giungiamo al punto in cui il radicalismo si colloca in una zona che è ampiamente motivata per la ragione che si dirà, ma che è in larga parte motivazione di se stesso, cioè dei motivi che lo fanno emergere.
Si tratta del rifiuto di un disciplina collettiva, liberamente scelta, che conduce assai vicino a una prospettiva anarchica, che tende a rovesciare come la manica di un cappotto una serie di valori sociali, assumendo come unico termine di riferimento il bene, individualmente giudicato, dell'individuo stesso, quasi che questo fosse un soggetto senza relazioni imposte dalla situazione esistenziale nella quale ciascuno di noi nasce e cresce, senza poter compiere una scelta a ogni livello. Se non altro non si può scegliere di nascere in un modo invece che in un altro. Peraltro per i radicali è un dogma che non esiste neppure un diritto alla vita di ogni vivente, almeno stando a certe motivazioni »alla radice del cosiddetto diritto d'aborto.
Tutto questo però non toglie che l'istanza radicale è fortemente motivata dalla situazione di fatto che viviamo in questo lungo travaglio o crisi dell'assetto liberaldemocratico della società contemporanea. Esiste, infatti, una contraddizione tra le conclamate asserzioni di libertà, scritte nelle costituzioni e talora anche nelle leggi, e una prassi di potere che resta autoritaria senza autorità morale; tra l'iniziativa personale sancita da una filosofia alla quale tutti dicono di credere e la spinta a rendere assolutamente burocratica l'esistenza dalla nascita alla morte. Ciò si trasferisce in una limitazione del diritto alla libertà e più prosaicamente nelle pratiche dello stato assistenziale, che non può che esser tale, rimanendo questa la sola forma di sopravvivenza a condizioni date.
In pratica il radicalismo come reazione a un organicismo di origine hegeliana (ma sta già nei presupposti della rivoluzione francese e nel suo ideale di nazione, che già presentarono gli elementi della contraddizione indicata) è ampiamente motivato perché la questione dei diritti civili personali è una questione storica. E tanto storica che è diventata oggetto di polemica internazionale, è diventata materia di intese internazionali come la Carta di Helsinki, è diventata oggetto di dibattito politico interno: si va dal procedimento giudiziario alla vita nelle carceri.
Ma in questo contesto il rapporto causa/effetto non è davvero semplice, perché l'esperienza storica mostra come vi sia un'alimentazione reciproca tra i moti di azione e di reazione, che tendono a estremizzarsi per sollecitazione dell'uno sull'altro.
Probabilmente è venuta a scadenza un'ipoteca accesa nella prima metà del nostro secolo, quando si è creduto che lo Stato potesse realizzare come »persona staccata il bene degli uomini. Lo Stato come istituzione parallela, ma sovrapposta alla società, si è rivelato il grande affare del nostro secolo. Ma da qui sono venuti il fascismo, il nazismo, lo stalinismo (che ancora non è chiaro se sia una variante del comunismo compatibile, oppure una variante dei primi due) e l'affermarsi di forti personalità quali Roosevelt, Pacelli, Churchill, trascurando altri minori, che si sono sovrapposti con funzioni di guida »provvidenziale ai mondi che dovevano servire.
Se è fondato questo rilievo, si può capire come la discussione sul radicalismo abbia una base vecchia, rivolta più al passato che al futuro. Si capisce anche perché una certa cultura gestita da uomini che hanno ricevuto la loro formazione negli anni trenta, resti ancorata a una visione angusta delle cose. Soprattutto legata a una sottovalutazione della questione del diritto individuale. Appare del tutto logico quindi che una persona attenta come Franco Rodano, capace di penetrare angoli remoti della vita delle idee, possa trovare il motivo di coincidenza tra padre Sorge e i radicalsocialisti nel »valore dell'individuo dei secondi e nella »coscienza cristiana evocata dal primo. Per Rodano si tratta di un rifiuto della politica e non più correttamente di un tentativo, più o meno felice, di riformare la politica. D'altronde lo stesso Pci, quando deve accordarsi a iniziative prese dai radicali, o quando gli risulta difficile o impossibile contrastare il contenuto di richieste dei radicali, deve limitarsi all'a
ttacco personale di qualche suo esponente, il che rende generalmente facile questo compito.
Naturalmente un discorso che voglia smitizzare un luogo comune non è facile. Non è chiaro, innanzitutto, nei suoi protocolli.
Ciò accade soprattutto perché una società come la nostra che ha i governanti che si merita, gli amministratori che si merita, le corporazioni che invoca quotidianamente, vive in un permanente e quasi incurabile complesso di colpa.
Ciò conduce facilmente ad accogliere la colpevolizzazione di una parte, identificata in una formula caricata di significati contumeliosi, onde poter continuare a fare quel che si fa tutti i giorni, a prescindere dalla presenza o meno di un gruppo organizzato. Non si può negare che in molte occasioni i radicali, riuniti in gruppo, hanno fatto da pesce-guida a grandi transatlantici, i quali magari spesso non erano entusiasti di seguire certe rotte.
Ma resta il problema di un giudizio di valore dell'insieme dei fenomeni che si presentano in questa forma. Per questo occorre uscire da certe genericità, per cogliere nel dettaglio come stanno davvero le cose.
Un caso tipico è quello dell'aborto. Questo racchiude in sé tutti gli elementi sottostanti alla qualità della »società radicale . In esso si esprime il desiderio di veder »vietato il vietare . Poi, scendendo, si hanno tutta una serie di declinazioni del tema. E' così che si può codificare in una legge, come quella in discussione, la povertà come motivo giuridicamente rilevante per autorizzare la pratica abortiva: in tal modo si garantisce l'assetto sociale vigente, col beneplacito delle forze socialiste del Pci, del Psi e di vari Pdup. Come se non bastasse, si cerca di insistere sul carattere penalistico e legalistico del problema, in modo da far sembrare comunque lo Stato tutore dei diritti e dei doveri e anche dispensatore di patenti di liceità morale. La cosa è andata tanto in fondo che anche il progetto di alcuni cattolici per »favorire la vita , si conclude con una previsione di perdono giudiziale per chi fosse colpevole del reato d'aborto, che non esce da questa »norma della cultura radicale. Da un la
to sarebbe tutelato surrettiziamente un diritto individuale, dall'altro si vorrebbe dimostrare che lo Stato individua il male e lo perdona. Come si faccia poi a sostenere che il perdono statale non coincida con un'assoluzione anche nel senso di una morale cattolica, è un mistero da spiegare. Ma quel che conta rilevare qui è la tipica considerazione dello stato della legge che che sono invocati a ratificare, in forme diverse e contorte, una società malfatta. Sempreché le leggi vengano intese come risposta più o meno perfetta (in un regime come il nostro) a una domanda dal basso, anche quando non piacciono.
Il caso evocato non è certo dei più esaltanti. Ma esso nella sua natura estrema e »radicale indica meglio degli altri la situazione in cui ci troviamo. C'è una »dispersione del valore della persona che cerca coaguli sotto la specie dell'individualità separata. Ciò avviene mentre nella »struttura i livelli di meccanizzazione dei comportamenti si vanno accentuando. C'è un crescente processo di omogeneizzazione che sta vanificando da solo tutte le buone intenzioni sul pluralismo e si sta allargando la sfera di quella che Pasolini chiamava felicemente la »omologazione dei comportamenti che rendono non distinguibili le singole personalità. Il conformismo cresce, così, di pari passo con la crescita della società radicale; ciò però non è da imputarsi, come tale, ai pochi radicali di nome, altrimenti il problema neppure esisterebbe.
E' evidente però che ogni tipo di reazione a un simile evolversi della condizione umana, colloca chi se ne fa carico ai margini. Si tratta di una scelta difforme. In questo i cristiani che non accettano le logiche di schieramento per affermare i propri valori sono forse nelle maggiori difficoltà. E' per questo che molti hanno cadute o ricadute di tipo stalinista, perché vi è un'atavica ricerca di sicurezza mondana con la quale non si vuol chiudere. Eppure solo uno sforzo di ricomposizione non di aggregati, ma di flussi di orientamenti, potrebbe consentire la ricerca di una strada che non sia una fuga davanti allo stalinismo e la dannunzianesimo.
Il compito, se assunto, non sarebbe facile. La prima cosa da fare è comunque l'iniziare a discutere, senza pregiudizi e senza formulari classificatori. In questo paese di Ferravilla, pare la cosa più difficile, e anche sotto certi aspetti la più penosa, ma forse proprio per questo vale la pena di non abbandonarsi al fatalismo dei risultati del gioco dei più forti.