di Mauro MelliniSOMMARIO: Il tasso di accelerazione dell'inquinamento è forse, oggi, enormemente più alto nelle regioni arretrate economicamente che non in quelle industrialmente già sviluppate.Perché questo avviene? Ma perché è il segno di uno sviluppo economico diverso, sempre più diverso da quello tradizionale. C'è ormai una tendenza costante, sotto le più diverse e allettanti giustificazioni, a spostare nelle regioni meno sviluppate le attività più inquinanti. E questo nuovo colonialismo ha i suoi alleati e servi, anche là dove non dovrebbero esservi, cioè tra i nuovi sfruttati. Questo spiega certo regionalismo e meridionalismo miope e stupido, che chiede esso stesso, per le regioni meno sviluppate, per il sud, l'industrie sempre più grandi e inquinanti, nell'illusione di salvarsi con il "neocapitalismo", eccetera.
La comprensione di questa realtà, la loro verifica costante, oggi e domani, offre a noi radicali la possibilità di parlare e di fare ecologia in termini di economia moderna, e soprattutto in termini modernamente "regionali" e "regionalisti".
(NOTIZIE RADICALI N. 123, 18 ottobre 1978)
...Dobbiamo uscire dall'atteggiamento corrente, secondo il quale l'ecologia è, con i suoi problemi, una cosa e l'economia è invece un'altra, con problemi tutti diversi. Perché? Ma perché in questo modo si crea una separazione, anzi una contraddizione artificiosa tra economia ed ecologia, e questa finisce per l'essere considerata un lusso che va bene per le regioni ricche, ma dal quale le regioni povere debbono guardarsi, per occuparsi, invece, dello "sviluppo".
Dobbiamo partire da una constatazione, che va controllata, ma che ritengo molto probabile: e cioè che il tasso di accelerazione dell'inquinamento è forse, oggi, enormemente più alto nelle regioni arretrate economicamente che non in quelle industrialmente già sviluppate. Anche queste conoscono l'inquinamento; ma probabilmente con tassi di crescita assai più lenti. Se potessimo stabilire una "unità di inquinamento" troveremmo che il rapporto tra questa unità e l'entità complessiva dell'industria, delle aziende considerate globalmente nei loro vari aspetti e indici (fatturato, manodopera occupata, ecc.) sale enormemente per le industrie di nuova installazione nelle regioni tradizionalmente arretrate che sono appunto industrie chimiche, metallurgiche, del petrolio, ecc.
Perché questo avviene? Ma perché è il segno di uno sviluppo economico diverso, sempre più diverso da quello tradizionale. C'è ormai una tendenza costante, sotto le più diverse e allettanti giustificazioni, a spostare nelle regioni meno sviluppate le attività più inquinanti. Stiamo andando, il mondo sta andando, verso un tipo di economia in cui il "bene scarso" (che è ciò di cui si occupa l'economia), tradizionalmente individuato nel passato ora nel "capitale" ora nel "lavoro", non verrà più identificato in questi due fattori.
Sempre più, e da presumere, la tecnologia moderna produrrà in quantità beni da destinare a nuove produzioni, per cui non sarà questo il bene scarso che potrà limitare lo sviluppo economico; come pure, stiamo andando irreversibilmente verso un tipo di economia in cui vi sarà istituzionale, e non abnorme, dell'economia (si guardi già oggi l'immensa area di parcheggio, rispetto al lavoro, costituita dagli studenti, con i loro problemi). Invece, nell'economia del secolo XXI, il vero "bene scarso", che condizionerà lo sviluppo, sarà costituito da quelli che sono chiamati i "beni naturali indivisibili": vi sarà come già c'è, penuria di aria, dell'acqua e del mare, della terra, non la terra coltivabile, ma nel suo complesso, e così via. E allora, cos'è già oggi l'inquinamento? Ma nient'altro che il consumo di beni naturali indivisibili: è sotto questo aspetto, penso, che si può dire che noi muoviamo verso un nuovo modello di economia.
Alla luce di queste considerazioni, l'installazione di nuove industrie in regioni che ne sono state finora carenti, che altro è se non la forma moderna della colonizzazione, del colonialismo, con le sue rapine e i suoi furti? Nel passato, le grandi potenze andavano nelle colonie per prelevarne beni naturali "divisibili" - le materie prime - e qualche volta anche il lavoro, la manodopera, e portarseli via. Oggi le regioni colonizzate (l'Italia delle raffinerie e di Seveso è, in Europa una di queste regioni; la Sardegna, la Sicilia, la Basilicata svolgono questo ruolo all'interno del sistema economico italiano) vengono prescelti per la loro capacità ad accogliere quegli insediamenti che producono, con l'inquinamento, al maggior consumo di beni naturali "indivisibili"
E questo nuovo colonialismo ha i suoi alleati e servi, anche là dove non dovrebbero esservi, cioè tra i nuovi sfruttati. Questo spiega certo regionalismo e meridionalismo miope e stupido, che chiede esso stesso, per le regioni meno sviluppate, per il sud, l'industrie sempre più grandi e inquinanti, nell'illusione di salvarsi con il "neocapitalismo", eccetera.
La comprensione di questa realtà, la loro verifica costante, oggi e domani, offre a noi radicali la possibilità di parlare e di fare ecologia in termini di economia moderna, e soprattutto in termini modernamente "regionali" e "regionalisti". Dobbiamo parlare dell'inquinamento come del prelievo di un bene che serve alla produzione, di un "bene scarso" che è il vero punto critico della produzione e dell'economia moderna; abituarci a considerare l'inquinamento come una forma di "prelievo", di "costo dilazionato" della produzione, che non può più essere ignorato e non conteggiato, ma va messo nel conto. E quindi dobbiamo, e finalmente possiamo, combattere un certo regionalismo miserabile e dissennato, che ha favorito e favorisce ancora il sorgere di "cattedrali nel deserto" e invoca l'industrialismo di rapina. Dobbiamo riuscire a mettere in luce, dinanzi ai sindacati e alle forze di sinistra, il fatto che certe localizzazioni non rappresentano una scelta sbagliata, sconsiderata; ma che dietro di esse c'è la cosc
iente volontà di una pianificazione che è di rapina.